(… fra politica e malaffare nel caso pugliese)
Dello scottante caso pugliese che ha investito il PD – voti di scambio, dichiarazioni inopportune, defezione del M5S da una possibile alleanza … – un aspetto mi ha particolarmente colpito: le dichiarazioni inopportune, cioè , la comunicazione. Sì, il modo con cui il Presidente della Puglia Michele Emiliano si è espresso durante la manifestazione antimafia tenutasi a Bari il 24 marzo a sostegno del sindaco Antonio Decaro. Emiliano, in un eccesso di zelo propagandistico, si è prodotto in una narrazione che, anziché favorire il suo pupillo, lo ha fortemente danneggiato offuscandone l’immagine di tutto rispetto guadagnatosi per il suo forte impegno nella lotta alla mafia locale. Con un fare disinvolto e fiero Emiliano ha raccontato un episodio risalente agli esordi politici di Decaro quando era assessore della sua Giunta, coinvolgendolo e dando prova di una certa confidenza con la malavita locale per essersi intrattenuto con la sorella di un boss per scoraggiarla dal prendere iniziative contro il proprio protetto. Di fatto, per dare prova del suo impegno antimafia è andato a trovare una mafiosa lanciandole amichevolmente un avvertimento. Il tono sicuro e compiaciuto, la naturalezza e direi, la leggerezza con cui ha rivendicato pubblicamente il suo scambio con questo discutibile personaggio, hanno evidenziato una consuetudine di contatti a dir poco disinvolti con quell’ambiente che pure è stato fortemente osteggiato dall’ amministrazione di sinistra. La cosa è apparsa contraddittoria e strana e per questo ha suscitato molto scalpore. Emiliano si è attribuito, scherzosamente, quasi un diritto di proprietà sul suo pupillo dimostrando una disinvoltura nel rapporto con personaggi a dir poco opachi che, per il suo ruolo, appare incomprensibile. Questo modo di rapportarsi al contesto malavitoso, anche se non è un reato, è certamente un vulnus etico e culturale di non lieve entità in quanto getta ombre sul modo di interpretare il proprio ruolo istituzionale indebolendone l’autorevolezza. Non basta lottare contro la malavita con le armi del codice penale, occorre contrastarla anche assumendo uno stile comunicativo del tutto consono all’incarico che si ricopre. Ostentare una certa dimestichezza con quel contesto non può essere considerato un espediente comunicativo efficace per affermare il controllo del territorio da parte delle istituzioni locali, ma un pericoloso cedimento. Per vincere bisogna omologarsi? Bisogna imparare a convivere con la mafia ( come ebbe a dire a suo tempo il ministro del governo Berlusconi, Lunardi) adottandone la forma comunicativa come se la forma non fosse anche sostanza e quindi cultura e quindi messaggio? Cos’è questa, una strategia per combattere la mafia o un modo per guadagnare voti comportandosi come un ras del luogo facendosi poi forte del pacchetto di voti ottenuto, della serie: e qui comando io e questa è casa mia … Magra vittoria è quella che si ottiene perché non ci si discosta più di tanto – anche se solo nello stile – dai modelli negativi che spadroneggiano sul territorio. Questa è la forza ricattatoria del cacicchi e dei capi-bastone che Elly Schlein ha promesso di contrastare fortemente, ma la vedo dura. Non basta arrestare i mafiosi o impedire che si impadroniscano della cosa pubblica, è altrettanto importante differenziarsi da loro in modo inequivocabile assumendo pubblicamente atteggiamenti che escludano nel modo più assoluto che si possa fare visita ad un mafioso, che si possa scambiare con lui una battuta, che si possa, magari, se capita l’occasione, anche prenderci un caffè. Se la mafia è una realtà, non è per questo la normalità. La lotta alla mafia è prima di tutto una battaglia etica, una battaglia culturale. I cacicchi non servono.
Anna Maria Guideri, 29-04-2024