Ninna nanna della Guerra

di Trilussa

NINNA NANNA DELLA GUERRA

Ninna nanna, nanna ninna,
er pupetto vò la zinna:
dormi, dormi, cocco bello,
sennò chiamo Farfarello
Farfarello e Gujermone
che se mette a pecorone,
Gujermone e Ceccopeppe
che se regge co le zeppe,
co le zeppe dun impero
mezzo giallo e mezzo nero.

Ninna nanna, pija sonno
ché se dormi nun vedrai
tante infamie e tanti guai
che succedeno ner monno
fra le spade e li fucili
de li popoli civili
Ninna nanna, tu nun senti
li sospiri e li lamenti
de la gente che se scanna
per un matto che commanna;

che se scanna e che s’ammazza
a vantaggio de la razza
o a vantaggio d’una fede
per un Dio che nun se vede,
ma che serve da riparo
ar Sovrano macellaro.
Ché quer covo d’ assassini
che c’insanguina la terra
sa benone che la guerra
è un gran giro de quatrini
che prepara le risorse
pe li ladri de le Borse.

Fa la ninna, cocco bello,
finché dura sto macello:
fa la ninna, ché domani
rivedremo li sovrani
che se scambieno la stima
boni amichi come prima.
So cuggini e fra parenti
nun se fanno comprimenti:
torneranno più cordiali
li rapporti personali.

E riuniti fra de loro
senza l’ombra d’un rimorso,
ce faranno un ber discorso
su la Pace e sul Lavoro
pe quer popolo cojone
risparmiato dar cannone!

il buon presepe

Una segnalazione da parte di Stefania Andreini

Auguri con il nuovo presepe più inclusivo e laico. Non contiene animali per evitare accuse di maltrattamenti. Non contiene Maria, perché propone l’immagine di una donna prona al patriarcato. Quella del falegname Giuseppe non c’è perché il sindacato non ne autorizza l’uso. Gesù Bambino è stato rimosso perché non ha ancora scelto il suo sesso, se sarà maschio, femmina o qualcos’altro. Non contiene più i Magi, perché potrebbero essere migranti e uno di loro è nero (discriminazione razziale, xenofoba). Non contiene una stella cometa per ridurre l’impatta ambientale e l’inquinamento luminoso. Inoltre, non contiene più un angelo per non offendere gli atei, i musulmani e le altre credenze religiose. Infine, abbiamo eliminato la paglia, a causa del rischio di incendio, perché non conforme alla norma europea 69/2023/CZ. È rimasta solo la capanna, realizzata in legno riciclato proveniente da foreste conformi agli standard ambientali ISO, alta esattamente 2.70 m, il minimo per ottenere l’abitabilità.

Il pacifismo è anticapitalista

Una breve ma essenziale considerazione di Gianpasquale Santomassimo- Da Facebook

Quando si legge degli stratosferici stanziamenti di fantastiliardi di aiuti militari che gli Usa destinano all’Ucraina e a Israele è bene tener presente che l’80% delle somme resta in patria, investiti nella produzione di armamenti. E’ un meccanismo ben noto e collaudato, che fu in passato alla base di tutti i tentativi (riusciti o meno) di uscita dalle crisi attraverso le spese militari. E’ anche secondo molti interpreti la chiave del successo finale nella lunga guerra fredda del 900: la corsa agli armamenti come volano di sviluppo in una economia di mercato, come perdita secca e paralizzante in una economia socialista.

Gianpasquale Santomassimo

in memoria di Bianciardi

Rino Pensato propone un ricordo di Luciano Bianciardi. Da Facebook

Luciano Bianciardi (il primo da destra) nella sua pausa caffè.

Grandi anniversari.

Il 14 dicembre di 101 anni fa nasceva
Luciano Bianciardi (Grosseto, 14 dicembre 1922–Milano, 14 novembre 1971)
Luciano Bianciardi è stato uno scrittore, giornalista, traduttore, bibliotecario, attivista e critico televisivo italiano.
Esordì con due romanzi: Il lavoro culturale (1957; 2a ed. ampl. 1964) e L’integrazione (1960) che, con La vita agra (1962), compongono un trittico, non di rado parodistico e dissacrante, sulla condizione umana nell’Italia contemporanea, dalle illusioni del dopoguerra al grigio benessere degli anni Sessanta. Rievocazioni del passato in chiave di attualità sono: Da Quarto a Torino. Breve storia della spedizione dei Mille (1960, 2a ed. ampl. 1968), Daghela avanti un passo (1969), La battaglia soda (1964) e Aprire il fuoco (1969). Nel 1969 aveva pubblicato Viaggio in Barberia; postumi sono apparsi Giorni nostri (1972, in collaborazione con D. Manzella) e Peripatetico e altre storie (1976). Nel 2018 è stato edito il volume Il cattivo profeta. Romanzi, racconti, saggi e diari, che ne raccoglie gli scritti, mentre è del 2021 il saggio A Milano con Luciano Bianciardi di G. Manzini.
***
Il nostro è un ricordo ad hoc per chi scrive, bibliografo per la vita (circolano ancora miei “lavori bibliografici”) e caffeinomane impenitente.
“Una ricerca esauriente sulla bibliografia cinese,” mi dissero un giorno.
“Una ricerca completa. Vedere quel che si è pubblicato in Europa, soprattutto in lingua inglese, sull’argomento: storia, letteratura, arte, costume e così via.”
“Bene,” facevo io, “ma ora andiamo a prendere un caffè. Lo paga Ardizzone.”
“Ma santo cielo,” faceva Ardizzone con voce lagnosa, “sempre a rompere le scatole con questo caffè. Ma non lo vedete che ho da fare?”
“Dai Ardizzone,” faceva allora Pozzi, “stai calmo e paga questo caffè,” e se ne andava nella sua stanza. Ma di lì a poco rifaceva capolino:“Allora Ardizzone, questo caffè lo paghi o no?”.
“Un momento, un momento, finisco qui e poi lo pago. Lo pago, lo pago, maledetti micragnosi, lo pago.”
Si usciva tutti e quattro, dopo aver avvertito Bauducco: “Vieni anche tu a prendere il caffè? Lo paga Ardizzone, a tutti”.
Luciano Bianciardi, L’integrazione, 1960 (Feltrinelli, 2014)
Luciano Bianciardi, che è riuscito a fare grande narrativa, con amara ironia, sul “lavoro culturale” e la storia locale. Per me, per il mio lavoro, per i miei libri, un faro, oltre che il piacere di leggere “in purezza”, a prescindere dall’“appeal” del plot, dei personaggi.

Romeo Francesco Antonio su FB commenta

Nella “Vita agra” sosteneva di non essere razzista perché aveva ospitato un pisano. Uno di quelli che dicono: “Gaodè er pecoro d tu pà! Nun ce l’avresti un lavorino da faticà poco e guadagnà tanto?

Buon Natale da Pier Paolo Pasolini

Pier Paolo Pasolini, Eretico & Corsaro (Tempo, numero 1 del 3 gennaio 1970)

Tanti Auguri
Siamo arrivati all’insopportabile Natale. Non ho niente da aggiungere a quanto dicevo un anno fa, qui, contro questa festa stupida e irreligiosa.
Tanti auguri ai fabbricanti di regali pagani! Tanti auguri ai carismatici industriali che producono strenne tutte uguali!
Tanti auguri a chi morirà di rabbia negli ingorghi del traffico e magari cristianamente insulterà o accoltellerà chi abbia osato sorpassarlo o abbia osato dare una botta sul didietro della sua santa Seicento!
Tanti auguri a chi crederà sul serio che l’orgasmo che l’agiterà – l’ansia di essere presente, di non mancare al rito, di non essere pari al suo dovere di consumatore – sia segno di festa e di gioia! …
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(Tempo, numero 1 del 3 gennaio 1970)

Viaggio semiserio immaginifico nel cielo blu dipinto di blu

Un racconto di Mario Basso

Quando ero giovane, si proiettava un film “IRMA LA DOUCE” – Irma la dolce.
Dicevo ai miei compagni: Io ho una cugina che si chiama Irma ma non la conosco perché vive in Sardegna. Per tanti anni non ci siamo mai incontrati.
Un giorno di qualche anno fa, sento dire da Maria:” Irma se né andata, è andata via, non c’è più”. Come non c’è più!!!!, dove è andata?? con chi???!. Non era possibile, aveva il marito. Eppure se n’era andata davvero:
Era andata “Nel cielo blu dipinto di blu”.

Il racconto

Racconto di Natale

Da Facebook un bel contributo di Sandra Vegni

La foto trovata su una pagina di facebook mi ha suggerito un racconto

Sandra Vegni

L’ALBERO DI NATALE

La bambina non si decideva ad andare a letto, pareva che l’eccitazione degli adulti le si fosse trasmessa nonostante fingessero normalità. Gli zii e la cugina giocavano a carte sul tavolo di marmo di cucina, osservati dal nonno che stringeva fra i denti la pipa spenta; il babbo leggeva il giornale sulla bergère del salotto.

Alla fine l’Amalia pose fine agli indugi: la portò in camera, le infilò il pigiama e si sedette accanto al lettino smaltato di rosa, una mano chiusa a pugno fra quelle della piccola che iniziò, come ogni sera, ad accarezzarle le nocche disegnando cerchi con le piccole dita. Una sorta di tortura cinese per la mamma che intonò a bassa voce la ninnananna fiorentina, l’unica che conosceva: “nannao nannao… questa bambina a chi la do…”

Subito carte e giornale sparirono dalla scena; facendo cenno l’uno all’altro di restare in silenzio, tutti si davano da fare. Il babbo e lo zio trascinarono su per le scale il grande abete che sfiorava il soffitto, la zia corse ad aprire la scatola dove riposavano, incartati ad uno ad uno con il giornale dell’anno prima, gli addobbi colorati. Palle di vetro semplici, le più belle interrotte da una girandola, fragili, difficili da maneggiare. Un tocco distratto, un rapido scivolìo e mille pezzi colorati si dividevano in minuscoli frammenti sulle mattonelle esagonali del pavimento.

Il nonno, dalla bergère spostata in un angolo per far posto all’albero, in silenzio osservava i lavori.

Dopo che, finalmente, la bambina si fu addormentata, arrivò la mamma a dar mano. C’erano ancora da agganciare i mandarini profumati e i sacchetti di noci e fichi secchi dell’orto e infine i cioccolatini a forma di Babbo Natale avvolti nella carta stagnola. Già s’immaginavano la gioia della bambina mentre li sgranocchiava.

L’ultimo tocco lo diede il babbo, sotto l’occhio vigile dello zio: era un compito delicato agganciare le candele alle fronde dell’albero, bisognava calcolare che l’altezza delle fiammelle non sfiorasse i rametti sovrastanti. Non sarebbe stato un gran giorno di Natale quello in cui la casa fosse andata a fuoco.

Gli anni precedenti la bambina era troppo piccola per apprezzare l’albero di Natale, quello per lei sarebbe stato il primo; così al mattino erano tutti lì ad aspettare le sue grida di sorpresa, pregustavano i salti, gli occhi scintillanti di gioia, gli abbracci che avrebbe regalato a tutti.

Arrivò per mano alla mamma, i capelli arruffati, il golfino infilato sopra il pigiama rosa e le pantofole scozzesi ai piedi. Era una bambina silenziosa, un po’ imbronciata, sempre a rincorrere le sue fantasie.

Lasciò la mano della mamma, guardò l’albero scintillante di vetri e di stagnole, le fiammelle tremolanti che puntavano il soffitto. Lo guardò con occhi critici, la fronte corrugata, le labbra strette. Poi si rilassò e sorrise.

«L’ho fatto io!» disse, soddisfatta.

La bambina ero io, avevo tre o quattro anni, la storia è vera. Ogni volta che me la raccontavano i ‘grandi’ ridevano come matti.

IL GATTO IN UN APPARTAMENTO VUOTO

Anna Maria Guideri ci propone questa bella poesia di Wislawa Szymborska – premio Nobel per la Letteratura 1996

Morire – questo a un gatto non si fa.
Perché cosa può fare il gatto
in un appartamento vuoto?
Arrampicarsi sulle pareti.
Strofinarsi sui mobili.
Qui niente sembra cambiato,
eppure tutto è mutato.
Niente sembra spostato,
eppure tutto è fuori posto.
E la sera la lampada non brilla più.
Si sentono passi sulle scale,
ma non sono quelli.
Anche la mano che mette il pesce nel piattino
non è quella di prima.
Qualcosa qui non comincia
alla solita ora.
Qualcosa qui non accade
come dovrebbe.
Qui c’era qualcuno, c’era,
poi d’un tratto è scomparso
e si ostina a non esserci.
In ogni armadio si è guardato.
Sui ripiani si è corso.
Sotto il tappeto si è controllato.
Si è perfino infranto il divieto
di sparpagliare le carte.
Che altro si può fare.
Aspettare e dormire.
Che lui provi solo a tornare,
che si faccia vedere.
Imparerà allora
che con un gatto così non si fa.
Gli si andrà incontro
come se proprio non se ne avesse voglia,
pian pianino,
su zampe molto offese.
E all’inizio niente salti né squittii.

Wislawa Szymborska
premio Nobel per la Letteratura 1996

Questo non sarebbe accaduto nella bella Instambul, città ove i gatti di casa circolano beatamente per le strade, coccolati e rispettati dagli abitanti

Il gatto d’Instambul