Ironia

In una città tristemente famosa perché in realtà aveva abolito il sarcasmo e nessuno sorrideva più, almeno in pubblico, un gruppo di giovani di varia estrazione sociale decise di intraprendere una battaglia per introdurvi “il diritto all’ironia”.
Già il loro esordio fu trasgressivo perché scesero da una rudimentale auto con la propulsione a pedali, agghindata con uno slogan, a caratteri blu su uno sfondo giallo, abbastanza eloquente Ironie in der Stadt macht Frei (L’ironia in città rende liberi). Era stata assemblata con pezzi di fortuna ed i giovani, come se fosse Carnevale, arrivarono nella piazza centrale meta di confluenza non solo di vari aggregati etnici, ma anche di persone abbienti che non intendevano rinunciare all’aperitivo domenicale.

La variopinta comitiva esibiva il proprio vestiario quotidiano, degradato a costume, e quindi si videro felpe contrapposte a cappotti con il bavero di astrakan, abiti, molti in doppio petto, di pregiata fattura in stridente contrasto con tute composte da elementi diversi. Stesso divario si notò anche per i cappelli di varia foggia. Ad un chullo peruviano di lana colorata e con il paraorecchie, un basco marrone oppure un cappello blu du panno con la tesa che richiamava i bolscevichi, facevano da riscontro borsalini di feltro dalla larga tesa di vari colori. Nel confronto non fecero eccezione le scarpe dei giovani, generalmente sportive, qualcuna con qualche toppa e lacci differenti, rispetto a quelle sobrie ed eleganti in british style Church’s Oxford, Birkenstock e mocassini. Era incredibile come fosse possibile, da una semplice osservazione, notare delle differenze che rimandavano ad una stratificazione sociale con cui si componeva la città.

Un distinto signore chiese subito ad un amico con preoccupazione:
-Ma è già l’inizio di Carnevale? –
-Veramente non credo comunque te lo saprò dire subito- affermò estraendo il suo tablet per avere conferma.
Un minuto dopo precisò:
-Mancano esattamente 66 giorni, sei ore e trentadue minuti all’ultimo di Carnevale- .
-È il peggiore giorno dell’anno. Gente pezzente pretenderebbe di metterti alla gogna, con scherzi idioti per sentirsi al mio pari. Ma scherziamo? –
-Eh, come ti capisco. La mia cameriera si è vestita quel giorno così bene da Biancaneve che i miei figli si sono messi a piangere. È mancato poco che la licenziassi ma capisci non potendo abolire il Carnevale mi avrebbero dato torto. Non solo, ma lei si è messa al riparo da un eventuale futuro licenziamento perché il precedente, seppur formale fa testo- .
-E questi che vorrebbero? – brontolò in maniera sprezzante, una persona che indossava un vestito grigio dal tessuto pregiato dopo essersi tolto in segno di deferenza la sua coppola di fronte ad un suo amico, rappresentando perfettamente una sintesi di un’integrazione passata e di un’agiatezza presente.
-Meglio stare alla larga anche perché il riso è contagioso. Andiamo a prenderci un aperitivo; offro io- propose avviandosi al caffè centrale nel quale, nel tempo, erano entrati tutti i personaggi più noti della politica e del mondo imprenditoriale.

In quella galleria di stile mitteleuropeo non c’erano solo caffè dotati di confortevoli poltrone rivestite di velluto, con scacchiere pronte all’uso, giornali e riviste fermati da listelli di legno penzolanti da gancetti alle pareti; c’era anche la segreteria di un club esclusivo al quale non potevano accedere coloro che non avevano la cittadinanza di Musonopoli.
Anche nel caso che ce l’avessero avuta, lo statuto del club prevedeva che la domanda di iscrizione a socio o socia venisse decisa, con una riunione plenaria, che si svolgeva nell’unica sala, tra quelle preposte per varie iniziative, le cui finestre si aprivano solo verso un cortile interno costantemente vigilato durante il giorno.
Prima di entravi un cartello esplicitava le norme di comportamento “Ascolta e rifletti; non ridere”. In caso di accettazione della domanda il candidato o la candidata successivamente dovevano indossare una casacca azzurra legata con un cordone giallo oro in vita e fare un giuramento di rispetto ossequioso alle norme del club.

La data prevista per questa assemblea era quella che vedeva la coincidenza del numero del giorno con quello del mese e per questo che il dodici Dicembre questo gruppo di insolenti ragazzacci si presentò con megafoni e pacchi di volantini fin dalla mattina presto.
Via via che arrivarono i soci, uomini o donne che fossero, i giovani li distribuirono sorridendo ma tutti i passanti, quando presero in mano il proprio, osservandolo da entrambe le parti, riscontrarono come il volantino risultasse completamente bianco. Verrebbe da pensare “ora ci scappa una risata incontrollata” ed invece no! .
Tra chi inforcò gli occhiali e lo esaminò minuziosamente, chi lo volle restituire e chi lo rifiutò, i soci entrarono in sede.
Uno di essi, con un passato da agente di polizia, si dice di alto livello, lo esaminò contro luce nel timore che potesse contenere un sovversivo messaggio criptato e, non convinto, allertò un funzionario che era stato un suo superiore.
Una donna tutta agghindata che indossava una pelliccia massiccia di zibellino vedendo che il foglio era bianco, davanti e dietro, pensò di restituirlo ma chi glielo aveva consegnato non lo rivolle ed allora lei spazientita apostrofò:

-Che me ne faccio? – .
-Signora si pulisca il culo- disse una ragazza.
-Già fatto stamani! – .
-Allora si pulisca la faccia che è la stessa cosa- replicò.
-Ma come si permette, screanzata- urlò la donna richiamando l’attenzione di altri soci.

La performance proseguì nella piazza fino all’esaurimento dei volantini. Il primo di Gennaio quando ancora molta gente stava smaltendo le scorie della festa dell’ultimo dell’anno, non avvenuta pubblicamente ma nel chiuso delle loro case, i giovani tornarono in piazza, sul tardi della mattinata sempre con la solita auto tra gente che si scambiava gli auguri per l’anno in corso. Anche questa volta la cosa venne presa come una goliardata, suscitando dei risentimenti tra la gente, che impedirono ai presenti di coglierne le novità. A differenza della precedente esibizione c’era una maschera e tra coriandoli, lingue di Menelik, fischietti e girandole e qualche petardo, la comitiva cominciò a muoversi verso la galleria centrale della città distribuendo dei volantini con l’ immagine della maschera.

Su una parte del volantino c’era scritto “Perché nel club non tesserate Donald Duck?” indicando un membro del gruppo che indossava questo costume mentre sull’altra facciata era riprodotta l’effige del tremendo papero nero, nell’atto di sferrare un pugno micidiale, insieme ad un’ espressione scurrile.

Alcuni giovani riconobbero un socio del club e fermandolo gli chiesero:
-Ma perché lei rifiuterebbe di iscrivere Donald Duck? – .
-Anche volendo non potremmo farlo perché è un personaggio di fantasia- precisò con cipiglio severo.

-Allora lei da bambino lo ha conosciuto? – .
-Certamente- soggiunse con sicurezza.
-Se lo ha conosciuto avrà riso qualche volta? – .
-Di sicuro- confermò pentendosene immediatamente.
-Non so chi sia ed è inutile che rida- chiosò invece un altro attempato signore con un cappotto aderente col bavero di pelliccia.

-Cooome? Sentito, il signore non sa chi sia Donald Duck- .
-Eccomi qua ah,ah- confermò la maschera facendo la sua comparsa con un balzo in mezzo al gruppetto- .
-Qua, qua qua- continuò a starnazzare toccandogli il prezioso bavero.
-Giù le mani signore- brontolò indispettito prima di accelerare il passo.
-Io non sono un signore sono un papero, qua qua qua- ed immediatamente la maschera gli si affiancò con il passo dell’oca.
-Vedo che sta facendo progressi signore e ciò mi fa piacere- commentò l’uomo prima di dileguarsi.

Gino Benvenuti da Nero Beffardo

Nero Bizzarro : Racconti / Gino Benvenuti. Il punto rosso, 2022

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