A detta dei più anziani abitanti dei borghi della vallata, con una punta di orgoglio, la loro pieve è sempre visibile, anche quando dalla pianura, specialmente nel periodo autunnale, una leggera nebbiolina si spande avvolgendo tutte le case che come un presepe degradano fino al torrente. Si narra che solo una volta in antichità la chiesa fosse inghiottita completamente dalla nebbia e ciò fu il preludio di una terribile pestilenza che spopolò tutto il comprensorio. Vista dall’alto a volte, sembra che sia sospesa nel vuoto perché la nebbia riesce a lambire la parte superiore del bassorilievo che circonda il perimetro, ingoia la piccola scalinata, e si ferma a pelo del lastricato davanti all’ingresso. Nel bar centrale della più grande frazione c’è in proposito una spettacolare gigantografia in bianco e nero che risale ad un inverno degli anni ’50. Oggi ricorre la festa della fine di quell’epidemia e pertanto tutti i borghi che fanno riferimento alla pieve sono in fermento. Anche Camilla decide di visitare la chiesa non tanto motivata da un sentimento di devozione, quanto dai discorsi degli abitanti del luogo scelto come villeggiatura, ormai da tre anni consecutivi.
Nel primissimo pomeriggio, il giorno prima della sua partenza, lasciata l’auto in sosta in piazza davanti alla farmacia, essa s’incammina lentamente, avendo molto tempo a disposizione, verso la pieve scegliendo la strada asfaltata molto più lunga e presa da un leggero torpore, a causa del pranzo abbondante, si concede, strada facendo, una pausa su una panchina in metallo. Da lì vede arrivare un piccolo pullman che con delle corse speciali porta fedeli e villeggianti dai borghi alla pieve essendo il piazzale prospiciente, inibito alle auto. Quando esso si ferma davanti a lei, Camilla fa un cenno con il dito e l’autista riparte immediatamente. Passo dopo passo, la pieve, le appare sempre più grande ed il colle ricoperto da una fitta selva di castagni le appare come un piccolo corpo peloso con un enorme testa. Nel cammino, s’imbatte in una radura del parco, dove sono aperti un ristorante ed un negozio di prodotti tipici della zona a testimonianza che anche negli altri giorni festivi questo luogo confortevole nei mesi estivi è frequentato e così coglie così l’occasione per prendere un amaro perché la digestione in corso ogni tanto le manda sgradevoli segnali.
Accende una sigaretta e riprende il cammino per l’ultimo tratto in salita. Si toglie la giacca di lino, veramente superflua, e dopo poco arriva leggermente sudata nel piazzale antistante alla chiesa, dove un numero insolito di venditori ambulanti, abusivi e non, molto solleciti hanno già predisposto tutta la loro merce. È in anticipo rispetto all’inizio della funzione e si guarda attorno notando come la pieve sia sopraelevata rispetto ai rilievi circostanti ed al centro di un quadrilatero costituito da altrettanti poggi e ne osserva la facciata con un solo rosone centrale ed un ingresso abbellito da un curioso protiro¹ e dopo inizia a girare intorno all’edificio. Lesene rovinate, archi ciechi sulle pareti laterali scheggiate ed in corrispondenza dei due angoli posteriori anche due protuberanze cilindriche mostrano i visibili segni di deterioramento che offrono riparo ai colombi.
Tutto ciò la invoglia ad aumentare il passo per rientrare in breve nel piazzale dove la vista di una fontanella perpetua in un angolo la stimola a bere. Dissetata cerca un posto su una panchina in pietra e non essendo particolarmente interessata a sentire i commenti della gente che curiosa, si muove senza sosta tra le bancarelle né alla merce esposta nel piazzale, ma appena si libera un posto ne approfitta per riposarsi. A gambe accavallate e leggermente piegata all’indietro con la giacca sulle ginocchia, si concede una sigaretta e in silenzio scruta il flusso della gente nel piazzale divenuto già più consistente di un quarto d’ora prima. Fuma tranquillamente ed alla fine getta la cicca poco distante e nel seguirne la traiettoria sobbalza: poco lontano da essa, due persone quasi avvinghiate l’una all’altra giacciono in pieno sole sugli scalini della chiesa. Istintivamente si scusa con un gesto, con la persona più anziana che non risponde, ma i suoi occhi s’incendiano, mutandone l’espressione da bonaria a tempestosa.
Ne nota immediatamente la giacca sdrucita, la gonna lunga e continuando ad osservarla viene colpita dal suo volto bruciato e sporco dal colore olivastro, segnato da profonde rughe ed una all’altezza dello zigomo sinistro che fanno impressione come i suoi piedi scalzi e laidi.
La sua mano stesa sembra una protesi inanimata in attesa di una carità rara e la fanciulla, cui probabilmente la vita le aveva alterato l’età, con un cartello appeso al collo con scritto “ho fame” sembra pervasa da una sonnolenza che la fa ripiegare su se stessa fino ad appoggiare la testa sulla coscia di quella che forse è una sua parente. Accanto a lei un piccolo barattolo di latta serve per racimolare qualche spicciolo e Camilla avvicinandosi a loro saluta e, senza urtarne la suscettibilità, lascia cadere nel barattolo una moneta che tintinna. Adesso gli occhi della vecchia, che comincia a tossire in maniera sorda e catarrosa, tornano sbiaditi mentre raccoglie i capelli lunghi in un fermaglio. La donna accenna a ringraziarla, ma prima che possa parlare un nuovo attacco di tosse la costringe ad alzarsi lentamente. Camilla saluta ancora la mendicante, si toglie la giacca, e la ripiega a mo’ di cuscino prima di chinarsi premurosamente per non far sbattere la testa alla piccola contro la scalino. Le appoggia delicatamente il volto sul palmo della mano prima di lasciarlo scivolare sulla giacca mentre alla donna la tosse persistente le fa mancare il respiro. Comincia a lacrimare ed una volta in piedi estrae un grigio straccio di tasca, vi sputa dentro e richiudendolo si asciuga le lacrime passandolo sulle palpebre sanguigne e turgide prima che lentamente riprenda la sua posizione.
La gente continua ad ignorare sia lei che la bimba che, sullo scalino con le gambe raccolte, sembra una matassa di carne e cenci mentre il cartello rimbalza da un gradino all’altro quando soffia un alito di vento. Dopo aver recuperata la giacca, lei decide di entrare in chiesa accompagnata da uno scampanio festoso. Sospinto il grosso portone centrale, ha un attimo di stordimento quando accaldata, varca la soglia sentendo una frescura improvvisa. Nell’atrio stropiccia i suoi avambracci ancora assolati e prima di inoltrarsi indossa la giacca; dietro una porta laterale mette le mani nell’acquasantiera, dove raccoglie solo rena. Le appaiono tre navate di cui quella centrale enorme e le travi delle capriate su cui spiccano giganteschi chiodi, mostrano un’accurata manutenzione. Sui pilastri imponenti che sostengono ampi archi a tutto sesto, vi sono attaccati in alto degli stemmi in pietra mentre i candelabri, protetti da sagome in ferro battuto, sono vuoti.
Comincia a camminare sul lato sinistro e nel primo tratto la navata è tenebrosa. Per terra alcune pietre tombali con epigrafi latine ricordavano fastigi passati mentre su una parete, un fosco dipinto raffigurante la cacciata di un peccatore, trasmette angoscia anche ad un fuggevole impatto. Man mano che si avvicina all’altare maggiore il buio va stemperandosi grazie a fasci di luce che penetrano dall’alto da piccoli rosoni, in vetro decorato, disposti sopra gli altari laterali. Sull’intersezione della navata centrale all’altezza del transetto²scorge un’anziana signora piccola e minuta che va e viene dalla sacrestia mentre accende una candela, ed intravede il sacrestano che spazza tenendo, con cura, bassa la scopa. La funzione non è ancora cominciata, anche se un continuo via vai di persone silenziose mostra un’ incredibile sollecitudine, perché si stanno perfezionando i preparativi della cerimonia; passi veloci, teste chine e gesti rapidi. Nessuno si distoglie. Camilla avanza verso l’altare laterale ed incrocia il sacrestano che con la pattumiera raccoglie lo sporco dei frammenti di ceri, vicino alla prima colonna della navata laterale e dopo aver appoggiato la scopa comincia a sistemare quattro file di sedie malandate, sicuramente impagliate a mano come le donne della zona sanno fare senza imitazione alcuna, davanti agli inginocchiatoi. -Probabilmente sono riservate alle persone più in vista delle frazioni- pensa mentre incrocia un chierico, con un pacco di ceri in braccio.
Lo saluta e lui contraccambia prima di scivolare ratto ratto tra i piloni sistemando tutti i ceri disponibili nei candelabri. Una misera ragazza, con la testa fasciata da una pezzuola nera, si alza, a mani giunte e capo chino, da un inginocchiatoio per muoversi in silenzio verso la cassettina delle elemosine e quando vi giunge, si fa il segno della croce e dona l’obolo. Torna indietro camminando quasi in punta di piedi e s’inginocchia di nuovo. Nel silenzio, lacerato da un improvviso colpo di tosse, si ode il cigolare del portone centrale ed un fascio di luce illumina temporaneamente il centro della chiesa. Camilla si accomoda in una panca in seconda fila, davanti all’altare maggiore e lo sguardo cade su un uomo anziano che in quel momento va ad occupare il posto proprio davanti a lei. Baffi folti, sguardo fiero, ed un fioccone nero che spicca sul corpetto marrone come il cappello, bordato da un nastro nero con una piccola penna, lo rendono simpatico quando lo appoggia insieme al bastone nodoso sulla panca. Con cura adagia un fazzoletto bianco stirato sull’asse di legno prima d’inginocchiarvisi, mostrando le suola consunte.
Un prete fa la sua comparsa dalla sacrestia e con gesti rapidi sistema un panno sopra il calice. Quando vede il vecchio inginocchiato, gli si fa incontro. Bisbigliano. Il vecchio si alza a fatica, impugna con le sue mani ruvide il bastone ed incerto sulle gambe, ma con il busto eretto, rifiuta l’aiuto del prete e lo segue lentamente, facendo scricchiolare le sue scarpe, verso il confessionale prima di separarsi. Uno a sedere separato dal mondo da una tendina, l’altro in ginocchio sussurrano a lungo attraverso la grata.
-Giacché i preti in questi posti conoscono tutto e tutti è proprio necessario quell’armamentario?- si chiede Camilla osservandolo. -Forse sì perché serve a stabilire una distanza- deduce nel pensare una risposta. Incuriosita dal protrarsi di questa confessione si alza. Adesso le sedie in prima fila sono, meno una, già tutte occupate come la metà della seconda fila e tra i presenti lei riconosce la figlia del farmacista ed un’insegnante di matematica nativa del posto, ma che lavora in un’altra regione.
La pieve sta popolandosi anche nelle navate secondarie vicino ai confessionali. Camilla non sa se molte persone sono in attesa della confessione o se tra loro ci sono anche persone come lei venute da fuori, perché le sembrano tante e decide di non tornare a sedere. In attesa dell’arrivo delle autorità ecclesiastiche ed istituzionali alcune pregano, altre sono silenziosamente in attesa dell’inizio della funzione mentre altre parlano tra loro e lei riconosce un avvocato, con il quale ha avuto pochi giorni addietro un’energica discussione, ed il farmacista che ha il negozio proprio sotto la sua abitazione; entrambi dopo poco prendono posto a sedere nella seconda fila.
Un graduato dei carabinieri ed altre persone si scambiano convenevoli quando una risata fragorosa spezza il silenzio; qualcuno si volta, altri la ignorano. Pochi attimi dopo un’altra sonora risata turba la quiete. Tutte le porte vengono aperte rendendo più luminosa la chiesa e Camilla si limita a girellare nella navata laterale quando il prete esce dal confessionale. Sicuro di avere a che fare con una sconosciuta, le si avvicina sussurrando: -Posso fare qualcosa per lei, figliola?- . -A me no, a lui sì- risponde indicando il vecchio ancora genuflesso che continua a muovere le labbra nella sua solitaria confessione. Il chierico, terminata l’accensione di quasi tutti i ceri, rientra in sacrestia, come un gruppo di bambini in fila dietro ad un adulto, e ne esce con il paramento previsto per la funzione facendo oscillare il turibolo vicino all’altare. Una nuvola d’incenso sale come nebbiolina verso il soffitto mentre la risata fragorosa di un giovane scalzo, con una grande chioma di capelli neri, umanizza l’ambiente annullando il vago senso di mistero che quell’odore porta con sé. Viene allontanato con discrezione ed una lauta elemosina e mentre esce dà in escandescenze pronunciando frasi becere e sconnesse; c’è chi sorride coprendosi la bocca e chi ha un moto di stizza
Il prete rientrato nel confessionale congeda il vecchio subito rimpiazzato da una giovane fanciulla dai capelli corti che indossa un corpetto di organza bianco, con fiori azzurri, chiuso da una fila di bottoncini in madreperla. Le maniche, rigonfiate all’altezza del gomito, le coprono metà dell’avambraccio e la gonna celestina arriva abbondantemente sotto il ginocchio poco sopra i calzini bianchi di cotone. Impugna un rosario di madreperla bianco intervallato con chicchi più grossi azzurri, come i suoi occhi mesti e si inginocchia. Comincia a parlare con la voce stridula, ma forse un richiamo del prete la induce ad affievolire il tono della voce. Camilla si muove nei suoi paraggi e casualmente per la tendina leggermente scostata del confessionale, vede il sacrestano che pulisce con lenti gesti gli occhiali mentre la bimba loquace continua a parlare ed alzando nuovamente il tono di voce la incuriosisce.
Lei vorrebbe captare qualche parola perché il timbro della voce della bimba non la convince; troppo sofferto e stridulo per una figura così gracile. Sposta il suo sguardo proprio quando un bimbo vicino a lei con fare innocente, piega la testolina e supplica un elemosina che lei non concede, colpita da una figura femminile con un grosso cero che la incrocia. La foggia del suo cappello con veletta, la incuriosisce ed il suo vestire contrasta con quello di molti presenti come il suo volto, che seppur leggermente appesantito, mostra una cura particolare. Sfiora il collo con le dita prima di accendere il cero e sistemarlo nel candeliere, toglie una piccola scaglia di cera da un’unghia smaltata ed estrae dalla sua borsa di vitello nero un rosario impreziosito da una grossa croce di argento. Inizia a sgranarlo, ma quando è a metà, le si avvicina il prete che, abbandonato il confessionale, l’affianca. La signora scambia qualche parola con lui, che premuroso le porge il proprio braccio seppur con il dovuto distacco, prima di iniziare a passeggiare insieme; ormai la cerimonia sta per iniziare perché dal fondo della chiesa sale un brusio e due ragazzi che si rincorrono con fragore tra le panche vengono redarguiti invano dai loro genitori. La bimba inginocchiata ignara dell’assenza del prete, continua a parlare alzando la voce e Camilla che vorrebbe consigliarla di abbassare il tono, sapendo di non avere la dovuta autorità, si avvicina, con fare incerto, al confessionale, e nel trattenersi alle sue spalle involontariamente sente alcune parole inquietanti.
Il cuore le comincia a battere più forte quando la bimba si ferma un attimo e, nascondendo il viso tra le mani, inizia a piangere e per un attimo, vista la lontananza del prete, lei pensa di introdursi nel confessionale per carpire le confessioni della piccola che adesso piange convulsamente, ma poi rinuncia al suo proposito sacrilego. Si accosta però sempre più alla bimba dissimulando un atteggiamento distratto mentre la bimba riprendendo a parlare deve interrompersi perché i singhiozzi ingoiano le sue parole. Camilla dilata il suo orecchio, le passa dietro e sfiorando con il gomito il confessionale osserva la gente raccolta in preghiera. Non sa se è notata, ma l’ultimo singhiozzo la induce a realizzare il suo proposito. Fulminea, in un attimo in tempo riesce ad udire un terribile e sconvolgente segreto quando la bimba continuando ancora a parlare fornisce particolari agghiaccianti mentre il prete in conversazione con la signora è già più lontano. Lei non può parlare perché è donna e la bimba la scoprirebbe subito e quindi prigioniera di se stessa è incapace di agire quando la bimba le lancia un accorato e disperato aiuto, credendo di parlare con il prete.
Entrano le autorità religiose precedute da un applauso scrosciante e lei esce dal confessionale. Nonostante la grande partecipazione dei fedeli qualche persona la nota, ma tace e lei se ne accorge; è tentata di fermarsi per rispondere ad alcuni sguardi maligni, ma il pensiero della bimba piangente la induce a proseguire. La chiesa è gremita quando il prelato sale il primo scalino verso l’altare ed il coro dei bimbi, sistemato intorno all’altare, intona un canto solenne. Camilla si dilegua furtivamente, sconvolta dal terribile segreto, e tornando alla luce viene accolta da un caldo raggio di sole.
Gino Benvenuti Maggio 1992