La Cena

Da: Mosaico / Gino Benvenuti. Il Punto rosso, 2019.
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In un’ampia sala di ingresso di una casa colonica, finemente ristrutturata, cominciarono ad arrivare alla spicciolata, nel tardo pomeriggio, un gruppo di persone invitate per una cena. Ad attenderli in quella stanza dal soffitto alto e con il pavimento in cotto lucidato, con delle bellissime piante ornamentali, c’erano dei camerieri in divisa da grande occasione. Uno di essi aveva al momento, il compito di accompagnare le persone al guardaroba e sistemare i soprabiti, un altro era a disposizione per risolvere qualsiasi problema che potesse nascere anche per comunicare con l’esterno dato che in quella zona, i cellulari non ricevevano alcun segnale e gli altri camerieri erano in cucina.

Quel luogo non era la prima volta che ospitava delle cene riservate ed il gruppo, essendo molto affiatato, in attesa di sedersi si sbizzarrì con ricordi, argomenti, commenti sui loro abbigliamenti di circostanza e pettegolezzi vari. In questo piacevole colloquiare cominciarono subito a sostituire il nome di battesimo con il soprannome. Fu così che la farmacista una donna nubile di mezza età e di media statura sempre silenziosa e taciturna, non appariscente e sempre con gli occhiali scuri, da Margherita diventò “Fiala” non per la sua magrezza bensì perché non disdegnava distribuire in certe circostanze particolari, delle sostanze senza ricetta, l’insegnante e traduttrice di madrelingua inglese venne subito chiamata “Biancaneve” invece di Hillary perché circolavano voci insistenti che avesse l’abitudine saltuarie di tirare su della coca, mentre il notaio un uomo di bassa statura, con pochi capelli, brutto, dal corpo sgraziato e leggermente gibboso che lo aveva reso oggetto di dileggio e canzonature costanti dalla scuola elementare in poi, in possesso di una notevole cultura e titoli accademici di riconosciuto valore, fosse chiamato confidenzialmente “Leopardi”.

Avido aveva fatto dei soldi lo scopo della sua vita al motto “compro e quindi esisto, ostento e quindi valgo” mettendo insieme una fortuna con la quale aveva anche allettato più di una donna, ma il dubbio o meglio la certezza che non fosse un tipo avvenente, faceva sospettare di tutte e di tutto. Sapeva che l’amministrazione disponeva del suo segretario come persona capace di redigere contratti, ma, invitato per la seconda volta a questo tipo di cene, sperava di raggranellare qualche atto da stipulare. Il comandante dei vigili sempre in uniforme anche nei giorni festivi, alto e giovanile, dal fisico prestante, con un pizzo ben curato, ma con dei lobi enormi, passò da Mauro a Pluto nei primi tempi e dopo, quando prese servizio, diventò “Sirena” vista la sua ripetuta attitudine di inserirla anche in momenti di ordinaria attività per superare agevolmente eventuali ingorghi o imprevisti. L’ architetto Sauro venne subito scherzosamente appellato “Restauro” per la predilezione professionale nel restaurare annessi agricoli e case coloniche piuttosto numerose nel suo paesaggio, tra cui quello dove abitava il sindaco, mentre la commercialista una donna di media statura, rotondetta con il doppio mento, uno stato di cerone sul volto ed i capelli pieni di lacca che non si muovevano nemmeno se fosse arrivata la bora, di cui non tutti conoscevano il nome di battesimo, fu nominata fin dal primo momento “Cambiale” perché non ne aveva pagate un paio mandandole in protesto. L’altra donna presente, la segretaria comunale, da Alessia diventò “Tuttofare” da quando un giorno in un’assemblea pubblica disse ingenuamente “io sono una tuttofare” suscitando sghignazzi e risatine caustiche essendo molto chiacchierata.

Mancavano ancora degli invitati e pertanto i camerieri non invitarono i presenti a sedersi al tavolo tanto più che erano impegnati in cucina nei preparativi gastronomici assillati di non fare in tempo a finire prima che arrivasse l’assessore. Suonò il campanello ed i presenti si voltarono verso la porta per vedere chi fosse arrivato. Quattro persone varcarono la soglia della villa e subito Tuttofare salutò la capogruppo: -Ciao Betta- le disse facendolesi incontro -bello codesto completo sportivo; il colore azzurro ti dona- continuò mentre Betta, l’avvenente e giovanissima capogruppo, accennò a lisciarselo sui fianchi rendendolo ancora più aderente. Era una donna piacente, alta, con i capelli corti e neri che faceva sfoggio, anche nel suo abbigliamento, di quei particolari che l’ accreditavano come donna alternativa e creativa, anche se in realtà scopiazzava da riviste di moda come per la sua professione di arredatrice nella quale attingeva a piene mani da soluzioni ricavate da riviste specializzate. Si dice che essere architetti accredita la fama di “genialoidi” ed allora tanto vale mostrarlo sempre anche se ciò non risponda a verità.

Prima di togliersi lo zainetto pittoresco e decorato, quando si abbracciò con Tuttofare lei, rivolgendosi ai presenti che non la conoscevano, disse “questa è Betta meglio conosciuta come Tetta per il suo petto notevole” e questa precisazione fu accolta con una risata e degli applausi, prima delle canoniche strette di mano. Di seguito a Betta entrò anche una coppia e l’approccio dei presenti fu meno confidenziale dopo che costoro avevano lasciato il proprio soprabito nel guardaroba. Si trattava della signora Vera, parente del sindaco, ed apprezzata ginecologa con la quale non era conveniente azzardarsi in scherzi ed in confidenze in quanto era a conoscenza di molti segreti professionali essendo nel suo campo una specialista a cui molti si rivolgevano.

Nella vulgata era soprannominata “Utero”, ma a nessuno venne in mente di esordire con questo soprannome e così tutti la chiamarono con il proprio nome. L’altra persona era il giudice Ermanno, un uomo di bassa statura e pingue, leggermente stempiato, dalla pancia voluminosa ed un volto squadrato con una barba folta e brizzolata, un collo quasi inesistente ed al di là della sua apparente immagine austera, accresciuta da particolari occhiali professionali, in certe situazioni si trasformava mangiando con voracità smodata in barba a qualsiasi etichetta. Venne ribattezzato “Ergastolo” perché una volta nel corso di una cena tra colleghi, essendo visibilmente sbronzo al termine di una canzoncina goliardica e scurrile, con un bicchiere in mano, pensò di esternare che “nel mio lavoro io non voglio sbagliare nel comminare una pena…ed allora do il massimo previsto” facendo allibire i colleghi.

A chi gli fece presente che così si poteva esporre ad inevitabili ricorsi liquidò questa obiezione dicendo: -Faccio lavorare tutti; con me gli avvocati non restano mai senza lavoro!-. Il giudice unica persona in doppio petto, camminando con la giacca aperta si presentò alla signora Vera accennando un lieve inchino e dopo si intrattenne nella sala. A questo punto mancavano solo tre invitati cioè l’ Assessore, personaggio clou di questa riunione conviviale, il suo assistente e l’avvocato esperto in cause inerenti i problemi amministrativi, sempre a disposizione dell’amministrazione comunale.

Considerato che a quel punto erano già presenti quasi tutti gli invitati, i camerieri comunicarono loro che potevano sedersi a tavola con la raccomandazione fatta, da chi aveva promosso la riunione, che si rispettasse un criterio di alternanza tra uomo e donna nei posti a sedere. Tutti si mossero verso la sala pranzo esternando apprezzamenti lusinghieri per come essa si presentava. La stanza per la cena era di media grandezza pavimentata in cotto ben tenuto e finestrata in due punti. In corrispondenza di esse un listello di pietra serena ed un piccolo scalino lasciavano intendere una diversa e remota destinazione.

Il tavolo di noce massello coperto da un tovagliato di lino, era stato apparecchiato con stoviglie di ottima fattura e su di esse spiccavano anfore colorate dalla pancia zigrinata e delle iniziali sul fondo del piatto e della scodella; si dice che fossero appartenute ad una casata nobile. All’altra estremità del tavolo ne era stato collocato, leggermente discostato, un altro di servizio per comodità nel servire e lasciato libero in una parte nell’eventualità che fosse capitato un ospite inatteso a cui fosse stato difficile dire di no. Al momento vi erano appoggiate delle stoviglie anch’esse contraddistinte dalle stesse decorazioni, dei gruppi di bicchieri e di posate. Appena tutti furono seduti, squillò la campanella di bronzo e dopo poco comparvero l’assistente dell’assessore “ Sacrestano” insieme ad un giovane sconosciuto. Alto, con un taglio di vestito elegante, con un volto ben curato dalle guance scavate e gli zigomi sporgenti, con sopracciglia compatte, capelli ed occhi castani: era l’avvocato che solo da due settimane era stato accostato all’amministrazione.

Di lui non si sapeva molto a giro e fu oggetto di particolari attenzioni mentre in piedi, si presentò agli invitati: -Mi chiamo Gualberto e sostituisco l’avvocatessa Tessa che oltre ad essere una mia collega è anche mia amica. L’ho sentita poco prima di venire qui; sta bene e vi manda dei calorosi saluti a tutti- . Terminata questa stringata ed applaudita presentazione, volle stringere la mano a tutti ed arretrando fece un lieve inchino dirigendosi in uno dei due posti liberi tra la signora Vera e la commercialista che chiese al comandante dei vigili notizie su Tessa. -È incinta, ma non l’ho messa io … lo giuro- ridacchiò facendo sorridere anche Cambiale che per cambiare discorso chiese se il nome Tessa fosse quello di battesimo oppure l’abbreviazione di avvocatessa. Venne subito ragguagliata da Sirena che le raccontò, con una punta di sarcasmo, tutti i particolari sottovoce: -No quel soprannome se lo è guadagnato sul campo quando una sera intervenendo in un dibattito pubblico sulla famiglia disse “io non sono Monna Tessa” ricevendo dal fondo della sala da parte di un’insolente cittadina un “non ci mancherebbe altro che ti spacciassi per una Madonna”.

Quando l’avvocato si guardò attorno incrociò gli sguardi di di Biancaneve e Fiala che subito, essendo sedute sull’altro lato della tavola, pensarono “aspetta un po’ che ti si trova il soprannome anche a te”. Questa novità sembrò stemperare l’umore del gruppo, ma una domanda all’assistente dell’assessore riportò nel clima consueto di questi appuntamenti. -Sacrestano ha notizie dell’assessore?- domandò Sirena. -Ho provato a chiamarlo prima di entrare qui, ma non ha risposto. Riproverò tra qualche istante- rispose maneggiando il cellulare. Il “Sacrestano” come veniva soprannominato il segretario di fiducia della assessore per una sua presenza in adolescenza in seminario, si scusò per il ritardo e dopo con la sua immancabile valigetta si presentò al tavolo sedendosi accanto a Tuttofare e di fronte a Fiala; per una volta aveva dovuto rinunciare a stare vicinissimo all’assessore e finì relegato all’ultimo posto della tavola senza nessuno alla sua destra, tuttavia questo non lo preoccupò.

Temperamento introverso e timido non era un compagnone e si concedeva pochi svaghi essendo immerso sempre nel suo compito che svolgeva in maniera metodica e prolissa; quasi maniacale. Per lui, unico scapolo del gruppo, la giornata era sempre uguale con gli stessi riti, gli stessi tempi ed i soliti appunti che annotava con puntigliosità; un’autentica macchina da voti con una conoscenza capillare della sua realtà. Registrava qualsiasi discorso o commento politico in paese, anche quelli che gli venivano riportati, e finita una campagna elettorale cominciava a lavorare per la prossima dopo aver studiato i flussi di voto. Durante le elezioni era tutto un girare fuori delle sezioni ricordando ad amici e votanti l’orientamento di voto. Niente di illegale, ma quando riscontrava qualche perplessità, cercava di ricordare qualche favore avuto, rigorosamente appuntato, per convincere i recalcitranti a votare il “suo candidato”. -Signor Gualberto e signora Vera non fateci caso se ci chiamiamo per soprannome … siamo amici da lunga data. Non scandalizzatevi, ecco- insisté Sirena che aveva colto un po’ di imbarazzo sui loro volti -e se vi dà fastidio per una sera se ne può fare anche a meno- precisò. -Perché? A me se mi chiamano Tetta non mi dispiace- obbiettò la capogruppo molto votata dai giovani -è proprio bellino così; dai- . -No, no non ci scandalizziamo; fa piacere vedere persone allegre e simpatiche- rassicurò la signora Vera -non si può mica sempre parlare di lavoro, eh- precisò sorridendo. -Allora Sacrestano l’assessore si fa attendere?- domandò Biancaneve. -Ora lo chiamo subito- rispose preoccupato, ma il suo tentativo fallì nel giro di pochi minuti.

Un cameriere comunicò di avere ricevuto una telefonata dall’assessore sul telefono fisso con la quale esso garantiva di arrivare entro un quarto d’ora e tutti batterono le mani, però quando tornò una seconda volta ripetendo “arriverà tra venti minuti”, ci fu qualcuno che nervosamente, stava frantumando la mollica di una baguette sulla tavola e chi invece continuava a sorseggiare del vino per ingannare l’attesa. -Allora si comincia a mangiare oppure no? Abbiamo fame. Se non viene lui, ci siamo noi, eh!- brontolò il giudice facendosi portavoce di un malessere diffuso. -Giusto! Non siamo mica qui a trastullarci- rincalzò Cambiale alzando il calice -alla fine mi ubriaco a forza di bere a stomaco vuoto-proseguì.

Quando tornò il cameriere tutti pensarono che ripetesse la canonica frase “signori ci è stato comunicato che sta per arrivare; pazientate un attimo” ed invece informò che “l’assessore ci ha autorizzato ad iniziare la cena perché lui giungerà tra poco”. Un applauso fragoroso riempì la sala ed alla fine colui che era stato preposto al guardaroba annunciò che sarebbero arrivati gli antipasti di mare e terra diversamente serviti ed assortiti ed immediatamente due camerieri con due vassoi stracolmi, a testa, apparvero sulla soglia della stanza. Fornivano un magnifico colpo d’occhio e si sentirono dei prolungati “ooohhh” e dei commenti di soddisfazione unitamente ad un applauso che echeggiò a lungo nella stanza. Si leggeva sui volti degli invitati la loro contentezza e qualcuno subito celermente, s’inserì il lembo del tovagliolo dentro il collo della camicia adeguando così la propria “divisa” per il combattimento; forchette in mano e coltelli impugnati, appoggiati con la punta del manico sul tavolo come baionette, senza distinzione di genere.

I vassoi vennero posizionati a distanze eguali sul tavolo. Se fu felice la scelta di darne due ogni sei persone al fine di evitare incursioni degli invitati più distanti, ciò non risolse la scarsa creanza di chi sentiva per il digiuno, qualcosa più di un languore. I camerieri che si erano offerti per servire i convitati, furono dagli stessi allontanati per la preoccupazione di dover attendere troppo il proprio turno. Nel timore di rimanere senza, fu tutto un incrociarsi di forchette che suonavano come scimitarre nel tentativo di carpire quanto più possibile in un colpo solo; dove non arrivarono le forchette, arrivarono le mani. Ovviamente la corsa fu al prosciutto ed ai crostini dal profumo delicato per chi preferiva la “terra” ed ai gamberi, piccoli quadretti di pesce-spada e spigola con la maionese su pane abbrustolito per chi preferiva “il mare”. I meno veloci dovettero accontentarsi della “soprassata”, mortadella e qualche sotto-olio da un lato e totani, polipetti ed alici marinate dall’altro. Nella contesa per un crostino, esso cadde sul tovagliato, però il suo sugo venne raccolto disinvoltamente con un cucchiaio e trangugiato immediatamente. Man mano che gli antipasti scemavano, i vassoi venivano posizionati verso il centro del tavolo.

Chi come Sacrestano, era in fondo alla tavola non se la sentì di partecipare alla competizione e si dovette accontentare di alcune fette di finocchiona e di alcuni sottaceti considerati di scarso interesse culinario ed anche Gualberto si tenne sulle sue. -Buono questo crostino- disse Biancaneve succhiandosi i polpastrelli unti. -Signori dopo i “primi”, dato che a momenti arriverà l’assessore, sospenderemo le portate in maniera da permettere a lui di affiancarvi e proseguire tutti assieme- fecero sapere i camerieri anche loro coinvolti e compartecipi di questa festa. Il brusio ed il tintinnare delle posate dava la misura della gaudente convivialità e quando qualcuno si lasciò andare anche ad un rutto, il biasimo rimase circoscritto a qualche espressione di sconcerto; ci fu però anche chi ci rise sopra. A fronte di tanta voracità ed a domanda precisa, un cameriere ricordò che “oltre gli antipasti ci sono ancora due primi e due secondi, oltre la frutta ed il dolce”. -E il caffè; no?- . -Certamente che cena sarebbe senza un ottimo caffè ed anche, spero, un liquore se qualcuno lo gradirà- aggiunse il giudice. -Bene, bene; così ci piace- commentò Cambiale.

Dopo questa serie di ripetuti assalti nei quattro vassoi, rimasero due fette di mortadella, un cetriolino ed un funghetto sotto-olio. Il cameriere aveva già ammonticchiato i tre vassoi sgombri e quando si accinse a prendere l’ultimo con il modesto avanzo, alcuni guardandolo pensarono di accaparrarselo. Su quel vassoio convergevano gli sguardi di alcuni commensali e nessuno sarebbe voluto passare da ingordo nel prelevare gli esigui residui, ma quando il cameriere fece presente la irrilevanza della rimanenza, allora con l’alibi di questa segnalazione, il più bramoso degli ospiti, Ergastolo, fece un cenno. -Le dia a me quelle fette. Poverine sono lì che mi dicono “mangiami”!- disse strizzando l’occhio agli altri commensali. -Una tocca anche a me- gli rispose Cambiale seduta di fronte a lui. -Pari o dispari- gli rispose il giudice che aveva fatto per primo la richiesta. -Un, due, tre. Cinque più tre; pari ho vinto io- disse soddisfatta la donna.

Nel frattempo Sirena, collocato a metà della tavola alzandosi mise tutti d’accordo. Spalancò le fauci e dopo aver afferrato le fette, le lasciò semplicemente cadere dentro. Rimasero tutti di stucco mentre lui si affrettò a deglutirle quasi senza masticare a cui aggiunse il funghetto sott’olio. Fu la volta dei primi: spaghetti allo scoglio, impepata di cozze e cacciucco da una parte e penne, lasagne e tagliatelle al ragù dall’altro; dell’ospite tanto atteso, nessuno ne parlava. Tra scarpette nei piatti e brindisi a ripetizione sempre in onore di qualcun altro, le conversazioni s’intrecciavano tra risate sguaiate, gesti ed ammiccamenti scurrili e qualche calcetto sotto il tavolo dove qualche commensale sfiorava il ginocchio della persona accanto.

Addirittura ci fu un approccio osceno come quello di Ergastolo che, particolarmente sfrontato, tentò di far risalire alla piacente ed un po’ rotondetta Cambiale seduta davanti a lui, il piede senza la scarpa, tra le sue ginocchia; almeno agli inizi. La donna percependo l’insidia, dimenandosi guardò negli occhi l’invitato audace e gettò intenzionalmente il tovagliolo per terra. Subito un cameriere zelante si chinò per raccoglierlo e fu in tempo a notare un piede senza scarpa sospeso e puntato contro i ginocchi di Cambiale; un sorrisetto gli comparve sul volto dopo che ebbe stirato i suoi baffetti. Un lieve colpo di tosse e rimise sul tavolo il tovagliolo incrociando lo sguardo del giudice che arrossì mentre lei alzandosi addusse un pretesto per andare in bagno e si allontanò dal tavolo. Alla fine del giro i commensali si erano sbizzarriti con una preferenza per i primi “di mare” e quindi immaginiamoci la confusione. Mani unte, gusci che scivolavano qua e là, nonostante fosse stata prevista per ognuno un’ apposita vaschetta e delle salviette profumate per tergersi le dita, spaghetti tirati su succhiando con suoni da cavernicoli e bicchieri di vino bianco, fresco ed amabile marchiati da bocche bisunte.

Il responsabile della sala, che aveva indossato una giacca diversa dai suoi colleghi, stazionando sulla soglia della sala sorvegliava affinché tutto si svolgesse senza intoppi, sempre pronto a farsi avanti per esaudire un desiderio o una necessità degli invitati. Una prolungata scampanellata fece capire che era arrivato l’ultimo ed il più ambito degli invitati: l’assessore ai lavori pubblici ed egli si precipitò ad aprire la porta. Salutò l’ospite e dopo si offrì per aiutarlo a togliersi il soprabito. L’uomo estratto il cellulare da una tasca interna, gli consegnò il cappotto per metterlo nel guardaroba ed egli, affiancandolo verbalmente, riferì l’elenco di ciò che era stato preparato. Nel dirigersi verso il bagno l’assessore chiese degli antipasti di terra “perché sono stato quattro ore chiuso in una stanza a discutere e sono quasi digiuno. Ho solo bevuto”.

Fu avvisato che in cucina stavano preparando, a richiesta, alcuni primi, perché le prime portate doppie erano state semplicemente spazzate via in un quarto d’ora. -Accipicchia, hanno proprio fame!- commentò l’assessore. -Sa, noi abbiamo fatto delle cose squisite- commentò compiaciuto il responsabile della cena. -Questi mangerebbero anche i sassi; sono peggio degli Unni- ribadì l’assessore a cui, con un lieve inchino, venne chiesto cosa desiderasse come primo. -Senta maître tagliatelle al pomodoro con poco formaggio; se non ci sono vorrei del riso in brodo- . -Troppo buono per la qualifica che mi ha attribuito; glielo faremo immediatamente- rispose costui avvertendo immediatamente il cuoco mentre l’assessore che conosceva bene il luogo, tastò sopra uno stipo, prese una chiave ed utilizzò il bagno privato. -Non si mai, meglio avere tutte le cautele- pensò una volta dentro l’ambiente perfettamente igienizzato. Si lavò le mani e dopo, preannunziato, fece l’ingresso in sala lungamente applaudito.

Il primo a farglisi incontro fu Sacrestano che gli dette la mano, come tutti gli altri commensali, e quando arrivò a capotavola davanti al banchetto, fece un inchino ai presenti scusandosi per il ritardo “dovuto a motivi di lavoro”. Una volta seduto alla sua sinistra aveva Leopardi anche se avrebbe preferito tenere Restauro a cui erano state, di recente, assegnate alcune lottizzazioni importanti, fornendo però gratuitamente in cambio la ristrutturazione di un vecchio cascinale ubicato ai confini del paese su un poggio delizioso, futura dimora dell’assessore. Dall’altra parte aveva la signora Vera moglie del sindaco con la quale non aveva una particolare simpatia ed anche qui avrebbe preferito avere Biancaneve che gli aveva curato le pubbliche relazioni con un comune estero gemellato stilandogli tutto il materiale cartaceo, nonché il video in lingua, e preparato i discorsi di prammatica che spacciava come suoi durante le cerimonie però in questa situazione, per rilevanza politica della ospite e per pura educazione, non se la sentì di chiedere loro di cambiare posto.

Dentro di sé rimuginò che “la prossima volta commissionerò Sacrestano per la disposizione dei posti. In fondo se non fossi arrivato in ritardo ci avrei pensato da solo”. Fugati questi pensieri arrivarono gli antipasti per l’assessore che iniziò a mangiare mentre gli altri che avevano già saziato in parte la loro voracità, attesero che finisse anche il primo in maniera da proseguire il resto del cena tutti insieme. -Scusate, ma ho fame- disse a sua discolpa mentre gli altri lo stavano osservando. -Mangia mangia, dopo ci racconterai- gli disse l’amico notaio. Sotto voce il comandante dei vigili sussurrò a Tuttofare accanto a lui: -Tanto mangia poco dove lavora, tu l’ha far mangiare anche qui- . -Ah, ah, ah- rispose la donna con gli occhi velati dal vino cercando di mimetizzare la propria ilarità. A chi, intuendo qualcosa, le chiedeva perché avesse accennato ad una risata subito smorzata da una mano davanti alla bocca, fece un cenno come dire “ve lo spiego dopo”, perché sapeva che l’assessore era permaloso ed allora era meglio evitare del sarcasmo palese; ne poteva andare di mezzo il suo lavoro.

In una riunione politica analoga, perché di questo si parla, seppur mascherata da evento gastronomico, l’assessore ebbe un diverbio con il precedente commercialista che gli contestava la insostenibilità dei conti proponendo nel contempo alcune soluzioni alternative. Costui, professionista esterno a cui era stata commissionato un incarico, a differenza di alcuni presenti che facevano parte della pianta organica della struttura comunale e non disdegnavano il secondo lavoro, fu licenziato in tronco, in presenza a tutti e prendendo la sua cartella uscì immediatamente tra l’imbarazzo degli altri ospiti. Lo sconcerto immediato fu assorbito nel breve giro di un’ora e lasciò posto ad un calcolo di convenienza degli altri professionisti, perché tutti pensarono “meno siamo e più si guadagna”; infatti dopo un paio di giorni, nessuno menzionava il coraggioso commercialista che aveva osato sfidarlo. L’assessore dal canto suo, interpretando Machiavelli pensò che “il bene deve essere distribuito lentamente per tenere tutti sulla corda mentre le cose spiacevoli è bene farle tutte in una volta” quindi commentò all’istante “prima ci si leva il dente e meglio è”.

Memore di questo precedente anche il comandante dei vigili immediatamente riprese il proprio aplomb. Non poteva essere caustico nei confronti di chi gli forniva gratuitamente la macchina di ordinanza anche nei giorni festivi in cambio di un servizio da tassista, mascherato da esigenze di servizio, quando, segretamente all’insaputa di sua moglie, doveva accompagnarlo e riprenderlo agli appuntamenti galanti con Fiala sempre disponibile e fornita di farmaci per permettere al suo amante di essere all’altezza delle proprie prestazioni sessuali. Finito il piattino di antipasti, all’assessore venne subito portato il riso in brodo con delle cozze e lui cominciò a sorbirlo lentamente mentre un altro cameriere si presentò con un cacciucco per l’avvocato ed uno spaghetto allo scoglio per Sauro che giustificò il suo appetito: -Mi dovevo ristorare- . -Scusa Restauro ti dovevi ristorare o restaurare?- arguì malignamente il notaio. -Senti Leopardi se qui c’è uno che si deve restaurare mi sembri proprio te- ridacchiò Restauro ricevendo in cambio un’astiosa occhiata dal notaio.

Seguì un silenzio imbarazzante ed accortosi di questa gaffe l’assessore volle scherzarci sopra invitando tutti a non chiamarsi con il soprannome tuttavia Cambiale puntualizzò che l’avvocato non ne aveva uno. -È nuovo ancora, ma se ci frequenta verrà battezzato presto- . Il maître fece togliere le ultime scodelle ed a tavola sgombra illustrò il menu previsto: -Allora signori abbiamo come carne alla brace: bistecca, rosticciana, arista e faraona arrosto. Per pesce abbiamo frittura mista, spigola e spiedini di gamberi. Come contorno abbiamo patate fritte ed arrosto, fagiolini e piselli- . -Va bene cominciate a servirci i “secondi”- comandò l’assessore che rafforzò questa richiesta con un cenno. Arrivarono i camerieri con i carrelli e mentre essi iniziarono dal capotavola a servire gli ospiti, egli chiese un attimo di attenzione: -Volevo fare un discorsetto però di fronte a questo ben di dio sono costretto a rimandarlo. Chiamiamoci per nome o soprannome come volete; comunque allegria. So, dato che mi è stato riferito, che mi chiamate “Il Busta”, ma ciò non mi preoccupa; non me ne prendo a male- affermò l’assessore stupendo i suoi commensali anche se nessuno dei presenti, nel prosieguo della cena, vi accennò. -Meglio sentire i discorsi a pancia piena- commentò l’architetto. -Anche farli- replicò lui sorridendo. -Scusi assessore lei è sinistro?- gli chiese Leopardi che mangiando con la mano destra a volte aveva sfiorato la sua mano. -Veramente io non sono sinistro, ma sono di sinistra- ridacchiò tra una forchettata e l’altra. -Non me n’ero accorto- ribadì puntiglioso il commensale. -Meglio così almeno viaggio in incognita- . -Buona come battuta- intervenne il suo portaborse, con uno sguardo gelido, rompendo un silenzio prolungato. -Ma la sinistra è la mano del diavolo- insisté Biancaneve dopo averci rimuginato. -Infatti che cosa c’è qui- rispose l’assessore puntando un dito sulla fronte. -Cosa?- . -Le corna- rispose sbeffeggiandosi con un gesto della mano. -Io non le vedo- ammise ingenuamente la donna. -Ma ce l’ha- sogghignò Cambiale mettendosi una mano davanti alla bocca. -Ma sei sicura?- domandò il comandante dei vigili. -Dopo te lo dico- rispose lei con un’espressione perfida.

Il pranzo proseguì con giovialità e tutto era pretesto per intrecciare conversazioni e le parole si incrociavano da un posto all’altro del tavolo senza riferirsi necessariamente al dirimpettaio come il rovistare in vassoi lontani dalla propria sedia. Ad un certo punto entrò il maître ed avvicinandosi all’assessore gli disse alcune parole in un orecchio. Subito, egli si pulì la bocca e si alzò. -Scusate mi devo allontanare. Permettete? Parlate male di me, mi raccomando- disse sorridendo. La cosa doveva essere importante anche perché il telefono era nell’altra stanza e come si alzò i commenti si scatenarono in pettegolezzi. Il tema era quello delle corna. -Ma vi sembra normale stasera?- domandò Biancaneve. -È solo più loquace del solito- commentò il fido portaborse. -A me sembra un po’ alticcio- interferì Cambiale. -Diciamo che non è sobrio- controbatté Sacrestano. -Ma se è arrivato adesso. Avrà bevuto prima di venire qui- . -Meglio così. Altre volte è musone ed invece stasera sta alle battute e ride. Io lo conosco bene- puntualizzò Sacrestano -forse è particolarmente teso e cerca di mascherare questo suo nervosismo- concluse. -Ma allora me lo dici con chi se la fa, la moglie dell’assessore?- chiese il comandante alla commercialista, parlandole in un orecchio. -Se te lo dico non ci credi.

Prova ad indovinare- rispose la donna tenendolo sulla corda. -Con il giudice?- chiese incuriosito il comandante che non stava più nella pelle. -No- . -Dimmelo; forza!- insisté il comandante. La donna si piegò verso di lui e glielo confidò: -Acqua in bocca però- . -Mamma mia con quel rospetto di Leopardi; incredibile- commentò il comandante -è la fine del mondo- . -Ricordati che c’ha un sacco di soldi e poi tu lo sapevi già- . -Io sapevo?- . -Chi la porta agli appuntamenti?- . Sirena avvampò ed in quel momento si sentirono le imprecazioni dell’assessore perché parlava a telefono ad alta voce. -Abbiamo appena fatto in tempo a dire delle cose e siamo stati smentiti- . Una volta rientrato in sala l’assessore, i commensali pensarono bene di dedicargli un brindisi anche a risarcimento delle malevoli insinuazioni e sorpreso lui lo accettò leggendo questo gesto come apprezzamento per la sua persona.

Rumorosamente tutti afferrarono il proprio calice scandendo tre volte in successione “per l’assessore hip hip urrà”. -Mi state commuovendo- commentò e non ebbe la possibilità di dire altro perché rimbombò nella sala, un prolungato “discorso, discorso, discorso”- . -Ora Saverio non ti puoi esimere dal farci un discorso- insisté il giudice. -Bene allora cari amici ed amiche- e qui s’ interruppe perché gli era andato di traverso un nocciolo di oliva e fu costretto dopo aver strabuzzato gli occhi a bere un bicchiere d’acqua. -Allora prima di tutto vi voglio dire che sono stato a fare un sopralluogo e che mi avevano chiesto di restare a cena con delle persone, ma, pur sapendo di questo impegno, ho preferito la vostra bella compagnia- . Ancora applausi assordanti. Ci furono riferimenti di elogio ad ogni singolo commensale e gli occhi di costoro sorridevano prima della bocca. Scaltro sapeva che era davanti al suo comitato elettorale e le parole dovevano essere centellinate come le collaborazioni in quanto di lì a poco ci sarebbero state le elezioni e tutto si sarebbe giocato, secondo i sondaggi, per una manciata di voti. L’umore che si respirava in paese non era dei migliori per cui nessuna sbavatura poteva essere concessa né attizzata alcuna polemica e quando questa situazione si manifestò, al termine di una riunione politica, alcuni separatamente sottolinearono che con lui “vanno bene tutti; basta rispettare i patti”. -La vita è piena di insidie e di noia e momenti come questi ci ritemprano perché ci attenderanno momenti duri in uno scontro politico che in questo momento è più difficile del previsto.

So che posso contare su di voi, stimati professionisti e quindi avanti con questa squadra. Cento di questi giorni, salute e gioia per tutti. Al lavoro ed alla lotta!- finì applaudito. “Viva l’assessore” “Bravo Saverio” “Sei uno di noi” si sentì dire più di una volta. Tutti lo adulavano anche se avevano un grado di istruzione superiore al suo, che si era fermato alla licenza media inferiore, dopo aver ripetuto un anno la terza classe. Anche se la cena continuò dopo questo appello con la stessa allegria, il tavolo si stava diversificando. Gli ultimi due posti occupati da Sacrestano e Fiala lentamente sembrarono staccarsi dal resto del tavolo. Il primo non perse l’occasione in piena cena di annotare alcuni appunti, ma non poteva marcare da vicino Tetta per sentirne i suoi eventuali giudizi in merito alla politica ed alle elezioni.

Lei, sapendo il tipo che era, se ne accorta però se ne fregava anche perché essendo agli inizi di una gravidanza, preferiva parlare con Vera di cui era paziente. Le donne erano talmente prese dal loro dialogare che quest’ultima chiese a Gualberto, se non avesse niente in contrario, nel cambiare posto per farla sedere accanto a lei. -Che le pare; certamente. Faremo l’unità legale del gruppo trovandomi tra il giudice ed il notaio- commentò lui sorridendo. Fiala dal canto suo per il suo carattere introverso e per la sua educazione stentava a tenere il ritmo di loquacità dei commensali e trovandosi di fronte Sacerdote non aveva argomenti con cui colloquiare e come spesso le accadeva, dedicava ai liquori la sua attenzione. Sirena, notando questo scambio, disse a Gualberto: -Tu c’ hai rimesso; sei passato da essere accanto ad una donna con essere accanto a due uomini- sghignazzò applaudito dall’avvocato. -Ci abbiamo rimesso anche noi nel cambio; comunque va bene così- sogghignò il giudice nel pulirsi la bocca. -Bisogna dire che stasera Sacrestano è stato l’unico che non ha dimenticato il lavoro- disse Biancaneve che lo aveva osservato a lungo, però la prossima volta lo metteremo tra due donne e così sarà più allegro e gli faremo un piacere- e così dicendo dette fine ad un calice di vino.

Lui annuì sorridendo per la promessa, ma tutti si aspettavano due parole che non vennero. -Io sono il più fortunato di tutti perché da una parte ho Cambiale e dall’altro Tuttofare; meglio di così- commentò Sirena. -In che senso- chiese a sorpresa Fiala fino ad allora silente. -Nel senso che se ho da pagare una cambiale me la paga lei e sono sicuro che non va in protesto e se ho qualche necessità eccola qui: ci pensa Tuttofare. La prossima volta, ha ragione Biancaneve, metteremo Sacrestano tra due donne così smetterà di lavorare anche qui e lo faremo contento. Vero Tuttofare?- rispose con la solita allegria afferrandole il braccio. Lei colse l’occasione di tirarlo un attimo dalla sua parte e gli disse riferendosi a Sacrestano: -Sei proprio sicuro di farlo contento? Quante volte tu l’hai visto con una donna passeggiare per strada?- domandò guardandolo fisso negli occhi mentre la lingua le spuntò tra le labbra. -Mai. E allora?- . -Non hai mai sentito dire niente in paese? I nostri concittadini ricordati ti fanno barba e capelli. Sanno anche quello che ha mangiato il vicino a cena la sera prima. Ora chiederò in giro perché ho qualche sospetto- . Cominciò ad affiorare una lieve stanchezza anche perché la digestione manifestava i suoi effetti ed il tavolo cominciava a suddividersi tra gruppi presi dalle loro conversazioni.

Biancaneve per ravvivare l’ambiente, strizzando l’occhio all’assessore, si alzò in piedi con un bicchiere pieno di vino in mano proponendo un brindisi per l’assessore e subito i commensali la imitarono; non ebbero scelta. -Assessore siamo in tredici. Porta male- disse Restauro. -Porta male, a chi non c’è, ah, ah, ah- rispose lui mentre senza alcun ritegno frantumava gamberi con le mani e s’insozzava consumando tovaglioli di carta in continuazione. -Meno male che parlano nella fame del mondo- confabularono due camerieri. Ad un certo punto l’unto diventò fastidioso ed avrebbe voluto alzarsi per sciacquarsi le mani però al pensiero di lasciare ad un siffatto convivio queste prelibatezze, preferì sopportarlo anche se gli aveva fatto scivolare di mano un bicchiere. -Allora lo facciamo un brindisi all’assessore?- insisté Biancaneve – siamo tredici come la sacra cena- constatò facendo tintinnare il bicchiere con quello del comandante e dell’architetto a cui non aveva tolto lo sguardo di dosso per tutta la sera. -Allora chi è il Giuda della situazione. Me ne occupo io di fare il processo- apostrofò il giudice. -Io allora farò il difensore d’ufficio- controbatté bonariamente Gualberto facendo sentire per la prima volta la sua voce durante la cena. -Scusi assessore, ma lei si sente Gesù?- domandò Cambiale. -Ancora no! Sto studiando- rispose lui sorridendo. -E chi sarebbe il Giuda? Cerchiamo il Giuda- insisté il giudice lasciandosi andare sulla sedia mostrando in pieno la sua pancia voluminosa. -Giuda era un maschio sicché noi donne siamo esenti da questo sospetto- commentò Tetta che aveva interrotto il suo dialogo con Vera per fare il brindisi. -Fuori i trenta denari- ridacchiò il notaio con il suo immancabile riferimento ai soldi. -Anche le donne tradiscono e ne so qualcosa quindi in questo giochino per trovare Giuda si mette dentro anche loro- commentò Restauro separato da poco. -Io lo so chi è Giuda, ma non ve lo dico- ridacchiò l’assessore senza rendersi conto che quell’osservazione avrebbe creato dei sospetti con il risultato di minare la compattezza del gruppo. Un attimo di gelo cadde sulla cena e tutti cominciarono a sospettare di quello accanto, comunque il più indiziato, per esclusione, fu Sacrestano non perché stonasse per il silenzio in quella atmosfera allegra e contagiosa, ma perché era colui che conosceva bene la macchina elettorale e soprattutto perché non era ricattabile a differenza degli altri presenti tranne l’avvocato giunto da pochissimi giorni. Inoltre Sacrestano, per la mole del suo lavoro, era retribuito pochissimo ed in molti si domandavano perché questa dedizione così assidua, senza un tornaconto economico.

Sirena che era sposato con una donna imparentata alla lontana con il sindaco dimissionario, non si occupava di beghe politiche ed era comunque interessato affinché il sindaco rinnovasse il suo mandato anche se in un paese piccolo. Il potere piace indipendentemente dalla potenza che può esprimere anche solo per essere rispettato o per far parte del giro che conta, ed in un determinato ambiente, può essere gratificante. Tetta la capogruppo consiliare, la più giovane della combriccola, poco dopo le elezioni sarebbe diventata madre e si sarebbe sposata quindi sicuramente avrebbe vissuto una vita diversa da quella presente. Sauro aveva avuto un incarico importante dilazionato furbescamente in due tranche di cui una da eseguire dopo le elezioni e quindi la presenza dell’assessore in giunta sarebbe stata per lui una garanzia. L’avvocato era un nuovo adepto del gruppo non addentro alle problematiche amministrative e quindi ininfluente.

La farmacista era la più affidabile per i motivi che se erano risaputi da tutti che però non potevano esser resi noti. Anche quella sera mantenne un profilo silente chi le domandava che cosa avesse perché silenziosa rispondeva “sono soddisfatta”. -Bella cosa lei che è soddisfatta- . -A sentire dalle voci in giro non mi sembra proprio- borbottò sottovoce Tuttofare. La commercialista, che gli insegnava tutti i trucchi del mestiere, si fregò idealmente le mani quando in un discorso pubblico l’assessore le aveva fatto capire la possibilità di un lavoro supplementare per risolvere il contenzioso con il fisco. Il notaio pensò che sarebbe stato riconfermato per la consulenza sui contratti, così come il giudice che dava consigli a nero su questioni giuridiche quando sorgeva un contenzioso. Lo stesso dicasi per Biancaneve visto che nel programma elettorale erano stati inseriti un paio di gemellaggi con scambio reciproco di prodotto tipici delle rispettive zone e previsti anche dei viaggi come scambio di cortesia in una contea inglese.

Lei si era già attrezzata in caso di vittoria elettorale avendo già individuato l’albergo, di proprietà di un suo zio, dove avrebbe pernottato tutta la delegazione ed anche sua madre, che poteva partecipare come invitata alla festa del gemellaggio. Il tutto rigorosamente gestito da un’agenzia di viaggi di proprietà di sua cognata, grande amica della segretaria, che non disdegnava di fare delle ore a nero, nei pomeriggi liberi nell’agenzia. Per la segretaria sarebbe stata l’ennesima possibilità di passare una notte insieme all’assessore che non portava mai la moglie con sé quando andava in missione all’estero. A lui era stato chiesto il motivo di questa usanza, ma costui rispose “bisogna contenere le spese. Mia moglie viene con me all’estero quando sono in vacanza. Non mescoliamo il piacere personale con la politica”. In realtà era lei che non voleva seguirlo facendo la gioia del notaio. -Signori e signore stiamo scherzando- intervenne l’assessore sempre attento a non creare situazioni imbarazzanti.

Finiti i secondi fu la volta della frutta. Prima però il maître fece presente che se qualcuno lo desiderava, c’erano una dozzina di quaglie, un paio di piccioni pronti ed una faraona per esser cucinati a richiesta. -Ce lo dice adesso delle quaglie? Io ne prenderei una- ordinò il giudice, alzando l’indice della mano destra, che non smentì anche in quel frangente la sua fama di proverbiale forchetta parlando e bevendo a bocca piena. -Io, quasi quasi, assaggerei volentieri un piccioncino tenero- rispose la farmacista, confermando anche con un cenno della la testa. -Veramente quello che era al mare con lei l’anno scorso era piuttosto in là con l’età- sussurrò inaspettatamente Vera rivolgendosi a Betta che non capì subito il commento. -Io sono ghiotta di volatili!- insisté soddisfatta la farmacista lanciando un’occhiata all’assessore- . -Certo! Specialmente quando sono selvatici e proibiti- aggiunse maliziosamente Sacrestano che per la prima volta fece sentire un suo commento- .

Il volto diafano di Fiala che aveva udito queste parole, fu animato da un improvviso rossore e perfidamente controbatté: -Ti ho sentito, ma quello che hai detto mi fa un baffo. A me qualcosa di diverso piace; a te invece no. È questo il tuo problema- affermò alzando il tono della voce. -Cosa ne sai di me? Non ci frequentiamo perché non mi interessi- ridacchiò con un gesto umiliante della mano. -Che c’è braccio destro?- domandò l’assessore circondato da altre persone. -Niente un semplice frainteso. L’alcol fa brutti scherzi- replicò Sacrestano. -Vuoi ricominciare?- reagì Fiala stizzita come non mai. -Ora basta. I vostri problemi personali gestiteveli fuori. Questa è stata una serata piacevole e dopo dobbiamo parlare di e come dover fare la campagna elettorale. Per favore finitela qui!- intimò l’assessore. -Hai sentito?- chiosò Tuttofare rivolgendosi a Sirena- cosa ti avevo detto?- . L’arrivo del cameriere con il piccione e la quaglia arrostiti sedarono questo confronto astioso sul nascere.

Una volta appoggiato il vassoio sul tavolo egli disse che se qualcuno voleva ordinare di farlo subito perché altrimenti “chiudiamo la cucina”. -Iiiiihhh, che schifo mangiare gli uccelli- commentò nel contempo Tetta disgustata da quelle immagini. -Lei non li mangia, li ingoia ah, ah, ah- sibilò la segretaria. E giù risate che fecero arrossire l’ architetta che aveva captato la salace insinuazione della commensale. -Come sei cattiva Tuttofare; semplicemente tremenda!- le disse sottovoce il comandante mentre Vera scosse la testa lasciandosi andare ad una risatina. Il maître chiese all’assessore se doveva procedere nel servire il caffè e portare i liquori, ma lui rispose: -Per me va bene così- affermò l’assessore pensando già alla spesa anche se era accollata sul bilancio comunale -è meglio riposare un attimo, ed aspettare che abbiano finito di mangiare la cacciagione gli altri due-.

Fu l’occasione per qualcuno per alzarsi un attimo e fumare una sigaretta, mentre altri arretrando la sedia si distanziarono dal tavolo allungando le gambe. Quando il giudice e la farmacista ebbero finito, l’assessore fece un cenno perché si procedesse a portare caffè, liquori e dolci. E qui ognuno volle servirsi da solo con il risultato di imbrattare la tovaglia. -Mi dia quella bottiglia di limoncello- chiese l’avvocato rivolgendosi al notaio -se non le dispiace ne vorrei anch’io- concluse guardando Biancaneve. -Diamoci del tu- suggerì lei che gli era accanto. Il notaio che teneva in mano una bottiglia di grappa se la vide sfilare di mano da una presa fulminea e per poco nella concitazione non cadde.

Ondeggiò e si sedé immediatamente attraversato da un lieve pallore mentre alcuni, senza preoccuparsene reclamavano l’unica bottiglia, ma Gualberto afferratala con forza si riempì tre volte di fila il bicchierino . -Ci siamo anche noi; non lo beva tutto lei- brontolò la farmacista che non disdegnava, quando partecipava alle cene, di lasciarsi inebriare dalle bevande e qualche volta l’avevano dovuta riportare a casa perché malferma sulle proprie gambe. In una circostanza il birbantello del comandante cercò anche di insidiarla, ma lei, nello sprazzo di lucidità che le era rimasto, lo minacciò di rendere tutto ciò noto “a chi di dovere” e l’assalto fu stoppato. Dopo aver mangiato la frutta ed il dolce si passò al caffè; tutto con la dovuta lentezza. I volti erano rubizzi e distesi e l’assessore colse l’occasione al balzo; -Facciamo un brindisi con un liquore e dopo vi accennerò delle comunicazioni- . La tavola sembrava un campo di battaglia: piatti e bottiglie rovesciate, tovaglioli appallottolati, posate sparse, persone che sdraiate sulla sedia manifestavano la loro soddisfazione.

Cominciarono a volare palline di midolla che a turno colpirono un po’ tutti assessore compreso; non mancò il solito rutto che, affogato nel baccano circostante, passò inosservato cosa che invece non accadde quando intorno al tavolo si cominciò a sentire un fetore pestilenziale. Tutti cominciarono a guardarsi intorno fino a che il notaio, con la sua solita dotta citazione, parafrasando il “divin Poeta” disse con tono solenne, alzandosi in piedi: -Qui si convien lasciare ogni sospetto; ogni viltà convien che qui sia morta; detto in soldoni: chi l’ha fatta alzi la mano- . -Bisogna indagare- rincalzò il giudice. -Sì, ma salvaguardando il presunto imputato- interferì l’avvocato. -Imputato? Perché le donne non le fanno le scoregge?- obbiettò il giudice. -Assumo io la parte del difensore d’ufficio- disse l’avvocato che dimostrò nel frangente di essersi integrato molto velocemente nel gruppo -e quindi propongo che non vi sia “nocumento alcuno alla sua dignitate per chi abbia commesso tale nefandezza che ammorba l’aria”- concluse imitando il lessico ed il tono di Brancaleone.

Un applauso riempì sala tra chi si sganasciava dalle risate ed altri lacrimavano di contentezza in quella farsa continua. -La Corte accetta la mediazione proposta dalla difesa; notaio trascriva- . -Già fatto- rispose solerte mostrando al giudice lo scritto su un foglio spiegazzato. A questo punto dopo aver bissato la sua performance, la commercialista alzò la mano e disse: -Scusate perché “i fagioli mi fanno questo effetto”- . -Addirittura appena mangiato; non saranno nemmeno arrivati nell’intestino. Mamma mia o che è?- obbiettò la farmacista prima di tapparsi il naso. A fronte di questo rilievo lei arrossì. -Bene ora che si è trovato la colpevole, si fa per dire perché sfido chiunque a dire che nella vita non gli è mai capitata un’analoga situazione, azzeriamo tutto perché devo fare delle comunicazioni molto importanti- disse l’assessore.

Per un attimo il clima da gozzoviglio si stemperò e, cercando di recuperare una certa sobrietà, tutti si voltarono verso di lui, ma in quegli istanti suonò il campanello; tutti si guardarono in faccia perplessi. -Non rispondiamo. Sediamoci intorno al tavolo- propose l’assessore invitando Sacerdote accanto a lui con la borsa piena di relazioni, rilevamenti politici, documenti di programma, piantine geografiche e quant’altro potesse servire per la campagna elettorale. Din don; din don; din don: i suoni non cessarono e tutti si domandarono chi fosse l’intruso. Quando venne aperto, entrò un giornalista per chiedere notizie relative sulla imminente campagna elettorale.

Alla domanda di un altro reporter “è una cena questa?” rispose l’assessore: -Diciamo di sì. Tornate un’altra volta oltretutto non c’è più niente da mangiare- . -Scusate abbiamo avuto un’informazione sbagliata- bisbigliò il cronista. -Sono cose che capitano- commentò l’assessore che quando si sedette nuovamente al tavolo rimuginò: -Non ci sarà un Giuda tra noi, ma di sicuro c’è uno spione- .

Gino Benvenuti

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