L'ottimismo della volontà col pessimismo della ragione
Mese: Dicembre 2023
Buon Natale da Pier Paolo Pasolini
Pier Paolo Pasolini, Eretico & Corsaro (Tempo, numero 1 del 3 gennaio 1970)
Tanti Auguri Siamo arrivati all’insopportabile Natale. Non ho niente da aggiungere a quanto dicevo un anno fa, qui, contro questa festa stupida e irreligiosa. Tanti auguri ai fabbricanti di regali pagani! Tanti auguri ai carismatici industriali che producono strenne tutte uguali! Tanti auguri a chi morirà di rabbia negli ingorghi del traffico e magari cristianamente insulterà o accoltellerà chi abbia osato sorpassarlo o abbia osato dare una botta sul didietro della sua santa Seicento! Tanti auguri a chi crederà sul serio che l’orgasmo che l’agiterà – l’ansia di essere presente, di non mancare al rito, di non essere pari al suo dovere di consumatore – sia segno di festa e di gioia! … . (Tempo, numero 1 del 3 gennaio 1970)
Quando ero giovane, si proiettava un film “IRMA LA DOUCE” – Irma la dolce. Dicevo ai miei compagni: Io ho una cugina che si chiama Irma ma non la conosco perché vive in Sardegna. Per tanti anni non ci siamo mai incontrati. Un giorno di qualche anno fa, sento dire da Maria:” Irma se né andata, è andata via, non c’è più”. Come non c’è più!!!!, dove è andata?? con chi???!. Non era possibile, aveva il marito. Eppure se n’era andata davvero: Era andata “Nel cielo blu dipinto di blu”.
La bambina non si decideva ad andare a letto, pareva che l’eccitazione degli adulti le si fosse trasmessa nonostante fingessero normalità. Gli zii e la cugina giocavano a carte sul tavolo di marmo di cucina, osservati dal nonno che stringeva fra i denti la pipa spenta; il babbo leggeva il giornale sulla bergère del salotto.
Alla fine l’Amalia pose fine agli indugi: la portò in camera, le infilò il pigiama e si sedette accanto al lettino smaltato di rosa, una mano chiusa a pugno fra quelle della piccola che iniziò, come ogni sera, ad accarezzarle le nocche disegnando cerchi con le piccole dita. Una sorta di tortura cinese per la mamma che intonò a bassa voce la ninnananna fiorentina, l’unica che conosceva: “nannao nannao… questa bambina a chi la do…”
Subito carte e giornale sparirono dalla scena; facendo cenno l’uno all’altro di restare in silenzio, tutti si davano da fare. Il babbo e lo zio trascinarono su per le scale il grande abete che sfiorava il soffitto, la zia corse ad aprire la scatola dove riposavano, incartati ad uno ad uno con il giornale dell’anno prima, gli addobbi colorati. Palle di vetro semplici, le più belle interrotte da una girandola, fragili, difficili da maneggiare. Un tocco distratto, un rapido scivolìo e mille pezzi colorati si dividevano in minuscoli frammenti sulle mattonelle esagonali del pavimento.
Il nonno, dalla bergère spostata in un angolo per far posto all’albero, in silenzio osservava i lavori.
Dopo che, finalmente, la bambina si fu addormentata, arrivò la mamma a dar mano. C’erano ancora da agganciare i mandarini profumati e i sacchetti di noci e fichi secchi dell’orto e infine i cioccolatini a forma di Babbo Natale avvolti nella carta stagnola. Già s’immaginavano la gioia della bambina mentre li sgranocchiava.
L’ultimo tocco lo diede il babbo, sotto l’occhio vigile dello zio: era un compito delicato agganciare le candele alle fronde dell’albero, bisognava calcolare che l’altezza delle fiammelle non sfiorasse i rametti sovrastanti. Non sarebbe stato un gran giorno di Natale quello in cui la casa fosse andata a fuoco.
Gli anni precedenti la bambina era troppo piccola per apprezzare l’albero di Natale, quello per lei sarebbe stato il primo; così al mattino erano tutti lì ad aspettare le sue grida di sorpresa, pregustavano i salti, gli occhi scintillanti di gioia, gli abbracci che avrebbe regalato a tutti.
Arrivò per mano alla mamma, i capelli arruffati, il golfino infilato sopra il pigiama rosa e le pantofole scozzesi ai piedi. Era una bambina silenziosa, un po’ imbronciata, sempre a rincorrere le sue fantasie.
Lasciò la mano della mamma, guardò l’albero scintillante di vetri e di stagnole, le fiammelle tremolanti che puntavano il soffitto. Lo guardò con occhi critici, la fronte corrugata, le labbra strette. Poi si rilassò e sorrise.
«L’ho fatto io!» disse, soddisfatta.
La bambina ero io, avevo tre o quattro anni, la storia è vera. Ogni volta che me la raccontavano i ‘grandi’ ridevano come matti.
Avete mai provato a sfogliare Libero, o avete mai visto in TV qualche suo giornalista?
Solo così potrete apprezzare in pieno la vignetta, che in altro contesto troveremmo un po’ pesante
Provare per credere
Valentino e l’attualità dei classici
di Anna Maria Guideri
Specchio specchio delle mie brame chi è il più fascio del reame?
O Mussolini vestito di nuovo, tu sei la Giorgia in gonna e tacchini; lei ha stanato i fascisti dal covo: sono al governo i repubblichini! Porta la fiamma che il duce le fece ed il baston che risale a quel dì … Contro i migranti lo agita, invece ai forti poteri lei dice di sì. Lei per le donne poco si è spesa; costano i nidi al salvadanaio … Sì è una donna, ma ora si è arresa ai maschilisti del suo pollaio. “ E’ sempre valido il Codice Rocco, la magistratura io voglio ai miei piè … La Costituzione io la ritocco e ai magistrati rispondo: tiè!” O Mussolini vestito da donna che agiti ancora il manganello, mettiti pure, se vuoi, la gonna, ma è sempre quello il tuo cervello!
(Specchio specchio delle mie brame, chi è la più femminista del reame?)
di Anna Maria Guideri
Da quando Giorgia Meloni è stata nominata capo ( e non capa) del governo ci si chiede con interesse spasmodico degno di miglior causa, se questo evento possa essere considerato una vittoria storica del femminismo. Certo, il fatto che per la prima volta in Italia una donna abbia conquistato la vetta del potere politico è oggettivo e non irrilevante. E’ senz’altro una novità perché Meloni è una donna e lei ci tiene a ribadirlo, come se ci fossero dubbi in proposito e, nonostante rivendichi l’articolo maschile per la sua carica istituzionale – il Presidente – donna e cristiana finiscono per a e quindi sussiste la prova provata della sua appartenenza al genere femminile. Però, se ci si spinge appena un po’ più in là e ci si chiede se questa nomina a Presidente del Consiglio dei ministri giovi alla causa femminista, i dubbi scompaiono e la risposta è: NO. Lo stile meloniano (aggressivo, autoritario), ma più ancora i provvedimenti del suo governo (tampon tax, tagli del 70% ai fondi per la prevenzione della violenza contro le donne, mancata approvazione di una normativa di contrasto alla discriminazione di genere, mancato riconoscimento dei diritti dei figli delle coppie omogenitoriali, le varie strategie di contrasto all’applicazione della legge 194 …) dimostrano che il maschilismo è un fattore culturale trasversale ai generi e che non basta essere donne per dirsi dalla parte delle donne. Per Giorgia Meloni la donna è soprattutto madre, ma distingue tra madri vere e madri finte, fra quelle naturali e quelle contro natura. Di conseguenza anche i figli nati con metodi non naturali non sono figli veri e pertanto non hanno diritto di essere considerati tali. Sembrano veri, ma non lo sono, e come gli ultracorpi, in combutta con i migranti, fanno parte di un complotto internazionale mirante alla sostituzione etnica della nostra popolazione. Insomma, come natura crea,Giorgia conserva. Paradossalmente Meloni, proprio in quanto donna di potere così refrattaria alle istanze femministe, rappresenta un valore aggiunto alla cultura conservatrice maschilista. Se anche le donne di potere danno ragione ai maschilisti, i maschilisti hanno ragione! Così, la cultura maschilista, anziché indebolirsi si rafforza virilizzando le donne e annettendole alla propria causa. Se anche le donne – come recitava Benigni – le son’omini anche loro – dove sta la vittoria delle donne? Le donne vincono solo se possono affermare la propria identità senza riceverla in dote dai maschi o dalle donne di potere loro complici. Il femminismo non è una questione di genere, ma di contenuti e Meloni ha vinto imitando i maschi superandoli in peggio. Per le donne la vittoria della Meloni è una beffa vera e propria. Che ne sia o no consapevole, lei si ritrova ad essere usata come modello dell’emancipazione femminile allo scopo di perpetuare il potere maschile sul piano dei valori culturali e sociali. Meloni è la cavalla di Troia con dentro le truppe fascio-maschiliste addestrate ad invadere il campo delle femministe per convincerle di avere conquistato il potere. Ma, come quel gatto affetto da manie di grandezza, vede nello specchio che lo riflette, non la propria immagine, ma quella di un leone, così molte donne di sinistra si rispecchiano nella Meloni come in colei che le ha affrancate da una plurisecolare minorità. Lo specchio deformante della manipolazione mediatica presenta la Meloni come colei che è riuscita a scardinare il potere maschile nell’Italia post-fascista! Chi l’avrebbe mai detto che un giorno il femminismo avrebbe dovuto ringraziare il fascismo?