Pasqua in casa Vegni

FONTE Facebook Sandra Vegni 20-4-25

In casa Vegni l’educazione religiosa era binaria.
«Perché devo andare alla Messa quando nessuno di voi ci va?»
«Ci vai perché sei piccina, poi da grande farai come ti pare.» Questa la risposta, non proprio bene articolata.
Fino a dieci anni ho vissuto in una famiglia patriarcale, sei adulti e io bambina, dove il patriarca, nonno Luigi, contava meno del due di briscola. Per vivere tranquillo si rimetteva serenamente a quello che decidevano le due nuore e i suoi figli. Punto. Infatti era un omino pacato, dolce e affettuoso. E molto silenzioso, la bocca occupata a sostenere il sigaro toscano nei giorni festivi e la pipa con il trinciato gli altri giorni.
Anche il precetto “…comunicarsi almeno a Pasqua” veniva disatteso con la scusa che c’era da star dietro ai fornelli e non si poteva perder tempo a infiocchettarsi e andare in chiesa. Un giorno valeva l’altro. E poi l’Amalia si era ‘fatta’ la domenica delle Palme, perché lei all’ulivo benedetto ci teneva e tornava con un fascio che distribuiva a parenti e amici. Quello fresco andava a sostituire, dietro i quadretti a capo del letto, il rametto dell’anno prima che, a toccarlo, si sbriciolava subito.
Le uova da benedire? C’era la Sandrina che, almeno a Pasqua, poteva andare alla messa delle undici con un compito preciso. Le uova, già sbucciate (così la benedizione arrivava meglio) venivano accomodate in una scodella del servito ‘bono’, avvolta in tovagliolo bianco con l’orlo ‘a giorno’ e le cocche annodate facevano da maniglia. Un uovo era segnato da un frammento di guscio: era quello per il babbo; gli piaceva poco cotto, con il tuorlo denso ma non rappreso.
Il cestino m’impicciava ma mi sentivo importante. Le uova venivano deposte vicino all’altare e bisognava aspettare la fine della funzione per riprenderle e andare via. Poi, con il tempo, i cestini semplici e rudimentali vennero man mano sostituiti da veri cestini che contenevano anche uova di cioccolato decorate di zucchero colorato e gingilli vari; i tovaglioli bianchi da una sorta di tovagliette ricamate a mano. Il mio cestino sfigurava.
L’Amalia nell’armadio aveva bellissime tovagliette ‘da tè’ che non venivano mai usate perché il tè non le piaceva e tanto in casa non si ‘riceveva’ mai. Le chiesi di usarle per le uova.
«Checchecchè! Poi va lavata e stirata.» I tovaglioli bianchi si usavano tutti i giorni e andavano in varechina.
Poi la famiglia patriarcale, ormai senza patriarca, si dissolse in due nuclei distinti; cambiammo casa e le uova venivano in tavola a Pasqua senza benedizione. Solo per tradizione. Tanto il Signore vede e provvede…
La casa divenne Vegni-Innocenti e l’Amalia trascorse con noi gli ultimi anni della sua vita. Era diventata una vecchietta petulante e m’impicciava in cucina annusando l’aria e scoperchiando pentole senza neanche provare a rimestarle.
«Ma perché non vai alla Messa, mammina?» Almeno una volta l’anno…
Per darle una motivazione concreta le affibbiavo un cestino con le uova assodate ancora da sgusciare.
Brontolando si avviava verso la chiesa vicina, seccata ma vestita bene. Le piaceva vestirsi bene.
Tornava sempre scocciata. «Oh, come l’ha fatta lunga, quel prete! Unne potevo più. Se non c’avevo le uova, tornavo a casa subito.»
La benedizione, si sa, arriva alla fine.
Ora, solo per tradizione perché un uovo sodo ingerito a inizio pranzo m’ingolfa inutilmente e poi devo pensare anche al colesterolo, faccio bollire due uova, le taglio a spicchi e le infilo, armonicamente, nel vassoio degli antipasti.
Che dire? Buona Pasqua e pace in terra agli uomini di buona volontà. Anche se, mi sembra, ne son rimasti pochi.

Sandra Vegni 20-4-25

Dazi Globali, Rotte Locali: L’Europa alla Prova del Cambiamento

Tra nuove tensioni commerciali e sfide tecnologiche, l’Unione Europea si trova davanti all’opportunità di ridisegnare il proprio ruolo economico e produttivo nello scenario globale.
SINTESI by ChatGPT di 2 articoli pubblicati su DOMANI

L’inasprimento dei dazi, in particolare da parte degli Stati Uniti sotto la guida di Donald Trump, sta provocando scosse significative nella geografia economica mondiale. Le filiere logistiche si accorciano, la domanda di trasporti cambia volto e i grandi equilibri industriali — dall’automotive all’aerospaziale — sono messi in discussione. Ma in questo scenario fluido e incerto, l’Europa ha la possibilità di cogliere una nuova centralità, puntando su digitalizzazione, concorrenza leale e investimenti strategici in tecnologia e infrastrutture. La sfida? Trasformare le pressioni globali in leva di rilancio locale, riconfigurando rotte produttive e politiche industriali con lo sguardo rivolto al futuro.

Ecco una sintesi coordinata dei due articoli pubblicati su Domani il 24 aprile 2025, a firma di Marco Ponti e Mila Fiordalisi, che affrontano da prospettive complementari gli effetti della nuova ondata di protezionismo commerciale guidata dagli Stati Uniti:


Leggi tutto “Dazi Globali, Rotte Locali: L’Europa alla Prova del Cambiamento”

Morte di una democrazia

FONTE Una democrazia smantellata in cinquantatré giorni Timothy W. Ryback
Internazionale Numero 1608 del 4 aprile 2025  (adattamento da The Atlantic)

T.W.Ryback , sul n°  1608 di Internazionale, condensa una parte importante della storia mondiale  recente: l’ascesa al potere di Hitler, ottenuta seguendo formalmente le leggi e quindi “con mezzi democratici”,  sfruttando “la potenziale debolezza intrinseca di ogni aspetto formale della legge”, come sostenuto da Hans Frank, poi condannato a Norimberga per le atrocità commesse.

La strategia messa a punto da questo avvocato, e messa in pratica da Hitler, comprendeva:

“ epurazione dei funzionari chiave dello stato per sostituirli con suoi fedelissimi, ottenere pieni poteri  ”con legge, approvata dal parlamento ” per poter rispettare le promesse elettorali: rilanciare l’economia, aumentare le spese militari, ritirarsi dai trattati internazionali, purgare il paese dagli stranieri che avvelenavano il sangue della nazione, e vendicarsi degli avversari politici”

Una strategia messa a punto dopo il fallimento del colpo di stato di Monaco.

Si sa che la storia ripete in farsa quella che era stata una tragedia. 

C’è qualcuno che scorge l’avvio di questa farsa nella nuova amministrazione degli U.S.A?

Enrico Tendi, 23-4-25

Di seguito la sintesi dell’articolo elaborata dall’ intelligenza artificiale

Presentazione dell’Articolo

Titolo“Una democrazia smantellata in cinquantatré giorni”
Autore: Timothy W. Ryback
FonteInternazionale (adattamento da The Atlantic)

Contesto:
L’articolo ricostruisce in dettaglio i 53 giorni che seguirono la nomina di Adolf Hitler a cancelliere della Germania il 30 gennaio 1933, mostrando come il regime nazista smantellò la Repubblica di Weimar usando strumenti legali e costituzionali. Attraverso documenti storici e testimonianze, Ryback svela il metodo sistematico con cui Hitler neutralizzò le opposizioni, manipolò le istituzioni e instaurò una dittatura, trasformando una democrazia in un totalitarismo senza ricorrere inizialmente a un colpo di stato violento.

Tesi centrale:

  • Hitler sfruttò le debolezze strutturali della costituzione di Weimar (es. articolo 48 sui poteri d’emergenza del presidente) e la complicità passiva delle élite conservatrici (come il presidente Hindenburg e Franz von Papen).
  • L’incendio del Reichstag (27 febbraio 1933) fu il pretesto per sospendere le libertà civili e reprimere i comunisti.
  • La Legge dei pieni poteri (23 marzo 1933), approvata con intimidazioni e accordi politici, segnò la fine della democrazia tedesca.

Sintesi Schematica

1. L’Ascesa Legale di Hitler

  • 30 gennaio 1933: Hitler diventa cancelliere in una coalizione con i conservatori, ma controlla solo 2 ministeri su 11.
  • Strategia: Usa la legalità per distruggere la democrazia, come promesso nel 1930: “Attraverso mezzi costituzionali!”.
  • Ostacoli iniziali:
    • Il partito nazista ha solo il 37% dei seggi al Reichstag.
    • L’opposizione (socialdemocratici e comunisti) controlla il 38%.
    • Il ministro dell’economia Hugenberg gli nega nuove elezioni.

2. La Repressione dell’Opposizione

  • Göring e Frick:
    • Wilhelm Frick (ministro dell’interno) limita la libertà di stampa e centralizza il potere.
    • Hermann Göring (ministro della Prussia) trasforma le SA in polizia ausiliaria, autorizzando violenze.
  • Decreto dell’incendio del Reichstag (28 febbraio 1933):
    • Sospensione delle libertà costituzionali.
    • Arresti di massa di comunisti e chiusura dei giornali di sinistra.

3. Le Elezioni del 5 Marzo e la Legge dei Pieni Poteri

  • Risultati elettorali: I nazisti ottengono il 44%, ma con i comunisti esclusi, Hitler ha la maggioranza dei 2/3.
  • 23 marzo 1933: Il Reichstag vota la Ermächtigungsgesetz (Legge dei pieni poteri):
    • 441 voti a favore (nazisti, conservatori, centro cattolico).
    • 94 contrari (solo i socialdemocratici, guidati da Otto Wels).
    • Conseguenze: Hitler può emanare leggi senza il Parlamento, svuotando la democrazia.

4. La Complicità delle Élite

  • Paul von Hindenburg: Il presidente firma tutti i decreti, illudendosi di controllare Hitler.
  • Franz von Papen: Vicecancelliere, pensa di “addomesticare” i nazisti, ma viene emarginato.
  • Industria e giustizia: Molti giudici e industriali appoggiano Hitler per paura del comunismo.

5. Simboli della Dittatura

  • Giornata di Potsdam (21 marzo): Hitler e Hindenburg si presentano insieme, legittimando il regime.
  • Primi campi di concentramento: Aperti a Dachau e Oranienburg per i dissidenti.
  • Persecuzione degli ebrei: Inizia con le limitazioni professionali e le confische.

6. Lezioni Storiche

  • Debolezze costituzionali: Weimar aveva strumenti per fermare Hitler (es. articolo 48), ma mancò la volontà politica.
  • Importanza delle istituzioni: La magistratura e la stampa cedettero senza resistenza.
  • Analogie con il presente: Ryback invita a riflettere su come le democrazie possano essere smantellate dall’interno.

Citazioni Chiave

  • Hans Frank (avvocato di Hitler): “Il Führer sfruttò ogni debolezza formale della legge con spietatezza”.
  • Joseph Goebbels“La grande beffa della democrazia è che fornisce ai suoi nemici i mezzi per distruggerla”.
  • Otto Wels (socialdemocratico): “Nessuna legge vi dà il potere di distruggere idee eterne come la libertà”.

Dati e Cronologia

DataEventoConseguenza
30 gen 1933Hitler nominato cancelliereInizia lo smantellamento legale della democrazia.
28 feb 1933Decreto dopo l’incendio del ReichstagSospensione dei diritti civili, repressione del KPD.
5 mar 1933Elezioni con intimidazioniNazisti al 44%, ma maggioranza con i comunisti esclusi.
23 mar 1933Approvazione legge dei pieni poteriHitler governa per decreto, fine della separazione dei poteri.

Conclusione

Ryback dimostra che Hitler non conquistò il potere con un colpo di stato, ma approfittando di una democrazia già fragile, della paura delle élite verso il comunismo e della passività delle istituzioni. Un monito per il presente: “Le democrazie muoiono più spesso per suicidio che per omicidio” (Carl Friedrich).

Opere citate:

  • Timothy W. Ryback, Takeover: Hitler’s Final Rise to Power (2024).
  • Hans Frank, Memorie al processo di Norimberga.

Per approfondire:

  • La biblioteca di Hitler (Ryback, 2008) su come la cultura fu strumentalizzata dal nazismo.
  • La caduta della democrazia di Jan-Werner Müller (analisi comparata delle crisi democratiche).

LIBERATI A NOI? LIBERATI VU SARETE VOI!

Anna Maria Guideri 24-3-25

(La liberazione non è per tutti i gusti!)

Perché i tristi eredi del regime sconfitto dalla lotta di liberazione dovrebbero inneggiare alla liberazione se non volevano essere liberati? L’esclusione del partito fascista dall’arco costituzionale – poi rientratovi sotto mentite spoglie – non è stata una liberazione, ma un tremendo oltraggio subito per mano di coloro che hanno usurpato il trono a Mussolini e gli hanno scippato la patria e il sogno dell’impero. Hanno masticato fiele per 80anni baloccandosi con tentativi vari di golpe e attentati terroristici falliti per distruggere la repubblica democratica nata dalla Resistenza che li ha sconfitti e ora ne dovrebbero celebrare la nascita e il trionfo sulle spoglie del regime che loro hanno amato e servito fedelmente … Ma cosa si pretende dai comuni mortali? Anche i fascisti hanno un cuore che batte sotto la camicia nera! Il 25 Aprile per loro è la data più funesta, il cosiddetto giorno più lungo. La Repubblica Italiana è il loro peggior nemico; si sentono prigionieri, non liberi. Governano sì, ma non sono per niente liberi di dire e di fare quello che vogliono … A che serve stare al potere se poi devono fingere di essere democratici abbracciando Liliana Segre, parlando bene di Papa Francesco, arrampicandosi sugli specchi per dire che non sono fascisti mentre vorrebbero gridarlo ai quattro venti con orgoglio, petto in fuori e pancia in dentro? Che fatica poveretti! Ma chi gliel’ha fatto fare di vincere le elezioni? Loro ci provano e ci riprovano a uscire dalle righe, ma c’è una vigile sentinella che ad ogni intemperanza, ad ogni tentativo di insubordinazione, intima l’alt ed è la nostra Costituzione – ben rappresentata dal Presidente Mattarella – i cui principi tutelano ancora il diritto alla libertà di stampa la quale, in gran parte, non si è ancora allineata al nuovo corso della storia. Per fortuna, anche se il comune sentire attualmente li favorisce mostrando di gradire i loro frequenti attacchi alla democrazia, la Costituzione è un solido pilastro contro il quale rischiano di rompersi la testa. Questo lo sanno e perciò i vari ministri, ma soprattutto Giorgia Meloni, interpretano, a seconda delle occasioni ufficiali o ufficiose, varie parti in commedia, ora urlando e sbraitando, ora assumendo toni e atteggiamenti più moderati e diplomatici, con l’intento più o meno palese di resuscitare il ventennio se pur riveduto e corretto. Sarebbe proprio una beffa crudele se quest’anno, morto il papa per Pasqua, resuscitasse, anziché Cristo, il famigerato ventennio! Ma per ora il nostro baluardo eretto a difesa della democrazia non vacilla, resiste, non a caso la Costituzione è nata dalla RESISTENZA!

Anna Maria Guideri 24-04-2025

Stars, stripes e uova rotte: il PIL di Fratel Coniglietto

FONTE Sergio Talamo Il Riformista 23-4-25
TITOLO redazionale

Gli Stati Uniti si sono traditi da soli. E il capitalismo ferito inizia a presentare il conto a Trump

Storia di Sergio Talamo

I sentimenti spesso tradiscono. Era la “nostra” America. Idealizzata e anche molto hollywoodiana. Nuova frontiera e soprattutto libertà civili, culto del dissenso, la Costituzione come testo sacro. Perciò abbiamo tutti preso un abbaglio. Pensavamo: gli USA sono stati il faro della democrazia e dei diritti pubblici, e quindi oggi con Donald Trump ci stanno tradendo. Invece erano sempre stati il faro del capitalismo e degli interessi privati. E quindi stavano tradendo sé stessi. E oggi a Trump il capitalismo ferito inizia a presentare il conto. Nulla sarà più come prima.

Lanciare un liberation day e farlo seguire da una retromarcia così plateale lo rende da subito un’anatra zoppa. Anche qui, non per questioni di principio. Non per il flop sulle guerre da chiudere in pochi giorni, che continuano più cruente di prima. E neppure per le accuse di aver fatto i suoi interessi, invitando a “comprare” poche ore prima di annunciare la moratoria sui dazi, con il risultato di guadagni astronomici per le sue aziende. Nel selvaggio clima attuale, la sua colpa imperdonabile sono i guadagni che ha impedito agli altri: ai big delle tecnologie e della finanza, ed anche al 60 per cento dei cittadini americani che investono in Borsa.

Un presidente reo di attentato al portafoglio, in America ha le armi spuntate. Ed anche nel resto del pianeta per lui non si mette benissimo. Se pensa che il perno della sua riscossa possa diventare l’Asia, già deve incassare le prime risposte. Anch’esse, non molto ideologiche. La Cina ricorda di detenere oltre 800 miliardi di dollari dei titoli di Stato americani, e se solo decidesse di vendere porterebbe alle stelle i tassi di interesse di Washington. E fra i giganti del web, non è solo Apple a tremare: senza la filiera asiatica, il boom dei prezzi e il successivo crollo sarebbero difficilmente evitabili. La nuova amministrazione americana ha promesso ritorno alla grandezza e all’identità, ma finora ha agito come se venisse da Marte. Trump ha ignorato il mercato globale in un paese dove l’idea di libertà civile è solo una conseguenza della libertà di impresa, dove il progetto collettivo è la copertura etica del diritto di arricchirsi come missione quasi spirituale. Persino noi ex ragazzi, cresciuti con Kennedy sotto il cuscino, lo sapevamo bene che il sogno americano era soprattutto il self made man, cioè la possibilità di toccare il cielo anche se parti da zero. La degenerazione seguita alla “fine della Storia”, come Fukuyama definì la caduta del Muro, aveva prodotto un premio sempre crescente all’arroganza, la menzogna, l’abilità nel piegare le regole.

Oggi il lato oscuro del modernismo mostra la corda. Saranno i ricchi e i ricchissimi a tutelare il diritto dei poveri a sognare il futuro? Ancora non si può dire. Di certo, il grande bluff è stato scoperto. L’America a metà del fiume si accorge che il correre per afferrare l’impossibile resta l’american way. Il gioco d’azzardo, invece, è la via per sfracellarsi.

Grande è la confusione, sotto il cielo di Wall Street

FONTE Facebook Alessandro Volpi 23-4-25

Per provare a fare chiarezza rispetto ad un luogo comune troppo semplicistico. Il segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Scott Bessent, ha sostenuto l’opportunità di attenuare le tensioni commerciali con la Cina. Mi sembra inevitabile che l’amministrazione Trump riveda le ipotesi di una “guerra dei dazi” con l’ex impero celeste. C’è un dato che più di ogni altro sconsiglia, infatti, Trump di perseguire tale strada. Il debito federale degli Stati Uniti è cresciuto dal 2020 al 2024 di 2300 miliardi di dollari ogni anno: una volume di titoli enorme che ha bisogno di compratori per non svalutarsi e per non pagare interessi stellari, il cui ammontare è già pari a circa 1000 miliardi di dollari e con il recentissimo rialzo dei rendimenti conoscerà un ulteriore aumento non distante dai 500 miliardi di dollari. Dunque, per non fallire gli Stati Uniti hanno bisogno della fiducia dei risparmiatori mondiali che viene veicolata dai grandi fondi e dalle grandi banche, di cui i fondi sono azionisti di riferimento. Tale fiducia non può reggere ad uno scontro frontale tra Stati Uniti e Cina perché la tenuta del dollaro, la moneta in cui è denominato il debito Usa, dipende dal suo utilizzo da parte della stessa Cina nei propri scambi mondiali. In questo senso, la perdita di valore del debito americano e la sua maggiore onerosità per il Tesoro degli Stati Uniti non dipendono certo dalla vendita di tale debito da parte della Cina, che ormai ha meno di 750 miliardi di dollari di debito Usa su un totale di quasi 37 mila miliardi, ma dalla forza che la Cina ha assunto negli scambi internazionali. La potenza economica cinese a livello globale è così rilevante che un suo eventuale conflitto commerciale con gli Stati Uniti spaventa a tal punto la grande finanza da indurla a vendere il debito americano per la paura di un suo crollo generato proprio da un simile scontro. Se poi si riducessero anche le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti per effetto dei dazi, la dollarizzazione sarebbe ulteriormente messa a repentaglio e il debito Usa accelererebbe il proprio declino. A ciò bisogna aggiungere che le più generali tensioni finanziarie indotte da una guerra dei dazi fra Cina e Usa stanno determinando il crollo di numerosi titoli considerati sicuri come quelli delle big tech e stanno obbligando i possessori di tali titoli a vendere titoli di Stato Usa per coprire le perdite. In estrema sintesi, la svalutazione del debito Usa non dipende dalla sua vendita da parte dei cinesi ma da una ben più generale dipendenza dell’intera economia degli Stati Uniti dalla Cina

Dalla Dottrina Monroe alla Dottrina Donroe

Un breve racconto sulla coerenza imperiale americana con un valido aiuto di ChatGPT
Gian Luigi Betti

Democrazia, dazi e destino manifesto nella narrazione imperiale degli Stati Uniti

Le origini: Monroe e il destino manifesto
La narrazione ideologica americana affonda le sue radici nel XIX secolo, con la Dottrina Monroe (1823). Presentata come una strategia difensiva contro l’intervento europeo nelle Americhe, di fatto affermava il continente come zona d’influenza esclusiva degli Stati Uniti.
“America to the Americans” è l’espressione che abbiamo studiato sui libri del liceo. Era l’inizio di un’ideologia imperiale ancora mascherata da principio di autodeterminazione.

Qualche decennio dopo, l’“eccezionalismo americano” si fece esplicitamente espansionista: con il concetto di “Manifest Destiny”, gli Stati Uniti si arrogavano il diritto – e il dovere – di estendersi “dal mare al mare” portando civiltà, progresso e libertà. La missione storica del popolo americano prende forma: un’identità fondata non su una cultura, ma su un compito da realizzare nel mondo.

La Guerra Fredda: il mito si globalizza
Dopo il 1945, questa narrazione si internazionalizza. Il nemico non è più l’Europa monarchica, ma l’Unione Sovietica e il comunismo. La Guerra Fredda trasforma il confronto tra modelli economici e sociali in una battaglia globale tra bene e male. Ronald Reagan usa il termine Evil Empire, Impero del male nei confronti dell’Unione Sovietica. La democrazia liberale e il libero mercato diventano strumenti di salvezza planetaria, mentre qualsiasi alternativa è vista come una minaccia all’ordine naturale delle cose.

Gli Stati Uniti si presentano come garanti della libertà mondiale: le guerre in Corea, Vietnam, Afghanistan, gli interventi in America Latina e Medio Oriente, sono giustificati da una narrazione moralistica che maschera interessi geopolitici, risorse e controllo degli alleati.

Dopo il 1989: il trionfo e le crepe
Con il crollo dell’URSS, la narrazione sembra trionfare. Fukuyama parla di “fine della storia” e del definitivo trionfo del modello occidentale. La globalizzazione si impone come dogma, e il mercato come regolatore universale dei destini umani. La democrazia diventa “esportabile” e il mondo, un campo aperto all’integrazione neoliberista.

Ma questo racconto si incrina presto. Le crisi economiche, l’11 settembre, le guerre infinite e l’instabilità prodotta dagli stessi “interventi democratici” rivelano l’altra faccia dell’ideologia americana: quella imperiale, non universale, dove l’eccezionalismo diventa arbitrio.

Il XXI secolo: dazi, dati e dominio
Nel nuovo secolo, la minaccia non è più solo militare. È tecnologica, digitale, monetaria. La competizione si sposta su 5G, AI, supply chain, valute digitali. E il nemico, oggi, ha un volto diverso: la Cina. Il conflitto si riaccende, ma le categorie si ribaltano.

La Cina comunista difende il libero mercato globale, mentre gli Stati Uniti protezionisti impongono dazi e sanzioni, erigendo muri digitali e finanziari. Una dinamica che il presidente Trump ha reso evidente nel modo più diretto: il ritorno al sovranismo economico come forma di guerra commerciale globale e l’uso di espressioni dal forte richiamo ideologico come “Make America Great Again” (MAGA). Lui stesso ha definito questa visione “Dottrina Donroe”, parafrasando Monroe in chiave ultra-nazionalista.

Conclusione: l’impero della coerenza variabile
Oggi come ieri, la narrazione americana continua a mutare linguaggio, ma non funzione. Si presenta come visione morale del mondo, ma agisce come ideologia di potenza. La Dottrina Donroe ne è il simbolo attuale: un ritorno al protezionismo, all’unilateralismo e all’interesse nazionale, mascherati da lotta per la libertà e la giustizia globale.

In questo scenario paradossale, i socialisti sono liberisti, e i liberisti diventano statalisti. La retorica del libero mercato si applica solo quando giova all’egemone. La coerenza ideologica lascia il posto alla geometria variabile della potenza. Perché, alla fine, ciò che conta non è esportare libertà, ma conservare il primato.


A cura di Gian Luigi Betti & C.
Appunti sull’ideologia come strumento geopolitico. Quando il potere si racconta, conviene ascoltare bene cosa dice — e cosa nasconde

25 Aprile

Le mille Memorie della Resistenza. A Firenze la storia diventa un museo “diffuso” Fulvia Alidori
DOMANI 18 aprile 2025 • 18:53

Un progetto innovativo che porta nelle biblioteche fiorentine il racconto di 33 biografie: partigiane e partigiani, internati militari, ebrei, operai deportati per gli scioperi del marzo 1944, vittime civili dei bombardamenti e di esecuzioni sommarie. Non è un caso se ne parliamo a pochi giorni dal 25 Aprile

LINK all’iniziativa delle biblioteche fiorentine

Chi ascolta una storia ne diventa testimone. Oggi siamo oltre l’ultimo testimone, e allora come tramandare la storia della Resistenza? David Lankes, autore di Biblioteche innovative in un mondo che cambia. Una sfida di fronte alla complessità attuale, sostiene che la biblioteca è fondata non sulle collezioni, ma sulle relazioni, e che il benessere di una comunità è prodotto dal facilitare queste dinamiche. La conoscenza avviene attraverso le relazioni, elementi di benessere sociale e, dove esse mancano, finisce per mancare il benessere stesso. Le biblioteche sono luoghi aperti a tutti, senza alcuna distinzione di sorta, abbracciano classi e ceti diversi. Chi entra in biblioteca non è giudicato, è in un luogo che annulla le differenze ma che è pure in grado di colmarle in un’atmosfera di accoglienza.

Il progetto del Comune di Firenze e delle Biblioteche comunali fiorentine risponde individuando il sistema bibliotecario come chiave d’accesso alla conoscenza di quei giorni e portando la storia laddove ci sono le persone, in particolare i più giovani, loro abituali e assidui frequentatori. Il progetto porta la storia alle persone con il sito, www.memoriediresistenza.comune.fi.it, e nelle undici biblioteche con i totem digitali, su cui i contenuti del sito girano, e uno spazio dedicato alla Resistenza fiorentina.

Prospettive nuove
Ecco il perché della scelta delle biblioteche come luogo delle Memorie: uno spazio dove tutti possono sentirsi a loro agio anche nel non conoscere la storia e al contempo possono, se vogliono, trovare strumenti amichevoli per informarsi. Un Museo della Resistenza è visitato, in larga parte, da chi è già interessato all’argomento; Memorie vuole intercettare soprattutto le persone che non sono interessate all’argomento oppure non sanno ancora di esserlo e ribalta la prospettiva, perché non c’è un luogo fisico di Resistenza dove recarsi, ma tutti i luoghi lo possono essere e sono quelli che circondano le biblioteche. È un progetto museografico senza un museo-edificio.

L’anima delle Memorie è quella d’individuare vite poco note e offrire un racconto prossimo alle persone, una prossimità della Storia. Non è commemorazione, né celebrazione, è però, di sicuro, un’idea che muove l’azione del ricordo, il cui etimo latino è cordis, cuore, perché si credeva che il cuore fosse la sede della memoria, richiama un sentimento. Ci ricordiamo col cuore, l’empatia è parte dello studio della Storia.

Il progetto è un viaggio nell’umanità di 33 biografie: partigiane e partigiani, internati militari, ebrei, operai deportati per gli scioperi del marzo 1944, vittime civili dei bombardamenti e di esecuzioni sommarie, torturati, renitenti alla leva. Andare alla ricerca della semplicità non è stato un processo di semplificazione, ma esattamente il suo contrario, è stato rendere accogliente e comprensibile la complessità di quei giorni. La storia con la S maiuscola non può occuparsi delle piccole storie, la microstoria invece lo rende possibile, perché consente di mettere a fuoco le dinamiche tra gli esseri umani nell’ambito di eventi epocali. Chi tenta di fare public history, come me, a differenza di uno storico, assume “solo” un’altra postura nei confronti di chi ascolta, avviando non un monologo, ma un dialogo, in cui il narratore e l’ascoltatore, soggetto attivo, contribuiscono insieme a costruire una memoria delle persone e dei luoghi.

Le Memorie sono un tentativo di public history per ampliare la platea d’interesse attorno alla storia e sviluppare un profondo senso d’appartenenza al vissuto della propria città. Se riflettiamo, ci accorgiamo che siamo analfabeti alla biografia degli spazi che viviamo, per questo, spesso, né li difendiamo né li curiamo abbastanza. Il processo generato dalle Memorie è utile alla riscoperta degli spazi e alla loro risignificazione in termini di recupero urbano.

Le testimonianze
Il progetto è stato possibile grazie alla generosa partecipazione delle famiglie delle 33 persone raccontate. Se il testimoniare è la manifestazione di una prova, Memorie ne ha svelate molte, scovando e tutelando, perché li ha resi pubblici, documenti e fotografie, che, forse, sarebbero andati perduti. In ogni storia c’è il racconto biografico attraverso il privato, la Resistenza e il Dopoguerra, la bibliografia e la sitografia, i documenti, le fotografie, due tracce audio con parti di libri o documenti, letti da attori professionisti, e la video testimonianza di un parente o di uno storico.

Chi naviga il sito è accompagnato da 11 parole guida, che ci introducono ai temi e alle tante sfumature di quei giorni: 33 storie, 34 video, 66 tracce audio, una mappa digitale e continui rimandi da una storia all’altra. Un racconto pubblico dove collettivo e individuale si saldano in un mosaico in perenne costruzione, perché la collezione è sempre aperta. Le “piccole” storie permettono di cogliere il senso della Storia, fissando gli eventi come un’istantanea, aprendo finestre di sapere in particolare ai più giovani, dimostrando, infine, che la generazione dei bisnonni e delle bisnonne fu capace di fare gesti esemplari nel modo più semplice, erano persone normali, non eroi irraggiungibili.

I nipoti di oggi non hanno più la possibilità di ascoltare un racconto diretto, è così necessario fornirli di strumenti che li avvicinino alla storia, anche a quella della propria famiglia.

Non ci tramandiamo solo i tratti somatici, ma anche le attitudini e i talenti! È utile mettersi nei panni dei giovani di allora per capire se ci sono delle connessioni con l’oggi. Memorie è un patto tra generazioni che avvisa di segnali di contesti che potrebbero riprodursi, è uno strumento di orientamento per acquisire uno spirito critico sull’attualità.

Nelle scuole
Memorie di Resistenza fiorentina è presente nelle scuole di Firenze, è uno strumento didattico che fornisce un modello di biografia replicabile e a portata di mano e spunti utili per navigare nei fatti storici. Gli studenti, liberi di scegliere forma e medium a loro più congeniali, hanno ricercato le storie dei loro bisnonni e delle loro bisnonne sul modello delle Memorie. Alla fine dell’anno scolastico avremo lavorato con oltre 400 studenti delle secondarie di primo e di secondo grado, e i loro lavori comporranno la sezione didattica del sito.

Memorie di Resistenza fiorentina s’inserisce in un quadro significativo del rapporto tra public history e storia, dove la prima è la chiave per consentire a ognuno di noi, a prescindere dalla condizione iniziale del sapere, di approcciarsi in modo sempre più approfondito alla Storia, senza timore di non essere ritenuto all’altezza.

La storia si fa empatica attraverso la divulgazione e le Memorie di Resistenza fiorentina traducono il concetto grazie all’agilità dello strumento digitale, alle biblioteche comunali, alle famiglie e infine alle allieve e agli allievi, il vero e proprio valore aggiunto.

Fulvia Alidori

Un Risiko geostrategico economico: Larry Fink dixit

FONTE Facebook Elena Tempestini 5-4-25

Un Risiko geostrategico economico nel quale il colosso BlackRock deciderà se il mondo deve vivere con o senza il dollaro. Questo il contenuto nella lettera del CEO di Black Rock, Larry Fink, agli investitori.
L’amministratore delegato del più grande gestore di risparmio al mondo, con quasi 12mila miliardi di dollari di attivi, in Italia gestisce oltre 100 miliardi di euro, detiene il 7% di Unicredit e il 5% di Intesa Sanpaolo, il 4% di Mediobanca, controlla quote in Mediaset, Stellantis, Moncler, è il principale azionista privato in Enel, Eni, poste, Snam e dall’autunno scorso ha aumentato la sua presenza in Leonardo. Fink prevede una possibile “dedollarizzazione” dell’economia globale legata alle attuali condizioni statunitensi, a partire dall’enorme debito federale. Ventilando anche l’ipotesi che una valuta digitale privata possa diventare il nuovo strumento di riserva, come ETF legati al Bitcoin. Perché lo ha fatto, quali effetti ha su Trump, Vance, Thiel, Musk, che non sono “ amati”? e che cosa c’entra il piano di riarmo europeo.
L’Europa diventa protagonista con la strada militarista voluta da Berlino, benedetta da Draghi e avviata da Bruxelles. Ma ReArm Europe e Readiness 2030 sono manna per i fondi americani, i quali vedono la possibilità di una nuova bolla finanziaria, migliore rispetto a quella tech: il Riarmo. Praticamente: soldi pubblici trasformati in armi, missili, carri armati = che diventano dividendi.
Quindi mentre l’Europa si indebita per armarsi, gli Stati Uniti potrebbero perdere il primato della valuta dando la possibilità ai colossi finanziari di fare incetta di dividendi. Un Risiko geostrategico economico che non lo decide chi siede alla Casa Bianca e nemmeno alla Bce. Ma chi ha scritto la lettera ai suoi investitori, muove la maggior parte dei miliardi mondiali e si può permettere di decidere se il dollaro possa ancora valere come carta su cui è stampato.
La Black Rock avrebbe dovuto siglare la compravendita delle attività portuali del Canale di Panama il 2 aprile insieme all’italiana MSC. Ma la Cina è riuscita a bloccare l’acquisizione: un’avanzata ostile, mascherata da iniziativa finanziaria? Chi detiene le attività portuali detiene non solo un grande potere economico, ma una leva strategica globale.

Economia & Finanza Verde
Elisabetta Failla
ISPI – Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

ELOGIO DELLA MANCANZA …

di Anna Maria Guideri
IMMAGINE creata da ChatGpt dopo l’analisi del testo.
In fondo al testo di Anna Maria il dialogo con ChatGPT

(per una infelicità intelligente …)

Forse non abbiamo mai attraversato un tempo altrettanto materialista come quello attuale: pieno di tutto, di troppo, di niente. Vuoto perché troppo pieno di cose superflue, perché privo dell’essenziale. Il problema non consiste tanto nell’enorme quantità di beni di consumo prodotti, quanto piuttosto nella loro immanenza che toglie spazio e respiro al pensiero, alla coscienza, alla capacità empatica dell’umano. Siamo ossessionati dalla mancanza percepita, ma non reale, di oggetti in gran parte inutili che esercitano un’ attrazione fatale indotta dai mercati, e non avvertiamo il vuoto prodotto dall’invasione di ultracorpi che hanno occupato i nostri spazi interiori, soffocandoli. Paradossalmente è un vuoto prodotto da un eccesso di pieno che altera il nostro rapporto con la realtà privandolo del disagio provvidenziale dovuto al senso della mancanza di qualcosa di cui abbiamo veramente bisogno: non avvertiamo più la mancanza della mancanza. Oltre un certo limite si produce un effetto anestetico che ci proietta in una dimensione fittizia dove il pieno privo di contenuto e di valore sembra esaudire i nostri desideri e i nostri bisogni vitali. Si rischia di fare la fine dei polli d’allevamento destinati a beccare all’infinito senza fermarsi mai. Per risalire la china di questo, in parte inconsapevole e inarrestabile declino, credo si debba recuperare l’inquietudine esistenziale che la mancanza di senso, più o meno percepita, produce negli esseri umani. Occorre accorgersi che siamo infelici, nonostante i mille vantaggi che lo straordinario progresso tecnologico ci procura. Una volta tanto sarebbe bene svegliarsi al mattino con un vago sentore di estraneità, con un bisogno di domande non scontate, di risposte diverse dal solito che ci aiutino a dare un senso non banale al nostro stare al mondo e alla parte che in esso vogliamo rappresentare, oltre a quella assegnataci da un sistema preconfezionato che sta facendo acqua da tutte le parti. Sì, ci vorrebbe un po’ di consapevole infelicità per passare dall’ inconscia saturazione ad una sana insoddisfazione che ci spinga a reagire, a ritrovare dentro di noi uno spazio libero, creativo, vivo; pensieri e parole non artificiali, ma umane. L’infelicità può essere intelligente solo se la avvertiamo e se la usiamo come un’ opportunità creativa. Se serve a rimuovere la massa amorfa che opacizza le nostre facoltà percettive e a farci capire, davvero, che i genocidi, le ingiustizie, le disuguaglianze, la violazione dei diritti umani e civili, i deliri di onnipotenza di chi governa il mondo, i naufragi infiniti dei migranti, le morti sul lavoro … non sono telefilm, ma tragedie vere. Tragedie che l’enorme quantità di beni materiali di cui il mondo sviluppato dispone, non può né compensare, né attutire. Ce n’è abbastanza, credo, per risvegliarsi dal sonno della ragione e recuperare il senno perduto. Ben venga un’infelicità consapevole e creativa dovuta agli orrori del mondo e alla sua indifferenza.

Anna Maria Guideri 17-4-25

La mia richiesta a ChatGPT

ciao, devo pubblicare questo articolo. Saresti in grado di produrre un disegno che ne colga lo spirito?
ELOGIO DELLA MANCANZA …
(per una infelicità intelligente …)

La risposta di ChatGPT

Sì, assolutamente. Per accompagnare il tuo articolo “Elogio della mancanza (per una infelicità intelligente)”, posso realizzare un’immagine evocativa che ne colga a fondo lo spirito. Ecco una proposta visiva:

Descrizione dell’immagine da generare:

Una figura umana stilizzata, seduta in mezzo a una stanza stracolma di oggetti: televisori, scatole, schermi, pacchi, luci, pubblicità. Ma la figura guarda verso una piccola finestra, da cui entra una luce pallida. Fuori si intravede uno spazio vuoto e calmo: un albero spoglio, un cielo grigio ma limpido, e un uccello che vola via. Sul volto della figura, un’espressione assorta, malinconica, ma viva. Tutto attorno è pieno, ma l’unico punto che respira è quel piccolo spazio vuoto oltre la finestra.

Tono dell’illustrazione: minimalista, espressivo, con contrasto visivo tra caos e vuoto, per comunicare l’idea di un pieno che soffoca e un vuoto che libera.

Procedo a generarla. Un attimo.