In attesa del Gran Botto

Ucraina 24/02/2023

Zelinsky sta finendo la sua carne da macello in età 21/40. Ora sta per mobilitare i più giovani e i più vecchi.
(notizia di oggi sul TG 1!!).
Ma continua a chiedere armi per VINCERE. Chi vorrebbe mandare a riconquistare la Crimea? I ragazzini delle elementari o i pensionati?
In Europa si inizia a discutere di leva obbligatoria. (Come dicevo sarebbe successo un paio di settimane fa, vedi il Fatto di oggi e Linkiesta di ieri). Finiti gli ucraini in età di tenere un fucile, a chi toccherà? Per chi non capisce bene, significa che molte centinaia di migliaia di Ucraini nel fiore degli anni sono morti.
Le continue menzogne sulla sicura sconfitta della Russia cozzano con la realtà che chiunque può verificare sui siti americani dell’ISW (che fa spudoratamente il tifo contro Putin, ma fornisce un’accurata mappa quotidiana del fronte).
L’idea che Zelinsky sia sì eroico, ma anche un esaltato che trascina alla morte due intere generazioni senza alcuna prospettiva di vittoria (parola che mi dà il vomito, perché non vale cumuli di morti ed è pura retorica) forse dovrebbe farsi strada non solo nella vecchia testa di Berlusconi.
Cessate il fuoco subito, è l’unica cosa da chiedere ORA.
Il resto sarà oggetto di trattative (e chissenefrega, francamente).

Corrado Cirio 24/02/2023

Una Voce Impertinente

Nero Bizzarro : Racconti / Gino Benvenuti. Il punto rosso, 2022

Una sera, all’interno di un dibattito nel circolo ricreativo che frequentava, Tullio ebbe modo di dire, facendo anche sorridere, che “l’umanità si divide tra alberi e foreste perché c’è chi guarda l’albero e non la foresta. Bisogna invece guardare la foresta nel suo insieme perché l’albero da solo non conta niente. Bisogna avere sempre una visione complessiva sulle questioni di cui discutiamo” .

Questo gli valse il soprannome di “l’Foresta” quando qualcuno lo salutava ed i soprannomi come si sa sono indelebili, una sorta di tatuaggio che è difficile da cancellare. Se al momento ciò gli fece piacere, adesso gli stava stretto in quanto con il diradare dei suoi rapporti personali viveva sempre sospeso, nelle sue elucubrazioni quotidiane, tra uno spossante rimpianto e le sensazioni di un cupo futuro che questo soprannome riproponeva.

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Napoleone

Dalla serie le Missive impossibili di Sandra Vegni

Lettera di Napoleone Bonaparte (Imperatore)
a Josephine (ex Imperatrice e moglie)

A Marie Josephe Rose Tascher de la Pagerie, Chateau Malmaison, nei pressi di Parigi
Pressi della Beresina (Russia), 24 Novembre 1812

Compagna di giorni felici che mai torneranno
Tu sai, ma chére, e comprendi come sempre hai compreso, le ragion di stato che mi spinsero a chiudere il nostro matrimonio. Il figlio che tu non mi hai saputo dare per sempre ci ha diviso.
Ma l’amore che ci ha unito, i nostri giorni regali e felici ci tengono uniti in un ricordo reciproco che nessuno potrà cancellare. Men che mai l’austriaca, il suo rigido incedere e l’asprezza del suo linguaggio potranno mai sciogliere il gelo che avvolge il mio cuore.

Non solo il mio cuore è avvolto dal gelo, in queste lande desolate coperte di neve dove – ogni giorno più orrendo – assisto al lento sgretolarsi del mio esercito una volta invincibile e lascio alle spalle i più nobili dei miei soldati. Statue di marmo, com’esso bianche, punteggiano il cammino. Nel vuoto degli sguardi, nelle mani rattrappite, nell’immobilità dei corpi io vedo, seppur non ancor deciso, il destino mio e dell’Impero.

A chi, se non a te, amata compagna mia, posso rivolgere queste mie parole. Ultime, forse, non voglio credere, che pronti son tanti prodi a difendere l’Imperatore: soldati fedeli, fedeli combattenti di tante gloriose battaglie. Di quei giorni, di quei ricordi pare oggi fatta la mia vita. Domani penserò alla battaglia, alla difesa di quanti mi restano fedeli e vivi. Domani, alla difesa. Che attacco, ormai, non è pensabile con questi resti di sparute truppe.

Tu lo dicesti, o cara, che questa terra inospitale e inutile mal si ponea alle mie mire di grandezza. A te sola, oggi, lo dico: perché ignorai le tue donnesche parole, perché? Imperator dovevo rimanere nei miei già ampi confini. Queste steppe non conoscevo e la durezza feral del Generale Inverno che va sgominando, uno a uno, i miei soldati.

E ti penso, intenta a coltivar le rose, a quelle opere invernali che più rigogliose le renderanno a primavera. A Malmaison, le bianche mani rifugiate nel manicotto, i riccioli che sfuggon dal copricapo invernale, la mente a me rivolta. Giacché io lo so, Josephine mon amour, dove vanno volando i tuoi pensieri. E li vedo arrivare, nel corpo freddo di un uccello smarrito che, stento, si posa su un ramo secco imperlato di brina e ti penso, mia cara e temo – l’Imperator non ha paura – di non vederti più.

Nessuno vedrà questa mia, e io so che tu, che ancora ai miei ideali e al nostro passato resti fedele, immantinente la distruggerai.
Adieu, ma chère, addio ai nostri incontri silenziosi, alle tue mani allegre strette alle mie. Al tuo sorriso, al ricordo dei tuoi occhi che mai mi abbandonano, i tuoi occhi creoli che mi presero il cuore.
Mai più ci rivedremo, lo so. Sarà che io non torni o torni sconfitto e tradito. Ma giammai io tornerò umiliato. Tu già lo sai. E se la vita mai Iddio mi risparmiasse, io non sarò vinto. Che nel cuore intanto si avanza un coacervo di pensieri. Di riscatto e vendetta. Vedrai.
E mentre la neve si posa in mulinelli vorticosi su questa tenda smarrita nella steppa, io per una volta ancora ti abbraccio e teneramente ti bacio, o mia diletta ed indimenticata sposa.

Napoleon

Il Vecchio e la Bambina

Fabio un pensionato vedovo da oltre quindici anni, conduceva la sua vita senza concedersi particolari piaceri né coltivando grandi aspettative per il suo futuro.

Avere rifiutato ostinatamente di stare con la famiglia del figlio, che si era trasferito in un’altra città, gli comportò lo sfilacciamento dei rapporti con lui diventato nel frattempo padre di due bellissime bambine viste solo nell’unica fotografia inviatagli dalla nuora. La mattina molto presto, una volta stropicciati gli occhi e passato una mano sulla guance scabrose per la barba leggermente lunga, usava dire “anche per oggi mi sono alzato”. Poi come di solito si preparava una fetta di pane con miele o burro ed il latte che riscaldava prima di metterci del caffè preparato da una settimana all’altra.

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A Kira

Gian Luigi Betti

Kira, la giovane Kira, la provocante Kira, l’onnipresente Kira.
Kira comanda la mia casa coi suoi occhi dolci, non ha bisogno di parole.
Io non posso che eseguire ogni suo volere: la sua giovanile vivacità è conforto e dominio alla mia pigra senilità.
La notte scivola nel letto al mio fianco e si stira alle mie carezze con pigra voluttà.
M’invita ad una corsa che più non conosco ma di cui ho rimpianto.
Mi provoca: talvolta s’offre: prona in attesa delle mie carezze e d’improvviso s’allontana per un gioco vezzoso.
Talvolta giace supina, mi guarda e offre il ventre nella posizione del missionario. Le carezzo il volto, la gola, lei risponde mordicchiando le mie mani: quando le mie carezze scendono le trattiene affondandovi le unghie, gli occhi socchiusi nel piacere. Resisto ma quando grido per protesta fa un agile balzo e si allontana da me con aria offesa, la coda ritta.

Gian Luigi Betti, 18/02/2023

Franti

Dalla serie le Missive impossibili di Sandra Vegni

Lettera di Franti (personaggio)
a Edmondo De Amicis (autore)

Al Signor Edmondo De Amicis, scrittore e militare, Torino

Torino (Italia), 19 febbraio 1887

Illustrissimo Signor Autore, Edmondo De Amicis
Non so se mai è capitato che un personaggio scrivesse al suo autore, ma se così non fosse stato, mi pregio oggidì di farlo io.
Ella mi perdonerà, mi credo, qualche scarabocchio e talun errore d’ortografia: brillante lei non mi fece, né studioso. Ammetterà, quindi, che colpa mia non sia la scarsa erudizione. Così ella mi fece, così mi leggerà.

Appunto di questo io voglio dire e sapere perché, per qualsivoglia inclinazione o pretesto letterario, così mi volle in quelle pagine destinate – e di questo mi cruccio e effettivamente non capisco – a popolare i giorni e l’immaginario di moltitudini di generazioni venture. Par che sia d’uopo il regalarlo, non appena gli scolari siano in grado di leggere, a ciaschedun di loro. E ciaschedun, m’è assai evidente, mi detesterà.

Mi fece ‘faccia tosta e trista’: come poteva il mio sorriso suscitare simpatia? Apparvi dal niente, cacciato da un’altra classe. Poteva l’uggioso Enrico descrivere con simpatia la mia figura nel suo uggiosissimo diario? Gli abiti? Logori e sporchi. La famiglia? L’accenno a un padre male occupato e ‘tristo’ anch’egli e la figura dolente di una madre lacera e tremante, malata e piangente … Eh, Signor De Amicis, come sarebbe diventato – lei, lo sputasentenze militareggiante – se il buon Iddio l’avesse creato così come lei si è compiaciuto di creare me?

Facile, per l’Ernesto De Rossi, fare il simpatico! Bello, pulito, benvestito, intelligente, simpatico e brillante, pietoso con i poverelli dei ceti inferiori. E io avrei dovuto essere pietoso con i ceti superiori? Non scherziamo, scrittore. Rifletti un po’. Chi è il cattivo? Io, come tu mi facesti, ovvero tu, che così mi hai fatto?

E, stufo, a metà dello scritto mi hai pure messo d’un canto. Senza darmi possibilità alcuna di riscatto. Condannato fin dalla nascita a un magro destino. ‘Dicono che non verrà più’ scrive l’Enrico ‘perché lo metteranno all’ergastolo.’
All’ergastolo! Un bambino … E magari ti dovrei ringraziare perché non mi hai tolto la vita, come hai fatto con tanti altri, disgraziati bambini. Vuoi che ti ricordi i misfatti? La piccola vedetta lombarda, colpita da una palla nemica; Ferruccio il romagnolo, ucciso per salvar la vecchia nonna, Mario annegato per aver lasciato il suo posto su una scialuppa … e il tamburino sardo, con la gamba amputata, senza anestesia e senza antibiotici?

Io sarei il sadico, o scrittore delle mie scarpe rotte, io perché rido al passaggio della banda militare? Io, il primo vero pacifista della storia. Io che – non si sa perché, i generali hanno divise stirate e lustre e i reduci giacche polverose sporche di sangue e sudore – non mi metto sull’attenti davanti al potere.
Niente, te lo volevo dire. Che il tuo Enrico è di una noia mortale e che tu sei un sadico pericoloso, in specie nei confronti dei bambini. Responsabile della noia di Enrico e della mia cattiveria.

Il cattivo sei tu.

IL CENTRO PIU’ NON C’E’

(La debacle di Calenda alle elezioni Regionali in Lazio e in Lombardia)

Or lo sappiamo, ahimè:
il centro più non c’è:
è un luogo inesistente
che non conta più niente …
Un luogo virtuale
tutt’altro che reale
da Calenda sognato,
del tutto vagheggiato.

La sua Azione è maldestra
fra centro e centrodestra …
e punta sul bersaglio
al centro, ma è uno sbaglio …
La sua freccia lui tira,
ma poi manca la mira
perché … perché … perché …
il centro più non c’è!

Così Carlo sparisce,
nell’aer tosto svanisce.
Ha rincorso un miraggio
mostrando gran coraggio,
ma come don Chisciotte
esce con le ossa rotte
e sembra, là per là
il noto Perelà,
l’omino evanescente
fatto di fumo e … niente.

Come Icaro vuole
volare fino al sole
con le ali di cera …
ma insegue una chimera …
e il giorno del gran voto
precipita nel vuoto.

E’ questo il sogno infranto
di chi ha osato tanto
ponendo, da gran fesso,
al centro sol se stesso
per poi scoprire che
il centro più non c’è!

Anna Maria Guideri, 15-02-2023

Ironia

In una città tristemente famosa perché in realtà aveva abolito il sarcasmo e nessuno sorrideva più, almeno in pubblico, un gruppo di giovani di varia estrazione sociale decise di intraprendere una battaglia per introdurvi “il diritto all’ironia”.
Già il loro esordio fu trasgressivo perché scesero da una rudimentale auto con la propulsione a pedali, agghindata con uno slogan, a caratteri blu su uno sfondo giallo, abbastanza eloquente Ironie in der Stadt macht Frei (L’ironia in città rende liberi). Era stata assemblata con pezzi di fortuna ed i giovani, come se fosse Carnevale, arrivarono nella piazza centrale meta di confluenza non solo di vari aggregati etnici, ma anche di persone abbienti che non intendevano rinunciare all’aperitivo domenicale.

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I DELUSI, I GRAZIATI E I … TROMBATI

(Donna Giorgia e l’Italia tricefala)

La sinistra deve stare molto attenta a non inciampare nei tranelli che il camaleontismo di Donna Giorgia dissemina lungo la via. Senza dover rinunciare al nobile esercizio investigativo volto a cogliere i molti indizi fascistoidi riscontrabili nelle sue idee e nel suo linguaggio, è bene che tenga presente i rischi a cui può andare incontro se preme troppo su questo pedale. Se da un lato certe dichiarazioni ante victoriam elettorale di Meloni non lasciavano dubbi sulle sue intenzioni, è altrettanto vero che le sue azioni post victoriam non le confermano del tutto. La premier dimostra di sapere barcamenarsi molto abilmente fra gli interessi di bottega – alias F.lli d’Italia – che tutela gettando ogni tanto dalla finestra di Palazzo Chigi qualche osso ai sovranisti e agli xenofobi (regionalismo differenziato, odissea dei migranti spinti verso i più lontani approdi … ) e la necessità di presentarsi con l’abito della domenica preso in prestito dal guardaroba di Draghi, davanti al consesso internazionale. Insomma, se la sinistra insiste troppo sulle sue dichiarazioni pre-elettorali alle quali non fanno coerentemente seguito i fatti, rischia di farle un favore aumentandone la credibilità e danneggiando ulteriormente la propria. E’ bene quindi che non si lasci fuorviare anch’essa dalle armi di distrazione di massa e che si attenga ai provvedimenti adottati dal governo che, anche senza la reiterazione delle leggi razziali, non sono così irrilevanti come da più parti si vuol far credere. Come il mobbing che l’Italia sta subendo ad opera della Francia e della Germania e la messa in scena dell’innalzamento delle barriere a difesa delle frontiere esterne contro i migranti delle quali l’Italia, vista la sua posizione geografica, potrà avvalersi ben poco. Inoltre il nulla di fatto riguardo alla redistribuzione dei migranti fra gli stati europei vista l’opposizione dei sovranisti che, proprio in quanto ideologicamente affini al governo italiano, sono politicamente contrari a questa soluzione. Ironia della sorte: più ci si somiglia, meno ci si piglia! Nel contempo, è altrettanto rischioso per la sinistra, attaccare la Meloni per aver disatteso ai suoi propositi fascistoidi accusandola di incoerenza come se fosse delusa dal fatto che la premier non è fascista come ci si aspettava che fosse! La coerenza nel suo caso non è una virtù e meno ce n’è meglio è. La coerenza premierebbe la Meloni come carattere, ma la condannerebbe in quanto fascista, mentre l’incoerenza ne sminuisce un po’ il carattere, ma la premia come politica che sa fare di necessità virtù. E’ la famosa politica double face: populisti tromboni per conquistare il potere e governisti assennati per conservarlo. Insomma, la sinistra è nell’angolo. Sia che accusi la Meloni di essere fascista, sia che l’accusi di non esserlo abbastanza per mancanza di coerenza, si sta avvitando su se stessa e non vede, per ora, una via d’uscita. Il camaleontismo della premier, unito all’innegabile grinta, ha dato vita a sentimenti contrastanti – tra i cittadini italiani – volti a comporre un’entità tricefala formata da tre correnti di pensiero: i delusi, i graziati e i trombati. I delusi sono quelli che speravano nella marcia su Roma che per ora non c’è stata. I graziati sono quelli che un po’ la temevano – ma non troppo – e che hanno tirato un sospiro di sollievo fantozziano – Meloni, com’è umana lei! – e si rallegrano del fatto che non ha –ancora – affondato le navi dei migranti, accontentandosi del periplo sul Mediterraneo – . I trombati – e come poteva essere altrimenti? – sono gli elettori della sinistra che sono in un cul de sac e che, come si muovono, ne buscano. In cosa possono sperare? Il Mr Hyde che da quando Giorgia è premier sonnecchia dentro di lei sorvegliato a vista, ogni tanto si risveglia e lancia inquietanti segnali sulfurei subito rintuzzati e minimizzati dai compiacenti media schierati al suo servizio.

Anna Maria Guideri, 14-02-2023