Anche la Pubblica Istruzione – tra le varie – non sfugge al saccheggio delle conquiste democratiche che, pur fra infortuni e inciampi, hanno segnato per circa cinquant’anni il cammino della scuola verso il rinnovamento e il superamento della riforma Gentile. Al diffuso disagio giovanile, sempre più preoccupante, figlio di una complessa crisi di sistema che richiederebbe visioni prospettiche e strumenti attuali più adeguati, i demagoghi di questo governo fanno la voce grossa ricorrendo a misure tanto repressive quanto inadeguate a mantenere sia l’ordine sociale che scolastico. Ricette facili per situazioni difficili che, anziché portarci avanti ci fanno tornare indietro in linea con il ripristino delle magnifiche sorti e regressive. Il ricorso al 5 in condotta per scoraggiare la crescente violenza nelle scuole, e una valutazione del merito espressa, per le scuole medie e superiori, solo con voti numerici senza un minimo di descrizione dei percorsi individuali, mi inducono a riflettere sul voto e sulla sua funzione valutativa in chiave pedagogica e politica.
La valutazione dei rendimenti scolastici è il cardine su cui si fonda il percorso formativo degli studenti non solo per apprendere i contenuti dei programmi, ma anche per strutturare la propria futura visione del mondo. Storicamente il voto ha costituito, fino alla fine degli anni ’70, l’unico strumento di valutazione dell’apprendimento scolastico. Il voto è oggettivo – nel senso che registra le competenze acquisite – ma non è obiettivo in quanto non spiega né le condizioni di partenza dell’alunno, né i suoi processi di maturazione. Quantifica, dice quanto, ma non come. Il giudizio verbale sintetico qualifica, dice come, ma non quanto. Il giudizio descrittivo può spiegare il come, il quanto e anche il perché.Usare lo stesso strumento di valutazione – il voto o il giudizio verbale sintetico – per tutti i soggetti, equivale a trattare in modo uguale situazioni disuguali e quindi a non riconoscere le disparità socio-culturali che penalizzano alcuni e avvantaggiano altri. Disparità a cui lo stato – come recita l’articolo 3 della nostra Costituzione, deve fare di tutto per porre rimedio. Il voto è un diritto o un gastigo? Penso che la valutazione serva alla crescita dello studente nella misura in cui saprà andare oltre il voto per aiutarlo a prendere coscienza di sé. Infatti, se esso da un lato facilita all’alunno la comprensione dei livelli di apprendimento raggiunti, è anche vero che senza essere corredato di note esplicative che gli facciano capire anche la sua situazione personale, sia in termini di difficoltà che di potenzialità, può costituire, se è insufficiente, motivo di frustrazione e quindi, un gastigo. La rivoluzione culturale del ’68 ebbe il merito di denunciare il classismo di una scuola a immagine di una società classista dando vita a movimenti di protesta e a sperimentazioni fortemente innovative, sia sul piano pedagogico che su quello metodologico e sociale. Fra queste si levò alta la voce di don Lorenzo Milani, icona oggi venerata, ma non più ascoltata. Attualmente la Scuola di Barbiana è meta di pellegrinaggi, ma non certo di corsi di formazione per insegnanti. All’epoca, dalla concezione di una scuola selettiva, destinata principalmente a fare emergere i meriti di Pierino figlio del dottore (vedi Lettera a una professoressa) si passò a concepire una scuola inclusiva, non competitiva, e, invertendo la tendenza in atto, con un’attenzione particolare agli ultimi come era Gianni, figlio di contadini (vedi sempre Lettera…). Fu in questo periodo, nel 1977, che nella scuola primaria fu introdotta la scheda di valutazione con la descrizione del profilo dell’alunno, in sostituzione del voto. Tale valutazione descrittiva fu abolita nel 2008 a favore del giudizio verbale sintetico e reintrodotta nel 2020 con il governo di centro-sinistra guidato da Giuseppe Conte. Oggi, con un governo interessato più alla meritocrazia che alla formazione, la valutazione descrittiva torna ad essere in bilico mentre nella scuola media, per gli studenti in piena crisi adolescenziale, vige il voto numerico senza nessun accenno ai percorsi individuali. Inoltre, anche se le classi sociali non sonopiù quelle di una volta e gli ultimi di allora sono i penultimi di oggi, le disuguaglianze restano e ci chiedono a gran voce – ora come allora – di lottare per una scuola che valorizzi le differenze e riduca le disuguaglianze. La valutazione è un fatto politico che, a seconda di come viene attuata, può portare a destra o a sinistra. Una valutazione che prescinda dalla considerazione del fattore contestuale, esprime una visione di destra della società nella quale chi nasce ultimo ha molte probabilità di rimanere tale. Una valutazione che tenga conto dei fattori contestuali di svantaggio, da dove emerga l’impegno della scuola di attuare strategie mirate di recupero, esprime una visione di sinistra nella quale chi parte ultimo ha qualche probabilità di arrivare primo e, se non primo, di realizzare, comunque, se stesso.
Anna Maria Guideri 04-10-2024