Carosello

Da: Anni cruciali. 1957-1968 / Gino Benvenuti. Il Punto rosso, 2021. http://www.puntorosso.it/edizioni.html

L’ economia si sviluppò anche grazie alla nascente industria della pubblicità e quando si parla di essa è obbligatorio parlare di Carosello non solo perché fu l’ unica agenzia nazionale autorizzata in merito, ma per l’ impatto che ebbe e per l’ originalità che espresse.
Esso non
fu solo il pretesto, come per molti miei coetanei, che permise a me di andare al bar fruendo delle immagini televisive prima di coricarmi, ma soprattutto si dimostrò un poderoso mezzo di pubblicità. Fino a metà degli anni ’50 si vedevano insegne al neon, pannelli metallici o in legno sopra l’ ingresso nei negozi, oppure le squadre di attacchini in bicicletta, con il rotolo dei manifesti ed il barattolo di colla appeso al manubrio, che si fermavano davanti agli appositi tabelloni, il tutto lentamente eroso da crescenti inserzioni pubblicitarie sui giornali e rotocalchi.

Dall’ avvento della televisione con l’ uso delle immagini, che lei trasmetteva in esclusiva, cambiò radicalmente il messaggio pubblicitario, a volte realizzato da registi di chiara fama, del quale si resero testimoni attori ed attrici, che già erano stati protagonisti di film o personaggi del mondo dello spettacolo. La rubrica andava in onda tutti i giorni salvo qualche ricorrenza religiosa oppure in occasione qualche evento nefasto ed eccezionale. Chi non ricorda tra i primi spot il commissario Rock che, dopo aver individuato il colpevole, al commento del suo assistente “Lei è un fenomeno ispettore; non sbaglia mai” risponde, togliendosi il cappello e mostrando la testa completamente calva, “non è vero anch’ io ho fatto un errore. Non ho mai usato la brillantina…”, oppure Dapporto nelle vesti di Agostino pugile che dopo avere preso un sacco di botte, alla domanda “come mai ride ?” sfoggia un sorriso reclamizzando un dentifricio.

Come non ricordare Buscaglione che cantando Che bambola propaganda un liquore mentre Calindri seduto nel mezzo di un traffico caotico sorseggia un amaro contro “il logorio della vita moderna”, oppure Viarisio, che si esprime in rima per un panettone o Billi e Riva che promuovono un detersivo. Il Moplen, un tipo di plastica, che entrando in tutte le case, non solo per sostituire la ceramica bensì anche come elemento di arredo con i suoi contenitori dai colori vivi, diventò sinonimo di modernità venne pubblicizzato da Bramieri. Oltre all’ utilizzo di personaggi in voga, di cui sarebbe lungo l’ elenco, venne utilizzata la modalità dei cartoni animati con personaggi, che rimasero subito simpatici, come il piccolo angelo intento a spiare la terra con un cannocchiale, che vi si precipita quando individua un problema. Inevitabilmente si ficca in una pozza, sporcandosi la tunica immacolata, ma egli viene subito consolato da una voce femminile, che rimedia al guaio con un detersivo.

Chi non ricorda Ulisse, perseguitato da un ombra parlante, che cerca di frenare il suo nervosismo ed accetta il consiglio di bere un decaffeinato? o “l’ Omino coi baffi” testimonial di una caffettiera oppure l’ uomo che camminava su una linea pronunciando parole incomprensibili per reclamizzare una marca di pentole? Le immagini del tenero Topo Gigio sempre alla ricerca di coccole oppure quelle del Caballero che, in un assolato scenario messicano, dopo aver rintracciato la donna desiderata, dice “Carmencita sei già mia, chiudi il gas e vieni via” furono allora efficacissime. Memorabile il dialogo tra un vigile, con un accento marcatamente siculo che contesta una contravvenzione ad un cittadino veneto dicendo “concilia? Qui se non conciliamo a schifio finisce”. Costui a questa intimazione risponde “Mi son forestiero, per mi tutto va ben, tutto fa brodo” ed il vigile ribatte: “non è vero che tutto fa brodo” reclamizzando così un dado eccezionale per farlo.

L’ uso dei dialetti, durante gli spot pubblicitari, non fu né folkloristico né casuale bensì rispondeva alla finalità di cementare una realtà nazionale facendo sentire compartecipi tutte le regioni. Quando nel parlare quotidiano capitava di dire “tutto fa brodo” a volte c’ era qualcuno che a sentire questa espressione aggiungeva scherzosamente “non è vero che tutto fa brodo”. Come erano diventate lessico quotidiano alcune battute di spettacoli televisivi, così lo diventarono anche slogan pubblicitari. Io stesso quando andai una sera a comprare un panettone chiesi “un Alemagna”, il pizzicagnolo esclamò “Ullalla è una cuccagna!” cercando anche di mimare l’ artista ed ad un mio amico che al circolo ricreativo ordinò con me un brandy, il barista replicò “lei si che se ne intende”.

Questi slogan diventarono intercalari ed in qualche caso furono carburante anche per dei soprannomi come Calimero, l’afflitto anatroccolo irriconoscibile per la sporcizia del suo piumaggio, che diventò sinonimo di sfigato, riuscendo però a recuperare la sua immagine grazie ad un detersivo. I piccoli cortometraggi furono uno strumento di cattura dell’interesse con la finalità di far memorizzare la marca prescelta, aumentando il desiderio all’acquisto di prodotti di largo consumo perché la televisione godeva di attendibilità e garanzia dei prodotti, dimostrandosi una poderosa alleata della nascente industria. Ma per la mia famiglia che non aveva ancora la televisione e l’unico a vederla sempre più saltuariamente, ero io quando andavo al bar, allora la propensione al consumo non si sarebbe dovuta realizzare. Perché avvenne? Semplice: questa ricerca di beni, che rispondevano a desideri, era generalizzata e parte dei nostri colloqui quotidiani; inoltre vi era una forte motivazione imitativa.

Tante volte si è sentito dire in qualsiasi luogo “Lo dicono anche alla televisione”. Una sera ricordo bene che obbiettai su questo argomento dicendo:
Se non ce l’ abbiamo nemmeno la televisione come si fa a dire una cosa del genere?– . –La spesa la faccio io e non tu. Sono io quella che va al mercato e parlo con la gente– rispose la mamma.
Perciò una volta innescato il meccanismo sembrava di andare in automatico, perché maturò la convinzione che l’ offerta dei prodotti fosse non superflua, ma necessaria e non ci fu un settore che rimanesse immune da questa tendenza.

Gino Benvenuti, 2021