À la recherche des tarallouches de Foggià

Alain Elkann, ha scritto tanti libri, ha inondato La Stampa dei suoi articoli, ha generato due gran fidipa ma anche fidipu (per gli amici quei fiòl d’un Elkann), insignito della Légion d’honneur, commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana (seppur nastrino semplice) … e poi mi casca su Proust. Seguono articolo e qualche commento su Facebook (Francesca Borrelli, Giorgio Cappozzo, Lorenzo Mei e la Biblioteca delle Oblate di Firenze)

Sul treno per Foggia con i giovani “lanzichenecchi”

l’articolo di Alain Elkann a La Repubblica (quotidiano del gruppo Gedi di cui è Presidente il figlio John)

Non pensavo che si potesse ancora adoperare la parola “lanzichenecchi” eppure mi sbagliavo. Qualche giorno fa, dovendo andare da Roma a Foggia, sono salito su una carrozza di prima classe di un treno Italo. Il mio posto assegnato era accanto al finestrino e vicino a me sedeva un ragazzo che avrà avuto 16 o 17 anni. T-shirt bianca con una scritta colorata, pantaloncini corti neri, scarpe da ginnastica di marca Nike, capelli biondi tagliati corti, uno zainetto verde. E l’iPhone con cuffia per ascoltare musica. Intorno a noi, nelle file dietro e in quelle davanti, sedevano altri ragazzi della stessa età, vestiti più o meno allo stesso modo: tutti con un iPhone in mano. Alcuni avevano in testa il classico cappello di tela con visiera da giocatore di baseball di colori diversi, prevalentemente neri, e avevano tutti o le braccia o le gambe o il collo con tatuaggi piuttosto grandi. Nessuno portava l’orologio.
Io indossavo, malgrado il caldo, un vestito molto stazzonato di lino blu e una camicia leggera. Avevo una cartella di cuoio marrone dalla quale ho estratto i giornali: il Financial Times del weekend, New York Times e Robinson, il supplemento culturale di Repubblica. Stavo anche finendo di leggere il secondo volume della Recherche du temps perdu di Proust e in particolare il capitolo “Sodoma e Gomorra”. Ho estratto anche un quaderno su cui scrivo il diario con la mia penna stilografica.
Mentre facevo quello, i ragazzi parlavano ad alta voce come fossero i padroni del vagone, assolutamente incuranti di chi stava attorno. Parlavano di calcio, di giocatori, di partite, di squadre, usando parolacce e un linguaggio privo di inibizioni.
Intanto il treno, era arrivato a Caserta. Non sapevo che per andare da Roma a Foggia si dovesse passare da Caserta e poi da Benevento. Pensavo di aver sbagliato treno, ma invece è così. Non ho mai rivolto la parola al mio vicino che o taceva ascoltando musica o si intrometteva con il medesimo linguaggio nella conversazione degli altri ragazzi.
A un certo punto, poco dopo Benevento, mentre erano sempre seduti o quasi sdraiati ai loro posti, ammassando nei vari cestini per la carta straccia lattine di Coca Cola o tè freddo, uno di loro ha detto: «Non è che dobbiamo stare soli di sera: andiamo a cercare ragazze nei night».
Un altro ragazzo più piccolo di statura e con il viso leggermente coperto di acne giovanile ha detto: «Macché night! Credetemi, ho esperienza. Bisogna beccare le ragazze in spiaggia e poi la sera portarle fuori e provarci. La spiaggia è il posto più figo e sicuro per beccare».
Quella conversazione sulle donne da trovare era andata avanti mentre io avevo finito di scrivere sul mio quaderno ed ero immerso nella lettura di Proust. Loro erano totalmente indifferenti a me, alla mia persona, come se fossi un’entità trasparente, un altro mondo. Io mi sono domandato se era il caso di iniziare a parlare col mio vicino, ma non l’ho fatto. Lui era la maggioranza, uno nessuno centomila, io ero inesistente: qualcuno che usava carta e penna, che leggeva giornali in inglese e poi un libro in francese con la giacca e i pantaloni lunghi.
Per loro chi era costui? Un signore con i capelli bianchi, una sorta di marziano che veniva da un altro mondo e che non li interessava. Pensavano ai fatti loro, parlavano forte, dicevano parolacce, si muovevano in continuazione, ma nessuno degli altri passeggeri diceva nulla.
Avevano paura di quei ragazzi tatuati che venivano dal nord, lo si capiva dall’accento, o erano abituati a quel genere di comportamento?
Arrivando a Foggia, mi sono alzato, ho preso la mia cartella. Nessuno mi ha salutato, forse perché non mi vedevano e io non li ho salutati perché mi avevano dato fastidio quei giovani “lanzichenecchi” senza nome.
Per loro chi era costui? Un signore con i capelli bianchi, un marziano venuto da un altro mondo

Francesca Borrelli su Facebook

Caro direttore, mi trovo in vacanza fra Roma e Foggia e forse perciò mi ha tanto colpito il bel reportage di Alain Elkann; ma sul momento ho lasciato cadere l’opportunità di solidarizzare con le sue rimostranze; anche sul lino di oggi che, lo so bene, non si sgualcisce più come quello di una volta.

Oggi però l’articolo – sulla Repubblica – del direttore dell’Istituto di cultura di New York, nonché professore emerito all’Università della Pennsylvania Fabio Finotti, mi ha dato forza e vorrei fare mie le sue parole. Perché mi sembra valga la pena, in questo decadimento di valori che ci circonda, fare eco a chi si spende per dare alle cose il nome che meritano.

«La letteratura – si domanda Finotti – può dunque ancora scandalizzare, muovere le coscienze»… La letteratura? Mi sono detta: ne parlerà dopo; ma no! Si riferiva a Elkann, e già questo è un contributo a situare il protagonista nel suo giusto ambito. Me ne sono rallegrata perché in questi giorni volgari social animati dai soliti lanzichenecchi mi sembrava lo mettessero in dubbio. E poi specifica, Finotti: «chi dice Io in un racconto non è lo stesso di chi dice Io nella realtà».

E dire che, in un primo momento, non avevo capito si trattasse di una finzione, credevo che Elkann parlasse sul serio. Non a caso il mestiere di critico ha procurato a Finotti una cattedra negli Stati Uniti. Sarà – dice lui – l’ABC della analisi letteraria, ma anche il fatto che Elkann si incarnasse tanto nell’Io che scrive quanto nei suoi antagonisti (letterari, si capisce) ovvero nei lanzichenecchi, non lo avevo afferrato. Eppure credevo di avere letto anch’io Bachtin (che però forse non è il Bakhtin di cui parla lui), ma se pure lo avessi letto di certo lo avrò malcompreso e infatti a me la cattedra negli Stati Uniti non l’hanno data.

Quel che però mi ha colpito al cuore, e perciò voglio rendervene parte, è il senso di disordine e sciatteria che Finotti ha scovato nel vestito «molto stazzonato di lino blu» del nostro protagonista: perché è evidente che lì è mancata una mamma, e anche le donne di servizio non stirano più come quelle di una volta. Ma la malinconia derivata dal fatto che lo scrittore (sempre Elkann) si affida non a mezzi elettronici, bensì a una passata di moda penna stilografica? Vogliamo parlarne? A me ha strappato un singulto. Quanto mai azzeccata mi è sembrata, dunque, la similitudine fra Elkann e lo scrittore crepuscolare, da Thomas Mann a Bassani, «uomini che nascono e muoiono senza che il mondo si accorga di loro, se non per disturbarli, per distrarli dal loro destino».

Nessuno, prima d’ora, infatti, conosceva il nome di Elkann, un uomo qualunque, oserei dire, uno di noi, nella cartella di cuoio del quale si nascondevano liriche traslazioni di una realtà in cui io è un altro, a rischio di passare inosservate. Qui, nel vortice delle allegorie che avvicinano lo scrittore Elkann alle vette della letteratura mondiale, anche la prosa di Finotti si impenna a rasentare il culmine della verità.

Concordo dunque sulle conclusioni, passando per l’ovvia evidenza che chi ha deciso, in questa chiassosa gazzarra dei social, di schierarsi con i giovani (sempre lanzichenecchi) lo ha fatto per una scelta di campo intellettuale e non sociale. Ben detto. Non resta che unirsi alle amare conclusioni: per questa volta è andata bene, e ancorché ignorato, lo scrittore Elkann se ne è tornato a casa senza nemmeno essere stato aggredito: «perché ha osato essere diverso dagli altri». Lui e la sua stilografica. Ma è stato un caso e dunque è vero: «Meglio che non ci provi più».

Giorgio Cappozzo su Facebook

È ARRIVATA LA RISPOSTA DI UNO DEI RAGAZZI DEL VAGONE DI ALAIN ELKANN

– Qualche giorno fa io, la Luciana, il Michele e il Filippo stavamo sul treno per Foggia, che peraltro aveva già accumulato tipo 50 minuti di ritardo per un guasto alla linea elettrica. Vabbè, insomma, se ricordo bene parlavamo di calcio perché il Michele parla solo di calcio e di figa e siccome aveva parlato di figa fino a Benevento nell’ultimo tratto aveva deciso di parlare di calcio. Io e la Luciana partecipavamo ridendo molto, mentre il Filippo con le cuffiette ascoltava tutto un flow che gli ha spedito la Barbara che poi non è partita con noi. Comunque stavamo così, a farci i cazzi nostri quando un tizio, con pantaloni lunghi e una giacca blu che ci siamo detti ma guarda quello, qui fanno 50 gradi e lui non suda, sarà un replicante e giù a ridere, insomma questo tizio comincia a dire delle parole in francese, così, ad alta voce. Teneva un libro aperto (in un’ora non l’ho mai visto girare la pagina), guardava fuori dal finestrino come a contemplare la vastità dell’eccetera eccetera e poi diceva cose in francese come se avesse scoperto la ruota e sorrideva, ci guardava, diceva una parola in francese e sorrideva, ma non cambiava pagina. Poi ci siamo rimessi a parlare di figa e di come avremmo potuto rimorchiare in spiaggia, cose così, e il Michele ha detto che conosce un locale fuori Foggia che si chiama il Night, un nome di merda che manco mio nonno, però vabbè si chiama così, e la Luciana, forse per distrarci dal monotema sulla figa ha indicato il signore di lino che in quel momento stava tirando fuori da una borsa di pelle tipo quella del mio pediatra un sacco di quotidiani di carta, in varie lingue diverse. Li tirava fuori dalla borsa e ci guardava, ci guardava e sorrideva, li sfogliava ci guardava e sorrideva, tanto che la Luciana stava per dirgli ma che cazzo guardi? invece il Filippo l’ha bloccata e ha detto guarda che penna figa che c’ha, quella è una stilografica. Che a noi poi quando mai c’è fregato delle stilografiche, invece il Filippo ha la passione per queste cose antiche e ha detto guardate che quella penna costa più di tutto quello che spenderemo in vodka lemon questi 10 giorni in Puglia. Il signore in lino deve aver capito che il Filippo apprezzava perché si è messo a scrivere su un quadernino tipo diario e darei il mio iphone per sapere cosa cazzo c’ha scritto, forse ha fatto solo dei disegnini, oppure avrà scritto la parola francese, o il mattino ha l’oro in bocca come il Nicholson in Shining quando impazzisce. Comunque, troppo divertente, mentre pensavo a queste cose, e la Luciana si era già stufata, il Michele aveva ripreso a parlare di rigori e il Filippo a riascoltare la musica, il signore in lino si è alzato per scendere, si è fermato a un metro da noi guardandoci come a dire non mi riconoscerte? non lo so, mi sono fatto questa idea, aveva l’aria di chi voleva essere riconosciuto, celebrato e invece noi ci siamo fatti i cazzi nostri e lui prima ha detto una cosa tipo “lanzichenecchi” che la Luciana dice che è una parola che si è inventato, e poi è uscito dal vagone anche un po’ in fretta. Credo che abbia anche scureggiato, perché ho sentito come un rumore di porta che scricchiola ma nel vagone le porte sono solo a scorrimento, dunque, dai, era una scureggia.

Lorenzo Mei su Facebook

L’altra faccia di Alain.
L’altro giorno con alcuni amici ho preso un treno per Foggia. Non c’era posto in seconda classe e quindi abbiamo dovuto spendere un sacco di soldi per prendere i biglietti in prima. L’aria condizionata non funzionava bene, ma a un certo punto è entrato un vecchio vestito come Fantozzi e Filini quando arrivano a Ortisei. Infatti puzzava di sudore a un livello immondo. Volevamo dirglielo, ma non ce la siamo sentita di parlargli per non offenderlo. A un certo punto ha tirato fuori da una borsa di pelle alcuni giornali, un vecchio diario tutto sciupato e una penna. Appena ha tolto il tappo è uscito mezzo litro di inchiostro, al che il vecchio ha cominciato a gridare cose come “Pev mille balene”, “Accidempolina al mondo” o “Pevdincibacco”. Alla fine, dopo aver scritto alcune righe in un’ortografia imbarazzante, ma anche in questo caso non ce la siamo sentita di dire nulla, si è messo a leggere un libro molto grosso, ma restava sempre sulla stessa pagina per ore, ricominciando quelle imprecazioni strane. Il massimo lo ha raggiunto a Caserta quando ha chiamato il controllore pretendendo che il treno non si fermasse perché non ne vedeva l’utilità, e dicendo di voler interloquire direttamente con il fuochista. Mentre stavamo lì a parlare tra noi o ad ascoltare alcuni podcast, lo vedevamo osservarci in modo strano, specie quando abbiamo parlato di Because the night di Patti Smith e di come la generazione del CBGB abbia influenzato il punk. Sì è addormentato, ma quando siamo arrivati a Foggia si è svegliato di soprassalto ed è corso via senza salutare nessuno. Non abbiamo fatto in tempo a dirgli che aveva preso la borsa del capotreno al posto della sua. L’abbiamo aperta, c’erano un calamaio, un orologio a cipolla e una boccetta di metallo con scritto “cordiale”. Se qualcuno lo conosce gli dica di passare agli oggetti smarriti.

Biblioteca delle Oblate di Firenze su facebook

Per leggere “𝐋𝐚 𝐑𝐞𝐜𝐡𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞” di Proust in totale tranquillità non salire 𝘀𝘂𝗹 𝘁𝗿𝗲𝗻𝗼 𝗶𝗻 𝗽𝗿𝗶𝗺𝗮 𝗰𝗹𝗮𝘀𝘀𝗲 𝗽𝗲𝗿 𝗙𝗼𝗴𝗴𝗶𝗮, rischiando di incontrare avventori chiassosi, vieni invece direttamente alla Biblioteca delle Oblate.
Ambiente confortevole, vista sulla Cupola di Brunelleschi, avventori silenziosi con orologio al polso e occasionalmente anche penne stilografiche. 𝐆𝐚𝐫𝐚𝐧𝐳𝐢𝐚 𝐋𝐚𝐧𝐳𝐢𝐜𝐡𝐞𝐧𝐞𝐜𝐜𝐡𝐢 𝐟𝐫𝐞𝐞.
Se invece ami leggere in vacanza, sul treno o sull’aereo a sprezzo di possibili disturbatori, possiamo prestarti lo stesso “La Recherche”, anche in lingua originale, per poter portare ovunque con te il piacere di leggere le vicende evocative di Marcel e Albertine.
Città di Firenze – Città di Firenze Cultura

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