Un’eredità di avorio e ambra

Una recensione di Enrico Tendi

Edmund de Waal
Un eredità di avorio e ambra
Bollati Boringhieri 2022
ISBN 978-88-339-4041-0

Non c’è una trama vera, eppure hai difficoltà a smettere di leggere, non è un libro di storia, ma la storia di molte vite; legate insieme da un vincolo di sangue e dalla fede religiosa, seppur separate nel tempo e nei luoghi.

Il filo conduttore è la ricerca, a ritroso nel tempo, della provenienza di un insolita eredità che passa di mano in mano, da paese a paese ed arriva a un lontano pronipote, nei nostri tempi: una collezione di minuscole statuine provenienti dal Giappone, intagliate nel legno o d’avorio, rappresentanti animali o persone, vere e proprie opere d’arte, che divengono oggetti ricercati, anche se mai capiti a fondo, nell’ Europa di fine ottocento. Sono i “netzuko”.

Si dipana così un quadro della società, della cultura, dell’arte e della politica dei tempi narrati, che vanno da poco prima della guerra franco prussiana, attraversano la belle époque, e le due guerre, arrivando alla fine del ‘900. Gran parte della storia si svolge tra Parigi e Vienna, ma inizia a Odessa e finisce a Londra passando anche per Tokio, città del Messico e New York. Sono le città e la vita della società ad essere descritte, così come sono narrate le singole persone, ma lo sfondo del tempo è palpabile. Sfilano, nel contorno, grandi personaggi: da Proust a Renoir, da Degas a Monet, da Freud ad Adler da Rilke a Musil.

Il tema di sottofondo del romanzo è l’antisemitismo, che prima appare nelle pagine parigine con l’affaire Dreyfus, poi emerge a Vienna sul finire della grande guerra ed esplode poi, ancora a Vienna, con la popolazione festante per l’annessione alla Germania di Hitler; ma si guarda anche alla condizione femminile del tempo, confinata nei ruoli frivoli o domestici, con la difficoltà di intraprendere studi universitari e carriere professionali anche nelle classi più fortunate. Poi la grande guerra, la dissoluzione dell’impero Austrico e la conseguente crisi economica, che introducono le pagine dedicate ai giorni dell’annessione alla Germania ed all’arrivo di Hitler accolto in trionfo, dove si dipinge una Vienna rovesciata, ormai non più ordine, tranquillità, sicurezza, ma arroganza, violenza, rancore, ignoranza culturale che diviene la cifra della città, e si percepisce il clima di smarrimento e la paura degli israeliti, cui rimane l’unica speranza di poter fuggire.

Il tono all’inizio neutrale, da storico, si fa emotivo; l’autore racconta con affanno, emozione, coinvolgimento i maltrattamenti, gli abusi, le inutili angherie, le spoliazioni, legalizzate, di tutti i beni, che non solo le truppe naziste, ma anche parte della popolazione, infligge ad altri uomini, agli antenati dell’autore; maltrattamenti ed angherie ripetute. Poi il tono da disperato diviene rassegnato: al posto degli occupanti nazisti ci sono gli alleati liberatori agli Asburgo si sostituisce la Repubblica; ma non è cambiato niente anche se tutto è cambiato.

Un lenzuolo bianco copre le colpe di chi ha sostenuto la svastica, ed i diritti di chi quella svastica l’ha subita. Todos caballeros nell’Austria del 1945: la nazione Austriaca si presenta come la prima vittima del nazismo, perché rivangare il passato? chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato. Comincia una nuova era con nuovi valori, quelli che l’America esporta in Europa, in Giappone, nel resto del mondo. Il tono torna pacato, e malinconico: la grande famiglia, dispersa in tante e diverse nazioni e città, ha cercato ovunque di integrarsi, ma non sembra mai riuscirci del tutto; c’è bisogno, sempre, di un altro luogo, di una via d’uscita.

Enrico Tendi

Firenze alle elezioni

A Firenze sìapprestan l’elezioni
squillan le chiarine rimbombano i tromboni

«Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande
che per mare e per terra batti l’ali,
e per lo ‘nferno tuo nome si spande!»
Dante

S’io fossi sindaco
abbrucerei e palazzi brutti
s’io fossi questore, li manderei ‘n galera
coloro ch’ hann’ osato far cotali e
quelli ch’ han pagato tal brutture.

s’io fossi lo prefetto, sarei allor perfetto
per ripensare ad una città nova:
una città vietata agl’imbecilli,
a delinquenti, profittator, ruffiani
ai mentitori e agli accalappiacani.

Chi rimarrebbe non mi viene in mente
nessuno del consiglio comunale
nessuno di chi vende prosecco e lampredotto
panini con cipolle e coca cola
bistecche di cartone e vin brulé

kebabbi puzzolenti e sushi mosci
e chi strombazza con il clacso ‘n gola
io lui lo metterei s’una carriola
fermo lì
in mezzo della strada FIPILI

che tutti gli strombazzano correndo
passando accanto con rumore orrendo.
Chi rimarrebbe non mi viene in mente
nessun di quei che stuprano le strade
coprendo antiche pietre coi catrami

adatte assai per lapidar gl’infami
nemmeno chi riempe coi dehori
e piazze e strade della città de’ fiori
che ormai sono soltanto crisantemi
perché siam morti tutti, o diventati scemi.

o popolo che sopporti tal coglioni
sciogli il Marzocco, avanti coi leoni

Enrico Tendi, 13-11-23

12 giugno 2023-1

Finita la fanfara dei funerali a Berlusconi raccogliamo le osservazioni “a caldo ma sbollentate” di amici e lettori di Stoccafissi e Baccalà.
Questa ce l’ha inviata Enrico Tendi. Siamo aperti ad altri interventi

Quando nel ’94 Berlusconi vinse le elezioni sentii una forte stretta al cuore. Quando perse con Prodi nel ’96 mi illusi: andai in bicicletta alla manifestazione in piazza Santa Croce, pensando che fosse finita. Nella mia testa Berlusconi è la personificazione di tutti i mali: non si deve pagar le tasse, non ci sono regole, se sei una donna che vuol star bene sposati un ricco, sei stato fascista? è una ragazzata…..la sua televisione è il paradigma di tutte le idiozie. Non ho mai visto striscia la notizia o il grande fratello perché mi sembravano immorali. Considera che, anche prima che socialista ho un imprinting mazziniano. Il babbo, da vecchio vecchio, quando andava in bagno diceva che andava a fare Berlusconi. Se Adam Smith dice che il mercato è più morale della politica, dice una stupidaggine. Se Berlusconi ha dominato gli ultimi trent’anni i risultati si vedono. Mai siamo stati così in basso. Nella mia opinione lo stato deve, è opportuno che sia ed è necessario che lo sia, uno stato improntato ai valori morali della equità sociale e della giustizia, come mirabilmente sancito nella nostra Costituzione repubblicana. I suoi rappresentanti, dal presidente della repubblica all’usciere di un qualunque ufficio pubblico, devono essere di esempio per tutti. E ora, che ci sono loro, si vede dove vogliono andare. Arrivano i soldi? Aboliamo i controlli.
Poi tutte le pippe sulla colpa delle sinistre. Ho sentito Occhetto che raccontava del suo dibattito con Berlusca. Quando ha detto che avrebbe fatto 1 milione di posti di lavoro, che poteva dire, povero Occhetto, brava persona, quando dice che porterà le pensioni minime a 1000 € che dire? Rilanciare? E’ il popolo che deve essere abituato ad usare il proprio cervello, ed è quello che Berlusconi ha cercato di impedire. Onore a tutti quelli che dicono che da vivo era un emerito stronzo. da morto, parce sepultis.

Enrico Tendi, 17-06-2023

Guerra e Pace

Enrico Tendi propone un brando di Guerra e Pace

Non è difficile riconoscere la terribile attualità di queste pagine, e l’ancora più terribile sensazione di ineluttabilità che le pervade. Doveva andare così. Eppure sarebbe bastato che……..Napoleone, Alessandro, Metternich, …..basterebbe che Zelens’kyj, Biden, Putin, Stoltenberg, Xi Jinping……….Basterebbe che cosa ? che ascoltassero il popolo ? Nelle pagini precedenti Tolstoj passa nell’accampamento francese. Lo so che non è lui che ci passa, ma la descrizione è così nitida che non può che essere vera. Lo trova in uno stato di ordinata esaltazione, e tutti, semplici fanti, ufficialetti ed ufficiali superiori, si muovono con sicurezza e precisione, sentendo l’odore della battaglia, e sono impazienti che cominci. Mi domando, perché si ammirano gli uomini in uniforme? E perché le uniformi brillano di medaglie, orpelli e pennacchi? Perché nei giorni “sacri” della nazione si sfila in parata e si mostra la forza di guerra? E perché tutti battono le mani? E’ l’umanità intera che aspira allo scontro, ed alla immancabile gloriosa vittoria, o sono solo i governanti che vogliono la guerra, sia i tiranni, re o imperatori, sia gli eletti democraticamente?

Tolstoj ci dice che doveva andare così, perché a questo l’umanità è predeterminata.

Enrico Tendi, 26/03/2023

di seguito le pagine di Tolstoj tratte da Guerra e Pace

Leggi tutto “Guerra e Pace”

Lettera di Penelope al marito Ulisse

da Facebook Serie: Missive impossibili di Sandra Vegni

Lettera di Penelope al marito Ulisse, appena tornato a casa
Itaca, alba del giorno seguente il ritorno di Ulisse

Ulisse, sposo mio
In questa aurora che appena disegna i contorni della stanza ti guardo dormire, stanco. Il corpo provato da anni di battaglie e di tempeste, di dolori e di addii.
Guardo le piccole e grandi ferite, segni di troppe battaglie; le ho accarezzate ad una ad una, stanotte, con tocco lieve della mano mentre tu, fiaccato dall’ultima pugna e, forse, anche dal mio corpo assetato d’amore, dormivi il giusto riposo.
Dormivi e russavi, Ulisse mio, la bocca aperta, un lieve filo di bava lucida all’angolo della bocca che scivolava lento sul cuscino.
E’ questo l’uomo che ho atteso per vent’anni? Girandomi nel letto, non osando immaginare neanche la carezza d’un altro e, addirittura, nemmeno muovendo la mia mano per un piacere solitario, affinché rimanesse intatto il ricordo delle tue mani e del tuo vigore e della forza dei bicipiti robusti e dei muscoli scattanti sotto la pelle lucida di sudore.
Io ti guardo e vedo un vecchio, Ulisse, vent’anni son tanti. Ho visto partire un guerriero, è tornato un viandante. Un viandante ancor pronto alla rissa, non lo nego: nel silenzio odo le ancelle che stanno lavando la mensa lordata dal sangue dei Proci.
Un ritorno col botto, questo è certo. E ho visto negli occhi di Telemaco una luce mai vista prima, povero figlio mio, cresciuto senza un padre.
Ma tu … che delusione, marito mio … valeva la pena aspettare tanti anni? Per ritrovarmi un vecchio stanco, fugace anche nell’amore?
Certo, neanche io son più un fiore, tu mi potresti dire, e certo non valgo le braccia di Calipso e della giovane Nausicaa. E allora, ci potevi restare, fra quelle braccia fresche e nobili! Ci hai messo dieci anni solo per tornare, mentre i tuoi compagni d’arme arrivarono ai loro regni in quattro e quattr’otto. Magari facendo anche loro un bel casino, ma tornarono! Zeus mi è testimone.
Tu invece sei rimasto ben sette anni, sette!, con la bella dea! E allora ci potevi restare … o forse è lei che ti ha lasciato andare, inservibile ormai come una scarpa vecchia?
Io ti ho aspettato, Ulisse, ma ora che sei tornato son io che ti lascio. Una vela mi aspetta giù al porto, pronta a salpare. I Proci non mi piacevano: tracotanti, smodati … ma il giovane pescatore della tonnara … muscoli guizzanti sui bicipiti lucidi di sudore, i suoi, ancora. E pronti ad accogliere la regina, che tale ai suoi occhi io sono, sebbene per poco ancora.
Addio, Ulisse, goditi il meritato riposo. Vent’anni son tanti.
Penelope, la tua ex moglie

Sandra Vegni, 31/01/2023

Risposta di Ulisse a Penelope

Dolce Penelope

Ho letto la tua tenera lettera. Devo confessare che stanotte non dormivo, ed ho fatto fatica a fingere di russare, per questo mi scivolava dalla bocca quel filo di bava. Ho imparato a dissimulare, non per nulla mi chiamano l’astuto Ulisse. Sai, io lo facevo per te, per tenermi in buona forma, per non poltrire, e così, pensando a te, stavo nelle braccia di Calipso, e poi Circe, (te n’eri dimenticata?) e Nausicaa.  Dicevo: non voglio dimenticarmi di come si fa, la mia Penelope mi attende. Poi sono arrivato. Ti ho vista. Una vecchina tutta gobba a forza di stare sullo sgabello, china a fare e disfare quella benedetta tela. Anche i capelli…. hai voglia di metterci l’enné. Quando poi ti sei levata la camicia….Però mi sono fatto forza, ho pensato : mi ha aspettato tanto, ma chi gliel’ha fatto fare?. Si sente che non c’è passato nessuno per vent’anni. E’ andata così, non potevo fare di più. Stai attenta col pescatore della tonnara. Non glielo dire che son tornato, che non sei più la regina e non hai più una mezza dracma. Non vorrei che ti facesse male con i suoi muscoli guizzanti. Buona fortuna

Il tuo affezionato Ulisse

Enrico Tendi, 3/02/2023

Una persona qualunque che parla della guerra (et)

Da ragazzino, quando Trieste fu ricongiunta al resto del paese, andammo a visitare quella città. Non mi ricordo un granché di Trieste. Mi ricordo invece della sosta che facemmo a Redipuglia. Quelle enormi gradinate segnate dalle lapidi con i nomi, quell’ossessiva scritta PRESENTE mi impressionarono molto. Il babbo mi disse che c’erano più di centomila morti, presenti in quel cimitero. Presente voleva dire allora che erano li, dentro quelle gradinate. I miei nonni erano stati costretti a quella guerra, e poi il mio babbo di nuovo in guerra. Fu mandato in Albania, dove rimase per circa due anni. A casa portò una scheggia di bomba che, raccontava, si era conficcata, poco sopra la sua testa, con lui ed i suoi compagni sdraiati a terra, conficcata in un albero. La conservo ancora. Io pensavo che, al massimo tra dieci, quindici anni, sarei dovuto partire anch’io per l’inevitabile conflitto che sarebbe scoppiato. Invece non è stato così. E m’è andata bene, perché il babbo aveva avuto, qualche anno prima di quel viaggio a Trieste, una buonissima offerta di lavoro in America, e magari un viaggio in Vietnam mi sarebbe toccato, ed avrei visto da vicino vicino, quella guerra contro cui ho potuto solo urlare. Piano piano le tensioni tra i due vincitori si placavano, si stava sempre meglio, si diceva mai più, si visitavano i luoghi degli orrori, si diceva anche che solo un pazzo come Hitler poteva aver scatenato una guerra così. A tener ben presente che cosa fosse davvero la guerra, i cimiteri a noi vicini: quelli americani, nella via per Pontassieve ed ai Falciani, e quello tedesco, sulla strada per la Futa. Ma anche le immagini, ancora chiare, dei ponti distrutti, il suono dei passi su quello di legno costruito dove è ritornato il bel ponte a Santa Trinita; Por Santa Maria e Borgo San Jacopo piena di macerie. E poi Livorno, dove stavano gli zii e dove passavo gran parte dell’estate, e dove le case a terra erano di più di quelle in piedi.

E ora ritorna questa storia che solo un pazzo, etc. Sarebbe bene rendersi conto che questa consolante menzogna serve solo a giustificare i conflitti. Noi non avremmo voluto, ma, purtroppo, quel pazzo ci ha costretto. O lui o noi. Ci siamo solo difesi. E si riparla di eroi. Tutti quegli eroi che, a prezzo (o a disprezzo) della vita, sono morti per la nostra libertà. Le guerre sono straordinarie fabbriche di eroi; tutti morti, nessuno che possa dire che preferirebbe esser vivo che un eroe, quasi sempre involontario. Parlano di eroi quelli che la guerra l’hanno cercata e trovata, quei pazzi li, che poi sono quelli che guidano i paesi. Per dirla in breve, quelli che comandano. E sono sia quelli che al comando ci sono andati senza il permesso del popolo che guidano, sia quelli che ci sono andati con il beneplacito dei cittadini. Disquisire sulle colpe e le ragioni dell’uno o dell’altro, è assolutamente inutile. Discutiamo su come metter fine a questa guerra che diventa ogni giorno più feroce. Dicono: qual è l’alternativa a mandare armi all’Ucraina? I corni reali del problema sono: vuoi che la guerra continui e arrivi una guerra totale nucleare o fai di tutto perché finisca?

Sono una persona qualunque, scrivo queste parole perché mi sembrano di buon senso, ma a cosa possono, potrebbero, servire? Probabilmente a nulla. Però mi accorgo che parlando in giro con la gente comune sono sempre meno quelli che caldeggiano la guerra, quelli che sfoderano grandi ideali, parlano di dignità dell’uomo, di difesa dei diritti inviolabili della libertà e di fatto fanno gli eroi con la pelle degli altri. “Difenderemo la libertà fino all’ultimo ucraino.” Dice Stoltenberg, che ucraino non è.

E allora penso che ogni voce in più, anche la più piccina, sia una voce di protesta, e un voto di meno per i duri e puri. E invito tutti a far sentire, in ogni ambiente, la propria voce di dissenso. Chissà…

Enrico Tendi, 8 maggio 2022

Il tavolo della pace

Enrico Tendi.
In occasione della Manifestazione per la pace indetta dal Comune di Firenze il 13 marzo 2022

Si doveva andare, e siamo andati. C’era la manifestazione per L’Ucraina a Santa Croce. Tutto il centro a piedi, da Santa Maria Novella tanta gente anche con bandiere, che sono sempre di più, al duomo, a palazzo vecchio, in piazza S. Firenze, e poi si disperdono tra Borgo de’ Greci, via della Vigna vecchia, via dell’Anguillara per arrivare tutti a S. Croce. Anche qui tanta gente, tante bandiere. Rimbombano parole in inglese. È difficile capire perché, prima di tutto, è inglese, e poi l’altoparlante rimbomba parecchio. Per fortuna inizia la traduzione, pressoché simultanea. È Zelinsky. Pronuncia parole forti: grazie per l’aiuto ma dovete fare di più, noi siamo Europa, combattiamo per la libertà e la vita, non ci arrenderemo mai, vinceremo. La piazza non risponde con un eccitato boato, ma applaude calorosamente. Direi doverosamente. Poi tanti sindaci, in rappresentanza di tantissime città d’Europa. Il tono e le parole sono più o meno omogenee. La libertà, i principi non trattabili, la brutalità dell’attacco, la sacralità della vita. Non vorrei dare un’impressione sbagliata: sono parole e sentimenti che sottoscrivo con tutto il cuore; le scene dell’esodo degli Ucraini sono toccanti, ed ho grande ammirazione per questo popolo. Una nazione tutto sommato piccola, con pochi milioni di abitanti, contro un gigante, sia per dimensioni che per potenza militare.

Appunto: un gigante. Il nostro David deve essere stato l’ultimo che ha vinto contro un gigante, molto più forte e potente di lui. E l’averlo come simbolo non ha salvato la repubblica da Giovanni de’ Medici, al seguito del più potente esercito spagnolo. Da ragazzo, ragazzino, ci parlavano di onore, e del sacrificio per la patria. “dulce et decorum est, pro patria mori “, scrive Orazio. Ma ora, da vecchio, diciamocelo, io ricordo con più piacere l’Omero dell’Odissea, che fa dire ad Achille, nell’Ade: “vorrei piuttosto essere l’ultimo dei servi, vivo, che regnare qui, sui morti”. Ed è lo stesso Achille che l’altro Omero, quello dell’Iliade, descrive tracotante e baldanzoso. Mussolini voleva qualche migliaio di morti, per sedere al tavolo della pace. Ne ebbe, fra militari e civili, oltre 400.000. E al tavolo della pace De Gasperi ci andò con il cappello in mano. Quanti ne servono adesso, ai Russi per “debellare superbos”, agli Ucraini per conservare l’onore?

Enrico Tendi, 13 marzo 2022

Strategia della tensione……. chi era costei?

Quando, qualche tempo fa, l’on. Giorgia Meloni, commentando l’assalto alla sede della CGIL, dichiarò che “quello che era accaduto ci rimanda indietro agli anni bui della strategia della tensione” (1) e che “Non conosceva la matrice fascista? ” (2),ho pensato che, se c’è tanta gente che non è sobbalzata a queste parole, significa che nonostante tutto, ce n’è abbastanza che non sa niente di quanto sia successo in Italia tanti anni fa, e quanto abbia inciso nella nostra vita.

(1)Meloni “Scontri volutamente permessi, è strategia della

2) Assalto alla Cgil, Giorgia Meloni: “Fascista? Non conosco la matrice”. L’ombra nera che oscura Fratelli d’Italia (thesocialpost.it)

Forse perché è passato tanto tempo, forse perché le tante pubblicazioni che raccontano la storia di allora sono troppo ponderose, ed oggi le informazioni devono essere essenziali e stringate per essere ben comprese dai più. Gli approfondimenti sono riservati agli studiosi. E, in un epoca che ospita i terrapiattisti, quelli che credono che insieme al vaccino ci inoculino anche un chip e anche quelli che “te lo dicono, ma sulla luna non ci sono mai andati”, in quest’epoca sono ancora molti quelli che abboccano alle false, e ben costruite notizie diffuse a quei tempi sugli autori ed i mandanti.

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La Sanità che vogliamo

I governi, i costi della ricerca, i benefici di salute prodotti, i guadagni. Il Servizio Sanitario che sogniamo

Gino Strada, un sognatore che ha fatto cose concrete, scrive senza mezzi termini che la salute dei cittadini deve essere affidata esclusivamente allo stato, che rappresenta tutti, e si occupa di tutti senza distinzioni di censo; e non messa nelle mani di compagnie private, che hanno fini economico-commerciali.
I desideri di Gino Strada non rispecchiano la situazione in atto in questi tempi. Nel campo della gestione della sanità l’impresa commerciale ha una presenza importante nel nostro paese, che diventa preponderante in gran parte del pianeta. Presenza commerciale che è invece quasi esclusiva, salvo pochi paesi, nel campo della preparazione dei farmaci e dei dispositivi medici. Ed in questo settore le compagnie competono fra di loro, cercando di occupare quanto più spazio possibile, per massimizzare i guadagni. Si chiama “guerra commerciale”, e le vittime, come in tutte le guerre, restano le persone.

Un racconto su “Urania”, di tantissimi anni fa, di cui non ricordo né il titolo né l’autore, era centrato su una guerra spietata, condotta più con metodi terroristici o di tipo mafioso che secondo la prassi di una guerra tradizionale, ma ancor più letale, in cui si affrontavano non più le Nazioni, ormai organizzazioni ininfluenti sui destini del mondo, ma le grandi, onnipotenti compagnie private, con sedi sparse ovunque. Chiamiamole “Big Industry” o “Big Business”. Non mi ricordo in quali anni futuri il racconto fosse collocato, ma, se invece che alla storia pensiamo alla realtà, direi che il processo è già in atto e già abbastanza sviluppato.
Un po’ come il processo di modifica del clima. Già in atto, ma, spero, ancora a tempo a fermarne gli effetti più deleteri. E, uno dei passaggi obbligati per fermare sia la modifica del clima, che la concentrazione del potere verso Big Business è mantenere la conoscenza non subalterna al profitto.

E’ il tema che Gino Strada esplicita senza mezzi termini, e che l’articolo del Nuovo Manifesto tratta, riferendolo alla Sanità, che possiamo considerare come paradigma e come trait d’union tra scienza, tecnologia ed industria. L’articolo amplia il concetto di sanità pubblica, sottolineando che il sistema salute è interconnesso fra tutte le popolazioni del mondo, e non limitabile ai confini nazionali. Si occupa specificamente del caso del mondo di oggi, la pandemia da Covid. Dice Massimo Florio, l’economista intervistato dal Manifesto: “Abbiamo regalato la ricerca pubblica alle imprese» «Le aziende farmaceutiche hanno fatto solo l’ultimo miglio della ricerca, subappaltandolo spesso ad altre società che lavorano su contratto”.

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Portateceli morti bene, sennò si rizzano

Antico proverbio toscano

commento incredulo a una situazione che appare assurda o a un racconto inverosimile
(da Accademia della crusca, “il vocabolario del Fiorentino contemporaneo”)

Commento a quanto ricevuto oggi da “Sinistra in rete “: il portale riporta l’intervento di Stefano Tenenti del coordinamento USB Ancona, su Cumpanis. vedi il link
https://www.sinistrainrete.info/societa/21212-stefano-tenenti-sui-vaccini-e-sul-green-pass.html
e che bisogna leggere, anche se ormai noto, sennò il mio commento non sa di nulla e non si capisce il titolo. Possibile comunque, che il commento non sappia di nulla.

Non ho un minimo di discernimento, non mi sono neppure accorto di essere un cittadino di seconda classe, o meglio, di esserlo diventato da quest’anno, e non esserlo perché non ho quei previlegi che i pochi, ricchi davvero, hanno. Non porto, ancora, una catenina al collo con l’immagine (sacra) del vaccino, né ho (ancora) il distintivo del Partito Nazionale Vaccinista, però chissà, …, mai dire mai.

Ho visto le manifestazioni dei partigiani della libertà, che, con grande coraggio, oltraggiano e spintonano giornalisti asserviti. Ho visto anche sventolare le loro libere bandiere. Tanta Italia, a sottolineare l’amor patrio, e ho sentito gridare quei sacrosanti, imperituri valori di libertà tramandatoci dai nostri padri e propri della nostra gloriosa stirpe.

Ma, stupidamente, mi ero già fatto iniettare il vaccino. E, con questo, chissà quali altre diavolerie. Perché da allora ho sentito, a dir la verità da un orecchio solo, come delle voci, che mi spingevano a pensare che forse avevo fatto bene. Ho cercato di scacciare questi pensieri, ma le voci continuavano. Allora, per contrastarle, mi son detto: “cerca di avere un po’ di discernimento, trova i documenti e vedrai che tante dittature sono iniziate con una vaccinazione…,”.

Ho guardato su Wikipedia: parole chiave: Dittatura, Vaccinazione. Niente. È proprio vero che su internet non si può contare. Ho sfogliato qua e là Mein Kampf. Niente nemmeno li. Se qualcuno ne trova traccia me lo faccia sapere. Forse però il dottor Albert Heim ha scritto qualcosa… Ho escluso il periodo della prima guerra mondiale. Sono sicuro che non vi furono dittature nate da una vaccinazione; infatti, fortunatamente, per la spagnola nessuno si vaccinò, e la democrazia fu salva. Sul fascismo sono sicuro: Salvemini non ne parla, De Felice nemmeno, nel Mussolini di Scurati non c’è traccia di Hub vaccinali, quei centri di concentramento fioriti invece in quest’epoca fosca. E anche nella caduta del Frente Popular non ho trovato traccia di vaccinazioni forzate e istituzione di lasciapassare sanitari. E anche in quell’altro tragico 11 settembre, quello del 1973, non ho trovato riferimenti alle vaccinazioni coatte. Ho trovato però una sorprendente assonanza tra il nome delle fazioni dei gruppi pro Pinochet, “patria e libertà”, e le parole che risuonano oggi tra le fila dei combattenti nostrani

Niente nemmeno negli altri regimi autoritari, dalla Russia Sovietica alla Cina Maoista e la Corea. E neppure il nuovissimo governo dei Taleban sembra essere nato in conseguenza di vaccinazioni forzate. È anche vero che c’è sempre una prima volta.

E così ho ceduto, e mi sono fatto anche la dose di richiamo.
Da allora sento le voci anche dall’altro orecchio. La diavoleria funziona. Le voci ora dicono che le origini dei disordini popolari, delle repressioni e controrivolte che seguono, hanno sempre origine da esasperazione sociale. Di cui è sempre opportuno tenere conto, ma che intellettuali riconosciuti di gran livello non dovrebbero fomentare. Poi le voci mi fanno ridere, e mi dicono che è come la storia di quello che in chiesa, nel periodo delle quarant’ore, toccava il c… a una signora, che, risentita gli disse: oh!, ma icché fa? E al suo impacciato dire: mi scusi sa son le quarantore … rispondeva lapidaria: ma icché c’entra il c. con le quarantore? L’ultima cosa che mi hanno detto è che qualche volta anche i migliori pisciano fuori dal vaso.

Enrico Tendi, 24-09-2021