La casa

Tornare a casa è atroce
che i cani ti spalmino la lingua sulla faccia oppure no
che tu abbia una moglie oppure no
che tu abbia una solitudine a forma di moglie che ti aspetta
oppure no.

Tornare a casa è atroce e si è soli
così, con tenerezza, pensi alla pressione barometrica
percepita nel posto da cui provieni,
perché una volta fatto ritorno a casa
tutto è atroce, ogni cosa.

Pensi ai vermi
attaccati alle foglie d’erba,
ore interminabili passate a guidare,
lungo la strada officine e gelatai
e peculiari forme di nuvole e silenzi
e desiderio di non voler tornare.

Perché tornare a casa
è semplicemente atroce.
E le nuvole e i silenzi fatti in casa
non servono a molto
se non a ingrandire l’inquietudine.

Le nuvole, così come sono,
sono sospette,
e fatte di una diversa sostanza
di quelle lasciate lì, da dove vieni.

Qualcuno ha rivestito anche te
di un diverso tessuto di nuvola,
hai fatto ritorno,
hai resettato la mente,
infettato dalla luce della luna,
non sei felice di essere a casa
non hai voglia, sei fuori posto
negli stracci logori che hai addosso.

Fai ritorno a casa
vieni dalla luna, da un paese straniero;
la forza gravitazionale terrestre
ha raddoppiato la sua intensità,
allenta i lacci delle scarpe
le tue spalle cadono
le rughe dell’ansia sono ben incise sulla fronte,

Fai ritorno a casa sprofondato
prosciugato, connesso al domani
da una stanca ciocca di…
Va così…

Sei sotto le bombe, respiri nei giorni tutti uguali.
Può darsi che almeno un giorno, tra i tanti…
Bene…
Va così…

Fai ritorno a casa.
Il sole fa su e giù
come una puttana stanca,
il meteo rimane fermo
come un ramo spezzato
e tu ti ostini a invecchiare, poco altro.

Niente si muove
se non le correnti e le maree del tuo corpo.
Non riesci più a vedere.
Ti porti dietro la tempesta,
una grande balena blu,
oscurità da ingrassare.

Fai ritorno a casa,
ringrazia i raggi x.
I tuoi occhi sono una carestia.
Fai ritorno a casa

fornito dei tuoi doni di mutante
da regalare a una casa di ossa.

Alberto Brasca, ottobre 2021

Sulle elezioni

Molti stanno commentando i risultati elettorali mettendo in evidenza l’alto livello di astensionismo…Addirittura, molti ne traggono presagi infausti sulle sorti della democrazia. Non sono d’accordo, anzi VOGLIO ANDARE CONTROCORRENTE. Questo basso livello di partecipazione può essere ricondotto a due fenomeni che chi studia i comportamenti elettorali ha individuato da tempo.

Primo: il cosiddetto “astensionismo intermittente”, Secondo: l’astensionismo “asimmetrico”. Cosa si intende? Si intende che molti elettori decidono oramai se e quando votare di volta in volta; e che,, specie alle elezioni amministrative, contano una serie di fattori che possono spingere al non voto. Se ne possono elencare molti: la scelta di candidati sbagliati, e soprattutto la “smobilitazione” di alcuni segmenti dell’elettorato, e non di altri. E poi il “clima” generale”: chi “sente” che la propria parte è in difficoltà, che non si sta in realtà impegnando molto, è divisa, ecc. – costoro se ne stanno a casa….Al secondo turno, poi, va anche “peggio”: molta gente che aveva votato una lista e magari un amico come consigliere, non hanno più spinta a votare al ballottaggio: storicamente ai ballottaggi c’è sempre stato un 10-15% in meno di votanti, a cominciare da quelli che non hanno più il loro candidato. Quindi l’astensione è un fatto politico, non solo e non sempre segno di distacco e di sfiducia generalizzata.

Nel nostro caso, in particolare, molti elettori del centrodestra se ne sono rimasti a casa, perché hanno visto e sentito un messaggio di divisione e di scontro interno al CD, perché non hanno apprezzato il modo di rapportarsi del CD alla gestione della pandemia, perché avevano candidati deboli, e si potrebbe continuare. Poi c’è stato una quota di astensionismo di ex-elettori del M5S: vedremo meglio nei prossimi giorni l’entità di questo non-voto e attraverso l’analisi del flussi vedremo in particolare in che quota gli ex elettori della Raggi e della Appendino hanno votato per Gualtieri e Lo Russo. Dalle prime analisi dell’Istituto Cattaneo su Torino, (vedi il Corriere della sera di oggi, martedì 19, pag. 10) emerge come il 10% di voti che era stato raccolto al primo turno dalla candidata del M5S si è diviso pressappoco a metà tra il candidato del centrosinistra Lo Russo e l’astensione: quasi nessuno a destra…

E allora: il fatto che il Centrosinistra vinca in queste condizioni certamente deve indurre alla cautela, in vista delle politiche del 2023: nessun facile euforia. Ma il fatto che molti elettori del CD si siano “scoraggiati” e abbiano “smobilitato” è esso stesso un fatto politico: non è detto che – tra Salvini e Meloni – anche alle politiche saranno poi così entusiasti….E così pure per il M5S: è notorio che il M5S vada male alle elezioni locali (nel 2016 le vittorie a Roma e Torino furono il frutto del suicidio politico del PD renziano….): fatto sta che ieri pomeriggio stesso, il sondaggio SWG presentato da Mentana (così come hanno fatto altri sondaggi nelle settimane scorse) continua a dare il M5S intorno al 16%: vi pare poco, per un movimento “moribondo”, come si ostinano a dire i commentatori più malevoli e ostili? Anche qui, ci andrei cauto….

Antonio Floridia, 18-10-2021

L’onda anomala

(questione di audience)

Sabato 16 Ottobre mi sono sintonizzata sulla 7 per vedere IN ONDA con la speranza di assistere alla cronaca fedele ed esaustiva dell’evento del giorno: la manifestazione sindacale a Roma in risposta al gravissimo assalto fascista del 9 ottobre alla sede nazionale della Cgil. Purtroppo le mie aspettative sono state deluse. In barba ai criteri deontologici che impegnano gli organi di informazione a dare conto degli eventi più importanti e recenti, la manifestazione sindacale è stata del tutto ignorata e si è preferito ripescare il vergognoso attacco alla sede sindacale della settimana precedente, già ampiamente trasmesso e commentato da tutti i media. Evidentemente una grande manifestazione ordinata, compatta e antifascista non era abbastanza adrenalinica ai fini dell’audience. Insomma, l’evento clou non era la massiccia risposta antifascista del 16 ottobre, ma l’aggressione fascista del 9.

A fronte di questa macroscopica scivolata di IN ONDA risulta poco convincente l’attribuzione delle responsabilità del diffuso clima fascistoide, all’uso muscolare del linguaggio di un certo giornalismo agli estrogeni, fatta dalla giornalista Marianna Aprile ospite in studio. Espressioni come Draghi tira dritto, Draghi non molla, linea dura di Draghi … sarebbero responsabili, a suo dire, dell’assuefazione graduale e inavvertita allo stile ducesco. Senza nulla togliere alla brillante intuizione della giornalista, dico che ci vuole ben altro per spiegare il fenomeno dei rigurgiti fascistoidi.

Lei vede il bruscolo e non la trave ben piantata nell’occhio del popolo italiano non da ora e non da alcuni giornalisti in cerca di effetti speciali a scopo di vendita. L’uso strumentale di un linguaggio connivente e tranchant non è che l’effetto di un imbarbarimento culturale e di un cedimento democratico che, da Bossi in poi, passando per Berlusconi fino ad arrivare a Grillo, ha tollerato comportamenti inaccettabili fomentando odio, disprezzo per le istituzioni democratiche, sostenendo la violazione dei diritti umani e civili … La decadenza della democrazia e l’uso sempre più ampio e spesso sconsiderato della tecnologia informatica hanno favorito la nascita della civiltà dell’immagine, obiettivo sul quale si dirige la libido narcisistica dell’individuo moderno sempre più prevaricatore, intollerante, prepotente … in una parola …fascista. Il linguaggio muscolare non è, come sostiene Marianna Aprile, un fatto fuori dalla storia, anzi è dentro la storia con le mani e con i piedi. Una storia fascista che si ripete all’infinito e che assume via via forme comunicative in grado di intercettare i profondi disagi della nostra società.

La Aprile era in palese contraddizione con se stessa. Mentre denunciava il linguaggio complice di un certo giornalismo, partecipava ad una trasmissione così poco obiettiva da far passare per dovere d’informazione la parzialità di un servizio a senso unico dove, il risalto dato all’azione di una pur facinorosa minoranza, poteva indurre a credere che si trattasse della maggioranza del popolo italiano.

Anna Maria Guideri, 18-10-2021

Sulla CGIL del XXI secolo

La memoria collettiva se non coltivata con lo studio e l’approccio critico è spesso fallace esattamente come quella individuale.
La narrativa sul sindacato è fatta di rimpianti per gli anni 70 e 80. Dirigenti sindacali come Lama e Trentin sono elevati a simboli di un sindacato combattivo e contrapposti ai dirigenti attuali.
Invito a rileggere i documenti dell’epoca e a cercare di ricostruire i fatti. Esiste una vasta letteratura in materia sia di natura storica, che politica, che economica, partendo anche da punti di vista diversi e contrapposti.

Sia Lama che Trentin furono oggetto di contestazioni di massa (il primo sul finire degli anni Settanta da parte di ampi settori della gioventù scolarizzata (il movimento del 77) che avvertiva il venire meno delle conquiste della generazione precedente, ma anche fino agli anni Ottanta da settori di base del sindacato stesso per la sua tepidezza verso il primo Governo Craxi, il secondo dai lavoratori stessi per aver subito nel 1992 l’abolizione della scala mobile e avervi posto “rimedio” nel 1993 con un accordo che non godette dell’approvazione di tanta parte dei lavoratori sindacalizzati a partire dai metalmeccanici, nonostante il sostegno dell’intero gruppo dirigente). La linea sindacale di Lama , la cosiddetta politica dei “sacrifici”, comportava moderazione salariale e rivendicativa, la linea di Trentin preconizzava (l’alleanza dei produttori) un patto stabile e codeterminato tra capitale e lavoro.

Lo stesso Cofferati (anche egli oggetto di contestazioni di massa per l’accordo sulla “riforma delle pensioni del governo Dini) si caratterizzò per la linea della concertazione.
La line attuale della CGIL- che è il prodotto della svolta di Cofferati nel 2002 e che sia Epifani che Camusso hanno mantenuto sia pure con qualche incertezza, soprattutto da parte di Epifani – parte dal riconoscimento del fallimento delle politiche liberiste e della globalizzazione ed molto, molto, molto più di sinistra della linea precedente. La base della svolta fu la presa d’atto del carattere ultraliberista dei processi di globalizzazione. Tra il Forum sociale mondiale di Genova con la sua scia di sangue violenza e il Forum sociale europeo di Firenze, si srotola il filo rosso di questo passaggio.

Una svolta tutta politica che poteva fare solo la CGIL come soggetto autonomo sulla scena politica italiana. Come ebbe a dire durante i festeggiamenti del centenario, l’allora presidente della Fondazione Di Vittorio, Carlo Ghezzi (cito a memoria): “noi non abbiamo avuto bisogno né di cambiare nome, né di cambiare bandiere”:

La differenza vera tra ieri e oggi è che la CGIL del passato era forte, contava e aveva alle spalle un grande partito comunista (anch’esso moderato e dedito ad una politica di compromesso con la DC) che contribuiva a dettare pure dall’opposizione l’agenda politica del paese e scrivervi dentro anche le rivendicazioni e il punto di vista del lavoro.

Oggi quel quadro politico non esiste più. La capacità contrattuale del sindacato è stata colpita dalla crisi economica e sociale, da una legislazione sempre più antioperaia e antisindacale a partire dal Governo Berlusconi 1, ma proseguita via via da tutti i governi successivi fino alla mazzata del Jobs act del Governo Renzi, senza nessuna forza politica che riconosca la centralità del lavoro.
Il nostro problema è qui: organizzazione debole, colpita dalla crisi economica e sociale e assenza di una forza politica proletaria di riferimento.

Milito in CGIL dal 1978, prima come delegato, poi come dirigente dal 1992. Anche io rimpiango la CGIL della mia gioventù e della mia maturità, perché ero giovane, pieno di energie e sicuro dell’avvenire radioso del proletariato e dell’umanità e vedevo il socialismo dietro l’angolo (anche se la fine del muro si allontanava sempre impercettibilmente).
L’angolo oggi è ancora più lontano.

Andrea Montagni, 18/10/2021

Commenti e note

Marco Mayer

Interessante, manca la strettissima collaborazione tra CGIL e Dipartimento di Pubblica Sicurezza del Viminale per il social forum di Firenze.
Non fu un eccezione, non solo Guido Rossa contro le BR, ma dagli inizi degli anni 70 CGIL e PS hanno collaborato contro il terrorismo.
Marco Mayer

Roberto Fossi

Non fa una grinza la memoria di Montagni, ma “quella” CGIL non era solo combattiva, anzi era ragionevole e combattiva perché guardava alle cose con l’occhio concreto di chi deve muoversi all’interno di un quadro “possibile” non sulle fantasie. Erano altri tempi, tutto quello che vogliamo, ma quella CGIL non era populista anzi, la rappresentanza era vera ed efficace perché le famose tute blu della FIOM, la maggioranza del sindacato, erano numerosissime e rivendicavano modalità di lavoro più equo, più sicuro e più pagato ma, appunto in un quadro del “lavoro” in Italia che non era sicuro, non era equo, non era pagato!

Oggi chi rappresenta? Nelle fabbriche del NORD tanti, ma tanti lavoratori leghisti che forse non ce l’avranno più duro, ma nelle praterie di Pontida con due corni su un casco ne troveremmo dimolti, venendo un pò più in giù, 5stelle a gogo. Il grillismo falso, becero e incompetente nella CGIL! 

Riguardo a Cofferati, lui a mio avviso c’entra poco con la virata sindacale, che ci fu è vero, ma nobile e adeguata perché i tempi che mutano, ma chi ha distrutto la CGIL direi piuttosto la Camusso, il peggio segretario che io possa ricordare e questa banderuola di oggi di Landini, che se anche mette qualche volta la cravatta resta il solito ignorante beneficiato dalla fortuna (visti gli stipendi che girano nelle posizioni apicali dei sindacati).

Ma tanto per capire meglio chi sono oggi, proviamo a rileggere quello che la Francesca RE David segretaria Fiom dal 2017 ha chiesto a Landini: “ma se noi siamo sempre stati NO Green pass, perché ora facciamo tutto questo casino contro di loro!!!!!!!!!!!!!!!

Ma va’ia va’ia..…
con amicizia
Roberto

Gino Benvenuti

L’intervento di A.Montagni che cerca di spiegare l’evoluzione della Cgil dagli anni ‘70 fino ad oggi tramite le varie leadership potrebbe essere un invito alla riflessione su questo “segmento sociale imprescindibile” della società italiana. Detto ciò penso a quanto Montagni scrive all’inizio del suo contributo affermando che “la memoria collettiva se non coltivata con lo studio e l’approccio critico è spesso fallace esattamente come quella individuale”. Parole condivisibili che valgono, nella loro evoluzione, anche per altre entità quali “il quadro politico”, il “mutamento istituzionale” la “forma partito”, l’analisi dei vari movimenti e quella fondamentale dei vari cicli economici.

E’ un compito improbo ma se affrontato collettivamente potrebbe essere risolto a patto però che ciò si affronti senza motivazioni autoassolutorie né tantomeno autoflagellanti. Lo spirito critico non può fare sconti a nessuno nel rintracciare il perché oggi, come dice Montagni in chiusura “l’angolo oggi è ancora più lontano”; altrimenti sarebbe un lavoro inutile.

Gino Benvenuti

La notte

Più si avvicina la notte più si diradano gli autobus su cui salire.
Ormai e’ quasi buio e probabilmente non ne passeranno piu’.
Vuol dire che me ne starò a casa, forse con qualche rimpianto
ma nel complesso sereno.
In fondo quando il sole era alto e il cielo senza troppe nubi
qualche viaggio l’ho fatto!

Alberto Brasca. 5 ottobre 2020

Ricordando Enzo

Enzo Mazzi non è stato solamente il principale animatore della comunità parrocchiale, divenuta poi comunità di base, dell’Isolotto e quello che più di altri/e l’ha rappresentata all’esterno, in Italia e nel mondo, con i suoi scritti.
In diverse occasioni ha avuto un ruolo importante nel dare visibilità e parola alla Firenze dell’accoglienza e della solidarietà, ai soggetti discriminati ed emarginati, alle realtà impegnate a costruire “un altro mondo possibile”.
Ricordo che durante una delle ricorrenti campagne contro la popolazione Rom fu organizzata dalle associazioni antirazziste un’iniziativa pubblica che rendesse evidente l’esistenza di una città diversa, disponibile a contrastare i sentimenti di rifiuto e di ostilità alla base di tali campagne.

Alcune centinaia di cittadini/e si ritrovarono in piazza Strozzi per dare questo segnale in controtendenza rispetto ad un senso comune che stava divenendo sempre più diffuso.
Ad un certo punto, insieme ad Enzo Mazzi, arrivò un nutrito gruppo di donne ed uomini Rom del campo del Poderaccio, situato in zona Isolotto, e questo rese ancora più valida la manifestazione, in quanto condivisa da quanti/e erano discriminati/e e da chi si mostrava solidale con loro.

Il rapporto di Enzo con il popolo Rom del Poderaccio non era nato improvvisamente in tale occasione, ma aveva le sue radici in un susseguirsi di incontri, di presenze Rom alle assemblee/messe domenicali in piazza, di partecipazione a vertenze con l’Amministrazione comunale perchè si uscisse finalmente dalla logica dei cosiddetti “campi nomadi”.
Gli organizzatori della manifestazione in piazza Strozzi (Piero Colacicchi dell’ADM – Associazione per la Difesa delle Minoranze – e Riccardo Torregiani – della Rete Antirazzista -) non nascosero la loro soddisfazione per quell’arrivo inaspettato e per quell’incontro in piazza della Firenze solidale con i Rom.

Certo, non fu così eliminata l’ostilità nei loro confronti, ma si dette un piccolo contributo a creare degli anticorpi nei confronti del clima di intolleranza alimentato dalla stampa cittadina (in questa direzione andò anche il bel libro di Antonio Tabucchi “Gli zingari e il Rinascimento”, che uscì in quel periodo).
In occasione del Social Forum Europeo che si svolse a Firenze nel 2002 – e che dette un segnale di ripresa e di rilancio dei movimenti solidali e pacifisti dopo le tremende giornate dell’anno precedente a Genova (quando il potere aveva cercato di annientare con la violenza le molteplici realtà che si battevano per “un altro mondo possibile (e sempre più necessario)”) – fu dato ad Enzo Mazzi l’incarico di dare il benvenuto in città alle persone provenienti da tanti paesi europei, e non solo, portatrici di esperienze diversissime, ma accomunate dalla comune volontà di volere profondi cambiamenti.

Enzo parlò in piazza Santa Croce e le sue parole fecero uscire Firenze dalla nebbia che l’aveva avvolta nelle settimane precedenti a causa di un’indegna campagna che prospettava violenze e saccheggi a causa del Social Forum (tanto che molti negozianti commissionarono lavori straordinari per proteggere le loro botteghe, che tennero rigorosamente chiuse durante la manifestazione conclusiva del Forum– su diverse di loro i manifestanti appesero dei cartelli che dicevano “Chiuso per ignoranza -).

Enzo e la Comunità dell’Isolotto avevano preso parte, in precedenza, alla stesura di un libretto, in italiano ed in inglese, che cercava di contrastare il clima ostile al Forum presente in città, presentando a chi arrivava da fuori il volto solidale ed accogliente di Firenze – le molte esperienze che in tempi diversi l’avevano caratterizzata in tal senso, dalla Società di Mutuo Soccorso agli organismi di autogestione sorti durante l’alluvione ai movimenti sviluppatisi successivamente nei quartieri – (un libretto stampato in 20.000 copie su finanziamento della Regione).

Il Social Forum fu un grande successo: si protrasse per alcuni giorni, invadendo la Fortezza da Basso, lo spazio in cui si svolsero i molti suoi seminari, gruppi di lavoro, assemblee. I partecipanti, complessivamente, furono circa 70.000 e la manifestazione conclusiva, contro la guerra, vide la presenza in piazza di centinaia di migliaia di persone.

Le istituzioni locali, Comune e Regione, avevano dato un sostegno all’iniziativa (anche se successivamente non avrebbero tenuto granché conto delle indicazioni che dal Forum erano uscite)
Fu uno dei momenti più alti e significativi del movimento pacifista (che il “New York Times” definì “la seconda potenza mondiale”).
Ma la guerra contro l’Irak scoppiò ugualmente, pochi mesi dopo, e ciò causò la progressiva sparizione di tale movimento.

In uno dei momenti più alti e partecipati dell’esperienza dei Social Forum era stato Enzo Mazzi a rappresentare Firenze, l’altra Firenze, quella non racchiusa nelle cartoline turistiche e nelle logiche mercantili.
E’ opportuno ricordarlo in un momento in cui questa seconda sta prevalendo in modo netto.
La memoria di Enzo ci sia di stimolo a cambiare rotta.

Moreno Biagioni, 15/10/2021

NO-VAX, NO-PASS e i maiali di Orwell

(diritti e rovesci)

Marco Travaglio sostiene, con logica ineccepibile che, se lo Stato riconosce il diritto dei cittadini a non vaccinarsi, non li può obbligare a dotarsi di un attestato di vaccinazione per accedere ai luoghi di lavoro. Sarebbe una contraddizione in termini in quanto, chi non si vaccina, non può esibire, è evidente, nessun attestato a meno che non sia falso. Elementare Watson! Nella situazione data il GREEN-PASS è forse il compromesso migliore per far fronte, non solo all’emergenza pandemica, ma anche a quella babelica in cui ci troviamo, però è facilmente attaccabile per la sua ambiguità. In teoria i diritti non dovrebbero confliggere tra loro se ne rispettiamo l’ordine valoriale, ma in pratica le cose sono – o almeno si fanno essere – molto più complicate. Di fatto, in un sistema democratico, in assenza di una legge che imponga, in tempo di pandemia, l’obbligo vaccinale, si crea lo strano caso o almeno così pare – di due diritti, cioè, di due legittime libertà che si contraddicono e si escludono a vicenda. L’uso dei tamponi sembrerebbe offrire una soluzione al problema dell’incompatibilità tra questi due diritti, ma è una strada impervia e poco praticabile per più ragioni. L’enorme quantità dei tamponi necessari difficile da reperire; i costi elevati per lo Stato; la dilatazione dei tempi necessari all’immunizzazione di massa; la disparità di trattamento a danno dei responsabili e meno costosi vaccinati rispetto ai tamponati… Dall’impasse del conflitto fra i due diritti si può uscire solo – uovo di Colombo! – chiamando in causa il diritto dei diritti, quello primario della salute. Strano non averci pensato più convintamente!. Nel paese degli azzeccagarbugli le soluzioni più semplici sono sempre quelle più complicate. Tra i due litiganti – il diritto a non vaccinarsi e il diritto al lavoro – il terzo (ma di fatto è il primo), gode! Il diritto alla salute è il reagente chimico che rivela la mistificazione del NO-VAX in quanto abuso (o rovescio) spacciato per diritto. Il riconoscimento del diritto primario – la salute pubblica – rende possibile il recupero del diritto secondario – il lavoro – e smaschera l’intruso, o falso diritto facendolo fuori con l’obbligo vaccinale. Questa almeno sarebbe la soluzione migliore. I diritti non sono tutti uguali. Anche i maiali de La fattoria degli animali di Orwell erano uguali fino a quando si scoprì che alcuni erano più uguali degli altri.Non suoni troppo offensivo verso i diritti l’accostamento ai maiali orwelliani. Esso serve solo a chiarire un concetto semplice, ma poco ovvio a giudicare dalle scomposte reazioni dei NO-VAX. E cioè che la realtà, come la terra, non è una cosa piatta, ma articolata e complessa e che ogni situazione critica richiede la capacità di operare scelte mirate a realizzare il più ampio beneficio possibile per la collettività. Il diritto a rifiutare il vaccino non può essere più legittimo di quello di evitare il contagio, pena la degenerazione nel suo contrario, cioè, nell’abuso. Nessun diritto può essere un abuso. Il NO-VAX è uno pseudo-diritto con un margine di azione assai limitato. Non ha molto spazio a sua disposizione, gli basta poco per inciampare e trasformarsi in SI’- COVID! Si invoca tanto il contesto per giustificare comportamenti molto contestabili e non si ha abbastanza chiarezza e coraggio per far valere le ragioni imposte da un contesto pandemico che solo in Italia ha ucciso più di centomila persone.

Anna Maria Guideri, 15-10-2021