(Mi si nota di più se ci sono o se non ci sono?)
di Anna Maria Guideri
Non si parla mai tanto di cultura come quando non c’è per far finta che ci sia e per far credere di esserne gli illustri rappresentanti. Come il convitato di pietra che non c’è, ma c’è, o come Nanni Moretti che nel celebre Ecce Bombo si chiedeva se, per non passare inosservati, fosse meglio esserci o non esserci. Cultura, una parola che attraversa da tempo una grave crisi d’identità e che, proprio per questo, è destinata ad averne molte e ad essere piegata ai più svariati e disparati usi ed abusi … Un espediente buono per chi è a corto di argomenti, per sviare il discorso gettando la palla in tribuna – ci vorrebbe più cultura – con l’aria supponente e vagamente saccente tipica di chi ha capito tutto ma non può fare nulla perché l’ignoranza degli altri – mai la propria! – è veramente troppa. La violenza, i pregiudizi, il malcostume, le ingiustizie, la mancanza di senso civico … tutto quello che non funziona è colpa della mancanza di cultura senza specificare che cosa s’intenda per cultura e a cosa ci si riferisce quando si parla dei rimedi ai mali del mondo. Ma a cosa serve davvero questo tormentone che, come un fuoco fatuo, rischia di fare apparire colto chiunque pronunci questa parola magica senza contestualizzarla e spesso a sproposito? Serve alla propria visibilità – sparlino purché parlino (O. Wilde) – ; serve a gettare il fumo negli occhi illudendo la gente che l’uso compulsivo e indiscriminato dei social possa colmare il vuoto di conoscenze, l’assenza di pensiero, di visione, di senso, di scopo … di consapevolezza del capitale umano. Si parla di cultura con una incoscienza e una leggerezza pari al peso enorme del vuoto che ci opprime. Questa parola è diventata la panacea per tutti i mali, una specie di attestato di credibilità per spararle grosse appena se ne presenta l’occasione. E qui mi corre l’obbligo di citare il nostro ministro della cultura Gennaro Sangiuliano che, appena insignito dell’alta carica istituzionale, per effetto di questa parola – cultura – da asino si è trasformato in un dotto signore che pontifica urbi et orbi con la soddisfazione di vedere presi sul serio i suoi blasfemi accostamenti fra Dante e la destra e le sue rocambolesche simmetrie tra fascismo e comunismo. Sangiuliano non è ministro perché è colto, ma è colto perché è ministro! Come re Mida che trasformava in oro tutto ciò che toccava, lui ha il potere di trasformare in cultura tutte le sparate che escono dalla sua bocca. Poi, forse per rimediare alle gaffe – ma la toppa è peggio del buco – si è avventurato spericolatamente a tessere le lodi di Antonio Gramsci risvegliandolo bruscamente – supponiamo – dal suo eterno e meritato riposo. E il generale Roberto Vannacci non merita forse un premio per il suo contributo all’egemonia culturale della destra con la pubblicazione del suo esplosivo best-seller?Infatti rischia – ma siamo noi che rischiamo – la candidatura alle prossime elezioni europee. Così come il ministro dell’ agricoltura Francesco Lollobrigida ha fornito una valida prova della sua cultura istituzionale, facendo fermare il treno su cui viaggiava per non arrivare in ritardo ad un incontro di lavoro: il ritardo del ministro è più importante di quello degli altri viaggiatori … Almeno con Mussolini i treni arrivavano in orario!E se è vero che il merito deve essere riconosciuto e premiato, come si evince dalla nuova denominazione del dicastero della Pubblica Istruzione e del Merito, si deduce che Meloni piazzando i suoi famigli nei ruoli apicali del potere, si sia attenuta scrupolosamente ai loro meriti culturali e non allo jus sanguinis come il loro stretto legame di parentela con lei farebbesupporre. E la tanto decantata ars oratoria della Presidente del Consiglio con cui lei sparge ovunque i suoi facili e retrivi slogan su Dio-patria-famiglia e non solo … non denota il suo alto livello culturale, ma quello basso di chi la vota! E’ curioso e quasi commovente lo sforzo titanico e rischioso di questa destra per conquistare l’egemonia culturale visto che non serve per vincere (sinistra docet!). Ma chi glielo fa fare? Non sono premiati perché sono colti, ma proprio perché non lo sono! Se diventano colti anche loro, chi li rappresenta gli asini? Anche loro hanno diritto ad essere rappresentati … o no? Un po’ di giustizia sociale, che diamine! Cultura, questa parola così trend sottoposta allo stress di una quantità variegata di attribuzioni, definizioni, e poteri salvifici – uno, nessuno e centomila – si aggira non indisturbata sia nei palazzi del potere, sia sui media come una mina vagante, uno strano oggetto di desiderio di cui ci si appropria in modo superficiale e strumentale per dare senso e consistenza ad affermazioni che ne sono prive e per travestire la propria ignoranza indossando un abito di gala, ma della taglia sbagliata. Lo stesso termine egemonia riferito alla cultura appare improprio, una contraddizione in termini. La cultura più è egemonica meno è cultura la quale lo è nella misura in cui è patrimonio della collettività, è orizzontale, non verticale, non è monopolio di pochi, ma un bene a disposizione di tutti anche se non tutti ne possono fruire allo stesso modo. Non è un’arma da usare contro per rivendicare un’identità o per ottenere una rivincita, ma uno strumento per far crescere gli individui e le società in cui vivono. La vera cultura non può che essere autorevole, mai autoritaria; dialogante, mai intollerante e deve promuovere lo sviluppo della persona. Si può parlare di cultura di questa destra? Penso proprio di no. Di quale egemonia culturale si parla se la cultura non c’è? Rivoluzione culturale? No, involuzione!
Anna Maria Guideri, 25-01-2024