CHI COMANDA CHI

FONTE Facebook Alessandro Volpi 31-3-25
TITOLO REDAZIONALE

Larry Fink e la sfida al dollaro
Il CEO di BlackRock, Larry Fink, ha lanciato un allarme senza precedenti sul futuro del dollaro come valuta di riserva globale, citando il crescente debito federale USA. Ma la vera sorpresa è la sua ipotesi di un futuro dominato non da altre valute statali, bensì dai Bitcoin. Un’affermazione esplosiva che scuote i mercati e cela motivazioni profonde: un segnale di sfida a Trump e alla sua finanza “alternativa”, un’opportunità di guadagno per i grandi fondi attraverso il riarmo europeo, e una mossa strategica per monopolizzare il settore delle criptovalute con gli ETF. Dietro le sue parole, si intravede il potere delle Big Three e il loro ruolo nel ridefinire gli equilibri finanziari globali.

Chi comanda. Larry Fink, il ceo di BlackRock, il più grande gestore di risparmio al mondo con quasi 12 mila miliardi di dollari di attivi, ha inviato la sua “lettera” agli investitori in cui ha espresso un’ipotesi pesantissima per gli Stati Uniti. Fink ha dichiarato infatti che le attuali condizioni americane, a partire dall’enorme debito federale, mettono a repentaglio la tenuta del dollaro come valuta di riserva internazionale. In altre parole, il più grande fondo mondiale, con sede negli Stati Uniti, che possiede circa il 10% dell’intero listino S&P, ed è dunque legatissimo alla tenuta del dollaro, sostiene che il dollaro potrebbe perdere quella condizione in grado di garantire non solo la sopravvivenza del gigantesco debito federale Usa, ma direi dell’intera economia a stelle e strisce. Fink, tuttavia, non si ferma qui perché aggiunge che il ruolo del dollaro potrebbe essere svolto, nel prossimo futuro, non da un’altra valuta, come l’euro o lo yuan, quanto dai Bitcoin, da una “moneta” privata. Si tratta di una dichiarazione davvero esplosiva sia perché per la prima volta un soggetto così decisivo del mercato finanziario mette in discussione il dollaro e quindi il primato Usa, sia perché ventila la prospettiva di una valuta digitale come strumento di riserva globale, fornendo un’indicazione ben precisa agli investitori mondiali destinata a trascinare i prezzi degli stessi Bitcoin. Al di là del rilievo assoluto di una simile dichiarazione, mi sembra indispensabile provare a capire cosa possa averla motivata. Penso che ci siano almeno tre ragioni che possano avere indotto Fink ad assumere questa posizione. La prima. Il ceo di BlackRock ha inteso mandare un segnale molto diretto a Trump, di cui i grandi fondi non condividono le posizioni economiche e soprattutto i legami con una finanza “alternativa” rispetto al monopolio delle Big Three e rappresentata da figure come Musk e Thiel. La nomina di Atkins alla Sec, di Bessent al tesoro, di Lutnick al commercio e la decisione di affidare ai dazi la prerogativa di reggere la tenuta del dollaro senza ricorrere alla politica dei tassi alti della Fed di Powell non piacciono certo a Fink e soci per cui i tassi alti sono la duplice garanzia di evitare la concorrenza di altri soggetti finanziari e del rendimento dei titoli del Tesoro americano. Minacciare una dedeollarizzazione è dunque un siluro ad alta carica diretto al nuovo presidente. La seconda ragione ha a che fare con l’Europa. Il Piano di riarmo, attraverso ReArm Europe e Readiness 2030, il bazooka tedesco del governo Merz, l’azione della Banca Europea degli investimenti orientata ancora verso il settore del riarmo, la prospettiva di un mercato unico dei capitali hanno convinto BlackRock e gli altri grandi fondi americani che in Europa sia possibile una vera e propria bolla finanziaria, decisamente remunerativa, generata appunto dalla spesa pubblica in direzione del settore degli armamenti. In questo senso, le Big Three hanno trovato nell’applicazione dell’Agenda Draghi – non a caso elogiato da Fink – una destinazione dei propri attivi in grado di sostituire la bolla tecnologica ormai davvero troppo gonfiata. In estrema sintesi, la politica del riarmo europeo ha fornito ai grandi fondi americani la strada per minacciare Trump, provando a spaventarlo, e, al contempo, per evitare gli effetti di una crisi finanziaria, determinata dall’ipertrofia dello S&P, di cui proprio i grandi fondi pagherebbero le conseguenze. La terza ragione si lega ai Bitcoin e, ancora una volta, è espressione dello scontro interno al capitalismo americano. Larry Fink indicando nei Bitcoin la possibile valuta di riserva internazionale vuole renderli estremamente appetibili e dunque creare su questa appetibilità una miriade di strumenti finanziari, in primis gli Etf, in grado di garantire ottimi risultati alle Big Three che con i Bitcoin intendono spazzare via tutto l’universo delle criptovalute legate all’élite finanziaria trumpiana. “Impossessandosi” dei Bitcoin attraverso la produzione di Etf BlackRock vuole cancellare un pezzo importante del sostegno finanziario a Trump. Una cosa mi pare evidente: è chiaro chi comanda e quanto le posizioni della Commissione europea favoriscano tale potere.

Alessandro Volpi 31-3-25

Il decalogo di Chomsky

FONTE Facebook Eresia · 23-3-25
TITOLO REDAZIONALE

Noam Chomsky ha contribuito ad elaborare il sistema di strategie che viene utilizzato per la manipolazione delle persone attraverso i mass media. Ne è nato questo decalogo, non attribuibile per intero all’autore, ma dove molte affermazioni risultano effettivamente dette da lui.

1-La strategia della distrazione
L’elemento primordiale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel deviare l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dei cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche, attraverso la tecnica del diluvio o inondazioni di continue distrazioni e di informazioni insignificanti.

2- Creare problemi e poi offrire le soluzioni.
Questo metodo è anche chiamato “problema- reazione- soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” prevista per causare una certa reazione da parte del pubblico, con lo scopo che sia questo il mandante delle misure che si desiderano far accettare.

3- La strategia della gradualità.
Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, a contagocce, per anni consecutivi.

4- La strategia del differire.
Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria”, ottenendo l’accettazione pubblica, nel momento, per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro che un sacrificio immediato.

5- Rivolgersi al pubblico come ai bambini.
La maggior parte della pubblicità diretta al gran pubblico, usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, molte volte vicino alla debolezza, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente mentale.

6- Usare l’aspetto emotivo molto più della riflessione.
Sfruttate l’emozione è una tecnica classica per provocare un corto circuito su un’analisi razionale e, infine, il senso critico dell’individuo.

7- Mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità.
Far si che il pubblico sia incapace di comprendere le tecnologie ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù.
“La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza dell’ignoranza che pianifica tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare dalle classi inferiori”.

8- Stimolare il pubblico ad essere compiacente con la mediocrità.

9- Rafforzare l’auto-colpevolezza.
Far credere all’individuo che è soltanto lui il colpevole della sua disgrazia, per causa della sua insufficiente intelligenza, delle sue capacità o dei suoi sforzi. Così, invece di ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e s’incolpa, cosa che crea a sua volta uno stato depressivo, uno dei cui effetti è l’inibizione della sua azione.

10- Conoscere gli individui meglio di quanto loro stessi si conoscono.
Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno generato un divario crescente tra le conoscenze del pubblico e quelle possedute e utilizzate dalle élite.

Grand Hotel Coronda

Presentazione del libro
Grand Hotel Coronda : racconti di prigionieri politici sotto la dittatura argentina di Videla presentano Sergio Ferrari e Raoul Chiartano

1 APRILE L’AFFRATELLAMENTO ORE 18

Presentazione del libro

Canti resistenti latino-americani

Buffet di empanadas e bibite

NOTIZIE SUL LIBRO

Collettivo El Periscopio
Grand Hotel Coronda : racconti di prigionieri politici sotto la dittatura argentina, 1974-1979 / Collettivo El Periscopio. – Roma : Albatros, 2022. – 409 p. : ill. ; 22 cm. – (Nuove voci. Confini).) – [ISBN] 978-88-306-5759-5.

Coloro che hanno preso la decisione di torturare gli uomini, di condurli sino alla follia e assassinarli non saranno mai coloro che scriveranno l’ultima pagina della storia. I ricordi sovversivi dei sopravvissuti di Coronda denunciano i loro torturatori. Gli ex prigionieri hanno ottenuto giustizia e i criminali sono stati condannati. Inizia, così, una nuova pagina: che non trionfi mai l’oblio, che non si ripetano più gli atti disumani che sono stati commessi in quell’orribile carcere argentino. Grand Hotel Coronda, un libro indispensabile. (Leonardo Boff, teologo) Questa testimonianza dei prigionieri di Coronda è un nuovo contributo al riscatto della memoria collettiva, che respira nascosta sotto l’amnesia imposta. (Eduardo Galeano, giornalista e scrittore) Questo libro rappresenta un atto di grande generosità. La generosità della memoria che non è mai un dovere, specie per chi ha attraversato i territori più estremi del dolore, ma una scelta, un cammino, un dono. Don Luigi Ciotti, presidente Associazione Libera Non ci sentiamo vittime della nostra storia. Siamo stati e continuiamo ad essere attori sociali che desiderano cambiamenti strutturali, da costruire con la gioia della consapevolezza umana. Ed è per questo che, sebbene alcune di queste pagine riflettano sofferenze molto profonde e assenze insostituibili, l’umorismo, come appare nella maggior parte del racconto, è sempre stato un’arma letale contro i nostri carnefici. (Gli Autori, Collettivo El Periscopio). (Fonte: Editore).

STORIA SEGRETA DELLA GUERRA IN UCRAINA

FONTE Facebook Massimo Baldacci
TITOLO REDAZIONALE

Da Francesco Dall’Aglio (per tutti quelli che ci dicevano che mentivamo quando parlavamo, per l’Ucraina, di “guerra per procura tra Occidente e Russia”):

“L’articolo del New York Times che descrive in dettaglio la collaborazione statunitense ed europea con l’Ucraina (link 1, e link 2 per leggerlo senza paywall – dovrebbe funzionare sui browser “normali”, altrimenti provate con Tor o simili) è politicamente devastante. Che il coinvolgimento statunitense nel conflitto fosse molto più grande di quanto dichiarato era cosa ovvia e chiara, ma trovare tutto descritto così nei particolari, e ordinato cronologicamente, fa una certa impressione.
Domani scrivo un po’ più in dettaglio su certi aspetti sui quali vorrei riflettere. Intanto, le considerazioni principali sono queste:
– gli USA e la NATO hanno partecipato direttamente non solo alla raccolta dell’intelligence, ma alla designazione dei bersagli che sono stati spesso imposti all’Ucraina, senza che il suo stato maggiore potesse controllare (non avendo satelliti) e, per quanto riguarda droni e missili a lungo raggio, incluso quelli che hanno colpito il territorio russo, hanno deciso le traiettorie per aggirare le difese russe (altra cosa che l’Ucraina non poteva fare);
– tutti i colpi di successo, sia a livello di propaganda che di reale efficacia militare, dalla Moskva a Sebastopoli al quartier generale della 58a armata al deposito di munizioni di Toropets, sono opera degli USA sia per la scelta del bersaglio che per le modalità della sua distruzione (con la parziale eccezione della Moskva, che comunque è stata segnalata e “illuminata” dai sistemi USA). Le FFAA ucraine hanno, letteralmente, solo premuto un pulsante (a volte, ripeto, nemmeno sapendo cosa stavano per colpire e che rotta avrebbero seguito i proiettili che lo avrebbero colpito);
– Bahmut, come avevamo già ipotizzato, è stato il punto di svolta del conflitto oltre che il punto massimo dell’idiozia del comando ucraino che si è intestardito a contestare ogni pianerottolo sognando di dissanguare la Russia e arrivare a Lugansk (affermazione di Syrsky) facendo mancare uomini e munizioni per la controffensiva dell’estate 2023 (che non è detto avrebbe avuto successo, ma così è stata condannata al fallimento già prima di cominciare).
Link 1: https://www.nytimes.com/…/us-ukraine-military-war
Link 2: https://archive.is/Fdwq3

I padroni del mondo

FONTE Facebook Alessandro Volpi 22-3-25

Informazioni dettagliate sul libro : LINK

Tre considerazioni e una notizia. Le tre considerazioni sono molto legate tra loro. La notizia no. La prima considerazione riguarda il fatto che l’enorme mole di debito pubblico emesso dal governo federale tedesco rischia di perdere il rating di tripla A e quindi ha bisogno del favore delle principali Agenzie che assegnano tale rating. Ma di chi sono tali Agenzie? E’ naturale, dei grandi fondi finanziari che diventano così decisivi per la Germania in quanto saranno compratori del debito e gli assegneranno un voto in grado di rendere i loro acquisti particolarmente vantaggiosi e, al contempo, di rendere stabile lo stesso bazooka tedesco, in barba ai debiti degli altri paesi europei aggravati da tassi più alti e voti decisamente più bassi. La seconda considerazione è riconducibile al vero e proprio smantellamento di Agenzie, organi di controllo ed enti statistici operato da Trump e destinato a privare l’economia Usa di reali valutazioni. Ma da chi saranno sostituti questi enti cancellati? Anche qui è facile prevedere che un ruolo centrale nell’attribuzione del valore reale dell’economia Usa passerà attraverso la Agenzie di rating, rafforzando ulteriormente la centralità dei grandi fondi finanziari. La terza considerazione emerge dalla triste intervista di Romano Prodi al Corriere della sera in cui l’ex premier esalta il riarmo europeo, giudicandolo persino troppo debole e accusando la Sinistra di ideologismo e Dottrina. In pratica Prodi contrappone la saggezza del riarmo alla Dottrina dei pacifisti. Sarebbe da chiedere al prof. Prodi quanto sia stato saggio costruire un ipercapitalismo dove i grandi fondi danno i voti agli Stati e ne dettano le politiche economiche, a partire dalla alimentazione di una colossale bolla finanziaria legata proprio agli armamenti che a Prodi parrà certo molto saggia.
La notizia, me ne scuso, è personale. La casa editrice Laterza mi ha comunicato che il mio testo I padroni del mondo, dopo aver riscosso un notevole successo italiano, è stato acquistato da uno dei principali editori dell’America Latina – il Fundo de cultura economica – e sarà tradotto in spagnolo.

Alessandro Volpi 22-3-25

ADDIO, LINKE!

FONTE Facebook Giorgio Bianchi 24-3-25
TESTO di Yanis Varoufakis (Tramite Giubbe Rosse)

di Yanis Varoufakis

Nel suo tentativo di diventare un partito “normale”, “accettabile”, Die Linke si è unito ai guerrafondai centristi radicali nella loro follia del riarmo.
Quella appena trascorsa è stata una settimana da libri di Storia.
Il parlamento tedesco ha modificato il freno costituzionale al debito per consentire spese militari illimitate, indipendentemente da quanto profondamente porteranno il bilancio federale in rosso.
Nel frattempo, nessuna di questa generosità fiscale sarà destinata a investimenti in ospedali, istruzione, vigili del fuoco, asili nido, pensioni, tecnologie verdi, ecc.
In breve, quando si tratta di finanziare la vita, l’austerità resta sancita nella costituzione tedesca. Solo gli investimenti nella morte sono stati liberati dalla morsa costituzionale dell’austerità.
La ragione di fondo per questo cambiamento sconvolgente alla Costituzione tedesca è semplice: i produttori di automobili tedeschi sono ormai troppo poco competitivi.
Non riescono più a vendere con profitto le loro auto né in Germania né all’estero.
Così, chiedono che lo Stato tedesco acquisti i carri armati che Rheinmetall produrrà sulle linee di assemblaggio inutilizzate della Volkswagen.
Per far sì che lo Stato paghi, era necessario aggirare il freno costituzionale al deficit.
Sempre desiderosi di servire i loro padroni del Big Business, i partiti dei governi centristi permanenti si sono mobilitati per introdurre questo cinico cambiamento costituzionale, che annulla l’impegno della Germania del dopoguerra per la pace e il disarmo.
Per modificare la Costituzione, i partiti centristi avevano bisogno di una maggioranza di due terzi in entrambe le camere del parlamento federale tedesco: il Bundestag (Camera bassa) e il Bundesrat (Camera alta), dove ogni Stato federato è rappresentato in base alla sua dimensione e alla coalizione di governo statale.
Sebbene i partiti centristi abbiano assicurato la loro maggioranza di due terzi nel Bundestag uscente, si sono trovati di fronte a un problema serio nel Bundesrat.
Die Linke, il “partito di sinistra”, che avevamo recentemente lodato per il buon risultato elettorale, aveva la possibilità di far sì che i governi statali di cui faceva parte (come parte di una coalizione locale) si astenessero nel voto del Bundesrat.
Questo avrebbe bloccato l’emendamento costituzionale e inflitto un colpo mortale al ritorno insidioso del keynesismo militare.
Purtroppo, la leadership di Die Linke ha scelto di non usare il proprio potere, il proprio voto nel Bundesrat, per farlo.
In breve, si sono uniti ai guerrafondai centristi radicali in questa pericolosa e costosissima follia del riarmo.
Gli elettori di Die Linke sono, giustamente, furiosi, e alcuni invocano persino la rottura delle coalizioni statali di cui il partito fa parte e l’espulsione dei funzionari coinvolti.
Già il fallimento di Die Linke nel sollevarsi contro il genocidio in Palestina, e il successivo trattamento totalitario riservato dallo Stato tedesco a chi protesta contro quel genocidio, aveva compromesso la reputazione del partito agli occhi dei progressisti non solo in Germania, ma anche oltre confine.
Nulla distrugge l’integrità etica di un partito di sinistra più rapidamente di una leadership troppo desiderosa di essere “accettata” da un centro radicalizzato che si muove costantemente verso l’estrema destra xenofoba e guerrafondaia.
Era già abbastanza grave che i leader di Die Linke sentissero il bisogno di chiudere un occhio sul progetto genocida e di apartheid di Israele.
Ora, questa settimana, hanno compiuto il passo successivo verso l’oblio politico: hanno usato i loro voti nel Bundesrat per sancire, per la prima volta dal 1945, il keynesismo militare nella costituzione tedesca.
Buonanotte, Die Linke. E buona fortuna.

Yanis Varoufakis

Un falso a fin di bene

FONTE Facebook Cinzia Zanfini Nuovo 27-3-25
TITOLO REDAZIONALE

Era il 1994 e da un anno era uscita l’edizione tascabile di Kitchen di Banana Yoshimoto, romanzo di grande successo.
Un giorno d’estate entra in libreria una giovane donna giapponese. Si presenta a me e a un collega come l’autrice del romanzo e ci dice che si trovava in vacanza in Italia. Io e il collega le facciamo un sacco di feste e di complimenti per il suo bel libro e le chiediamo di lasciarci un po’ di copie firmate. Lei si mette a firmare una grande quantità di copie:
吉本ばなな
吉本ばなな
吉本ばなな
La scrittrice termina il suo lavoro, io e il collega la ringraziamo e la salutiamo. Con pazienza certosina produciamo delle fascette pseudo artigianali con su scritto: copia firmata dall’autrice. Nel giro di un giorno vediamo che tutte le copie firmate stavano esaurendosi a grande velocità.
Il collega: “Cinzia, stiamo finendo tutte le copie di Kitchen firmate da Yoshimoto.”
Io: “ Davvero. Che gran successo! Dovevamo farle firmare più libri.”
Il collega: “Eh lo so, ma era qui in vacanza insieme ad altre persone mi sembrava di approfittarne.”
Io: “Sì capisco, ma le copie firmate vendono molto di più.”
E come diceva il Perozzi:
“Che cos’è il genio? È fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione.”
Io e il collega ci guardiamo negli occhi e, senza bisogno di parlare ci muniamo di pennarelli a punta fine, prendiamo tutte le copie di “Kitchen” presenti in libreria e come due amanuensi ci mettiamo a copiare la firma dell’autrice.
吉本ばなな
吉本ばなな
吉本ばなな
Dopo aver firmato un paio di libri a me prende uno scrupolo di coscienza e dico al collega che forse siamo delle brutte persone, che non stiamo facendo una bella cosa, che forse è meglio finirla lì e che non possiamo fingere con i nostri GC.*
Il collega: – Ma ‘icchè! Sanno nasega del giapponese!”
Ormai, dopo più di trent’anni, il reato è caduto in prescrizione ma se qualcuno di voi, nel lontano 1994, avesse acquistato alla Feltrinelli di Firenze una copia firmata di Kitchen sappia che c’è qualche probabilità che sia firmata di mio pugno. E comunque il libro lo abbiamo venduto tutto in pochi giorni.
*GC = Gentile Cliente.

Cinzia Zanfini Nuovo 27-3-25 #vitadalibraia

TU VO’ FA’ L’AMERICANA …

di Anna Maria Guideri


(Meloni, una romana in America)

Fin dai tempi di Albertone
che faceva lo spaccone,
sotto sotto ogni italiano
si sentiva americano.

Si sentiva un po’ cow boy,
tale e quale a quegli eroi
che sognavan la frontiera:
inseguiva una chimera.

Era un’impresa omerica
fare parte dell’ America:
si sentiva tutelato
nientemen che dalla NATO!

Mamma NATO lo allattava,
dolcemente lo cullava,
carri armati poi schierava
e la pace assicurava.

Poi cos’è cosa non è
tutto passa alfine, ahimè,
e al di fuor di ogni programma
lo abbandona la sua mamma!

E lo lascia in mezzo al guado
gnudo ed allo stato brado:
un crudele voltafaccia ….
con i dazi lo minaccia!

Or l’Italia è ripudiata
da una scelta insensata:
non si premia in verità
obbedienza e fedeltà.

Certo, era molto bello
della NATO il grande ombrello;
con la pioggia o con il vento
NATO era un paravento

E di fronte ad ogni dramma
c’era lei, la grande mamma!
Giorgia resta assai confusa
dalla mossa degli U.S.A.

e s’inventa mille diavoli
per salvare capra e cavoli.
Si dichiara europeista,
ma il suo cuore è trumpista …

Tergiversa come può …
e si chiede:” Ma ‘n do’ vo?”
È l’istinto primordiale,
Trump è l’attrazion fatale.

Alla Giorgia cosa resta?
Il richiam della foresta!
Se la mamma l’abbandona,
se la mamma non è buona …

Giorgia il fascio non tradisce
e alla fine obbedisce.
S’inginocchia e supplicando
or si piega al suo comando.

Trump non mi abbandonare,
io con te voglio restare,
fallo in nome di Benito,
il tuo sosia preferito!

Ma la mamma è assai crudele,
le risponde con il fiele:
Cosa vuoi tu piccoletta?
Levati di mezzo, ho fretta!”

La Meloni tanto grande
alla fin resta in mutande
e l’America e l’Europa
gliele danno con la scopa!

Anna Maria Guideri 26-03-2025


VA’ PENSIERO …

di Anna Maria Guideri
Immagine : Quadro Elisabetta Nannini L’albero delle parole


(Parole:
Alla ricerca del senso perduto)

E pensare che c’era il pensiero è il titolo di un noto spettacolo di Giorgio Gaber degli anni ’90 sul tema della crisi del pensiero nella società odierna. Ne descriveva la parabola discendente nel passaggio da collettivo a massificato, da individuale a individualista, da consapevole a ignaro e inconsistente. Un’analisi tanto centrata e profetica come era difficile immaginare e temere. È forse utile riflettere che il pensiero collettivo, a differenza di quello massificato, implica consapevolezza individuale e plurale e capacità di elaborare una visione organica della società in senso lato. Il pensiero di massa – o non pensiero – al contrario, risponde ai criteri dei diktat mediatici per conseguire scopi abilmente mistificati e generalmente ignorati. Il pensiero include – come ci insegna il logos – la parola. Pensiero e parola formano una unità inscindibile, astratta e concreta , invisibile e visibile, sostanziale e formale. L’uno non esiste senza l’altra. Se il pensiero viene meno, fatalmente trascina con sé anche la parola che non gli può sopravvivere se non come suono disconnesso, incomprensibile, fuorviante. È quello a cui stiamo assistendo nell’indifferenza generale: la scissione del LOGOS. La qualità delle parole usate è inversamente proporzionale alla loro quantità: meno si pensa più si parla in modo piatto, generico, conformista. Prevale lo stile sloganistico, buono per tutte le occasioni, per dire tutto e niente. Al logos dobbiamo la nostra appartenenza al genere umano (Don Milani). Gli dobbiamo la nostra evoluzione morale e civile , la cultura, la democrazia, il superamento di conflitti insanabili, la ricerca instancabile della verità … Le parole come logos, usate cioè in senso dialettico, sono temute perché hanno il potere di fare e disfare i mondi senza darli mai per scontati. Le parole pensate e pensanti, parlano alle menti, alle coscienze, aprono finestre, indicano orizzonti, costruiscono ponti, ribaltano ordini superati per crearne di nuovi … Per questo sono combattute, oserei dire, perseguitate. Ci stiamo avviando lungo una china che, dal vero, passando per il falso, ci spinge verso il nulla. Assistiamo proprio in questi giorni alla dichiarazione di guerra alle parole delle comunità gay e al ripristino di quelle riferite alle disabilità da parte del presidente argentino Milei con intenti chiaramente oltraggiosi. Stigmatizzanti, o ambigue … Le parole sono ormai contenitori deformabili e adattabili a ricevere tutte le possibili esternazioni prive di senso e di valore. O meglio, il senso che viene loro attribuito è provvisorio, arbitrario, intercambiabile a seconda delle circostanze e delle convenienze: parole usa e getta del tutto conformi al consumismo imperante. Il fenomeno è quasi surreale: a fronte del rischio estinzione delle parole pensate proliferano, infestanti come i virus pandemici, le parole gettate al vento, prive di senso, come esche per le malcapitate prede. Non per dialogare, ma per prevaricare, non per convincere, ma per imbonire, non per chiarire, ma per confondere, non per rispettare, ma per offendere. Se la parola significante perde il suo significato e il suo potere di interlocuzione, cosa ci resta? Quali armi abbiamo per lottare contro l’indifferenza, l’ignoranza, la violenza, l’ingiustizia? Di quali mezzi possiamo disporre per arrivare alla coscienza degli esseri umani se gli esseri umani non hanno più coscienza? Cosa possiamo inventarci per rivolgerci a Trump e a tutti gli oligarchi assetati di potere totalmente refrattari al pensiero? Se non c’è condivisione sul codice d’accesso, l’accesso è impossibile; si precipita rovinosamente dal logos al caos! È ciò che sta accadendo. Se si parla di democrazia , ma ognuno degli interlocutori la intende a modo suo, poche sono le possibilità di dialogare. Se parlando di libertà, c’è chi la intende come libero arbitrio che non prevede limiti di sorta e chi invece ne riconosce i limiti posti dal diritto altrui, non c’è dialogo possibile. Democrazia, libertà, diritti, pace, guerra … le parole sono le stesse, ma i significati sono opposti a seconda di chi le usa; sono incompatibili fra loro. La stessa incompatibilità che c’è fra la forza e la ragione. C’è chi parla di ragione, ma intende forza ragione della forza – e chi parla di ragione come logos, come capacità di accedere ad una verità mediante il ragionamento basato su capisaldi etici, come quelli della nostra Costituzione dove le parole hanno un significato inequivocabile … per chi non ha interesse ad equivocarlo! Se la forza diventa ragione, la ragione cessa di esistere sia come valore che come parola pensata e pensante. È la morte della parola che ci rende afoni, disarmati, soli, privi d’identità. Un lutto difficile da elaborare. Chi siamo, in che mondo viviamo, quali sono i nostri riferimenti, i nostri ideali, il nostro senso? La nostra facoltà più preziosa, il pensiero, che ci permette di comprendere, elaborare, creare, comunicare usando la parola, a volte per colpire, altre per aiutare, ma sempre all’interno di un codice condiviso, sta diventando irrilevante e con essa quanti vi si riconoscono . La nostra forza è diventata debolezza; siamo dei sansoni a cui hanno tagliato i capelli. Le parole vuote fluttuano disordinatamente nello spazio, indistinguibili, incapaci di farsi “carne”, di consistere, d’interpretare la realtà nel suo essere e nel suo divenire. Parole anonime, sbatacchiate qua e là, costrette ad indossare abiti prestati dai simulatori di professione per capovolgere il senso delle cose e seminare il caos propiziatore di denaro e di potere. Se il potere non è più appannaggio degli esseri pensanti, ma di coloro che usano i bicipiti, non ci resta che usare i bicipiti – se li abbiamo – rimettendoci la nostra identità umana e culturale. Si può vincere perdendo se stessi? Ne vale la pena? In principio era il verbo … E il pensiero? Non pervenuto!

Anna Maria Guideri 17-03-2025

SON DAZZI AMARI

SEGNALAZIONI
Il mercante Trump: «O i dazi o la vita!» di Luca Serafini su Clarissa.it
FONTE Sinistrainrete
TITOLO E IMMAGINE REDAZIONALI

Sintesi del breve saggio di Luca Serafini “Il mercante Trump: «O i dazi o la vita!»”

Critica all’approccio di Trump sui dazi

Economisti e osservatori contestano la politica dei dazi di Donald Trump, affermando che si tratta di una tassa sulle importazioni che ricade sui consumatori. Si denuncia anche l’uso della dichiarazione di emergenza nazionale da parte di Trump come un abuso di potere.

Sfondo economico

Dietro le scelte di Trump si cela un problema profondo: il crescente deficit pubblico federale degli Stati Uniti. Questo deficit obbliga il governo a cercare compratori per titoli di Stato per miliardi di dollari ogni anno, imponendo tale necessità su altri paesi.

Strategia di intimidazione

Trump usa la minaccia dei dazi come una leva per costringere altri paesi a comprare debito americano, proponendo un’alternativa brutale: accettare di finanziare il debito americano in cambio della protezione militare degli Stati Uniti.

Piano economico di Trump

Un saggio di Stephen Miran consuelente ascoltato di Trump suggerisce un accordo (Mar-a-Lago Accord) per ripensare il sistema finanziario globale in cui gli alleati dovrebbero finanziare le “zone di sicurezza” americane comprando titoli di Stato a lungo termine. Queste zone sono presentate come un bene pubblico, e il non acquisto di titoli porterebbe a dazi che allontanerebbero i paesi dall’ombrello protettivo americano.

Ricatto duale su Europa

Gli europei sono messi di fronte alla necessità di finanziare il debito americano e di affrontare il costo della sicurezza in Ucraina, demandando così anche oneri di spesa per la difesa agli Stati Uniti.

Riferimenti storici

Serafini menziona precedenti storici simili, come l’approccio di Lyndon Johnson, dove gli Stati Uniti chiesero ai loro alleati di finanziare il loro deficit in cambio di protezione militare, stabilendo una connessione tra debito e difesa.

In conclusione

il saggio esplora come Trump stia utilizzando una strategia di ricatto per rafforzare la posizione economica e finanziaria degli Stati Uniti a spese degli alleati, proponendo un’analisi che esamina i movimenti strategici del presidente in un quadro più ampio di politica economica e relazioni internazionali.

LEGGI L’ARTICOLO