pro vax

un appello preso da facebook

Noi vaccinati, di sinistra, di destra, di centro, di sopra, di sotto, di sbieco e di diritto, piacenti e spiacenti, convinti e non convinti, spavaldi o impauriti, sicuri o dubbiosi, … noi vaccinati non siamo succubi di Big Pharma, né dei Poteri Forti, né del Diavolo, né di Putin, né imparentati con Burioni o Bassetti, nemmeno parenti di Draghi e draghetti.
Noi vaccinati abbiamo un’anima, certo diversa da chi rifiuta il vaccino, abbiamo in testa un’idea, l’idea di non essere meritevoli di vivere al mondo “solo” noi..

Ci siamo vaccinati per difendere “anche” la nostra vita, ma spesso ci siamo vaccinati per difendere quella dei figli, dei padri, dei nonni, ma anche la vita della cassiera della Coop, del fruttivendolo, del giornalaio, del parrucchiere, dello sconosciuto che ci sta accanto sul bus.

Noi vaccinati non ci siamo vaccinati per caso, abbiamo riflettuto su quante persone sono vive e sane grazie ai vaccini precedenti, abbiamo ascoltato e dato retta a chi ha passato giorni e notti a cercare una soluzione, ovvero il vaccino, così come i farmaci che stanno per essere immessi nel mercato, abbiamo valutato il rapporto tra il rischio e il beneficio (oh, quanto è stupido questo rapporto, come se ogni volta che entro in autostrada dovessi valutare il rapporto tra il beneficio della mia guida e il rischio di trovare un ubriaco o un demente che sbaglia la corsia e mi viene incontro facendomi secco, non sapete quanta gente conosco che s’è trovata in ospedale col femore rotto, attraversando sulle strisce, forse dovevano valutare il rapporto rischio beneficio ? eppure i più prudenti continuano ad attraversare la strada sulle strisce).
Noi vaccinati non abbiamo pensato che i vaccinatori erano nazisti, forse perché ci ricordiamo qual’erano le “attenzioni” che nazisti e fascisti riservavano alle persone per bene, specialmente se ebrei.

Noi vaccinati abbiamo pensato a far morire meno persone, a liberare le strutture sanitarie dai malati di Covid, consentendo agli ammalati di tumori, di cardiopatia, di malattia gravi di potere entrare in ospedale senza paura e curarsi anche loro perché ne hanno diritto.
Noi vaccinati abbiamo dato il nostro piccolo ma indispensabile contributo alla ripartenza dell’economia e non siamo andati per le vie a declamare la “nostra” libertà, perché per noi la libertà dalla malattia è una cosa che non si discute, e la libertà di evitare la malattia al nostro prossimo è un gran segno di civiltà.
Noi vaccinati ci siamo vaccinati non perché ce l’ha suggerito un partito o un ‘ideologia. E’ bastato il nostro istinto di specie, l’istinto di vita, a farci prendere la decisione.

Noi vaccinati non sopportiamo di passare da fessi, permettendo ai non vaccinati di sfruttare la minor probabilità di ammalarsi grazie alla nostra vaccinazione e pagando i loro tamponi per permettere loro di non vaccinarsi in eterno.
Noi vaccinati cominciamo ad arrabbiarci.
Una minoranza non può sopraffare una maggioranza.
E la maggioranza sta cominciando a perdere la pazienza.

mondo cane

da Ugo Barlozzetti

Buongiorno cara Grande Aringa,
mi permetto di inviarti alcune considerazioni che proprio mi scappano di mano:
1) La sentenza di assoluzione per un assassino negli Usa: mi pare che la mancata, adeguata, denuncia dell’ipocrisia di uno stato che usa i diritti umani come clava nei confronti della sovranità altrui, tollerando le peggiori infamie dei regimi amici o servi, dimostri, ancora una volta, non solo la malafede sia di quei giudici o dei giurati, ma il grado di asservimento del sistema di comunicazione dei paesi sedicenti liberal-democratici, termine peraltro che corrisponde a un ircocervo storico politico perché il liberalismo è ben diverso dalla democrazia. In relazione all’assassino statunitense non mi so rendere conto come possano aver considerata la sua azione come di legittima difesa: la distanza per l’uso del fucile dimostra la distanza da una minaccia tale da dover reagire sparando addirittura su tre bersagli.
2) Sta ripartendo la canea contro la repubblica popolare cinese perché dobbiamo aiutare i periclitanti profitti dei padroni che si appoggiano alla potenza militare statunitense a iugulare meglio i concorrenti e soprattutto il mondo del lavoro. Dalla tennista agli Uiguri, ai diritti umani così rispettati, per esempio da un importante membro delle Nato come Erdogan o dagli “amici” delle petromonarchie del golfo…
3) Ma papa Francesco al clero polacco non fa arrivare nessun messaggio a proposito dei profughi? Quelli che arrivano in Italia sono accolti ( per poi, in molti casi farli sfruttare ben bene dalle organizzazioni criminali o dalle associazioni “buoniste”) e la Nato non si sente minacciata come se Tunisia e quella che era la Libia non possano infiltrare birbaccioni.
4) A Firenze si è tenuto il Festival delle religioni (sic!) ma come è stato promosso l’Islam, e come è stato affrontato il problema della tolleranza ?Anche sull’Islam c’è un’ipocrisia devastante, basterebbe leggere il Corano e un manuale di storia
5) Sto diffondendo i liberi circoli di cacciatori degli assassini del congiuntivo, la rete dei difensori della lingua italiana contro l’anglolalia e l’occheismo. Mi sembra il minimo per ricordare, degnamente, il settecentesimo anniversario della morte di Dante Alighieri
Hvs
Ugo Barlozzetti, 21/11/2021

Il Marchese del Grullo

Il Matteo che da Rignano
nell’Arabia piano piano
ha raggiunto un gran successo
a Leopolda è andato al cesso.

Di sinistra io non sono,
non è un peccato che perdono;
della destra non fo parte,
ecco dunque le mie carte:

tutto quel che dico e faccio
ad altrui io lo rinfaccio.
Son ganzo se l’appoggio
sono fico se l’abbatto

il governo è mio fantoccio,
senza me non si fa niente
lo capisce tutta gente.

Dunque: cari state boni,
tanti sono poi i soldoni
che verranno, a profusione
come mai il Berluscone

seppe allora elargire,
e date retta al mio dire:
conta meno il capitale
della fuffa che sai dare.

Quel ch’io dico solo vale.
tutto il resto poco cale
son Marchese e me ne vanto
e a tutti voi ve lo schianto

Il Baffo Aretino, 21/11/2021

Morte in Treno

Era un Mercoledì mattina del mese di Settembre quando Renato, dopo aver salutato il figlio che impegnato sul lavoro uscì velocemente dalla stazione, si mosse verso il binario dove il treno delle 9, 15 a momenti sarebbe partito. Scarpe da tennis, jeans appena sotto il ginocchio, felpa sportiva sopra una maglietta arancione, acquistata alcuni anni prima ad Amsterdam, ed un cappello, con una piccola tesa leggermente calato all’indietro, lasciava intravedere un ciuffo abbondante di capelli brizzolati. Biglietto alla mano verificò il numero della carrozza e vi salì dentro collocando subito il piccolo bagaglio nello scomparto previsto. Guardò l’orologio e mancando ancora tre minuti ritornò sulla pensilina ed accese una sigaretta restando con un piede sopra il predellino. Per oltre due ore sarebbe stato senza fumare ed allora con boccate ampie e prolungate consumò mezza sigaretta prima di gettarla tra i binari giacché il capostazione aveva fatto già diversi cenni dalla testa del treno e tutti i viaggiatori erano saliti sopra. Prese posto proprio nell’ultima poltroncina singola dello scompartimento così, senza scomodare qualcuno, avrebbe potuto alzarsi a piacimento e non essere disturbato nel cercare di risolvere la propria enigmistica. La partenza di un treno nel binario accanto, gli dette la sensazione di essere già in movimento.

Seduto, comunicò al figlio di essere già partito ed estrasse il biglietto poggiandolo sulla ribaltina mentre due viaggiatori si sistemarono davanti a lui, dopo aver collocato i piccoli bagagli a contrasto tra i sedili. Passò circa una mezz’oretta quando mentre stava completando uno schema impegnativo, fece ingresso nella carrozza il controllore che esaminò il biglietto e lo perforò. Renato lo poggiò sul piccolo tavolino e si lasciò andare all’indietro sullo schienale. Un’occhiata fuori dai finestrini e vide sparire tralicci della luce, fossi e campi seminati mentre ebbe la sensazione che fosse fermo; sbadigliò a lungo. Ebbe un lieve giramento di testa ed appoggiò le mani sul piccolo tavolino cominciando a vedere immagini sfuocate intorno a sé e gli parve che la gente parlasse ad alta voce.

Quando sentì una fitta allo sterno, volle appoggiare la testa sul dorso delle mani arcuando i gomiti sulla ribaltina. Una mano cominciò a formicolare ed attribuì ciò alla posizione scomoda e prolungata, ma quando fece per alzarsi una forza misteriosa, premendolo contro lo schienale, glielo impedì. Il cellulare silenziato vibrando si spostò sulla ribaltina finendo per terra e premuroso un viaggiatore lo raccolse depositandoglielo accanto al suo gomito. Avrebbe voluto ringraziare, parlare del suo malessere, ma il respiro affannoso gli bloccò le parole e, quando il treno raggiunse il massimo di velocità, la sua testa dondolò e le orecchie gli si tapparono. Le persone davanti a lui continuarono a leggere. Ancora poco e poi sarebbe arrivato a Bologna. Qui in carrozza non salì alcun passeggero e nemmeno scesero i viaggiatori davanti a lui e quando passò di nuovo il controllore vedendo il suo biglietto perforato, non lo disturbò. A Firenze non scese come dovuto e non sentì i “buon viaggio” augurali dei viaggiatori vicini che, bagagli alla mano, si apprestarono ad uscire. Quando il treno proseguì per Roma, le mani scivolarono dal tavolino e penzolarono inerti. Rimase con la bocca contro il legno biasimato come maleducato da un viaggiatore che si era seduto davanti a lui.

Il cellulare cadde di nuovo e questa volta restò per terra mentre lui cominciò a sudare quando il treno, in orario, lentamente entrò in stazione e di lì a poco, si svuotò. Solo nella carrozza ebbe un sussulto e riuscì a rialzarsi per un attimo. Gridò aiuto, ma in quel treno vuoto nessuno poté ascoltarlo ed allora con le residue forze riuscì a muovere le gambe mentre il dolore allo sterno si fece più intenso e s’irradiò anche al braccio sinistro. Incerto nel suo proseguire per andare alla toelette si sedé in una poltrona poco più avanti e quando ostinato riuscì ad arrivarci provò ad aprirla, ma constatò che il treno fermo aveva i comandi bloccati. Il sudore copioso gli imperlò il volto quando decise di rientrare verso il suo posto sforzandosi di aumentare il suo passo ma ormai il suo organismo viaggiava per conto proprio.

Giunto a poco più di un metro dal suo posto, strascicando i piedi, cadde; si rialzò, barcollò e si afflosciò come un abito che scivola lentamente da una gruccia, urtando il suo biglietto che volò per terra vicino al cellulare. Sentì freddo e cominciò a battere i denti. Cercò di ricomporsi e con estremo sforzo, raccolse biglietto e cellulare appoggiando la testa sul tavolino quando tre uomini del personale addetto alla pulizia, si soffermarono davanti a lui. -Deve essere un viaggiatore che è salito in anticipo- . -Ha anche il biglietto- . -Lasciamolo dormire- disse l’ultimo con una granata in mano. Il treno cominciò a riempirsi. Tra chi sistemava i bagagli, chi con le cuffie ascoltava musica, chi approntava il suo computer, chi si dedicò subito nella lettura di un libro, chi s’immerse nei propri affari ognuno ebbe il proprio daffare perché nei viaggi brevi e velocissimi, i treni diventano più intimi. Nessuno fece caso a Renato.

Nel primo tratto il treno marciò lentamente e quel povero gomitolo inerte oscillò per un attimo, ma quando prese velocità, fu sballottato e rotolò sul pavimento mostrando il suo pallore mortale; il treno era a metà percorso. Tra grida di spavento, curiosità ed indifferenza, venne subito chiamato il capotreno che ne constatò il polso debolissimo. Dopo poco tramite altoparlante venne fatto un appello per rintracciare urgentemente un medico tra i viaggiatori e farlo venire in quella carrozza. -Che fate adesso?- chiese la viaggiatrice che sedeva davanti a Renato. -Chiameremo l’ambulanza, non vi avvicinate…anzi sedetevi da un’altra parte tanto c’è posto per tutti- intimò il controllore allontanandosi. Arrivò il personale di servizio e stese un telo su Renato immobile. -Ma che fate non è morto- . -Lasciategli fuori la testa per respirare- . Imbarazzato il giovane, cercò di scusarsi dicendo che non aveva capito bene nel momento in cui il treno raggiunse il massimo della velocità. -Alla prossima stazione sarà trasportato in ospedale, l’ambulanza è già sulla pensilina… purtroppo non siamo su un treno locale- comunicò il capotreno. -Ha ragione il controllore; a mia madre è successo che si è sentita male sul treno locale per Bologna e dopo un quarto d’ora era già in ospedale- commentò una giovane.

Renato sdraiato vedeva immagini sfuocate, ma non capiva che cosa stesse succedendo ed aprendo per un attimo gli occhi sbarrandoli dette l’impressione di un decesso. -Mamma mia è morto- . -Signori levatevi di qui andate a sedere- gridò spazientito il capotreno mentre una dottoressa sopraggiunta immediatamente con una valigetta si adoperò per somministrargli un’iniezione. Gli mise un cuscino d’emergenza sotto la testa, i pantaloni slacciati e dopo, alzandogli la maglietta, si prodigò per un inutile massaggio cardiaco. -È deceduto- sentenziò rialzandosi. Il capotreno sbiancò come la salma e si aggiustò il cappello. -E adesso? Non ci fermeremo mica per accertamenti?- chiese ansioso un uomo azzimato che lasciava dietro di sé un alone di profumo – più che morto, cosa può fare? Non resuscita mica!- insisté cinicamente. -Giusto anch’io ho un appuntamento importante…ci mancava solo questo- borbottò una viaggiatrice nel ritirare il suo bagaglio dallo scomparto. -Non si preoccupi e vada a sedere- inveì il capotreno mentre frugò nel giubbotto del cadavere alla ricerca dei documenti.

Gino Benvenuti, Giugno 1993

Letti rubati

(Viva Voltaire!)

Quanta compassionevole attenzione per tutti gli impauriti che non si vogliono vaccinare! Quanta indulgenza viene profusa per il sentimento paralizzante di coloro che aborrono farsi iniettare un siero che, secondo loro, nella migliore delle ipotesi, ti causerà dei danni duraturi e nella peggiore, pregiudicherà irreversibilmente il tuo codice genetico e quello della tua discendenza nei secoli avvenire. Al netto dei deliri fantascientifici e complottistici, la paura è una naturale e provvidenziale reazione umana come risposta a minacce reali o percepite come tali. Chi di noi non si è impaurito più volte nella vita? Bisogna rispettarli, gli impauriti! Blandirli, placarli, persuaderli con garbo e pazienza rispettando il loro diritto alla libertà di scelta, pardon, di contagio, i loro tempi di apprendimento … Altrimenti potrebbero fare gesti inconsulti come devastare i luoghi pubblici, i negozi, le sedi istituzionali e, fatto non secondario, votare … chissà come! Ma il virus, questo barbaro invasore, i loro tempi non li rispetta per niente e corre all’impazzata fregandosene altamente di questi ripetenti dalle zucche dure che proprio non ne vogliono sapere di andare a scuola e di studiare le scienze e la filosofia, soprattutto quella di Voltaire che aveva le idee molto chiare in fatto di diritti democratici. A questo punto, per par condicio e nel rispetto di Voltaire, è doveroso considerare anche la paura di tanti malati gravi che si sono visti rinviare sine die un ricovero ospedaliero, un intervento chirurgico, un esame diagnostico … perché, grazie agli impauriti tanto bisognosi di comprensione, le strutture ospedaliere erano sature di pazienti da covid. Avranno anche loro paura di morire con qualche fondato motivo in più rispetto ai tanto rispettati no-vax? Costoro, come potrebbero essere biasimati se insorgessero al grido di ridateci i letti rubati, ridateci le terapie intensive, ridateci le nostre ecografie, i nostri amati elettrocardiogrammi, i nostri ospedali?! Se agli zucconi è riconosciuto il diritto di prendersela comoda per arrivare a capire che bisogna vaccinarsi, i malati gravi questo diritto – anzi lusso – di prendersela comoda non se lo possono proprio permettere!

Anna Maria Guideri, 20-11-2021

I Miti che noia!

Si dice che Pan sia nato da una scappatella del dio Ermes, che da bravo sporcaccione si era travestito da pastore, con una ninfa tale Penelope da non confondere con la moglie di Ulisse. Coinvolto da una passione travolgente prese a frequentarla assiduamente fino che un giorno lei al colmo dell’orgasmo, gli disse: -Ma chi sei? Dimmelo! Sei divino!- . Ermes continuò a tacere sulla sua reale identità e Penelope per strappare questo segreto si rendeva disponibile giorno e notte e nei luoghi più impensati. Non so quanto e come sia la gestazione tra gli dei, ninfe ed affini, ma so che un giorno, quando Penelope vide la sua creatura venire al mondo, lanciò un urlo di terrore perché l’aspetto del neonato era decisamente orribile. L’urlo si propagò nei dintorni e quando Penelope fu soccorsa, sostenne di aver visto un essere mostruoso correre nel bosco.

Coperto di pelo, con delle zanne incredibili per un pupo ed un mento su cui spiccava una ruvida barba, era simile ad un caprone perché aveva anche due corna ed invece dei piedi aveva degli zoccoli. Cosa fece Penelope? Abbandonò il figlio nel bosco; brutta stronza! Non per fare l’avvocato del diavolo, ma per curiosità faccio una domanda alla persona che legge ammesso che ce ne sia una: tu avresti portato a casa Pan o avresti lasciato simile creatura nel bosco poiché i centri per la riabilitazione non esistevano? Si fa presto a dire madre fedifraga, ma se ti nasce qualcosa più simile ad una capra che ad un pargolo, cosa avresti fatto a quei tempi? Io lo avrei portato in quel ricettacolo di serpenti che era l’Olimpo pieno di Dei rissosi che s’imbrogliavano l’ uno con altro generando creature orribili vittime di sortilegi. Poteva starci anche Pan senza lasciarlo a zonzo.

E chi poteva portarlo con sé? Il perfetto Apollo? No certamente! La saggia Minerva? Impossibile; l’imbroglione Ermes? Nemmeno a parlarne; simbolo non a caso del commercio e della truffa tra i posteri, lo avrebbe sicuramente imbrogliato, anche se era suo figlio adottivo. Tra tutti, Diòniso il più sfrenato ed umano degli dei sempre pronto a far bisboccia, casino ed a concupire giovani fanciulle che ignare facevano il bagno nel fiume oppure che si erano avventurate da sole nel bosco come Cappuccetto Rosso, senza però il cestino da portare alla nonna, fu quello che lo tutelò. Crebbe secondo certi principi a dimostrazione che anche tra gli Dei l’imprinting ha il suo valore. Secondo il motto “bestia più bestia meno, c’è posto per tutti” oppure “aggiungi un posto a tavola” (anche se sedersi accanto a lui era rischioso perché poteva sempre pestare qualcuno con gli zoccoli che si portava addosso), Pan fece il suo ingresso in società preceduto da una nomea di persona allegra e di buona compagnia, insomma un tipo simpatico come lo descrisse Diòniso. -Fallo essere anche antipatico dopo che è brutto come un mostro!- borbottò Minerva.

Un giorno Pan, che si aggirava per i boschi come un guardone, vide una splendida creatura ed arrapato le piombò alle spalle, ma lei, di nome Siringa, come lo vide cominciò ad urlare e fuggì con gli occhi pieni di terrore chiamando papà Ladone, dio delle acque fluviali. -Papà ho visto un mostro… per favore papà fai che quel coso non mi possa più incontrare… ti prego papà cambiami di aspetto- . -Sei proprio sicura che sia così brutto? Non è che sei sotto l’effetto di qualche allucinogeno?- . -No papà; io mi chiamo Siringa, ma non mi faccio le siringhe- . -Già ho equivocato- rispose il padre che non convinto si travestì da donna andando per i boschi per accertarsi della situazione.

Tutto imbellettato con una tunica bianca ed una parrucca piena di buccolotti biondi, cominciò ad ancheggiare strada facendo, ma di Pan nemmeno l’ombra. Infine al crepuscolo quando si cominciò a vedere e distinguere con difficoltà, Ladone sentì il rimbombo di alcuni passi. Si chinò e cominciò a camminare in ginocchioni tra le frasche attento a non fare il minimo fruscio, ma quando il rumore divenne percettibile non fece a tempo a voltarsi che … zac. Pan quando gli fu sopra, cominciò a palpeggiarlo, ma quando gli rimase in mano la parrucca, accorgendosi che la vittima non era una donna, si ritrasse e Ladone voltandosi quando lo vide, proruppe in un urlo.

Convinto di persona, fece di corsa ritorno a casa. A quei tempi non esisteva la chirurgia plastica ed allora che fare? Bisognava cambiare le sembianze di sua figlia e fu così che Siringa diventò una canna fluviale. Pan che prima si voleva fare Siringa provò a farsi una canna cercandola dappertutto; taglia di qua taglia di là, alla fine tagliò una canna in diversi pezzi. Si narra che sconsolato, li legasse con dello spago formando un flauto e con quello irrompesse nella quiete del bosco adescando e spaventando le fanciulle.

Gino Benvenuti. Settembre 1993