Dalla Dottrina Monroe alla Dottrina Donroe

Un breve racconto sulla coerenza imperiale americana con un valido aiuto di ChatGPT
Gian Luigi Betti

Democrazia, dazi e destino manifesto nella narrazione imperiale degli Stati Uniti

Le origini: Monroe e il destino manifesto
La narrazione ideologica americana affonda le sue radici nel XIX secolo, con la Dottrina Monroe (1823). Presentata come una strategia difensiva contro l’intervento europeo nelle Americhe, di fatto affermava il continente come zona d’influenza esclusiva degli Stati Uniti.
“America to the Americans” è l’espressione che abbiamo studiato sui libri del liceo. Era l’inizio di un’ideologia imperiale ancora mascherata da principio di autodeterminazione.

Qualche decennio dopo, l’“eccezionalismo americano” si fece esplicitamente espansionista: con il concetto di “Manifest Destiny”, gli Stati Uniti si arrogavano il diritto – e il dovere – di estendersi “dal mare al mare” portando civiltà, progresso e libertà. La missione storica del popolo americano prende forma: un’identità fondata non su una cultura, ma su un compito da realizzare nel mondo.

La Guerra Fredda: il mito si globalizza
Dopo il 1945, questa narrazione si internazionalizza. Il nemico non è più l’Europa monarchica, ma l’Unione Sovietica e il comunismo. La Guerra Fredda trasforma il confronto tra modelli economici e sociali in una battaglia globale tra bene e male. Ronald Reagan usa il termine Evil Empire, Impero del male nei confronti dell’Unione Sovietica. La democrazia liberale e il libero mercato diventano strumenti di salvezza planetaria, mentre qualsiasi alternativa è vista come una minaccia all’ordine naturale delle cose.

Gli Stati Uniti si presentano come garanti della libertà mondiale: le guerre in Corea, Vietnam, Afghanistan, gli interventi in America Latina e Medio Oriente, sono giustificati da una narrazione moralistica che maschera interessi geopolitici, risorse e controllo degli alleati.

Dopo il 1989: il trionfo e le crepe
Con il crollo dell’URSS, la narrazione sembra trionfare. Fukuyama parla di “fine della storia” e del definitivo trionfo del modello occidentale. La globalizzazione si impone come dogma, e il mercato come regolatore universale dei destini umani. La democrazia diventa “esportabile” e il mondo, un campo aperto all’integrazione neoliberista.

Ma questo racconto si incrina presto. Le crisi economiche, l’11 settembre, le guerre infinite e l’instabilità prodotta dagli stessi “interventi democratici” rivelano l’altra faccia dell’ideologia americana: quella imperiale, non universale, dove l’eccezionalismo diventa arbitrio.

Il XXI secolo: dazi, dati e dominio
Nel nuovo secolo, la minaccia non è più solo militare. È tecnologica, digitale, monetaria. La competizione si sposta su 5G, AI, supply chain, valute digitali. E il nemico, oggi, ha un volto diverso: la Cina. Il conflitto si riaccende, ma le categorie si ribaltano.

La Cina comunista difende il libero mercato globale, mentre gli Stati Uniti protezionisti impongono dazi e sanzioni, erigendo muri digitali e finanziari. Una dinamica che il presidente Trump ha reso evidente nel modo più diretto: il ritorno al sovranismo economico come forma di guerra commerciale globale e l’uso di espressioni dal forte richiamo ideologico come “Make America Great Again” (MAGA). Lui stesso ha definito questa visione “Dottrina Donroe”, parafrasando Monroe in chiave ultra-nazionalista.

Conclusione: l’impero della coerenza variabile
Oggi come ieri, la narrazione americana continua a mutare linguaggio, ma non funzione. Si presenta come visione morale del mondo, ma agisce come ideologia di potenza. La Dottrina Donroe ne è il simbolo attuale: un ritorno al protezionismo, all’unilateralismo e all’interesse nazionale, mascherati da lotta per la libertà e la giustizia globale.

In questo scenario paradossale, i socialisti sono liberisti, e i liberisti diventano statalisti. La retorica del libero mercato si applica solo quando giova all’egemone. La coerenza ideologica lascia il posto alla geometria variabile della potenza. Perché, alla fine, ciò che conta non è esportare libertà, ma conservare il primato.


A cura di Gian Luigi Betti & C.
Appunti sull’ideologia come strumento geopolitico. Quando il potere si racconta, conviene ascoltare bene cosa dice — e cosa nasconde