A Kira

Gian Luigi Betti

Kira, la giovane Kira, la provocante Kira, l’onnipresente Kira.
Kira comanda la mia casa coi suoi occhi dolci, non ha bisogno di parole.
Io non posso che eseguire ogni suo volere: la sua giovanile vivacità è conforto e dominio alla mia pigra senilità.
La notte scivola nel letto al mio fianco e si stira alle mie carezze con pigra voluttà.
M’invita ad una corsa che più non conosco ma di cui ho rimpianto.
Mi provoca: talvolta s’offre: prona in attesa delle mie carezze e d’improvviso s’allontana per un gioco vezzoso.
Talvolta giace supina, mi guarda e offre il ventre nella posizione del missionario. Le carezzo il volto, la gola, lei risponde mordicchiando le mie mani: quando le mie carezze scendono le trattiene affondandovi le unghie, gli occhi socchiusi nel piacere. Resisto ma quando grido per protesta fa un agile balzo e si allontana da me con aria offesa, la coda ritta.

Gian Luigi Betti, 18/02/2023

Franti

Dalla serie le Missive impossibili di Sandra Vegni

Lettera di Franti (personaggio)
a Edmondo De Amicis (autore)

Al Signor Edmondo De Amicis, scrittore e militare, Torino

Torino (Italia), 19 febbraio 1887

Illustrissimo Signor Autore, Edmondo De Amicis
Non so se mai è capitato che un personaggio scrivesse al suo autore, ma se così non fosse stato, mi pregio oggidì di farlo io.
Ella mi perdonerà, mi credo, qualche scarabocchio e talun errore d’ortografia: brillante lei non mi fece, né studioso. Ammetterà, quindi, che colpa mia non sia la scarsa erudizione. Così ella mi fece, così mi leggerà.

Appunto di questo io voglio dire e sapere perché, per qualsivoglia inclinazione o pretesto letterario, così mi volle in quelle pagine destinate – e di questo mi cruccio e effettivamente non capisco – a popolare i giorni e l’immaginario di moltitudini di generazioni venture. Par che sia d’uopo il regalarlo, non appena gli scolari siano in grado di leggere, a ciaschedun di loro. E ciaschedun, m’è assai evidente, mi detesterà.

Mi fece ‘faccia tosta e trista’: come poteva il mio sorriso suscitare simpatia? Apparvi dal niente, cacciato da un’altra classe. Poteva l’uggioso Enrico descrivere con simpatia la mia figura nel suo uggiosissimo diario? Gli abiti? Logori e sporchi. La famiglia? L’accenno a un padre male occupato e ‘tristo’ anch’egli e la figura dolente di una madre lacera e tremante, malata e piangente … Eh, Signor De Amicis, come sarebbe diventato – lei, lo sputasentenze militareggiante – se il buon Iddio l’avesse creato così come lei si è compiaciuto di creare me?

Facile, per l’Ernesto De Rossi, fare il simpatico! Bello, pulito, benvestito, intelligente, simpatico e brillante, pietoso con i poverelli dei ceti inferiori. E io avrei dovuto essere pietoso con i ceti superiori? Non scherziamo, scrittore. Rifletti un po’. Chi è il cattivo? Io, come tu mi facesti, ovvero tu, che così mi hai fatto?

E, stufo, a metà dello scritto mi hai pure messo d’un canto. Senza darmi possibilità alcuna di riscatto. Condannato fin dalla nascita a un magro destino. ‘Dicono che non verrà più’ scrive l’Enrico ‘perché lo metteranno all’ergastolo.’
All’ergastolo! Un bambino … E magari ti dovrei ringraziare perché non mi hai tolto la vita, come hai fatto con tanti altri, disgraziati bambini. Vuoi che ti ricordi i misfatti? La piccola vedetta lombarda, colpita da una palla nemica; Ferruccio il romagnolo, ucciso per salvar la vecchia nonna, Mario annegato per aver lasciato il suo posto su una scialuppa … e il tamburino sardo, con la gamba amputata, senza anestesia e senza antibiotici?

Io sarei il sadico, o scrittore delle mie scarpe rotte, io perché rido al passaggio della banda militare? Io, il primo vero pacifista della storia. Io che – non si sa perché, i generali hanno divise stirate e lustre e i reduci giacche polverose sporche di sangue e sudore – non mi metto sull’attenti davanti al potere.
Niente, te lo volevo dire. Che il tuo Enrico è di una noia mortale e che tu sei un sadico pericoloso, in specie nei confronti dei bambini. Responsabile della noia di Enrico e della mia cattiveria.

Il cattivo sei tu.

IL CENTRO PIU’ NON C’E’

(La debacle di Calenda alle elezioni Regionali in Lazio e in Lombardia)

Or lo sappiamo, ahimè:
il centro più non c’è:
è un luogo inesistente
che non conta più niente …
Un luogo virtuale
tutt’altro che reale
da Calenda sognato,
del tutto vagheggiato.

La sua Azione è maldestra
fra centro e centrodestra …
e punta sul bersaglio
al centro, ma è uno sbaglio …
La sua freccia lui tira,
ma poi manca la mira
perché … perché … perché …
il centro più non c’è!

Così Carlo sparisce,
nell’aer tosto svanisce.
Ha rincorso un miraggio
mostrando gran coraggio,
ma come don Chisciotte
esce con le ossa rotte
e sembra, là per là
il noto Perelà,
l’omino evanescente
fatto di fumo e … niente.

Come Icaro vuole
volare fino al sole
con le ali di cera …
ma insegue una chimera …
e il giorno del gran voto
precipita nel vuoto.

E’ questo il sogno infranto
di chi ha osato tanto
ponendo, da gran fesso,
al centro sol se stesso
per poi scoprire che
il centro più non c’è!

Anna Maria Guideri, 15-02-2023

Ironia

In una città tristemente famosa perché in realtà aveva abolito il sarcasmo e nessuno sorrideva più, almeno in pubblico, un gruppo di giovani di varia estrazione sociale decise di intraprendere una battaglia per introdurvi “il diritto all’ironia”.
Già il loro esordio fu trasgressivo perché scesero da una rudimentale auto con la propulsione a pedali, agghindata con uno slogan, a caratteri blu su uno sfondo giallo, abbastanza eloquente Ironie in der Stadt macht Frei (L’ironia in città rende liberi). Era stata assemblata con pezzi di fortuna ed i giovani, come se fosse Carnevale, arrivarono nella piazza centrale meta di confluenza non solo di vari aggregati etnici, ma anche di persone abbienti che non intendevano rinunciare all’aperitivo domenicale.

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I DELUSI, I GRAZIATI E I … TROMBATI

(Donna Giorgia e l’Italia tricefala)

La sinistra deve stare molto attenta a non inciampare nei tranelli che il camaleontismo di Donna Giorgia dissemina lungo la via. Senza dover rinunciare al nobile esercizio investigativo volto a cogliere i molti indizi fascistoidi riscontrabili nelle sue idee e nel suo linguaggio, è bene che tenga presente i rischi a cui può andare incontro se preme troppo su questo pedale. Se da un lato certe dichiarazioni ante victoriam elettorale di Meloni non lasciavano dubbi sulle sue intenzioni, è altrettanto vero che le sue azioni post victoriam non le confermano del tutto. La premier dimostra di sapere barcamenarsi molto abilmente fra gli interessi di bottega – alias F.lli d’Italia – che tutela gettando ogni tanto dalla finestra di Palazzo Chigi qualche osso ai sovranisti e agli xenofobi (regionalismo differenziato, odissea dei migranti spinti verso i più lontani approdi … ) e la necessità di presentarsi con l’abito della domenica preso in prestito dal guardaroba di Draghi, davanti al consesso internazionale. Insomma, se la sinistra insiste troppo sulle sue dichiarazioni pre-elettorali alle quali non fanno coerentemente seguito i fatti, rischia di farle un favore aumentandone la credibilità e danneggiando ulteriormente la propria. E’ bene quindi che non si lasci fuorviare anch’essa dalle armi di distrazione di massa e che si attenga ai provvedimenti adottati dal governo che, anche senza la reiterazione delle leggi razziali, non sono così irrilevanti come da più parti si vuol far credere. Come il mobbing che l’Italia sta subendo ad opera della Francia e della Germania e la messa in scena dell’innalzamento delle barriere a difesa delle frontiere esterne contro i migranti delle quali l’Italia, vista la sua posizione geografica, potrà avvalersi ben poco. Inoltre il nulla di fatto riguardo alla redistribuzione dei migranti fra gli stati europei vista l’opposizione dei sovranisti che, proprio in quanto ideologicamente affini al governo italiano, sono politicamente contrari a questa soluzione. Ironia della sorte: più ci si somiglia, meno ci si piglia! Nel contempo, è altrettanto rischioso per la sinistra, attaccare la Meloni per aver disatteso ai suoi propositi fascistoidi accusandola di incoerenza come se fosse delusa dal fatto che la premier non è fascista come ci si aspettava che fosse! La coerenza nel suo caso non è una virtù e meno ce n’è meglio è. La coerenza premierebbe la Meloni come carattere, ma la condannerebbe in quanto fascista, mentre l’incoerenza ne sminuisce un po’ il carattere, ma la premia come politica che sa fare di necessità virtù. E’ la famosa politica double face: populisti tromboni per conquistare il potere e governisti assennati per conservarlo. Insomma, la sinistra è nell’angolo. Sia che accusi la Meloni di essere fascista, sia che l’accusi di non esserlo abbastanza per mancanza di coerenza, si sta avvitando su se stessa e non vede, per ora, una via d’uscita. Il camaleontismo della premier, unito all’innegabile grinta, ha dato vita a sentimenti contrastanti – tra i cittadini italiani – volti a comporre un’entità tricefala formata da tre correnti di pensiero: i delusi, i graziati e i trombati. I delusi sono quelli che speravano nella marcia su Roma che per ora non c’è stata. I graziati sono quelli che un po’ la temevano – ma non troppo – e che hanno tirato un sospiro di sollievo fantozziano – Meloni, com’è umana lei! – e si rallegrano del fatto che non ha –ancora – affondato le navi dei migranti, accontentandosi del periplo sul Mediterraneo – . I trombati – e come poteva essere altrimenti? – sono gli elettori della sinistra che sono in un cul de sac e che, come si muovono, ne buscano. In cosa possono sperare? Il Mr Hyde che da quando Giorgia è premier sonnecchia dentro di lei sorvegliato a vista, ogni tanto si risveglia e lancia inquietanti segnali sulfurei subito rintuzzati e minimizzati dai compiacenti media schierati al suo servizio.

Anna Maria Guideri, 14-02-2023

Eiffel

Dalla serie le Missive impossibili di Sandra Vegni

Lettera della Tour Eiffel (torre di ferro)
all’Ing. Gustave Eiffel (progettista)

A Monsieur Gustave Eiffel, où qu’il soit

Paris (France), 25 fevrier 2020

Mon cher Monsieur
Che mai posso dirLe? A lei che tanto si spese per la mia realizzazione? Contro tutti coloro che si scagliarono contro il suo (mio) progetto, definendolo inutile e dannoso?
Eppur ben lo sapevamo – io e Lei – quanto effimera sarebbe dovuta essere la mia esistenza, ridotta a quella di un giovanotto ancora privo di esperienze (20 anni): gli anni appena necessari ad ammortizzare le spese per la mia costruzione, ben cinque milioni di franchi!
Come mal li ho vissuti, quei vent’anni! Ella si godeva gli elogi e i premi, ridendo sotto i baffi delle diatribe degli intellettuali che si affannavano, tapini, fra il definirmi ‘Opera mostruosa’ piuttosto che (come vede anche io mi sono piegato a queste moderne allocuzioni) ‘Capolavoro originale’.

E io? Qualcuno pensava forse a me che vedevo, giorno dopo giorno, avvicinare il momento della mia distruzione? Elogi per l’uomo, neanche un pensiero per l’anima di ferro che gemeva vedendo un inguaribile scribacchino – tristo e sdegnoso – che, pur di non essere sfiorato dalla mia ombra, si riduceva a pranzare all’interno dei miei recessi. Quel Maupassant, effimero descrittore di giovani gaudenti e donne di malaffare, si permetteva, egli, di degradarmi a tal punto!

E i giorni passavano, il momento si avvicinava, mentre temevo la ruggine dell’incuria e il vento battente. Perché io, Esimio Ingegnere, ora lo posso dire: mal mi fidavo della sua destrezza e dei suoi calcoli. Del resto, chi mai si preoccuperebbe della resistenza di un’opera effimera? Vent’anni son pochi per un uomo, figurarsi per una torre di ferro.

Orbene, mi devo complimentare, Mon Cher Gustave, e scusarmi per i miei cattivi pensieri.
Da quasi cento anni Ella non mi osserva più, venti anni prima di Lei se ne andò quel lordo scriba e mi dispiace – davvero mi dispiace – che esso non potesse assistere alla mia resilienza.

Nemmeno più mi devo preoccupare delle intemperie e della ruggine, nemico sempre pronto a colpire, giacché gli uomini or mi curano come un fanciullo, come se avessi, sempre e ogni giorno, i miei 20 anni. Eroe di guerra, prestato alle trasmissioni dell’etere, simbolo lucente della Ville Lumiere, immagine conosciuta per ogni dove, esaltazione della grandeur del nostro paese.

Merci, oggi Le devo dire. Merci alla Sua lungimiranza, alla perseveranza, alla Sua inventiva.
A talun ancor non piaccio? E chi se ne frega, mi perdoni anche questa moderna allocuzione.
Dal 1930 non sono più la più alta costruzione al mondo, e allora? Primati effimeri, battuti ogni momento. Non si abbattono i simboli, però, e io lo sono.

Insomma, Monsieur, io resisto.
Rien, glielo volevo dire.

Per sempre Sua

Tour Eiffel

KVETA

Nonostante fosse universalmente conosciuta e apprezzata per il suo impegno nella pittura ‘adulta’, Kveta Pacovska, nata a Praga nel 1928 e morta ieri, 6 febbraio 2023, ha dedicato fino all’ultimo, a oltre novant’anni di età, un’attenzione particolare al libro per l’infanzia, tanto da aver meritato, nel 1992, l’Hans Christian Andersen Medal, uno dei riconoscimenti più alti e prestigiosi nel mondo dell’illustrazione.
“Un libro illustrato – affermava lei – è la prima galleria d’arte che il bambino visita.”
E, nel caso della Pacovska, questa galleria è stata veramente un grande museo, a misura di bambino, dove inseguire i sogni propri e quelli dell’artista, perdersi tra i segni e le figure, nascondersi dietro i testi e le illustrazioni, tra i pezzetti di carta colorata, sprofondare nei tagli e nelle fustellature delle pagine.
Kveta Pacovska non aveva certo fatto sconti, non era scesa a compromessi con nessun mercato: chi guarda e sfoglia un suo libro deve stare al gioco, inseguire ricordi aerei da Klee o Kandinsky, fantasie dal futurismo di Balla, pupazzi bahausiani che rimandano a Depero e Schlemmer. Leggendo una delle sue storie o una delle favole da lei illustrate si ha quasi un’impressione di stordimento.
I testi sono sempre pre-testi per dipanare un incredibile universo di creatività, ma, all’interno di questa creatività, la storia prende corpo e vita nei suoi tratti essenziali, nelle cose, grandi e piccole, che più si fissano nella memoria (la scarpetta di Cenerentola, ad esempio).
Proprio quella scarpetta ci sembra esemplare del rapporto di Kveta Pacovska con il libro illustrato, capace com’è di parlare il linguaggio creativo dell’artista e al tempo stesso salire a livello di archetipo universale. Una specie di ‘idea’ della scarpetta, con riflessi di specchio e macchie di colore, cartina di tornasole, madeleine proustiana per ricordare, ed elaborare il ricordo.
(da Andrea Rauch, “Il racconto dell’illustrazione”, La casa Usher. 2019)

Caterina Betti
Oggi rimango un po’ senza respiro, sapendo di Kveta Pacovska, come quando ho conosciuto la sua opera, come quando si ha davanti qualcosa di tanto, tanto grande

Il festival dei matti

Benigni inneggia alla Costituzione ed al Festival come opere d’arte
Il Presidente presenzia, come critico d’arte?
Sgarbi tace. Afasia? Segni di inquietudine tra le capre.
Fedez strappa la foto del viceministro Bignami in divisa nazi
è espressione artistica o pro-costituzionale?
Il Governo insorge
Il Presidente: ma ‘sto governo è costituzionale?

Gian Luigi Betti, 12/02/2023

Un Sogno Fecondo

Edmondo era un giovane dal bell’aspetto sempre molto curato che viveva tranquillamente la sua situazione adolescenziale. Non aveva particolari problemi nei rapporti con i suoi coetanei ed inoltre aveva un rendimento scolastico elevato. Un pomeriggio una ragazza del gruppo che frequentava introdusse il sogno come argomento di cui parlare e lei confessò che “sogno molto di rado ma quando lo faccio li ricordo perfettamente anche per molti giorni”.
-Io invece sogno spesso ma purtroppo me li scordo- affermò Edmondo rivolgendosi al gruppo.
L’ argomento al momento non ebbe alcun seguito, ma quando egli una volta fece un sogno gli tornarono a mente le parole della sua amica e pertanto lo trascrisse in maniera puntuale, con una scrittura minuta e spigolosa senza mettere i punti sulle i e la stanghetta alle t, conservandolo poi in un album insieme a delle fotografie che custodiva in un angolo del solaio. Quel luogo sarebbe dovuto diventare la sua mansarda, ma questo progetto, nonostante le promesse del padre, rimase un suo desiderio.

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