Al termine del vertice di Gedda di oggi tra delegazioni di Stati Uniti e Ucraina, Kiev ha accettato la proposta statunitense di un cessate il fuoco di 30 giorni nella zona di conflitto. In cambio, gli Stati Uniti hanno accettato di riprendere la condivisione di informazioni di intelligence e la fornitura di aiuti militari all’Ucraina.
Washington e Kiev hanno concordato inoltre l’elaborazione di un accordo per lo sviluppo delle risorse minerarie ucraine, al fine di “espandere l’economia dell’Ucraina” e “compensare il costo dell’assistenza americana”. Le parti hanno concordato di “nominare le loro squadre di negoziatori” e di iniziare i negoziati “verso una pace duratura”.
Kiev ha infine insistito affinché vengano inclusi di “partner europei” nel processo di pace.
Ora la palla passa alla Russia, che dovrà accettare o rifiutare il cessate il fuoco.
Donald Trump e Vladimir Putin discuteranno di questa eventualità VENERDÌ.
Ora, se da un lato l’incontro di Gedda rappresenta la fine dell’epopea di Volodymyr Zelensky come irriducibile leader capace di andare a dettar legge alla Casa Bianca, allorché l’Ucraina è scesa a patti com gli Stati Uniti accettando condizioni forse peggiori a quelle sul tavolo nel momento in cui Zelensky disse a Vance “di quale diplomazia parli, JD”, il fatto che Kiev abbia accettato il cessate il fuoco chiarisce anche una volta per tutte due cose:
1) Che senza gli Usa l’Ucraina sa di essere finita;
2) Che chi accetta per primo un cessate il fuoco è anche quello che ammette implicitamente le proprie difficoltà.
Cosa farà Putin?
Senza più i territori del Kursk da offrire come contropartita e con la possibilità di avanzare ancora nel Donbass, la Russia NON ACCETTERÀ una sorta di Minsk-3 e stilerà direttamente le proprie condizioni per l’inizio dei negoziati veri e propri:
1) Zelensky presto o tardi sarà sostituito da Ruslan Stefancuk, capo della Verkhovna Rada e attualmente l’unico in grado di firmare un accordo di pace Costituzione alla mano, previa la successiva approvazione del Parlamento. Anche perché per le concessioni territoriali inevitabili e le stesse trattative di pace la Costituzione che ad oggi impedisce tutto ciò deve essere cambiata. Dopodiché l’Ucraina andrà ad elezioni;
2) La nuova leadership politica ucraina, quale che sia, non dovrà ricomprendere elementi che derivano dai partiti cosiddetti “nazisti” come li chiama Mosca e dovranno certamente essere allentate le maglie delle restrizioni all’uso della lingua russa, alla “cancel culture” russofoba e a qualsiasi provvedimento di Stato che possa essere considerato veicolo di antirussismo;
3) Le regioni di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzia verranno concesse alla Russia che le ha annesse, COMPRESI i centri urbani e decisionali (i capoluoghi di Kherson e Zaporizhzia) attualmente sotto controllo ucraino. La Crimea non è nemmeno sul piatto;
4) L’Ucraina non dovrà aderire alla Nato e il suo esercito privato delle possibilità di colpire il territorio russo se non addirittura smilitarizzato del tutto. Resta da capire che ruolo svolgeranno gli eserciti europei nella fase post-bellica e chi verrà eventualmente accettato come contingente di mantenimento della pace.
Queste condizioni di partenza, se ottenute in toto, rappresenterebbero per la Russia una vittoria quasi totale. Logicamente i russi potrebbero aver interesse a raggiungere qualche compromesso in cambio, ad esempio, di affari d’oro con gli americani.
Vale la pena di notare che per la Russia l’adesione dell’Ucraina all’Unione europea non è mai stata inaccettabile.
Tuttavia, anche per l’adesione all’Unione, a parte il rispetto dei famosi “criteri” che a Kiev verrebbero concessi d’ufficio, non devono esserci pendenze che riguardano conflitti in corso o zone contese (ecco perché Serbia e Kosovo, ad esempio, non possono entrare).
Sarà dunque necessario che anche Bruxelles se vuole far aderire l’Ucraina accetti la sua nuova realtà territoriale “ridotta”.
Daniele Dell’Orco, 11-3-25