Biancaneve è stata veramente sfortunata perché, come dice la fiaba, quando nacque le morì contemporaneamente la mamma. Come incipit suadente ed accattivante, in grado di accompagnare gli innocenti ed infantili sogni di molte creature non è male. Immaginate un po’ una di esse se ascoltasse questa fiaba: come minimo le viene il dubbio che la sua mamma sia quella adottiva.
Leggi tutto “Basta con le fiabe!”Categoria: Benvenuti Gino
Un Dibattito Bizzarro
Nel consiglio del comune di Porta un giorno si discuteva su un investimento che era stato già deliberato ma successivamente respinto dalla Corte dei Conti. Com’è noto, essa è un organo che esercita un controllo nella contabilità pubblica relativo alla gestione economica e finanziaria nonché sulla legittimità degli atti.
La posta in palio dal punto di vista politico era notevole perché sul progetto l’amministrazione comunale aveva investito molto in quanto, mettere in cantiere la costruzione di un polo scolastico, avrebbe comportato anche la riqualificazione dell’intero contesto, ristrutturando pure la viabilità.
Quindi in un’aula gremita, preceduto da una fitta polemica sulla stampa locale nei giorni precedenti, il dibattito iniziò in tempi straordinariamente puntuali con l’esposizione del Sindaco. Tra chi prese appunti, chi ascoltò attentamente ci fu anche chi invece, dopo le prime parole, mettendo la testa sui due bracci incrociati nella porzione di spazio a lui riservata, si appisolò accanto al microfono. Finita l’esposizione del Sindaco iniziò il dibattito con gli interventi degli eletti ed il consigliere dormiente venne scosso da un collega, che lo rimproverò:
-Avevi detto che avresti fatto un intervento ed invece sei stato appisolato per tutto il tempo- .
-Non ti preoccupare; guarda qua- replicò lui mostrando una decina di pagine dattiloscritte.
Il dibattito assunse un tono battagliero ed ad un certo punto il consigliere Chieber, soprannominato così perché una volta un collega domandandogli a bruciapelo chi fosse Bertoldo lui rispose sfrontatamente “uno scrittore del Seicento”, alzò la mano chiedendo la parola.
-Quello di cui stiamo discutendo è viziato dall’origine perché l’ intromissione della Corte dei Conti è inaccettabile…- esordì con un tono spavaldo puntando il dito contro il Sindaco -mai visto che dei nobili debbano interferire su ciò che un libero consiglio, espressione del voto popolare, abbia deciso- argomentò alzando la voce e sventolando con una mano i fogli della sua ricerca.
I consiglieri si guardarono ed alcuni del suo partito arrossirono mentre altri abbassarono la testa coprendosela con la mani.
Ironicamente un consigliere dell’opposizione gli gridò “Bravo!” facendo scoppiare una serie di risatine contagiose e Chieber interpretando ciò come un segno di approvazione, si scatenò con una proverbiale progressione.
-Pertanto io preparerò una mozione per l’abolizione della Corte dei Conti. La nobiltà è morta con la rivoluzione francese ed il nostro motto deve essere liberté, egalité, fraternité !- .
Un collega di partito che sedeva alla sua destra, gli suggerì di smettere perché “sei stato chiaro” mentre quello alla sua sinistra fece un cenno al sindaco che pose fine a quella sciagurata concione.
-Consigliere abbiamo già capito il senso del suo intervento, pertanto la invito a smettere- .
Chieber continuò a parlare senza raccogliere l’esortazione ed allora il sindaco tacitandogli il microfono dichiarò:
-La seduta è sospesa ed i capigruppo sono invitati ad una riunione d’urgenza- .
La sala si svuotò parzialmente con alcuni consiglieri che si asciugavano le lacrime per le risate incontrollate mentre il consigliere Chieber, osservandoli, commentò con soddisfazione, rivolgendosi al collega accanto a lui:
-Visto! Li ho fatti piangere- .
Gino Benvenuti da Nero Beffardo
Nero Bizzarro : Racconti / Gino Benvenuti. Il punto rosso, 2022
Nota redazionale
I racconti di Gino sono puntualmente basati su fatti ed eventi vissuti. Anche questo si riferisce ad un fatto realmente accaduto. E poi si parla di élites.
Nota dell’autore
Questo racconto vuole essere una satira impietosa rispetto al livello di preparazione culturale del quadro politico preposto a governare il nostro paese. I social sono il totem a cui si guarda cercandovi un consenso immediato a qualsiasi costo ed il degrado è sotto gli occhi di tutti.

Una presentazione del volume: RaccontiBenvenuti – puntorosso
Un gesto indelebile
Gino Benvenuti
un racconto su temi attuali contenuto in Anni cruciali di Gino Benvenuti ed. Punto Rosso, 2021

Un Gesto Indelebile
Circa dieci giorni prima della data di inizio delle Olimpiadi di Città del Messico 1968, che si dimostrarono le più discusse della storia, avvenne un massacro perpetrato dalle forze dell’ordine e militari su comando del governo. Nei mesi precedenti si erano creati momenti di tensioni per le richieste degli studenti che chiedevano impegni precisi nell’ambito delle riforme economico-sociali per la lotta alla povertà, all’analfabetismo ontestando l’uso politico delle olimpiadi stesse. Il 2 Ottobre una decina di migliaia di studenti indissero una manifestazione di protesta, per denunciare il clima repressivo, che aveva portato anche all’occupazione militare dell’Università statale a seguito degli scontri iniziati nella zona di Piazza delle tre Culture.
L’intento dei manifestanti fu pacifico, in quanto uno dei leader del movimento studentesco, nel suo intervento, dichiarò la volontà di non attaccare nessuno e propose uno sciopero della fame fino alla fine delle Olimpiadi.
A questo chiaro intendimento pacifista, la polizia ed i militari, sotto il comando del ministro degli interni, risposero con l’invio di carri armati, mezzi blindati chiudendo di fatto le vie d’accesso alla piazza e successivamente iniziarono a sparare all’impazzata sulla folla con le jeep munite di mitragliatrici, ed anche dagli elicotteri come attestò il ferimento della giornalista Fallaci inviata speciale di un rotocalco italiano, che seguiva l’evolversi della situazione da un terrazzo; fu una carneficina nella quale circa 200/300 studenti vennero uccisi e diverse centinaia rimasero feriti.
L’impatto che ebbe nel mondo, questo evento nefasto, fu enorme e si sovrappose alle polemiche già in atto da diversi mesi visto che il Movimento per i diritti civili, costituito da atleti neri per chiedere uguaglianza anche dentro lo sport, aveva avanzato delle richieste precise. Le polemiche si fecero roventi anche perché qualsiasi tentativo di un incontro, per parlare di una questione importantissima, come i diritti civili, non venne nemmeno preso in considerazione.
Le Olimpiadi potevano rischiare di vedere decimata la presenza di atleti di colore ed il boicottaggio sembrò essere un rischio concreto quando le richieste fatte dal movimento non vennero accolte; anzi il fatto grave, che si aggiunse alla terribile strage, fu il disinteresse del Cio, il Comitato olimpico internazionale, il cui presidente Avery Brundage si limitò ad assicurare che le Olimpiadi sono “una vera oasi in un mondo tormentato, e si svolgeranno regolarmente”.
Cosa chiedevano gli atleti di colore? Di avere in patria gli stessi diritti degli atleti bianchi ed a favore di ciò si era espresso Martin Luther King. Tra le richieste vi fu anche quella di restituire al pugile nero Muhammad Ali il titolo di campione dei pesi massimi annullato dopo il suo rifiuto di combattere in Vietnam e questo suo gesto contribuì a sostenere la causa degli atleti di colore.
Conclusa la finale dei 200 metri, che io vidi in differita, i due atleti di colore, Tommie Smith e John Carlos, si avviarono verso il podio per la premiazione insieme al velocista australiano arrivato secondo verso il podio. A me aveva colpito il fatto che i due atleti statunitensi avessero le scarpe in mano dietro la schiena e camminassero scalzi, ma soprattutto mi sembrò inspiegabile come il volto di Smith non fosse sorridente, nonostante avesse vinto la competizione più prestigiosa al mondo, abilendo il record del mondo, e si avviasse contrito alla premiazione.
Nel momento che iniziò l’inno degli Stati Uniti i due atleti di colore
abbassarono la testa, ed alzarono il pugno fasciato con un guanto nero (simbolo delle Pantere nere for Self Defense) in uno stadio ammutolito dopo le prime note. Colsi immediatamente il senso di questo gesto, però quando rividi successivamente le immagini, tenendo conto dei suggerimenti fatti dai commentatori sportivi, capii anche i riferimenti simbolici di spessore che essi avevano suggerito.
La testa bassa e scalzi richiamavano la povertà degli afroamericani.
Carlos indossò una collanina di pietre, come quelle con cui venivano
linciati i neri in America e si era avviato con la tuta aperta in violazione
del protocollo, che chiedeva espressamente di tenerla chiusa, in onore degli operai americani. Sul petto di tutti e tre gli atleti spiccava una spilla rappresentante gli atleti seriamente impegnati nella lotta contro la discriminazione razziale.
Le immagini di questa protesta fecero il giro del mondo e le conseguenze
di questo gesto eroico, che condensò in pochi attimi una ribellione ad una condizione di discriminazione, trasmesso a centinaia di milioni di persone, sortì l’effetto sperato rimanendo scolpito anche emotivamente nelle loro menti. Tutti e tre gli atleti premiati vennero immediatamente espulsi dal villaggio olimpico insieme ad altri, che condividevano gli ideali di questa lotta.
Tornati in patria, i due velocisti furono addirittura minacciati di morte e le persecuzioni riguardarono anche i loro familiari che vennero licenziati e subirono vessazioni in continuazione rendendo loro difficilissima la vita. Stessa situazione riguardò l’atleta australiano, che condivise le stesse richieste dei colleghi, a cui fu inibito di partecipare a manifestazioni sportive nonostante fosse in patria il migliore atleta della sua specialità; infatti fu escluso alle successive olimpiadi Monaco di Baviera. Tommie Smith come ebbi a leggere su un rotocalco alcuni mesi dopo ebbe a dire “In pista sono Tommie Smith, il più veloce del mondo. Ma una volta fuori torno ad essere solo un altro sporco nero”.
Invece a John Carlos, a cui piaceva cimentarsi nel nuoto, suo padre fu costretto a spiegargli il motivo per cui non poteva mandarlo in piscina dicendogli che “i neri non possono frequentare le piscine in cui si allenano i bianchi” tarpando il desiderio del figlio di diventare un grande nuotatore.
Tramite una competizione sportiva di alto livello, trasmessa per la prima volta in mondo-visione, una folla sterminata di persone ebbe modo di vedere quel gesto epocale e di riflettere dimostrando che, come ebbe a dire Mandela moltissimi anni dopo, “lo sport può creare speranza dove prima c’era solo disperazione. È più potente dei governi per abbattere le barriere del razzismo. Lo sport è capace di cambiare il mondo” .
Gino Benvenuti
Incontri ravvicinati del terzo tipo
di Gian Luigi Betti
Su FB mi trovo spesso a polemizzare con ex compagni del fu pci ed adesso non compagni tout court ma in evidente crisi col loro passato. Una categoria a me particolarmente fastidiosa è quella degli apostati militanti. Erano iscritti al pci e qualcuno perfino comunista ed ora odiano il comunismo e tutto ciò che puzza di sinistra, accampano la superiorità della società aperta e demonizzano chiunque non la pensi come loro, richiamano la democrazia e richiedono il decisionismo e sono intolleranti nei confronti delle opposizioni, si dicono riformisti e accettano e fanno propri tutti i dictat del liberismo degli oligopoli. Ma soprattutto strillano come oche spennate, mai un cenno d’intelligenza (da intelligere) che argomenti le loro posizioni. Che si tratti di esseri alieni naufragati sul nostro pianeta? Poveri piccoli esseri che come ET sono alla ricerca di una casa. In questo assomigliano a tutti noi altri ex: solo che noi non vogliamo andare a pigione.
Tra questi, a mo’ d’esempio esplicativo, alcune riflessioni a margine di un recente duetto
Gian Luigi Betti
Caro RF Mi sembrava che tu esaltassi il modello di partito con uno che decide senza tutte le chiacchere che inibiscono l’azione. E’ una stessa considerazione che ho trovato nel se dicente vecchio signore ma per me prof. FA quando lamentava, su FB, che a sinistra chiacchere chiacchere. Anche io condivido la riprovazione nei cfr dell’eterna discussione e relativa divisione e conseguente inazione e irrilevanza politica che sembra affliggere la sinistra fin dal suo nascere. Forse è un tributo alla vocazione razionale e antidealistica che ha contraddistinto tutta la sua storia (almeno a livello dei teorici pensatori). Il Veltronismo che tu richiami, a quanto ricordo, nella sintesi, era riassumibile nella formula: si corre da soli, si vince e poi si fa quello che vogliamo senza compromessi. Grande idea ma modesto programma politico, stante i risultati. Oggi la storia si ripete, a mio avviso, nell’ostracismo anti 5 stelle (che, ti assicuro, sono ben lontani da qualunque mio modello teorico ed ideale). E aggiungo, nell’antilandinismo … nell’anti -tutto, soprattutto se puzza di sinistra, tutti contro, meno me (anche se il me sembra abbastanza confuso a quanto leggo). Quindi al di là della comprensione del tuo pensiero (su questo strumento di mmmmerrddda di fb non riseco mai ad essere sicuro con chi parlo di cosa parlo e se posso parlare con chi voglio -ringrazia il modello liberorwelliano dell’oppressore americano) ribadisco che esiste una sola via percorribile per tentare di recuperare qualche istanza di democrazia in questa fase di dissoluzione non solo dei valori ma delle stesse istituzioni fondanti la democrazia costituzionale italiana. Partiti veri (con regole di controllo autoritativo, tenuti almeno al rispetto delle norme che regolano un condominio, e politico (come selezione e fucina delle élite di governo del paese). Ovviamente un modello virtuoso come quello che auspico comporta la presenza di partiti e non di bande, una certa autonomia dei partiti dai finanziatori, una discussione sempre pressante vivace e anche accesa, un’accettazione dei risultati da parte di tutti sulla base della maggioranza espressa. Ovviamente in un sistema che tiene conto dei livelli gerarchici e territoriali. Un gruppo dirigente competente, con senso dello Stato e del bene comune ma sempre sottoposto al giudizio del partito e della socità. Ho riflettuto molto su questo tema: mi viene in mente un solo esempio: il centralismo democratico. Che ne dici? e soprattutto che c’entra con Renzi o il Pd o il terzo polo?
Gino Benvenuti
Ho letto quanto ha scritto Gian Luigi e nel suo intervento pone alcune questioni ma io mi limiterò a quanto concerne al rapporto tra dibattito politico e sua concretezza operativa. Quando stigmatizza i limiti “ dell’eterna discussione e relativa divisione” che comporta una “ conseguente inazione e irrilevanza politica” mi trova completamente d’accordo.
Bisogna chiedersi però: perché si assiste a questa infinita discussione nell’organismo politico erede maggioritario di quello che fu il PCI? Perché anche in formazioni alla sinistra del PD si trova difficoltà ad elaborare una riflessione che riesca a condensarsi in un obbiettivo politico di fase? .
Quando si discute molto e non si conclude alcunché penso che ciò avvenga per lo smarrimento di categorie fondanti l’identità di una sinistra degna ti tale nome e non perché si discute troppo in quanto proprio l’essere di sinistra non comporta la pigrizia o l’avversione verso la dialettica che ci può aiutare a crescere. Sarò provocatorio perché considero essa è un dato costitutivo, un tratto ineliminabile di cui andare fieri, quindi la sinistra non è stata sconfitta perché ha “chiacchierato troppo e fatto poco” bensì perché non ha discusso a fondo sul cambiamento epocale degli scenari politici. La carenza o deficit di confronto sono valsi anche per Rifondazione comunista, che magicamente riapparivano però solo alla vigilia delle elezioni amministrative o politiche fossero. Questo progetto politico, a cui ho aderito pur provenendo dalla nuova sinistra, è fallito dato che per molti aderenti è stato vissuto con debilitante nostalgia del “come era verde la mia valle” e recondito desiderio di ricongiunzione con il partito da cui erano fuorusciti, il tutto nutrito con categorie, giudizi e comportamenti politici datati, in un’ottica vetero-politicista ritenuta intoccabile ed intaccabile, avversa ed ostile a qualsiasi istanza proveniente dai movimenti, senza sperimentare quindi una nuova forma partito.
Si deve sempre tener presente come e chi si vuole socialmente rappresentare ed allora sorge spontanea una domanda: valeva la pena di gettare a mare un patrimonio fatto di valori, analisi approfondite su categorie fondamentali, con riferimenti ideologici pregnanti anche se suscettibili di un aggiornamento per approdare gradualmente ed in maniera irreversibile al filone liberal-democratico? Che c’entra Dahrendorf con Marx? Come dire volgarmente cosa “c’entra il culo con le quarant’ore ?”.
Il risultato è stato disarmare, nel nostro “quotidiano agire”, una realtà per cercare di costruirne un’ altra sulla base del “pensiero debole” e del “partito leggero” aderendo di fatto all’attacco concentrico contro le grandi narrazioni del XX secolo, custodi di memoria storica, solidarietà generazionale e diritti sociali. L’irruzione e l’invadenza nel panorama sociale dei social e dei media ha amplificato con successo un’opera di disarticolazione sociale mirata e chirurgica. Chi non ricorda il ritornello dispregiativo “ ma questa è ideologia” per indicare astratta qualsiasi critica al sistema vigente o alle scelte politiche immediate senza entrare nel merito? .
In realtà qualsiasi critica veniva respinta perché proveniva da un sistema di valori non gradito e con questo escamotage di fatto l’unica ideologia rimasta è stata quella del capitale. Se negli anni 70/80 si parlava di tardo-capitalismo, capitalismo maturo nel decennio successivo si è cominciato a parlare di post-capitalismo senza se bastasse una ridefinizione nominale ad eliminare i rapporti di uno sfruttamento che a raggiunto livelli ossessivi.
Tutto ciò ha comportato in maniera strisciante o palese una resa incondizionata, vissuta in certe situazioni o come una “liberazione” o come una forma di rigetto rispetto ad un’eredità culturale e politica impegnativa.
Un vecchio proverbio dice “chi dà retta al cervello altrui si può friggere il suo” che si attaglia perfettamente alla sindrome di Zelig secondo cui quella che è stata la parte preponderante della sinistra storica ha modificato passo dopo passo la propria identità, in questo caso politica, adeguandola alle logiche del pensiero unico mentre la sinistra alternativa si è semplicemente frantumata. Siamo al paradosso: nel momento in cui aumentano nel paese nuove povertà, in una crisi che è di dimensioni mondiali, con la riduzione di spazi democratici e diritti civili ed una situazione ecologica allarmante, si assiste al livello più basso di riflessione ed iniziativa politica; questa scarsa incisività politica su temi di rilevante importanza ha avuto come risultato quello di consegnare alle destre la protesta ed il disagio sociale. Inutile lamentarsi del populismo quando si è rinunciato al radicamento sociale e all’ascolto dei problemi dei settori sociali subalterni. Con questa metamorfosi che ha seminato disorientamento e sfiducia anche discutere diventa un’ impresa e i dibattiti sono inevitabilmente inconcludenti. Non sarebbe quindi l’ora di lavorare ad una nuova Bad Godesberg all’incontrario? Ma per fare questo bisogna sapere subito e senza tentennamenti chi vogliamo rappresentare; da questo non si può prescindere. Con questo intento si semplifica il compito e si dissolvono i dubbi
Onu neonazismi e votazioni
Gino Benvenuti ci propone la rilettura di un articolo di Manlio Dinucci – Il Manifesto 24.11.2020
Il Terzo Comitato delle Nazioni Unite – incaricato delle questioni sociali, umanitarie e culturali – ha approvato il 18 novembre la Risoluzione «Combattere la glorificazione del nazismo, neonazismo e altre pratiche che contribuiscono ad alimentare le contemporanee forme di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e relativa intolleranza». La Risoluzione, ricordando che «la vittoria sul nazismo nella Seconda guerra mondiale contribuì alla creazione delle Nazioni Unite, al fine di salvare le future generazioni dal flagello della guerra», lancia l’allarme per la diffusione di movimenti neonazisti, razzisti e xenofobi in molte parti del mondo. Esprime «profonda preoccupazione per la glorificazione, in qualsiasi forma, del nazismo, del neonazismo e degli ex membri delle Waffen-SS».
Sottolinea quindi che «il neonazismo è qualcosa di più della glorificazione di un movimento del passato: è un fenomeno contemporaneo». I movimenti neonazisti e altri analoghi «alimentano le attuali forme di razzismo, discriminazione razziale, antisemitismo, islamofobia, cristianofobia e relativa intolleranza». La Risoluzione chiama quindi gli Stati delle Nazioni Unite a intraprendere una serie di misure per contrastare tale fenomeno. La Risoluzione, già adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 2019, è stata approvata dal Terzo Comitato con 122 voti a favore, tra cui quelli di due membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, Russia e Cina. Due soli membri delle Nazioni Unite hanno votato contro: Stati uniti (membro permanente del Consiglio di Sicurezza) e Ucraina.
Sicuramente per una direttiva interna, gli altri 29 membri della Nato, tra cui l’Italia, si sono astenuti. Lo stesso hanno fatto i 27 membri dell’Unione europea, 21 dei quali appartengono alla Nato. Tra i 53 astenuti vi sono anche Australia, Giappone e altri partner della Nato. Il significato politico di tale votazione è chiaro: i membri e partner della Nato hanno boicottato la Risoluzione che, pur senza nominarla, chiama in causa anzitutto l’Ucraina, i cui movimenti neonazisti sono stati e sono usati dalla Nato a fini strategici. Vi sono ampie prove che squadre neonaziste sono state addestrate e impiegate, sotto regia Usa/Nato, nel putsch di piazza Maidan nel 2014 e nell’attacco ai russi di Ucraina per provocare, con il distacco della Crimea e il suo ritorno alla Russia, un nuovo confronto in Europa analogo a quello della guerra fredda. Emblematico il ruolo del battaglione Azov, fondato nel 2014 da Andriy Biletsky, il «Führer bianco» sostenitore della «purezza razziale della nazione ucraina, che non deve mischiarsi a razze inferiori».
Dopo essersi distinto per la sua ferocia, l’Azov è stato trasformato in reggimento della Guardia nazionale ucraina, dotato di carri armati e artiglieria. Ciò che ha conservato è l’emblema, ricalcato da quello delle SS Das Reich, e la formazione ideologica delle reclute modellata su quella nazista. Il reggimento Azov è addestrato da istruttori Usa, trasferiti da Vicenza in Ucraina, affiancati da altri della Nato.. L’Azov è non solo una unità militare, ma un movimento ideologico e politico. Biletsky resta il capo carismatico in particolare per l’organizzazione giovanile, educata all’odio contro i russi e addestrata militarmente. Contemporaneamente, vengono reclutati a Kiev neonazisti da tutta Europa, Italia compresa. L’Ucraina è così divenuta il «vivaio» del rinascente nazismo nel cuore dell’Europa. In tale quadro si inserisce l’astensione dell’Italia, anche nella votazione della Risoluzione all’Assemblea Generale.
Il Parlamento acconsente, come quando nel 2017 ha firmato un memorandum d’intesa col presidente del parlamento ucraino Andriy Parubiy, fondatore del Partito nazionalsociale ucraino, sul modello nazionalsocialista hitleriano, capo delle squadre neonaziste responsabili di assassini e feroci pestaggi di oppositori politici. Sarà lui a complimentarsi col governo italiano sul non-voto della Risoluzione Onu sul nazismo, in linea con quanto ha dichiarato in televisione: «Il più grande uomo che ha praticato la democrazia diretta è stato Adolf Hitler».
Manlio Dinucci
La Cena
Da: Mosaico / Gino Benvenuti. Il Punto rosso, 2019.
http://www.puntorosso.it/edizioni.html
In un’ampia sala di ingresso di una casa colonica, finemente ristrutturata, cominciarono ad arrivare alla spicciolata, nel tardo pomeriggio, un gruppo di persone invitate per una cena. Ad attenderli in quella stanza dal soffitto alto e con il pavimento in cotto lucidato, con delle bellissime piante ornamentali, c’erano dei camerieri in divisa da grande occasione. Uno di essi aveva al momento, il compito di accompagnare le persone al guardaroba e sistemare i soprabiti, un altro era a disposizione per risolvere qualsiasi problema che potesse nascere anche per comunicare con l’esterno dato che in quella zona, i cellulari non ricevevano alcun segnale e gli altri camerieri erano in cucina.
Quel luogo non era la prima volta che ospitava delle cene riservate ed il gruppo, essendo molto affiatato, in attesa di sedersi si sbizzarrì con ricordi, argomenti, commenti sui loro abbigliamenti di circostanza e pettegolezzi vari. In questo piacevole colloquiare cominciarono subito a sostituire il nome di battesimo con il soprannome. Fu così che la farmacista una donna nubile di mezza età e di media statura sempre silenziosa e taciturna, non appariscente e sempre con gli occhiali scuri, da Margherita diventò “Fiala” non per la sua magrezza bensì perché non disdegnava distribuire in certe circostanze particolari, delle sostanze senza ricetta, l’insegnante e traduttrice di madrelingua inglese venne subito chiamata “Biancaneve” invece di Hillary perché circolavano voci insistenti che avesse l’abitudine saltuarie di tirare su della coca, mentre il notaio un uomo di bassa statura, con pochi capelli, brutto, dal corpo sgraziato e leggermente gibboso che lo aveva reso oggetto di dileggio e canzonature costanti dalla scuola elementare in poi, in possesso di una notevole cultura e titoli accademici di riconosciuto valore, fosse chiamato confidenzialmente “Leopardi”.
Leggi tutto “La Cena”La Confessione
A detta dei più anziani abitanti dei borghi della vallata, con una punta di orgoglio, la loro pieve è sempre visibile, anche quando dalla pianura, specialmente nel periodo autunnale, una leggera nebbiolina si spande avvolgendo tutte le case che come un presepe degradano fino al torrente. Si narra che solo una volta in antichità la chiesa fosse inghiottita completamente dalla nebbia e ciò fu il preludio di una terribile pestilenza che spopolò tutto il comprensorio. Vista dall’alto a volte, sembra che sia sospesa nel vuoto perché la nebbia riesce a lambire la parte superiore del bassorilievo che circonda il perimetro, ingoia la piccola scalinata, e si ferma a pelo del lastricato davanti all’ingresso. Nel bar centrale della più grande frazione c’è in proposito una spettacolare gigantografia in bianco e nero che risale ad un inverno degli anni ’50. Oggi ricorre la festa della fine di quell’epidemia e pertanto tutti i borghi che fanno riferimento alla pieve sono in fermento. Anche Camilla decide di visitare la chiesa non tanto motivata da un sentimento di devozione, quanto dai discorsi degli abitanti del luogo scelto come villeggiatura, ormai da tre anni consecutivi.
Leggi tutto “La Confessione”Il Manicomio
Alba di un giorno di primavera. Prima di aspettare che la nebbia si diradi, percorro una solitaria strada comunale sterrata e mi dirigo verso una costruzione pentagonale dalle mura spesse e rinforzate agli angoli con poderosi bastioni, che richiama alla mente un vecchio edificio militare. Mi ero promesso di farlo anche perché intorno a quell’edificio circolavano in paese storie strane di urla notturne ed addirittura di fantasmi e come si sa la fantasia popolare o le cosiddette dicerie, non nascono a caso. Quando qualche volta avevo provato ad entrare sull’argomento, il fastidio con cui la gente del posto rispondeva, era palese. O si giravano da un’altra parte evitando di rispondere oppure qualcuno mormorava un generico “sono tutte chiacchiere”. Per la strada, prima che il sole inizi il suo braccio di ferro con la nebbia, le piante umidicce mostrano una patina che opacizza il colore delle foglie. Appena fuori paese entro in un viottolo di campagna e poco dopo, con un piccolo salto, supero un fossetto per potermi inoltrare nell’ampio parco a forma di anfiteatro circostante l’edificio. La rete di recinzione, avvolta e stravolta dal caotico fogliame, mostra dei buchi ed attraverso uno di essi cerco di proseguire. Un tempo il complesso, ben curato come dimostrano alcune vecchie fotografie, con vialetti secondari delimitati da piante di alloro potate alla stessa altezza, aiuole circoscritte da listelli di legno e panchine in pietra davanti ad una fontana, mostrava una certa solennità e piacevolezza.
Adesso tutto è ridotto ad un inestricabile ammasso di rovi e di rami che si sono avvinghiati e compenetrati rendendo il parco simile ad una giungla ed in alcuni punti non è possibile vedere il cielo. Dei vialetti interni non resta traccia e soltanto la ghiaia, che scricchiola sotto le scarpe saltuariamente, ce lo ricorda. Proseguo con difficoltà e mi graffio in più punti le braccia. -La natura è più forte anche della sporcizia- penso mentre alcuni gatti fuggono davanti a me tra bottiglie e cartacce. Vicino al castello, il fogliame caotico si attenua e procedo con l’erba che mi sfiora le ginocchia. Proprio al limitare del parco, prima di salire su un gradino in pietra che porta al ponticello, noto una pelle di serpente.
Percorro due gradini e volgendo lo sguardo in basso vedo una traccia d’acqua, residuo dei temporali trascorsi, e deduco l’esistenza remota di un fossato dove una serpe scivola via velocemente. Arrivo nel mezzo del ponte ed appoggiando i gomiti sulla spalletta guardo in alto. Scorgo delle trasandate persiane ed un corvo si leva in volo mentre un altro plana nelle vicinanze. Il portone enorme di castagno massello visibilmente tarlato, rinforzato con borchie di ferro arrugginito, non cede alla mia pressione anche se la chiusura si allenta, ma dopo un paio di tentativi inutili per forzarlo, con la suola delle scarpe percuoto violentemente un’anta che scricchiola liberando in terra del pulviscolo legnoso; infine riesco ad entrare. Davanti a me si presentano un corridoio dai soffitti altissimi e delle finestre irraggiungibili caratterizzate da scivoli che dalla base inferiore calano inclinati verso il basso, evidenziando lo spessore dei muri. Tre cancelli distanziati, incardinati all’interno di un’armatura metallica che dal soffitto arriva fino a terra, sbarrano l’accesso a chiunque. Dai vetri infranti, una corrente d’aria trasporta delle foglie che restano sospese alcuni attimi come i piccioni che planano a loro piacimento nel corridoio.
Leggi tutto “Il Manicomio”Morte in Treno
Era un Mercoledì mattina del mese di Settembre quando Renato, dopo aver salutato il figlio che impegnato sul lavoro uscì velocemente dalla stazione, si mosse verso il binario dove il treno delle 9, 15 a momenti sarebbe partito. Scarpe da tennis, jeans appena sotto il ginocchio, felpa sportiva sopra una maglietta arancione, acquistata alcuni anni prima ad Amsterdam, ed un cappello, con una piccola tesa leggermente calato all’indietro, lasciava intravedere un ciuffo abbondante di capelli brizzolati. Biglietto alla mano verificò il numero della carrozza e vi salì dentro collocando subito il piccolo bagaglio nello scomparto previsto. Guardò l’orologio e mancando ancora tre minuti ritornò sulla pensilina ed accese una sigaretta restando con un piede sopra il predellino. Per oltre due ore sarebbe stato senza fumare ed allora con boccate ampie e prolungate consumò mezza sigaretta prima di gettarla tra i binari giacché il capostazione aveva fatto già diversi cenni dalla testa del treno e tutti i viaggiatori erano saliti sopra. Prese posto proprio nell’ultima poltroncina singola dello scompartimento così, senza scomodare qualcuno, avrebbe potuto alzarsi a piacimento e non essere disturbato nel cercare di risolvere la propria enigmistica. La partenza di un treno nel binario accanto, gli dette la sensazione di essere già in movimento.
Seduto, comunicò al figlio di essere già partito ed estrasse il biglietto poggiandolo sulla ribaltina mentre due viaggiatori si sistemarono davanti a lui, dopo aver collocato i piccoli bagagli a contrasto tra i sedili. Passò circa una mezz’oretta quando mentre stava completando uno schema impegnativo, fece ingresso nella carrozza il controllore che esaminò il biglietto e lo perforò. Renato lo poggiò sul piccolo tavolino e si lasciò andare all’indietro sullo schienale. Un’occhiata fuori dai finestrini e vide sparire tralicci della luce, fossi e campi seminati mentre ebbe la sensazione che fosse fermo; sbadigliò a lungo. Ebbe un lieve giramento di testa ed appoggiò le mani sul piccolo tavolino cominciando a vedere immagini sfuocate intorno a sé e gli parve che la gente parlasse ad alta voce.
Quando sentì una fitta allo sterno, volle appoggiare la testa sul dorso delle mani arcuando i gomiti sulla ribaltina. Una mano cominciò a formicolare ed attribuì ciò alla posizione scomoda e prolungata, ma quando fece per alzarsi una forza misteriosa, premendolo contro lo schienale, glielo impedì. Il cellulare silenziato vibrando si spostò sulla ribaltina finendo per terra e premuroso un viaggiatore lo raccolse depositandoglielo accanto al suo gomito. Avrebbe voluto ringraziare, parlare del suo malessere, ma il respiro affannoso gli bloccò le parole e, quando il treno raggiunse il massimo di velocità, la sua testa dondolò e le orecchie gli si tapparono. Le persone davanti a lui continuarono a leggere. Ancora poco e poi sarebbe arrivato a Bologna. Qui in carrozza non salì alcun passeggero e nemmeno scesero i viaggiatori davanti a lui e quando passò di nuovo il controllore vedendo il suo biglietto perforato, non lo disturbò. A Firenze non scese come dovuto e non sentì i “buon viaggio” augurali dei viaggiatori vicini che, bagagli alla mano, si apprestarono ad uscire. Quando il treno proseguì per Roma, le mani scivolarono dal tavolino e penzolarono inerti. Rimase con la bocca contro il legno biasimato come maleducato da un viaggiatore che si era seduto davanti a lui.
Il cellulare cadde di nuovo e questa volta restò per terra mentre lui cominciò a sudare quando il treno, in orario, lentamente entrò in stazione e di lì a poco, si svuotò. Solo nella carrozza ebbe un sussulto e riuscì a rialzarsi per un attimo. Gridò aiuto, ma in quel treno vuoto nessuno poté ascoltarlo ed allora con le residue forze riuscì a muovere le gambe mentre il dolore allo sterno si fece più intenso e s’irradiò anche al braccio sinistro. Incerto nel suo proseguire per andare alla toelette si sedé in una poltrona poco più avanti e quando ostinato riuscì ad arrivarci provò ad aprirla, ma constatò che il treno fermo aveva i comandi bloccati. Il sudore copioso gli imperlò il volto quando decise di rientrare verso il suo posto sforzandosi di aumentare il suo passo ma ormai il suo organismo viaggiava per conto proprio.
Giunto a poco più di un metro dal suo posto, strascicando i piedi, cadde; si rialzò, barcollò e si afflosciò come un abito che scivola lentamente da una gruccia, urtando il suo biglietto che volò per terra vicino al cellulare. Sentì freddo e cominciò a battere i denti. Cercò di ricomporsi e con estremo sforzo, raccolse biglietto e cellulare appoggiando la testa sul tavolino quando tre uomini del personale addetto alla pulizia, si soffermarono davanti a lui. -Deve essere un viaggiatore che è salito in anticipo- . -Ha anche il biglietto- . -Lasciamolo dormire- disse l’ultimo con una granata in mano. Il treno cominciò a riempirsi. Tra chi sistemava i bagagli, chi con le cuffie ascoltava musica, chi approntava il suo computer, chi si dedicò subito nella lettura di un libro, chi s’immerse nei propri affari ognuno ebbe il proprio daffare perché nei viaggi brevi e velocissimi, i treni diventano più intimi. Nessuno fece caso a Renato.
Nel primo tratto il treno marciò lentamente e quel povero gomitolo inerte oscillò per un attimo, ma quando prese velocità, fu sballottato e rotolò sul pavimento mostrando il suo pallore mortale; il treno era a metà percorso. Tra grida di spavento, curiosità ed indifferenza, venne subito chiamato il capotreno che ne constatò il polso debolissimo. Dopo poco tramite altoparlante venne fatto un appello per rintracciare urgentemente un medico tra i viaggiatori e farlo venire in quella carrozza. -Che fate adesso?- chiese la viaggiatrice che sedeva davanti a Renato. -Chiameremo l’ambulanza, non vi avvicinate…anzi sedetevi da un’altra parte tanto c’è posto per tutti- intimò il controllore allontanandosi. Arrivò il personale di servizio e stese un telo su Renato immobile. -Ma che fate non è morto- . -Lasciategli fuori la testa per respirare- . Imbarazzato il giovane, cercò di scusarsi dicendo che non aveva capito bene nel momento in cui il treno raggiunse il massimo della velocità. -Alla prossima stazione sarà trasportato in ospedale, l’ambulanza è già sulla pensilina… purtroppo non siamo su un treno locale- comunicò il capotreno. -Ha ragione il controllore; a mia madre è successo che si è sentita male sul treno locale per Bologna e dopo un quarto d’ora era già in ospedale- commentò una giovane.
Renato sdraiato vedeva immagini sfuocate, ma non capiva che cosa stesse succedendo ed aprendo per un attimo gli occhi sbarrandoli dette l’impressione di un decesso. -Mamma mia è morto- . -Signori levatevi di qui andate a sedere- gridò spazientito il capotreno mentre una dottoressa sopraggiunta immediatamente con una valigetta si adoperò per somministrargli un’iniezione. Gli mise un cuscino d’emergenza sotto la testa, i pantaloni slacciati e dopo, alzandogli la maglietta, si prodigò per un inutile massaggio cardiaco. -È deceduto- sentenziò rialzandosi. Il capotreno sbiancò come la salma e si aggiustò il cappello. -E adesso? Non ci fermeremo mica per accertamenti?- chiese ansioso un uomo azzimato che lasciava dietro di sé un alone di profumo – più che morto, cosa può fare? Non resuscita mica!- insisté cinicamente. -Giusto anch’io ho un appuntamento importante…ci mancava solo questo- borbottò una viaggiatrice nel ritirare il suo bagaglio dallo scomparto. -Non si preoccupi e vada a sedere- inveì il capotreno mentre frugò nel giubbotto del cadavere alla ricerca dei documenti.
Gino Benvenuti, Giugno 1993
I Miti che noia!
Si dice che Pan sia nato da una scappatella del dio Ermes, che da bravo sporcaccione si era travestito da pastore, con una ninfa tale Penelope da non confondere con la moglie di Ulisse. Coinvolto da una passione travolgente prese a frequentarla assiduamente fino che un giorno lei al colmo dell’orgasmo, gli disse: -Ma chi sei? Dimmelo! Sei divino!- . Ermes continuò a tacere sulla sua reale identità e Penelope per strappare questo segreto si rendeva disponibile giorno e notte e nei luoghi più impensati. Non so quanto e come sia la gestazione tra gli dei, ninfe ed affini, ma so che un giorno, quando Penelope vide la sua creatura venire al mondo, lanciò un urlo di terrore perché l’aspetto del neonato era decisamente orribile. L’urlo si propagò nei dintorni e quando Penelope fu soccorsa, sostenne di aver visto un essere mostruoso correre nel bosco.
Coperto di pelo, con delle zanne incredibili per un pupo ed un mento su cui spiccava una ruvida barba, era simile ad un caprone perché aveva anche due corna ed invece dei piedi aveva degli zoccoli. Cosa fece Penelope? Abbandonò il figlio nel bosco; brutta stronza! Non per fare l’avvocato del diavolo, ma per curiosità faccio una domanda alla persona che legge ammesso che ce ne sia una: tu avresti portato a casa Pan o avresti lasciato simile creatura nel bosco poiché i centri per la riabilitazione non esistevano? Si fa presto a dire madre fedifraga, ma se ti nasce qualcosa più simile ad una capra che ad un pargolo, cosa avresti fatto a quei tempi? Io lo avrei portato in quel ricettacolo di serpenti che era l’Olimpo pieno di Dei rissosi che s’imbrogliavano l’ uno con altro generando creature orribili vittime di sortilegi. Poteva starci anche Pan senza lasciarlo a zonzo.
E chi poteva portarlo con sé? Il perfetto Apollo? No certamente! La saggia Minerva? Impossibile; l’imbroglione Ermes? Nemmeno a parlarne; simbolo non a caso del commercio e della truffa tra i posteri, lo avrebbe sicuramente imbrogliato, anche se era suo figlio adottivo. Tra tutti, Diòniso il più sfrenato ed umano degli dei sempre pronto a far bisboccia, casino ed a concupire giovani fanciulle che ignare facevano il bagno nel fiume oppure che si erano avventurate da sole nel bosco come Cappuccetto Rosso, senza però il cestino da portare alla nonna, fu quello che lo tutelò. Crebbe secondo certi principi a dimostrazione che anche tra gli Dei l’imprinting ha il suo valore. Secondo il motto “bestia più bestia meno, c’è posto per tutti” oppure “aggiungi un posto a tavola” (anche se sedersi accanto a lui era rischioso perché poteva sempre pestare qualcuno con gli zoccoli che si portava addosso), Pan fece il suo ingresso in società preceduto da una nomea di persona allegra e di buona compagnia, insomma un tipo simpatico come lo descrisse Diòniso. -Fallo essere anche antipatico dopo che è brutto come un mostro!- borbottò Minerva.
Un giorno Pan, che si aggirava per i boschi come un guardone, vide una splendida creatura ed arrapato le piombò alle spalle, ma lei, di nome Siringa, come lo vide cominciò ad urlare e fuggì con gli occhi pieni di terrore chiamando papà Ladone, dio delle acque fluviali. -Papà ho visto un mostro… per favore papà fai che quel coso non mi possa più incontrare… ti prego papà cambiami di aspetto- . -Sei proprio sicura che sia così brutto? Non è che sei sotto l’effetto di qualche allucinogeno?- . -No papà; io mi chiamo Siringa, ma non mi faccio le siringhe- . -Già ho equivocato- rispose il padre che non convinto si travestì da donna andando per i boschi per accertarsi della situazione.
Tutto imbellettato con una tunica bianca ed una parrucca piena di buccolotti biondi, cominciò ad ancheggiare strada facendo, ma di Pan nemmeno l’ombra. Infine al crepuscolo quando si cominciò a vedere e distinguere con difficoltà, Ladone sentì il rimbombo di alcuni passi. Si chinò e cominciò a camminare in ginocchioni tra le frasche attento a non fare il minimo fruscio, ma quando il rumore divenne percettibile non fece a tempo a voltarsi che … zac. Pan quando gli fu sopra, cominciò a palpeggiarlo, ma quando gli rimase in mano la parrucca, accorgendosi che la vittima non era una donna, si ritrasse e Ladone voltandosi quando lo vide, proruppe in un urlo.
Convinto di persona, fece di corsa ritorno a casa. A quei tempi non esisteva la chirurgia plastica ed allora che fare? Bisognava cambiare le sembianze di sua figlia e fu così che Siringa diventò una canna fluviale. Pan che prima si voleva fare Siringa provò a farsi una canna cercandola dappertutto; taglia di qua taglia di là, alla fine tagliò una canna in diversi pezzi. Si narra che sconsolato, li legasse con dello spago formando un flauto e con quello irrompesse nella quiete del bosco adescando e spaventando le fanciulle.
Gino Benvenuti. Settembre 1993