Quanto più ci sforziamo di definire la destra e la sinistra, tanto più i caratteri distintivi di queste due categorie di pensiero ci sfuggono e sfumano in un tutto indifferenziato, in una miscellanea ibrida dove molto si confonde e si presta ad essere manipolato ed equivocato per dire tutto e il suo contrario. Questo, non perché esse non siano storicamente ben collocabili e riconoscibili, ma perché ai poteri dominanti fa molto comodo non riconoscerle ed usare, a tale scopo e nel modo più spregiudicato, il frullatore mediatico. Così, dall’apparire sulla scena politica della Lega di Bossi, scendendo giù per li rami, le classi meno abbienti votano a destra e una buona parte del ceto medio, a sinistra: tanto è il potere mediatico! Più che di egemonia culturale, oggi si può parlare di egemonia mediatica in mano a chi possiede i mezzi d’informazione e li usa per globalizzare la propria visione del mondo. Ne consegue che la perdita delle identità politiche e culturali che hanno segnato per secoli la storia dell’occidente, si traduce in una progressiva perdita delle identità del linguaggio che un tempo connotava le due diverse visioni politiche del mondo. Anzi, possiamo dire che l’identità lessicale rimasta attualmente in vigore è quella della destra e che non ha più molto senso chiedersi, come si chiedeva Giorgio Gaber in una nota canzone, cos’è la destra? Cos’è la sinistra?
Trionfano così e si diffondono in tutto il globo terracqueo i luoghi comuni infarciti di stereotipi, di slogan, di pregiudizi retrivi; un ciarpame riesumato senza troppa fatica dall’ultimo coniglio uscito dal cappello del pensiero razzista della destra: Roberto Vannacci. A fronte delle proteste levatesi dalle forze dell’opposizione e dal mondo culturale e progressista, per ora non si intravedono segnali incisivi di una presa di coscienza comune e di un tentativo forte di porre l’attenzione sull’uso delle parole che denotino una inequivocabile presa di distanza dalle posizioni qualunquiste e discriminanti che prevalgono nel comune sentire. Le discussioni fra gli addetti ai lavori sono generalmente corrette e consapevoli, ma non abbastanza motivanti e mobilitanti. Ad un comune sentire di destra non corrisponde, parallelamente, un comune sentite di sinistra in grado di invertire la tendenza del degrado etico e civile del nostro paese. E mi chiedo quanto questa impotenza delle forze del bene, sia dovuta a sinistra, alla resa degli scettici delusi, agli adagiati non più indignati, ai rottamatori antisistema, ai qualunquisti cinici e indifferenti, agli idealisti ostinati, ma sprovveduti, ignari di avere sottilmente assimilato dosi massicce di conservatorismo spacciato per buon senso. I luoghi comuni sono più frutto della pigrizia mentale che del buon senso e costituiscono un ostacolo molto resistente alla spinta per abbattere il muro delle apparenze e dei pregiudizi. Conoscere i retroterra che muovono i comportamenti umani non significa necessariamente giustificarli, ma tenere conto della complessità del reale che non può essere liquidata con banali e fuorvianti semplificazioni a danno della coesione sociale. I luoghi comuni più frequentati hanno come oggetto – o bersaglio – le donne, i disadattati, i migranti, i disoccupati, i gay, il merito, i meridionali … Molto affollata è la galassia dei luoghi comuni. Si va dall’abusato se la sono cercata riferita alle vittime dei femminicidi, alla falsa liberalità nei confronti dei gay che si arresta di fronte all’ostacolo insormontabile del matrimonio e dell’adozione dei figli, all’accusa stupida, anzi, surreale di cattiva educazione verso i migranti che si autoinvitano in paesi che non vogliono ospitarli per fuggire dalle persecuzioni, dalla fame e dalle guerre … Un luogo comune meno noto, ma radicato è il giudizio sui mendicanti vestiti di stracci e distesi per terra che con l’esposizione impudica della loro miseria ed il rifiuto del soccorso che viene loro offerto, ci sfidano a fare i conti con il senso della nostra normalità: che ci possiamo fare? E’ una loro scelta e va rispettata, si sente ripetere anche da persone non sospettabili di simpatie con la destra. Di quale libertà si può parlare in presenza di un degrado umano di tale gravità e quanta cecità e indifferenza ci sono dietro un apparente atteggiamento rispettoso di una libertà che in una simile situazione, non po’ esistere perché non c’è alcuna possibilità di usare consapevolmente la propria volontà? Il linguaggio che usiamo rivela in modo impietoso la nostra autentica visione del mondo al di là delle dichiarazioni di voto. Siamo tutti indistintamente esposti ai fattori inquinanti di un sistema becero, incolto e superficiale e molti di noi ne sono vittime inconsapevoli. Siamo parte più o meno complice, di una società edonista che rimuove la sofferenza e scambia per libera scelta l’impossibilità di scegliere. La sanificazione non può che partire dall’attenzione all’uso del linguaggio, dalla sua aderenza ai contenuti, dalla valutazione dei rischi che un uso distorto di esso può provocare. Si possono fare battaglie in difesa dei diritti umani e civili, si possono fare manifestazioni per la pace, per le pensioni, per la giustizia e i salari dignitosi, ma se non siamo in grado di bucare il muro del conformismo comunicativo sia a livello lessicale che comportamentale, temo che non riusciremo a cambiare granché.
Anna Maria Guideri 28-12-2024