La Gita al Mare

Da: Anni cruciali. 1957-1968 / Gino Benvenuti. Il Punto rosso, 2021. http://www.puntorosso.it/edizioni.html

Un Sabato pomeriggio tra una partita di canasta e l’altra, alla casa del popolo, decidemmo di andare il giorno seguente al mare perché un amico, che aveva comprato da poco una Nsu Prinz, si rese disponibile. Finito di giocare pensammo a come organizzarci e decidemmo di darci appuntamento alle sei del mattino, davanti alla casa del popolo stessa, portando ognuno qualcosa che trascrivemmo singolarmente sul foglio usato per annotare il punteggio del gioco. Chi come me portò due sedie pieghevoli trasportandole con lo scooterino, chi una sdraio, chi un ombrellone ed un tavolino piccolo da campeggio. Il padrone dell’auto constatato che il bagagliaio era in parte occupato da attrezzi di lavoro cercò di sistemarlo fino alla saturazione e rimasero fuori il tavolino ripiegabile e la sdraio che legammo, con delle cinghie elastiche munite di un uncino, al portabagagli. La mattina, appena aperta la casa del popolo, facemmo una colazione abbondante acquistammo due bottiglie di acqua minerale, che inserimmo in una borsa di plastica insieme a del ghiaccio tritato, fornito dal barista, da tenere dentro l’auto, pronte all’occorrenza .

Con “la mobilia” sul tetto della macchina, salutammo alcuni clienti mattinieri e partimmo in direzione della “Volterrana” dove prima di arrivarci facemmo il pieno di benzina vicino al Galluzzo dividendo ovviamente la spesa; la giornata si preannunciava splendida. Eravamo in cinque stretti come sardine. Due fumavano, ma con i finestrini aperti ed a me, che allora non fumavo, non davano fastidio. Per guadagnare spazio ad un certo punto chi sedeva accanto al guidatore, dopo una fermata aveva tirato leggermente avanti il sedile per permettere a quello dietro di potere allungare le gambe. Era una posizione scomoda ma non ci sembrava che ne soffrisse perché ad un certo punto mise il braccio fuori dal finestrino ed il guidatore per fargli uno scherzo rasentò un muretto prima di fermarci a Volterra per prendere un caffè. Sentimmo un urlo perché impaurito fece appena in tempo a toglierlo. Fra barzellette, pettegolezzi, qualche ammissione privata ed anche pareri su questa o quella ragazza che frequentava il circolo, gli argomenti non ci mancarono ed il tempo volò. Parlammo anche sulle radioline portatili, che uno di noi voleva acquistare, ed i miei amici sciorinarono una serie di marche e di valutazioni di cui tenni conto quando mi decisi a comprarne una qualche mese dopo. Per distenderci aspettammo che scendesse il guidatore ed in un bar dopo aver bevuto approfittammo della toilette.

Una volta giunti a San Piero a Palazzi girammo verso destra direzione Livorno. Il traffico era intenso e noi andando piano venimmo sorpassati sistematicamente con colpi di clacson insistenti e ripetuti, da alcune auto che sembravano aver fatto un trasloco; su una c’era un materasso arrotolato e su un’altra un gommone che sporgeva davanti e dietro flettendo ad ogni buca. L’Italia vacanziera pur di godersi un giorno di mare era disposta, come noi del resto, ad arrangiarsi in qualsiasi modo. Non avevamo una meta precisa ed intorno alle dieci dopo aver fatto su e giù lo stesso tratto dell’Aurelia una domanda sorse spontanea.
Dove ci si ferma?– chiesi vedendo che andavamo verso Livorno e forse saremmo passati da Antignano.
Ci sono venuto con il mio babbo un mese fa– precisò il conducente -e so che c’è un posto molto comodo proprio vicinissimo alla spiaggia.

Dopo un quarto d’ora ci fermammo invece tra Vada e Rosignano Solvay di fronte ad un tratto di spiaggia che avrebbe dovuto esser libera, ma che in realtà era già affollata. Lo si capì dagli scooter e dalle auto che ci resero difficile trovare un posto dove parcheggiare all’ombra. Alla fine ci riuscimmo e con il nostro carico di mercanzia, attraversata l’Aurelia riuscimmo a piazzarci vicinissimo al mare dopo aver chiesto a due famiglie se potevamo collocare il nostro piccolo ombrellone. Dopo averlo picchettato cominciammo a spogliarci. Ognuno aveva il proprio slip già indossato a casa ovvero le mutande “Cagi”. Creme solari e sapone niente: figuriamoci lo shampoo che non era stato nemmeno preso in considerazione. Prima di andare al mare facemmo crocchio per decidere, sottovoce, di fare i turni all’ombrellone per poi andare subito di corsa dentro l’acqua.
Sono tutte persone oneste ma è meglio vigilare– mormorò Piero, che aveva un bellissimo orologio, mettendosi una mano davanti alla bocca.
Penso anch’io– sibilai a denti stretti perché una signora mi stava osservando. Probabilmente lei intuì quello che avevamo detto perché, prima di sfilare la corse verso l’acqua, ci rassicurò che potevamo stare tranquilli perché “noi siamo del posto e non è mai sparito niente”.

Rispondemmo in coro con un “grazie” ed io che dovevo fare il primo turno di guardia, mi aggregai a loro. Allora non sapevo nuotare e non mi allontanai dalla riva. Sguazzavamo divertiti schizzandoci l’acqua addosso e guardandoci attorno. Uscimmo dall’acqua dopo una mezz’oretta e dal nostro ombrellone notammo che alcuni ragazzi avevano spianato, con un listello di legno, un po’ di spiaggia per giocare a calcio e quando ci mettemmo un attimo a vederli palleggiare fummo invitati a giocare; temporeggiammo un poco. –Allora si gioca? Livornesi contro fiorentini– insisterono i ragazzi. In realtà l’unico tra noi che aveva un po’ di dimestichezza con il pallone ero io che avevo terminato il campionato degli juniores da non molto.

Gli altri quattro erano scarsi ma ormai la sfida era approntata anche perché il sole picchiava fervente ed un ombrellone come il nostro era troppo piccolo; tanto valeva ancora fradici asciugarci giocando. Spesso qualcuno mi sgridava con “passa la palla” perché cercavo da solo di colmare un divario che era soverchiante. Il più grasso lo mettemmo in porta; fu un disastro come la partita. Involontariamente cercò di calciare al volo il pallone che rimbalzò all’ultimo istante per cui lo “ciccò” completamente colpendo invece lo stinco di un avversario. Nacquero dei battibecchi ed alla ripresa del gioco, essendo vicino a lui, nel rinviare mi colpì in pieno volto determinando un’autorete. La gente sghignazzava mentre mi toccavo la testa, ma la partita continuò in un campo impraticabile per le buche che resero difficile calciare con precisione; tutti dietro alla palla tra contrasti, cadute ed imprecazioni.

Venimmo sommersi sotto una valanga di gol sotto gli occhi dei divertiti presenti anche se alla lunga cominciammo a disturbare gente con il proprio transistor, persone che stavano prendendo la tintarella, perché il pallone spesso rimbalzava tra gli ombrelloni. Dopo un richiamo risentito di uno che si era visto sfondare il proprio giornale dal pallone, la seconda volta che gli batté su un piede lo afferrò e, con rabbia, lo calciò con tutta la forza buttandolo in mare; chiudemmo lì il nostro divertimento e stanchi e sudati ci buttammo di nuovo nell’acqua restandoci a lungo. Quando uscimmo nel dirigerci verso l’ombrellone notammo che altre persone erano arrivate in quel posto. Accanto a noi un gruppo familiare, sotto un tendone da mercato rionale, aveva organizzato una cucina da campo sotto la direzione di una donna che indossava una veste e che probabilmente non avrebbe fatto nemmeno un bagno.

Lei con un fornellino a gas con sopra un marmittone, aveva preparato una spaghettata. Da due borsoni tirò fuori di tutto. Frutta, oliera, sale, pepe, ciocche di basilico, una busta con il parmigiano grattato, posate a sfare, forchettone di legno, un thermos con il caffè. Un bambino scavò una buca fino a che non trovò la sabbia umida e ci interrò dentro un cocomero ed un popone per metterli al fresco. Mi tornò a mente il film La Famiglia Passaguai con il figlio di Aldo Fabrizi che metteva al fresco un cocomero regolarmente ghermito da altri villeggianti. Una bambina contava le posate ed un’altra ragazza apparecchiava. Il nostro tavolino era poco più grande di uno di quelli dove si giocava a dama e quell’ombrellone era insufficiente perché il sole batteva a picco. Andai a prendere il borsone con panini e bevande dal portabagagli dell’auto che, parcheggiata al riparo di un albero, era già in pieno sole e lo portai vicino all’ombrellone. –Chi pensa di fare il bagno?- domandò Prinz.

Nessuno rispose. –Allora finiamo tutto quello che abbiamo perché dopo un sonnellino ci rimetteremo in marcia e se avremo voglia di prendere qualcosa ci fermeremo ad un bar– .
Giusto– . –Magari muoviamoci verso Livorno– . Nemmeno fossimo stati a cottimo demmo fine a tutto quello che avevamo portato. Sotto un ombrellone vicino al nostro, mentre stavamo distendendo gli asciugamani, un uomo sempre con la radiolina attaccata agli orecchi ci chiese:
Lo volete un po’ di caffè?– .

Non ce la facemmo ripetere due volte e ringraziando andammo verso di lui. Bevuto il caffè, l’uomo che era stato sdraiato da quando eravamo arrivati, mi offrì una sigaretta che rifiutai dicendogli che non fumavo ma Piero sfrontato non la rifiutò e così ci sedemmo a far due chiacchiere sotto il loro ombrellone. Ci disse che era uno spazzino e che a Firenze conosceva delle persone con le quali si teneva in contatto. Infine ci tenne a farci sapere che “puntualmente da diversi anni vengono in questo posto a fare le vacanze”. Fu tutto un parlare fino a che la signora tagliando a fette il cocomero volle offrircene una a testa. La conversazione continuò raccontando di noi, del lavoro che facevamo ed alla fine ringraziando ci appartammo per riposarci. Seduti sugli asciugamani ci accorgemmo allora che nessuno aveva portato la crema solare. Per ripararsi indossammo le magliette e ci mettemmo i pantaloni appoggiati sulle cosce. Dopo poco uno di noi cominciò a dormire ed io, che non mi sentivo di stare sdraiato, mi misi a veder giocare a scopa ed a briscola le persone dell’ombrellone più vicino, dopo che avevano sgomberato il loro tavolo. Mi raggiunse Piero che approfittò per scroccare un’altra sigaretta e rimanemmo in attesa che si svegliasse “Prinz”. Non volevamo restare lì a lungo ed alla fine decidemmo di svegliarlo strattonandolo.

Così, dopo aver salutato i vicini di ombrellone, sistemammo di nuovo tutta la mercanzia sul portabagagli e via di nuovo in movimento. In auto cominciò una diatriba tra chi voleva fermarsi a Castiglioncello e chi a Quercianella. La questione non riguardava il luogo ma esisteva per il fatto che due di noi avevano fatto conoscenza con delle ragazze nelle rispettive zone. -Il problema non esiste. Quercianella e Castiglioncello sono attaccate. Si può parcheggiare e poi ognuno va per conto proprio per ritornare ad una certa ora- . –Sentite io non ho voglia di venire a reggere il moccolo. Se vuoi andare a trovare quella ragazza ti si lascia lì e si ripassa a prenderti brontolai.
Giusto– rincalzò il proprietario dell’auto il cui parere ovviamente valeva più di ogni singolo. –Il film Il Sorpasso l’hanno già girato e non c’è bisogno di comparse! – rincalzò Piero. Nel parlare concitato non ci accorgemmo che eravamo già oltre i luoghi richiesti ed io desiderai di rivedere anche di sfuggita la sagoma della colonia Firenze che mi aveva ospitato.

Chiesi di rallentare e fui accontentato, ma sull’Aurelia il traffico era intenso e fummo oggetto di una serie di colpi di clacson e qualche imprecazione. Notai la scritta “Casa Firenze” su un edificio ed indicandola dissi: –Guardate sono stato qui in colonia– . Dalla parte opposta vidi schiere di bambini sulla spiaggia e dedussi che fosse ancora in funzione. Chi guidava notò che c’era un pezzo di spiaggia vuoto sulla sua sinistra però era rischioso fare manovra di inversione e così proseguimmo fino a che approfittando di una dirittura che garantiva una visibilità migliore facemmo un’inversione ad u. Riuscimmo a ritagliarci un piccolo spazio con i nostri asciugamani ed a turno ci buttammo di nuovo in acqua. Una volta riuniti notammo che non c’erano locali vicino ed al primo stimolo di sete, preferimmo alzarci e tornare verso casa.
Prima asciughiamoci bene– puntualizzò Prinz –altrimenti mi bagnate i sedili– . Era un uggioso che durante tutto il viaggio si era raccomandato di non gettare le cicche all’interno dell’auto e nello scendere dall’auto si era irritato gridando “mi avete riempito di sabbia le pedanine”.

Avevamo gli asciugamani ma non il cambio e per non perdere tempo ci infilammo i pantaloni. –Ma che fate?– domandò Alessio. –In un quarto d’ora si asciugherà tutto– risposi. –Sì ma quando si riparte metti l’asciugamano sul sedile– precisò Prinz. –Tranquillo te la porteremo a lavare e pagheremo noi. Vero ragazzi?– propose Piero. –Giusto facciamo così– . –Vi prendo in parola– commentò il proprietario. –Vicino all’officina dove lavoro c’è un lavaggio. Ottimo lavoro e buon prezzo. Domani gli chiederò quando la potrai portare– . Chiuso questo battibecco, ci infilammo nel primo bar a nostra portata in tempo per vedere due ragazze che ballavano da sole al juke-box. Bevemmo una birra a testa stando al fresco e dopo inserendo tre gettoni nel juke-box le invitammo tra di noi ed accettarono. Finita la musica, ripartimmo dopo averle salutate.
Ci siete anche Domenica?– domandò Piero.
Certamente– confermarono sorridenti- .
Allora si torna– . –Vi aspettiamo– ci dissero sventolando la mano mentre entrammo in auto.

Arrivammo a casa semplicemente arrostiti stanchi ma contenti di aver passato una giornata diversa. Io andai subito in bagno e guardandomi allo specchio ero rosso come un peperone. La sera restai in casa chiedendo a mia madre che mi fosse spalmata una pomata contro le scottature, perché avevamo in casa una piccola farmacia e provai immediatamente un senso di sollievo, ma appena mi appoggiai alla poltrona sentii la pelle tirare. Fu una vacanza improvvisata come tante e bastava vedere il traffico nel fine settimana come attestato di un desiderio seppur effimero. Erano gli anni in cui il popolo italiano scoprì le vacanze estive e si riversò nelle località marine con qualsiasi mezzo, come dimostrarono varie sequenze del film Il Sorpasso ed in una di queste si vede una moto con sidecar, dentro al quale sta una donna con un bimbo in braccio che Gassman sbeffeggia “E il nonno non è voluto veni’?” salvo poi aggiungere “belle famiglie italiane”. La spiaggia diventò il luogo privilegiato di incontro come le piazze in città nelle stagioni non estive e le immagini furono il termometro della voglia di divertirsi e della spensieratezza del popolo italiano, tra incontri, approcci, avventure, conversazioni, gusto di ostentare, sorrisi, tintarelle e soprattutto danze scandite dal quel totem che fu per noi il juke box, che diffondeva le canzonette in voga.

Importante era esserci, non importava per quanto e come, dando sfogo alla voglia di vivere oppure anche per ritemprarsi dopo un anno di lavoro. In quella massa di villeggianti ognuno si ritagliava le proprie vacanze grazie anche ad un altro simbolo di quel periodo: la cambiale. Erano gli anni in cui molti però cominciarono ad organizzarsi anche per soluzioni più onerose e stabili. Infatti nei primi giorni di Settembre, quando ormai si era esaurito il ciclo delle vacanze, cominciavano a vedersi nella casa del popolo volti abbronzati che nei primi giorni facevano le loro considerazioni sulle loro ferie, dove erano stati, il trattamento ricevuto, l’importo della spesa ribadendo anche in alcuni casi il desiderio di ripetere la loro esperienza. La cosa si protraeva per diversi giorni suscitando anche reazioni sarcastiche. Una sera assistei ad una scenetta divertente quando una persona, da più di un quarto d’ora, magnificava le proprie vacanze e per un po’ ci fu chi lo stette ad ascoltare però ad un certo punto venne interrotto: –Scusa compagno proletario come la metti adesso?– domandò, facendomi l’occhiolino, uno che si diceva vivesse una situazione economica agiata. –Perché pensi di poterle fare solo te le ferie? Ora ce lo possiamo permettere anche noi, caro quattrinaio– fu la replica piccata di colui chiamato in causa. –Allora non sei più proletario. Gliel’hai detto al partito?- . –Io non sarò più proletario ma te lo sai cosa sei?– . –Cosa? Sentiamo– . –Sei semplicemente un bischero ! – . Il battibecco non si chiuse qui anche perché, come succedeva spesso, individuata una persona reattiva, cominciavano quelle punzecchiature sarcastiche, dove era difficile distinguerne lo spirito subito corroborate da altre interferenze. –Hai fatto bene a rispondergli. Viene qui a fare lo spiritoso dopo che ha la casa al mare, eh! Sei stato anche troppo morbido– rinforzò sorridendo un’altra persona suo collega di lavoro, gettando benzina sul fuoco; lo conosceva bene e sapeva che per un nonnulla si infiammava. –Insisti, Giuseppe– incitò ridacchiando.

Fomentata la contesa, scattava la trappola per il soggetto “sensibile”; replicare o lasciar perdere? In quel frangente la cosa sembrò essersi smorzata, ma qualcuno insisté. –Se ce l’ha la casa al mare, buon per lui che in fondo ha sempre detto di non essere iscritto a nessun partito e di essere un borghese convinto. Lui è coerente, mica come tanti che parlano di sfruttamento… – . Non ebbe finito di finire il discorso, che la reazione giunse immediata da chi sentì in queste parole un’allusione nei propri confronti: –Senti, tu metti bocca quando ti si dà il permesso. Per tua norma io non sfrutto nessuno con paghe da fame a differenza di lui, capito?– controbatté la “vittima prescelta” alzando il tono della voce e puntandogli il dito contro il petto. In un crescendo continuo si arrivò anche a delle offese fino a che uno dei presenti chiese che ore fossero. Ad una risposta precisa, commentò: –S’è trovato l’ora di andare a cena; arrivederci– . Come a comando il gruppetto si sciolse e la discussione finì.

Gino Benvenuti, 2021

La grande fuga

ovvero “Quando il troppo stroppia”

Tutti scappan da Salvini
più egli ostenta il suo sorriso
e più resta a tutti inviso
saran tutti dei cretini?

Nell’Italia più moderna
è la Lega la più anziana
tanti i figli di puttana!!
ma non pole esser alterna,

è la legge del Gran Centro
sol l’apprezza chi c’è dentro.

Se agli estremi tu t’involi
ti consolin solo i cannoli
gran leccornia siciliana
apprezzata anche in Padania.

È la tabe dell’inizio:
se il terron hai disprezzato
e oggi poi hai continuato
col terron della terronia
fin che arrivi in Patagonia
non ci resta che aspettare,

che sia finito il navigare,
siamo tutti su una sfera
ed a forza di girare
alle spalle dèi arrivare.

Attenzione dunque che
tu t’inculi da per per te.

Il Baffo Aretino, 16/9/2021

Gli Anni cruciali di Gino Benvenuti

È uscito il nuovo libro di Gino Benvenuti. Su sua concessione e quella dell’editore abbiamo pubblicato due racconti: Carosello e la Cambiale. Ne proponiamo oggi la prefazione

Prefazione di Roberto Mapelli

I racconti di Gino hanno sempre un aggancio autobiografico. Ma dentro una trama fantastica e allegorica. Questi no.
Ci portano dentro episodi veri della vita di Gino, e in un preciso lasso di tempo, dal 1957 al 1968, dal primo lavoro (non a caso) fino alla soglia di un profondo cambiamento, che ancora non c’è, ma che è segnato da una progressiva estraneità con tutto il precedente, con chi lo liquida dicendogli, arrabbiato e deluso, “parli sempre di politica; cambia disco!”.

E’ la vita di Gino dai quattordici ai ventisei anni: gli anni più belli e più importanti. Si entra davvero nella vita con il lavoro (la coscienza dello sfruttamento e insieme la propria indipendenza) e si costruisce davvero se stessi con la trasformazione morale e politica, abbandonando inevitabilmente la sicurezza dei percorsi conosciuti e dovuti della tradizione abituale, rompendo con la famiglia e la società che ci ha cresciuti, nella protezione ma anche nella prigione.

Fin qui nulla di nuovo, né di eccezionale. Ma Gino ci mette l’arte del legame narrativo ed emotivo. Non si tratta solo del nesso tra la storia personale e quella con la maiuscola, ma dell’empatia tra la propria intimità e quello che erroneamente viene chiamato “costume”. E allora Gino salta, o meglio, saltella, tra gli eventi, accompagnato in primo luogo da una colonna sonora e visiva, dallo sconvolgente arrivo del rock and roll (e del ballo “proibito”) fino alle immagini incredibilmente efficaci e emozionanti del cinema, vero e proprio luogo fisico e spirituale di presa di coscienza e di sintesi tra personale e politico. E prende e “assaggia” tutto, senza quella distinzione profondamente reazionaria tra alta e bassa cultura, tra musica colta e canzonette, tra cinema d’autore e commedia.

Ed esce l’Italia, o meglio l’ascesa alla dignità di una parte delle classi popolari dell’Italia, di cui Gino, non solo fa parte, ma di cui rappresenta davvero e anche simbolicamente il quotidiano lavoro di vivere che, attraverso la lotta (che è anche vitalità di libertà), si sedimenta in coscienza, via via sempre più irreversibile e sempre più radicata nella volontà e capacità di padroneggiare la propria vita, appunto resa dignitosa anche dal conflitto con la prigione della contingenza della propria condizione subalterna.

E il lettore come sempre si diverte, ma non può fare a meno di emozionarsi e pensare, in una sorta di immedesimazione, ovviamente più forte in chi può anche “storicamente” ritrovarsi, ma che funziona in tutti, perché la narrazione di Gino ha la forza di intrecciare il minuto quotidiano (compreso in questo il personale più intimo e l’evento storico unico) e “l’universale plurale” che sbircia in ogni particolare.

Avventuratevi nella lettura (questa volta vi consiglio però di andare di seguito) di questa serie di racconti, che compongono per certi versi un’unica storia, che è insieme l’epopea di una formazione che sfocia nella coscienza politica matura e la descrizione critica della Grande Narrazione del Novecento, che della politica, appunto , ha fatto contemporaneamente la tragedia e la commedia.

Roberto Mapelli Milano, 9 settembre 2021

Anni cruciali 1957-1968 – Racconti / Gino Benvenuti. Edizioni Punto Rosso 2021
http://www.puntorosso.it/

Il sor Matteo disvelato

indovina: chi son io?

Sor Matteo m’hanno chiamato
Oppur Salvini son nomato
Non è ver che sia invadente
O vi mollo un bel fendente
Lo sapete come va
Oggi qua domani là
Son presente a ogni consesso
Come un vero e proprio ossesso
E mai perdo l’occasione
Mangio e bevo e fo’ il buffone
Oramai ci sto a pigione

Allor dimmi: chi son io?

per saper chi son davvero
lègger non dèi tutto l’intero
prendi solo il capoverso
ti si svela l’universo

Allor scoperto avrai il mistero
di Salvini il nome vero

Il Baffo Aretino, 14/9/2021

La Cambiale

Da: Anni cruciali. 1957-1968 / Gino Benvenuti. Il Punto rosso, 2021. http://www.puntorosso.it/edizioni.html

Insieme a Carosello bisogna parlare anche della cambiale, che è stata uno strumento importante, in quel periodo, per potere accedere ai beni di consumo senza avere nell’immediato una disponibilità di liquidità. I cosiddetti “pagherò” altro non erano che un credito offerto per acquistare ratealmente ciò che ci piaceva, impegnandoci ad onorarlo. “Pagherò” o “farfalle” furono lo strumento ideale per acquisire generi di consumo rateizzati ed i tempi in cui Rascel cantava nel varietà “è arrivato il ventisette/ prendo a rate una cambiale” diventarono un pallido ricordo.

Nel corso del tempo sono state soppiantate da altre modalità di finanziamento domestico, ma durante il boom economico passavano di mano in mano come i soldi.
Perché si potesse realizzare questo circolo virtuoso ci volevano delle condizioni particolari che oggi però non esistono: l’ ottimismo di un futuro confortevole e migliore del presente, una voglia di vivere e soprattutto un lavoro sicuro unito alla volontà di onorare il debito. Su questo aspetto non influiva solo il timore di essere elencato in una specie di “lista nera” che le camere di commercio compilavano e pubblicavano scrupolosamente per tutti gli esercenti, al fine di segnalare imbroglioni o inadempienti. Dove non arrivava questa segnalazione ci pensava, nel parlare minuto, il passaparola più letale degli elenchi, che segnalava con discrezione o meno, “attento al cabriolet (assegno scoperto)”, oppure strizzando l’ occhio al negoziante.

Essere additato silenziosamente dal pettegolezzo a volte complicava anche il semplice colloquiare, come se fosse scattato una sorta di anatema e di questo ne fui direttamente testimone quando una volta andai dal meccanico per una riparazione al mio scooter. Appena un cliente si allontanò ci fu subito uno scambio, tra i presenti, di occhiate e sorrisetti e venne bollato da un’ altra persona che mise in guardia il proprietario dell’ officina: Stai attento Bruno non gli fare credito poi te lo dico io perché .

Non disse la motivazione ma fu eloquente il riscontro dei presenti. Viceversa quando uno mostrava la propria moto od auto, acquistata un po’ di tempo prima, era motivo di orgoglio far sapere che aveva estinto il debito puntualmente.
In merito a quanto detto assistei ad un siparietto a dir poco esilarante, quando una mattina andai dal giornalaio.
Un buontempone sempre scherzoso incontrò, davanti all’ esposizione sul banco dei giornali, un anziano condomino, come seppi dopo, e gli domandò:
Che è vero che i’ tu’ figliolo l’ è nella lista nera?-
Ma che mi dai i numeri?– rispose l’ ometto guardandolo di traverso.
Eppure me l’ hanno detto– insisté il giovane ridacchiando mentre mi guardava.
I’ mi’ figliolo un n’ è fascista- .
Cosa c’ entra la politica? E dico che non paga le cambiali; hai capito? Per questo è nella lista nera– .

L’ anziano, che fece gesto di non sentire, lasciò perdere ma quando il giovane se ne andò, salutandolo gli disse:
Giovane, meglio non pagare le cambiali che avere le corna– .
Io rimasi l’ ultimo ad essere servito dal giornalaio che una volta uscita la persona anziana, commentò sghignazzando:
Il problema è che hanno ragione tutti e due– .
Mia madre mostrava un’ avversione verso le cambiali celandosi sempre dietro la scusa che “pagare in contanti è più vantaggioso perché si acquista a meno” ma io quando anni dopo comprai la 500 perché ero a ruolo nello Stato, ne firmai un pacco prima di uscire dal concessionario e mi ripetei cinque anni dopo per l’ acquisto della A 112.

Gino Benvenuti, 2021

Tanti auguri al sor Matteo

Il sor Matteo è in affanno
più si muove e più fa danno
vuol la gente lui incontrare
ma non sa poi cosa fare.

I discorsi son piccini
sempre uguali, da bambini
Ora bianco ora nero
non appar proprio sincero.

Parla, urla e s’arrabatta,
la sua faccia è una ciabatta.
A metà del contributo
pur gli scappa uno starnuto.

Ma la gente, che tranquilla vuole stare,
senza il tafano a ronzare,
più il fastidio non sopporta
cacciar vuol, lui fuor di porta.

É pur vero che il moscone
sulla merda sta a pigione
ma se pur stanno nei trulli
non son tutti dei citrulli.

Che la massa è brutta bestia
cosa è ormai ben manifesta:
pria t’adora poi ti detesta,
più non hai la lancia in resta.

É un momento, un attimino
ripercorrere il destino
del pompiere di Viggiù
che poi cadde a testa in giù

TANTI AUGURI MATTEO!!!

Il Baffo Aretino 12-9-2021

É il contesto, Bellezza!

Montanelli e l’eterno ritorno dell’uguale

In merito alla replica dell’intervista fatta a Marco Travaglio, autore del libro INDRO, da Giorgio Zanchini a QUANTE STORIE sul passato colonial-coniugale di Montanelli in Etiopia, vorrei, partendo dalle dichiarazioni di Travaglio, fare alcune osservazioni.
La linea difensiva dell’autore poggia sui seguenti punti:

A – I fatti vanno inquadrati nel contesto spazio-temporale in cui sono avvenuti. All’epoca l’usanza di fare sposare bambine – ma in Africa erano già donne, sic! – di 12 anni era diffusa. I valori di allora non erano quelli di oggi, perciò il giudizio ne deve tenere conto. Pertanto quei giovani scalmanati che hanno osato oltraggiare il monumento del “divino” Indro hanno dimostrato di non conoscere la storia.

B – Montanelli era in perfetta buona fede, anzi, per la bambina e per la sua famiglia è stato una vera manna dal cielo, tanto che lo hanno ricambiato con affetto e gratitudine … anche se sappiamo, per bocca dello stesso Indro, che all’inizio lei non voleva …

C– Il comportamento di Montanelli non merita di essere decontestualizzato, come non lo merita, ad esempio, Cristoforo Colombo che scoprì l’America, ma che non può essere ritenuto responsabile del colonialismo e dello schiavismo che ne seguirono. A quel tempo si usava così.

D – Montanelli ha sempre dato prova di coerenza e di coraggio, non è mai sceso a compromessi e ha riconosciuto di essersi sbagliato sia su Mussolini che su Berlusconi rimettendoci di persona …

Osservazioni

1 – Insomma, tutta la colpa sarebbe del contesto. Il contesto sarebbe il capro espiatorio che solleverebbe il soggetto da ogni responsabilità. Da ciò si evince che, siccome tutti, per fortuna, disponiamo di un contesto, anche se ci comportiamo male, siamo innocenti. Non siamo noi a peccare, è il contesto che pecca per noi! Sei stato tu? Io no! Allora chi è stato? E’ stato il contesto, quel brutto e cattivo! Menomale che il contesto c’è. Lui è il nostro “santo – o diavolo – protettore.” E’ colui che si addossa tutte le colpe per salvarci la reputazione e renderla più bella e splendente che pria! E’ al contesto che bisognava fare il monumento, mica a Montanelli!

2 – L’onestà intellettuale di Montanelli è fuori discussione come lo sono il suo endemico maschilismo e la sua innocente distrazione nei confronti dei diritti umani. Il fatto che il grande giornalista, dopo tanti anni parlasse di quel periodo della sua vita, con disinvoltura e compiacimento, senza mostrare alcun ripensamento, non costituisce un attenuante, ma un aggravante. Ad un maturo intellettuale del ventesimo secolo di una società democratica non è consentito manifestare idee tanto retrive senza pagare pegno. Richiamare l’attenzione sul caso Montanelli come hanno fatto gli imbrattatori del monumento, non significa ignorare la Storia, ma piuttosto conoscere i DIRITTI UMANI ( che della Storia fanno parte). Però, riguardo alla profanazione del monumento e, in generale all’inopportunità di abbattere quelli dedicati a personaggi più o meno controversi, concordo con Travaglio. I monumenti devono restare al lori posto non tanto per ricordare i personaggi – in questo caso Montanelli – ma per ricordare a noi tutti quanto sono stati cretini gli italiani che gliel’hanno dedicato!

3 – Se Travaglio tenesse conto del contesto corruttivo di questo paese nel quale proliferano senza soluzione di continuità i nemici della cosa pubblica contro i quali egli dirige – giustamente – i suoi strali di angelo sterminatore, avrebbe usato altro stile e altri toni … Se tutti rubano, dove sono i ladri? Se tutti stuprano le bambine etiopi di dodici anni, dove sono gli stupratori? Tutti ladri? Nessun ladro! Craxi docet…. E’ il contesto, bellezza! Ma lui giustamente non fa sconti contestuali ai corrotti di “casa-cosa nostra.” Con Montanelli invece usa non il bastone, ma la carota, ma c’è da capirlo. Montanelli lo ha creato è i’ su’ babbo. “Babbo ti voglio bene e ti difenderò fino alla morte. Grazie babbo … sig sig … !”

4 – Montanelli maestro di etica perché non opportunista, perché ebbe il coraggio – pagando di persona – di ribellarsi al fascismo e poi anche a Berlusconi? Certamente, ma non mescoliamo le pere con le mele. Riconoscere la dignità di un popolo colonizzato e di una minorenne di colore non rientrava nel suo codice d’onore, perché era un fascista. Non poteva fare ammenda del suo passato coloniale perché per lui quell’occupazione e quel matrimonio non furono errori, ma atti eroici da premiare con la medaglia al valore! Non erano suoi pari, erano esseri inferiori, esattamente come i nativi americani “scoperti” da Cristoforo Colombo, con la trascurabile differenza che da allora sono passati quasi cinque secoli! Montanelli – rendiamogli l’onore delle armi e della verità – è stato un colonialista, un razzista, onesto e coerente perché perfettamente in pace con la propria coscienza … di fascista!

Anna Maria Guideri, 12/9/2021

Carosello

Da: Anni cruciali. 1957-1968 / Gino Benvenuti. Il Punto rosso, 2021. http://www.puntorosso.it/edizioni.html

L’ economia si sviluppò anche grazie alla nascente industria della pubblicità e quando si parla di essa è obbligatorio parlare di Carosello non solo perché fu l’ unica agenzia nazionale autorizzata in merito, ma per l’ impatto che ebbe e per l’ originalità che espresse.
Esso non
fu solo il pretesto, come per molti miei coetanei, che permise a me di andare al bar fruendo delle immagini televisive prima di coricarmi, ma soprattutto si dimostrò un poderoso mezzo di pubblicità. Fino a metà degli anni ’50 si vedevano insegne al neon, pannelli metallici o in legno sopra l’ ingresso nei negozi, oppure le squadre di attacchini in bicicletta, con il rotolo dei manifesti ed il barattolo di colla appeso al manubrio, che si fermavano davanti agli appositi tabelloni, il tutto lentamente eroso da crescenti inserzioni pubblicitarie sui giornali e rotocalchi.

Dall’ avvento della televisione con l’ uso delle immagini, che lei trasmetteva in esclusiva, cambiò radicalmente il messaggio pubblicitario, a volte realizzato da registi di chiara fama, del quale si resero testimoni attori ed attrici, che già erano stati protagonisti di film o personaggi del mondo dello spettacolo. La rubrica andava in onda tutti i giorni salvo qualche ricorrenza religiosa oppure in occasione qualche evento nefasto ed eccezionale. Chi non ricorda tra i primi spot il commissario Rock che, dopo aver individuato il colpevole, al commento del suo assistente “Lei è un fenomeno ispettore; non sbaglia mai” risponde, togliendosi il cappello e mostrando la testa completamente calva, “non è vero anch’ io ho fatto un errore. Non ho mai usato la brillantina…”, oppure Dapporto nelle vesti di Agostino pugile che dopo avere preso un sacco di botte, alla domanda “come mai ride ?” sfoggia un sorriso reclamizzando un dentifricio.

Come non ricordare Buscaglione che cantando Che bambola propaganda un liquore mentre Calindri seduto nel mezzo di un traffico caotico sorseggia un amaro contro “il logorio della vita moderna”, oppure Viarisio, che si esprime in rima per un panettone o Billi e Riva che promuovono un detersivo. Il Moplen, un tipo di plastica, che entrando in tutte le case, non solo per sostituire la ceramica bensì anche come elemento di arredo con i suoi contenitori dai colori vivi, diventò sinonimo di modernità venne pubblicizzato da Bramieri. Oltre all’ utilizzo di personaggi in voga, di cui sarebbe lungo l’ elenco, venne utilizzata la modalità dei cartoni animati con personaggi, che rimasero subito simpatici, come il piccolo angelo intento a spiare la terra con un cannocchiale, che vi si precipita quando individua un problema. Inevitabilmente si ficca in una pozza, sporcandosi la tunica immacolata, ma egli viene subito consolato da una voce femminile, che rimedia al guaio con un detersivo.

Chi non ricorda Ulisse, perseguitato da un ombra parlante, che cerca di frenare il suo nervosismo ed accetta il consiglio di bere un decaffeinato? o “l’ Omino coi baffi” testimonial di una caffettiera oppure l’ uomo che camminava su una linea pronunciando parole incomprensibili per reclamizzare una marca di pentole? Le immagini del tenero Topo Gigio sempre alla ricerca di coccole oppure quelle del Caballero che, in un assolato scenario messicano, dopo aver rintracciato la donna desiderata, dice “Carmencita sei già mia, chiudi il gas e vieni via” furono allora efficacissime. Memorabile il dialogo tra un vigile, con un accento marcatamente siculo che contesta una contravvenzione ad un cittadino veneto dicendo “concilia? Qui se non conciliamo a schifio finisce”. Costui a questa intimazione risponde “Mi son forestiero, per mi tutto va ben, tutto fa brodo” ed il vigile ribatte: “non è vero che tutto fa brodo” reclamizzando così un dado eccezionale per farlo.

L’ uso dei dialetti, durante gli spot pubblicitari, non fu né folkloristico né casuale bensì rispondeva alla finalità di cementare una realtà nazionale facendo sentire compartecipi tutte le regioni. Quando nel parlare quotidiano capitava di dire “tutto fa brodo” a volte c’ era qualcuno che a sentire questa espressione aggiungeva scherzosamente “non è vero che tutto fa brodo”. Come erano diventate lessico quotidiano alcune battute di spettacoli televisivi, così lo diventarono anche slogan pubblicitari. Io stesso quando andai una sera a comprare un panettone chiesi “un Alemagna”, il pizzicagnolo esclamò “Ullalla è una cuccagna!” cercando anche di mimare l’ artista ed ad un mio amico che al circolo ricreativo ordinò con me un brandy, il barista replicò “lei si che se ne intende”.

Questi slogan diventarono intercalari ed in qualche caso furono carburante anche per dei soprannomi come Calimero, l’afflitto anatroccolo irriconoscibile per la sporcizia del suo piumaggio, che diventò sinonimo di sfigato, riuscendo però a recuperare la sua immagine grazie ad un detersivo. I piccoli cortometraggi furono uno strumento di cattura dell’interesse con la finalità di far memorizzare la marca prescelta, aumentando il desiderio all’acquisto di prodotti di largo consumo perché la televisione godeva di attendibilità e garanzia dei prodotti, dimostrandosi una poderosa alleata della nascente industria. Ma per la mia famiglia che non aveva ancora la televisione e l’unico a vederla sempre più saltuariamente, ero io quando andavo al bar, allora la propensione al consumo non si sarebbe dovuta realizzare. Perché avvenne? Semplice: questa ricerca di beni, che rispondevano a desideri, era generalizzata e parte dei nostri colloqui quotidiani; inoltre vi era una forte motivazione imitativa.

Tante volte si è sentito dire in qualsiasi luogo “Lo dicono anche alla televisione”. Una sera ricordo bene che obbiettai su questo argomento dicendo:
Se non ce l’ abbiamo nemmeno la televisione come si fa a dire una cosa del genere?– . –La spesa la faccio io e non tu. Sono io quella che va al mercato e parlo con la gente– rispose la mamma.
Perciò una volta innescato il meccanismo sembrava di andare in automatico, perché maturò la convinzione che l’ offerta dei prodotti fosse non superflua, ma necessaria e non ci fu un settore che rimanesse immune da questa tendenza.

Gino Benvenuti, 2021