La Casa del Popolo

Da: Anni cruciali. 1957-1968 / Gino Benvenuti. Il Punto rosso, 2021. http://www.puntorosso.it/edizioni.html

Uno degli effetti più importanti del mio trasferimento fu che cominciai, fin dai primi giorni, a frequentare assiduamente la casa del popolo Fratelli Taddei a San Quirico di Legnaia distante poco meno di mezzo chilometro da casa, un ambiente ricreativo che mi facilitò l’inserimento nella nuova realtà. Per me un ambiente così fu una novità assoluta ed un’acquisizione importante perché lì cominciai a manifestare gradatamente, interesse per le vicende politiche e cominciai a fare amicizia con diverse persone. Un Sabato pomeriggio vi andai, per la prima volta, a prendervi un caffè quando mi sentii chiamare: era Andrea un ex collega di quando avevo lavorato in fabbrica come apprendista litografo e che al momento vi lavorava ancora. Ci salutammo cordialmente e mi ricordò, presentandomi ai suoi cognati, i disastri che avevo combinato alla rotativa ed a seguire mi ragguagliò su tutti i pettegolezzi di ex colleghi, riportando qualche episodio a luci rosse, fidanzamenti ed altre amenità accadute nella sua fabbrica. Mi invitò a visitare i locali facendosi accompagnare da uno dei soci fondatori che, mentre camminavamo, ci narrò anche delle vicende che riguardavano la storia di quell’edificio che fu a suo tempo requisito dai fascisti e restituito nell’immediato dopoguerra alla sua funzione originaria.

Era un uomo molto anziano basso e dal volto rotondo con pochi capelli tutti bianchi, leggermente claudicante. In gioventù dopo una fase di militanza anarchica aveva partecipato alla fondazione del partito comunista a Livorno nel 1921. Quando passammo davanti al bancone per andare nella sala molto grande con i biliardi, mi presentò il barista, a cui strinsi la mano, informandomi che era il presidente del circolo ed aggiungendo, prima di andare nella stanza dei biliardi, che “il servizio qui lo fanno i soci e gratuitamente”. Una volta dentro la stanza accese delle luci e mettendo a posto nella rastrelliera due stecche che erano appoggiate sul panno verde, ci tenne a dire che “qui hanno fatto anche gare di un certo livello” Oltre una piccola vetrata notai uno spazio con un juke-box e feci una capatina prima di dirigermi, insieme a lui, verso un’ampia sala per il gioco delle carte.

Dopo avervi dato un’occhiata dentro ci fermammo nell’ingresso e l’uomo mi indicò il primo piano dicendo “alla fine delle scale c’è la sala del cinema nella quale tutti i giorni nel dopocena, tranne il Lunedì si proiettano i film e durante l’estate invece viene utilizzato il nostro giardino adiacente. Il cinema è anche il luogo dove a volte si svolgono i dibattiti politici ed altre iniziative su molte questioni. Ci sono tanti giovani come te che vi partecipano”.

Rimanendo a piano terra fece presente che nel sottosuolo “ci sono altri locali per la sezione del partito comunista, quella del partito socialista, un circolo della Fgci ed altri ambienti dove si svolgevano attività culturali ed una biblioteca con tanto di prestito per i soci”. Si sentiva nella sua esposizione un senso di orgoglio per quel complesso che mi parve enorme. Il mio amico, presentandomi ad altre due persone, mi invitò a fare una partita a tressette con loro. Nel tornare a casa, riflettendo su quanto avevo visto, rimasi veramente impressionato da tutta questa attività e partecipazione sociale e nei giorni seguenti andando alla casa del popolo mi resi conto della massa di persone che la frequentavano. Venivo da una realtà prevalentemente residenziale che aveva anch’essa punti di aggregazione politica che facevano riferimento al partito socialista ed al partito comunista, ma le dimensioni al confronto di questa casa del popolo erano ridotte e sicuramente come rapporto e legame con il territorio non erano nemmeno lontanamente paragonabili. Dopo alcuni mesi, una Domenica mattina mentre stavo parlando con degli amici, vidi un giovane di media altezza, magro, dalla capigliatura scura parcheggiare una Guzzi proprio accanto al mio scooterino ed incuriosito lo seguii con apprensione, immaginandomi una caduta della sua moto sopra la mia.

Quando passò accanto a noi salutò subito ricambiato. Appena entrò dentro la casa del popolo, Ivan, un ragazzo con cui parlavo spesso, mi disse “è il segretario della sezione della Fgci” e nel prosieguo del discorso venni a sapere che era stato “il promotore del cineforum Ejzenŝtein e del circolo culturale Nazim Hikmet. Si chiama Gianluigi ma lo chiamiamo tutti Mao. Ora se ripassa te lo presento”. Caso volle che egli uscisse dopo un paio di minuti e quindi ci presentammo dopo che era stato fermato da Ivan. Questo spunto occasionale fornì il pretesto per essere ragguagliato sulle attività culturali della casa del popolo. Gian Luigi citò una serie di nomi che assolutamente non conoscevo ed illustrò il tipo di attività che vi si svolgevano. Alla fine del suo discorso volle precisare come “queste attività fossero tutte autofinanziate” ed anche come “questo circolo è inserito in una realtà dove l’utenza è largamente operaia e proletaria che stimola e ci sprona”. Qui finì questo primo approccio e lo ringraziai per la sua spiegazione. Prima di rimontare in moto tornò indietro e mi fece presente che esisteva una biblioteca per i soci, che potevano prendere in prestito qualche libro.

Su questo possibilità gli amici mi segnalarono che lo avevano già utilizzato suscitando la mia curiosità. Nel continuare a frequentare la casa del popolo constatai come fosse massiccia la partecipazione giovanile, in maggioranza lavoratori. Notai un’alacre attività politica mai vista rispetto al precedente luogo in cui avevo fatto riferimento nel mio tempo libero, praticato da un’utenza che aveva motivazioni diverse e dove gli argomenti prevalenti non avevano una connotazione politica. Ovviamente essa affiorava nei discorsi, che era però cosa ben diversa dal praticarla, ed alla lunga nelle discussioni appariva un orpello fastidioso; questa diversità non fu una cosa da poco. Il fatto che vi fosse nel circolo il giornale a disposizione degli avventori, rispetto al bar dove ero andato sempre prima del trasloco, può sembrare una banalità ma non lo era perché la fruibilità pubblica faceva la differenza anche se per consuetudine in casa mia il giornale non era mai mancato.

Un Sabato pomeriggio vidi alcuni giovani e delle ragazze che stavano danzando davanti al juke-box e mi aggregai a loro trovandomi invischiato in una sorta di contesa “territoriale”. Uno a ballare davanti al juke-box precludeva di fatto l’accesso ad altri mentre qualcuno di noi con le monete in mano era pronto ad inserirli appena la testina del grammofono si staccava dal disco. Tutto per dare seguito al “possesso” del juke-box. Se qualche persona presente aveva pazienza ed era disposta ad attendere la pausa inevitabile bene, altrimenti, come successe una Domenica pomeriggio, uno sbottò ricoprendoci di improperi perché “eravamo degli invasati”. C’era nella fruizione del juke-box un elemento importante perché avere il giradischi rimandava ad una dimensione privata nell’ascoltare la musica e per chi non lo aveva per scelta, come il sottoscritto, c’era la possibilità di socializzare con altri coetanei con appuntamenti “davanti allo scatolone che canta” come borbottò un anziano infastidito dall’eccessivo volume. “Ognuna per sé, juke-box per tutti”; questo valeva anche per le adolescenti quando ballavano tra loro. Quello strumento, che oggi fa sorridere, all’epoca fece sognare tante persone e fu occasione di incontro tra giovani che si cimentavano in piroette e figure ballando distaccati dove ognuno poteva inserirsi senza timore ed anche dove, come successe a me, si combinavano gli incontri con qualche ragazza; una che sarebbe diventata la mia fidanzata, la conobbi con questo approccio.

Alcune ragazze, molto giovani, non frequentavano le sale da ballo mentre lì, in una parte di un locale, era possibile incontrarsi quando stanchi ed esausti ci davamo appuntamento per vederci ancora. Qualche volta veniva anche qualche genitore a controllare, ma in quella bolgia ne usciva più disorientato che mai. Più vicina, a poco più di cento metri da casa mia, c’era la casa del popolo di Soffiano, un edificio ampio a due piani munito di due ambienti per il ballo, uno invernale ed un altro estivo, molto ampio e gradevole, con quattro enormi tigli che emanavano un profumo intenso, e fu per questo che la frequentai a volte nel dopocena. Una sera casualmente vi incontrai due persone che erano state con me nella stessa ditta, uno capo-tipografo e l’altro litografo ed in quell’occasione gli indicai dove abitavo. –Non sarai mica venuto qui a fare danni?– mi chiese uno dei due scherzosamente. –Spero proprio di no– risposi sorridendo. La frequentazione del casa del popolo a San Quirico di Legnaia, mescolando ricreazione ed interessi diversi, prese consistenza e mi trovai coinvolto in discussioni e, parlando poco ma ascoltando tanto, cercai di orientarmi in quella che, inizialmente per me, fu una Babele di pareri discordanti.

Sentivo parlare di argomenti che mi interessavano e soprattutto il contraddittorio a volte mi intrigava. Inoltre a volte mentre assistevo a delle chiacchierate mi veniva chiesta la mia opinione, forse per curiosità, segno comunque che non c’era preclusione verso chi era arrivato da poco in quell’ambiente. Ricordo benissimo la prima volta in cui mi trovai immerso in una diatriba politica, per l’apprensione che provocò in tante persone la crisi di Cuba per la quale sentii parlare di “rischio di una guerra mondiale”. Quando Ivan e suo fratello, con i quali parlavo spesso, dissero che “bisognerebbe fare una veglia per la pace” sentii commentare alle mie spalle “le veglie con le candele in mano si fanno dai preti”, facendo sganasciare dalle risate i presenti. La battuta fece sorridere però non passò inascoltata perché il pensiero di Ivan venne ripreso da un attivista socialista, un uomo di mezza età che come tratto distintivo portava spesso con sé il giornale Avanti. –Hai ragione non ti lasciare influenzare da discorsi a bischero– . –Ecco lui che vuol dire la sua. Vai a dirla nel tuo partito visto che state con i democristiani amici degli americani– . –Lo sai o no che siamo in un periodo di guerra fredda e che il mondo è diviso in blocchi dopo la conferenza di Yalta?– . –Ecco il sapientone che ci vuol spiegare come va il mondo. Dove sta scritto che gli italiani debbano approvare tutto ciò che fanno gli americani perché siamo alleati con loro?– . –Lascia perdere per favore- . La cosa si sgonfiò come accadeva spesso con code di giudizi che non avevano niente a che a fare con la politica. Venivano riesumati episodi pregressi dando la stura, a volte, a giudizi velenosi sulla persona e questa cosa, anche in seguito, mi ha sempre dato fastidio.

Seguirono in breve tempo eventi importanti, che trovarono riscontro anche nel dibattito spicciolo, come la morte di Giovanni XXIII che si impegnò per un rinnovamento della Chiesa proclamando un evento epocale come il Concilio Vaticano II. L’attenzione che ricevette anche da parte del mondo laico non fu casuale perché si prefigurava, nelle premesse, il segno tangibile di una volontà di affrontare le nuove problematiche che i tempi andavano ponendo. Per questo la morte del Pontefice fu motivo di preoccupazione tra coloro che si approcciavano alla politica in maniera più ragionata andando oltre le battute da bar. Un evento che suscitò molta soddisfazione tra i militanti del Pci fu l’esperienza spaziale di Valentina Tereskova nel 1963, la prima donna che volò nello spazio, a coronamento di precedenti esperienze che avevano consolidato, nell’immaginario collettivo, un primato stabilito dall’Unione Sovietica a partire dal primo lancio dello Sputnik nell’Ottobre del 1957, l’invio del primo essere vivente nello spazio ed infine con Jury Gagarin primo uomo nello spazio nel 1961. Questa corsa spaziale fu un terreno di scontro ideologico e militare ed un potente mezzo di propaganda politica per la supremazia nel mondo, che non poteva avvenire con armi nucleari.

Anche l’assassinio di John Kennedy, sconvolse il mondo con le terribili immagini viste da milioni di telespettatori. L’uccisione in diretta dell’uomo più potente del pianeta non poteva ovviamente passare sotto silenzio e le vicende che emersero sulle indagini successive, si prestarono a dubbi ed illazioni pesantissime che non giovarono alla credibilità degli Usa anche se “in periferia”non mancarono le solite battute. -Che te lo sei messo il lutto?– fu chiesto scherzosamente ad uno che diffondeva l’Unità. –Io certamente no, lui che è saragattiano sicuramente– affermò strizzando l’occhio facendoci voltare tutti dopo avere indicato la persona mentre attraversava la strada. Ignaro egli si aggregò a noi e qualcuno del gruppo pensò bene di attizzare immediatamente una discussione riferendogli quanto detto alle sue spalle e così si formò un capannello di persone che anche scherzando od aggiungendo del battute ironiche montarono ad arte la contesa. Chi era in minoranza ad un certo punto rivolgendosi a quelli che facevano da contorno sbottò: –A me non mi ci mettete nel mezzo cari “rizzabischeri”. Arrivederci– . –O che vai via proprio ora? Ci si stava divertendo un mondo– ribatté uno dei presenti. –Lo conosco bene il giochino. Vado a bere; ciao a tutti- .

Fa sempre così– commentò scuotendo la testa un suo antagonista politico. Si toccava con mano nel minuto e fitto scambio di opinioni, seppur emergessero divergenze, di come si mantenesse uno stimolo nel voler commentare quanto vi era di importante in ciò che ci circondava e ci condizionava.

Gino Benvenuti, 2021

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