Lettera di Silvia a Luigia

Dalla Serie: Missive impossibili di Sandra Vegni

Lettera di Silvia (Teresa Fattorini)
a Luigia Pallavicini (caduta da cavallo)

Recanati, 18 maggio 1800

Carissima Luigia,
sol da poco mi giunse triste notizia de la tua caduta da cavallo in quel della spiaggia di Sestri Ponente. Così lungi, quella spiaggia, da questa mia che lambisce il basso mar Levantico e le sue scarse onde celate, ahimè, spesso alla vista dall’alta siepe che cinge la casa del ‘mio’ poeta.
Quanto diversi – e ‘ahimè’ qui non mi è bastevole a significar lo strazio del mio cuore – i due poeti! Le folte chiome e l’ardimentoso eloquio del tuo amico, lo sguardo fiero e l’eleganza dei suoi passi sebbene – ahi te! – lui se ne vada ognor sempre fuggendo e rare sian le occasioni per fugaci incontri. Ma quanto intensi e leggiadri! Io mi ti immagino, sia pur sofferente, adagiata su soffici cuscini dai leggeri ricami, la mano tremante che riposa fra quelle, calde e forti, del tuo Ugo.

Cuscini per me non ve ne son, salvo le stoffe caduche da disegnar con l’ago: opre femminili cui debbo intendere, sospirando – ahimé di nuovo, che altre parole non sorgono dalla mia mente stanca – mentre sogno agili destrieri scalpitanti e nubi di sabbia levarsi alle mie spalle.
Ben varrebbe una caduta e una gamba da risanare l’afflato del vento che scioglie le mie trecce.
Ma ciò non mi è dato, né mai mi sarà: così mi vuole il poeta e della sua malinconia – non altro – mi fa dono e non esita a far miei i suoi pensieri. Dove mai avrà visto un sorriso perduto dietro a quel vago avvenir che in mente par ch’io abbia?

Pare a lui, forse, ed io or l’osservo, seduta al piano superiore della casa onde liberar il guardo dalla folta siepe e respirar profumo marino. Eccolo, nascosto dalle fronde, in mano un libro consunto, consumar le pietre di un piccolo sentiero. Piccolo, curvo, dall’aria stantìa, la mente che vaga in insondabili pensieri. Sommo, il mio poeta? Non una rima mette insieme, non la musica e il ritmo del tuo Ugo. Evocate sponde, e mari, e lucenti battaglie … sinistri oblii, pallide lune … Oh Luigia, Luigia! Davvero questo è il mio destino?

Aspettar, ogni giorno, da questo balcone, mentre sorrido mesta al guardo di Giacomo, l’arrivo serotino di un peschereccio che affonda la prua nel verde polveroso di questa marina. Polveroso non è il pescator che scende, folti ricci usti dal sole, la pelle bronzea, novello figlio di Nettuno che sbarca balzando in su la riva, la rete colma di pescato stretta fra le ruvide mani.
Che mani, Luigia mia, che mani! Nemmeno tu lo sdegneresti, io credo.

Ma consumar devo i miei giorni, assisa in su questo verone, musa, mio malgrado, del bruttarello vate. E sogno giorni diversi, e cadute rovinose e poeti pugnanti e, se accontentar mi devo, pescatori esultanti vibranti di maschile ardore.
Or ti saluto che il vate mio risale, lento, in su le scale, per il saluto serotino: un casto bacio, tremante, legger calor di labbra su la mia fronte corrugata.
Davvero è questo il mio destino? E se fuggissi? Se il pescator con la sua rete mi raccogliesse? Che dici? Sparire: partire è un po’ morire. Ispirazion pe’ il vate, poesia immortal per colui, libertà per Teresa. Che questo è il mio nome, sai, mia cara. Troppo banale per l’immaginazion funerea del triste mio poeta.

E’ deciso. Silvia morrà. Prima che mani tremule incerte si posino su la mia pelle, che altro merita, io credo, in verità.
Silvia sen va, Teresa vive. Già feci cenno al bruno pescatore.
Addio, Luigia, d’ispirazion mi fu la tua caduta. Anch’io cadrò. In mani callose e ruvide; ruvide carezze mi risveglieranno.

Al tuo risanamento

Teresa (già Silvia)

Napoleone

Dalla serie le Missive impossibili di Sandra Vegni

Lettera di Napoleone Bonaparte (Imperatore)
a Josephine (ex Imperatrice e moglie)

A Marie Josephe Rose Tascher de la Pagerie, Chateau Malmaison, nei pressi di Parigi
Pressi della Beresina (Russia), 24 Novembre 1812

Compagna di giorni felici che mai torneranno
Tu sai, ma chére, e comprendi come sempre hai compreso, le ragion di stato che mi spinsero a chiudere il nostro matrimonio. Il figlio che tu non mi hai saputo dare per sempre ci ha diviso.
Ma l’amore che ci ha unito, i nostri giorni regali e felici ci tengono uniti in un ricordo reciproco che nessuno potrà cancellare. Men che mai l’austriaca, il suo rigido incedere e l’asprezza del suo linguaggio potranno mai sciogliere il gelo che avvolge il mio cuore.

Non solo il mio cuore è avvolto dal gelo, in queste lande desolate coperte di neve dove – ogni giorno più orrendo – assisto al lento sgretolarsi del mio esercito una volta invincibile e lascio alle spalle i più nobili dei miei soldati. Statue di marmo, com’esso bianche, punteggiano il cammino. Nel vuoto degli sguardi, nelle mani rattrappite, nell’immobilità dei corpi io vedo, seppur non ancor deciso, il destino mio e dell’Impero.

A chi, se non a te, amata compagna mia, posso rivolgere queste mie parole. Ultime, forse, non voglio credere, che pronti son tanti prodi a difendere l’Imperatore: soldati fedeli, fedeli combattenti di tante gloriose battaglie. Di quei giorni, di quei ricordi pare oggi fatta la mia vita. Domani penserò alla battaglia, alla difesa di quanti mi restano fedeli e vivi. Domani, alla difesa. Che attacco, ormai, non è pensabile con questi resti di sparute truppe.

Tu lo dicesti, o cara, che questa terra inospitale e inutile mal si ponea alle mie mire di grandezza. A te sola, oggi, lo dico: perché ignorai le tue donnesche parole, perché? Imperator dovevo rimanere nei miei già ampi confini. Queste steppe non conoscevo e la durezza feral del Generale Inverno che va sgominando, uno a uno, i miei soldati.

E ti penso, intenta a coltivar le rose, a quelle opere invernali che più rigogliose le renderanno a primavera. A Malmaison, le bianche mani rifugiate nel manicotto, i riccioli che sfuggon dal copricapo invernale, la mente a me rivolta. Giacché io lo so, Josephine mon amour, dove vanno volando i tuoi pensieri. E li vedo arrivare, nel corpo freddo di un uccello smarrito che, stento, si posa su un ramo secco imperlato di brina e ti penso, mia cara e temo – l’Imperator non ha paura – di non vederti più.

Nessuno vedrà questa mia, e io so che tu, che ancora ai miei ideali e al nostro passato resti fedele, immantinente la distruggerai.
Adieu, ma chère, addio ai nostri incontri silenziosi, alle tue mani allegre strette alle mie. Al tuo sorriso, al ricordo dei tuoi occhi che mai mi abbandonano, i tuoi occhi creoli che mi presero il cuore.
Mai più ci rivedremo, lo so. Sarà che io non torni o torni sconfitto e tradito. Ma giammai io tornerò umiliato. Tu già lo sai. E se la vita mai Iddio mi risparmiasse, io non sarò vinto. Che nel cuore intanto si avanza un coacervo di pensieri. Di riscatto e vendetta. Vedrai.
E mentre la neve si posa in mulinelli vorticosi su questa tenda smarrita nella steppa, io per una volta ancora ti abbraccio e teneramente ti bacio, o mia diletta ed indimenticata sposa.

Napoleon

Franti

Dalla serie le Missive impossibili di Sandra Vegni

Lettera di Franti (personaggio)
a Edmondo De Amicis (autore)

Al Signor Edmondo De Amicis, scrittore e militare, Torino

Torino (Italia), 19 febbraio 1887

Illustrissimo Signor Autore, Edmondo De Amicis
Non so se mai è capitato che un personaggio scrivesse al suo autore, ma se così non fosse stato, mi pregio oggidì di farlo io.
Ella mi perdonerà, mi credo, qualche scarabocchio e talun errore d’ortografia: brillante lei non mi fece, né studioso. Ammetterà, quindi, che colpa mia non sia la scarsa erudizione. Così ella mi fece, così mi leggerà.

Appunto di questo io voglio dire e sapere perché, per qualsivoglia inclinazione o pretesto letterario, così mi volle in quelle pagine destinate – e di questo mi cruccio e effettivamente non capisco – a popolare i giorni e l’immaginario di moltitudini di generazioni venture. Par che sia d’uopo il regalarlo, non appena gli scolari siano in grado di leggere, a ciaschedun di loro. E ciaschedun, m’è assai evidente, mi detesterà.

Mi fece ‘faccia tosta e trista’: come poteva il mio sorriso suscitare simpatia? Apparvi dal niente, cacciato da un’altra classe. Poteva l’uggioso Enrico descrivere con simpatia la mia figura nel suo uggiosissimo diario? Gli abiti? Logori e sporchi. La famiglia? L’accenno a un padre male occupato e ‘tristo’ anch’egli e la figura dolente di una madre lacera e tremante, malata e piangente … Eh, Signor De Amicis, come sarebbe diventato – lei, lo sputasentenze militareggiante – se il buon Iddio l’avesse creato così come lei si è compiaciuto di creare me?

Facile, per l’Ernesto De Rossi, fare il simpatico! Bello, pulito, benvestito, intelligente, simpatico e brillante, pietoso con i poverelli dei ceti inferiori. E io avrei dovuto essere pietoso con i ceti superiori? Non scherziamo, scrittore. Rifletti un po’. Chi è il cattivo? Io, come tu mi facesti, ovvero tu, che così mi hai fatto?

E, stufo, a metà dello scritto mi hai pure messo d’un canto. Senza darmi possibilità alcuna di riscatto. Condannato fin dalla nascita a un magro destino. ‘Dicono che non verrà più’ scrive l’Enrico ‘perché lo metteranno all’ergastolo.’
All’ergastolo! Un bambino … E magari ti dovrei ringraziare perché non mi hai tolto la vita, come hai fatto con tanti altri, disgraziati bambini. Vuoi che ti ricordi i misfatti? La piccola vedetta lombarda, colpita da una palla nemica; Ferruccio il romagnolo, ucciso per salvar la vecchia nonna, Mario annegato per aver lasciato il suo posto su una scialuppa … e il tamburino sardo, con la gamba amputata, senza anestesia e senza antibiotici?

Io sarei il sadico, o scrittore delle mie scarpe rotte, io perché rido al passaggio della banda militare? Io, il primo vero pacifista della storia. Io che – non si sa perché, i generali hanno divise stirate e lustre e i reduci giacche polverose sporche di sangue e sudore – non mi metto sull’attenti davanti al potere.
Niente, te lo volevo dire. Che il tuo Enrico è di una noia mortale e che tu sei un sadico pericoloso, in specie nei confronti dei bambini. Responsabile della noia di Enrico e della mia cattiveria.

Il cattivo sei tu.

Eiffel

Dalla serie le Missive impossibili di Sandra Vegni

Lettera della Tour Eiffel (torre di ferro)
all’Ing. Gustave Eiffel (progettista)

A Monsieur Gustave Eiffel, où qu’il soit

Paris (France), 25 fevrier 2020

Mon cher Monsieur
Che mai posso dirLe? A lei che tanto si spese per la mia realizzazione? Contro tutti coloro che si scagliarono contro il suo (mio) progetto, definendolo inutile e dannoso?
Eppur ben lo sapevamo – io e Lei – quanto effimera sarebbe dovuta essere la mia esistenza, ridotta a quella di un giovanotto ancora privo di esperienze (20 anni): gli anni appena necessari ad ammortizzare le spese per la mia costruzione, ben cinque milioni di franchi!
Come mal li ho vissuti, quei vent’anni! Ella si godeva gli elogi e i premi, ridendo sotto i baffi delle diatribe degli intellettuali che si affannavano, tapini, fra il definirmi ‘Opera mostruosa’ piuttosto che (come vede anche io mi sono piegato a queste moderne allocuzioni) ‘Capolavoro originale’.

E io? Qualcuno pensava forse a me che vedevo, giorno dopo giorno, avvicinare il momento della mia distruzione? Elogi per l’uomo, neanche un pensiero per l’anima di ferro che gemeva vedendo un inguaribile scribacchino – tristo e sdegnoso – che, pur di non essere sfiorato dalla mia ombra, si riduceva a pranzare all’interno dei miei recessi. Quel Maupassant, effimero descrittore di giovani gaudenti e donne di malaffare, si permetteva, egli, di degradarmi a tal punto!

E i giorni passavano, il momento si avvicinava, mentre temevo la ruggine dell’incuria e il vento battente. Perché io, Esimio Ingegnere, ora lo posso dire: mal mi fidavo della sua destrezza e dei suoi calcoli. Del resto, chi mai si preoccuperebbe della resistenza di un’opera effimera? Vent’anni son pochi per un uomo, figurarsi per una torre di ferro.

Orbene, mi devo complimentare, Mon Cher Gustave, e scusarmi per i miei cattivi pensieri.
Da quasi cento anni Ella non mi osserva più, venti anni prima di Lei se ne andò quel lordo scriba e mi dispiace – davvero mi dispiace – che esso non potesse assistere alla mia resilienza.

Nemmeno più mi devo preoccupare delle intemperie e della ruggine, nemico sempre pronto a colpire, giacché gli uomini or mi curano come un fanciullo, come se avessi, sempre e ogni giorno, i miei 20 anni. Eroe di guerra, prestato alle trasmissioni dell’etere, simbolo lucente della Ville Lumiere, immagine conosciuta per ogni dove, esaltazione della grandeur del nostro paese.

Merci, oggi Le devo dire. Merci alla Sua lungimiranza, alla perseveranza, alla Sua inventiva.
A talun ancor non piaccio? E chi se ne frega, mi perdoni anche questa moderna allocuzione.
Dal 1930 non sono più la più alta costruzione al mondo, e allora? Primati effimeri, battuti ogni momento. Non si abbattono i simboli, però, e io lo sono.

Insomma, Monsieur, io resisto.
Rien, glielo volevo dire.

Per sempre Sua

Tour Eiffel

Dr. Jekyll

Dalla serie le Missive impossibili di Sandra Vegni

Londra., Fine ‘800, stesso domicilio

Stimatissimo Dr Henry Jekyll
Che poi ‘stimatissimo’ si fa per dire, lo metto per pura forma – dato che lei, caro il mio dottore, sembra tenere tanto alla forma – ma, se proprio devo essere sincero, io non la stimo per niente.
Ma come diavolo le è venuto in mente di preparare quella orrenda pozione e di berla, fra tremendi conati e dolori lancinanti, per far uscire il peggio di se stesso?
Non sarebbe stato meglio continuare la sua onesta e noiosa vita di studioso stimato ed apprezzato? Invece eccomi qui, brutto nell’anima e, come se non bastasse, orrendo nel corpo.

Ma io, my dear doctor, io non ci sto! Non sono io l’essere repellente e disgustoso, è lei. E’ sua la violenza incontrollata, la smodatezza dei costumi, la crudeltà.
E invece di nasconderla, come ha fatto per anni, l’ha voluta mostrare. Senza svelarsi, però, come tutti i vigliacchi. Facendo in modo che tutto ricadesse su questa mia povera, deforme testa di creatura delle tenebre. Lei è un bel codardo, caro dottore. E un ipocrita. Si tiene il bello e il buono e rovescia su di me i suoi vizi tremendi.

Perché le scrivo? Vede forse altro sistema per comunicare fra di noi? Se c’è lei, io non ci sono e quando io prendo vita, si sospende la sua.
Le lascio questa lettera nel laboratorio, bene in vista perché la legga al suo risveglio: si vergogni e invochi il demonio sulla sua testa e non sulla mia.
Io sono il suo lato peggiore e lei abbia il coraggio di guardarsi dentro: quanta orrenda bruttura si alberga nella sua mente mentre continua, di giorno, la sua menzognera esistenza e io mi dibatto, nelle tenebre, avvinto dal male e dal demonio. E non posso che soccombere perché di ‘male’ son costruito.

Ma il brutto e cattivo non sono io, Henry, sei tu.
Abbi il coraggio di metter fine alla tua, e alla mia, esistenza. Io non perdo che il buio della notte londinese, tu perderai il tuo mondo ipocrita ma metterai fine, finalmente, alla scia di dolore che circonda le tue malefatte, alla tua parte oscura.

Dammi questo sollievo, ti prego, trova il coraggio in mezzo alla tua diurna viltà, fai che il mio corpo deforme mai più si debba celare negli angoli sporchi e maleodoranti di questa città, dammi requie, toglimi la vita che mi hai dato.

E pentiti dei miei peccati. Sono i tuoi, lo sai.

Addio
Edward Hyde

Sandra Vegni

el Che: dalla soluzione al problema

Dalla Serie: Missive impossibili di Sandra Vegni

Da Ernesto (Che) Guevara, rivoluzionario e medico
a Alberto Diaz Gutierrez (in arte Korda), fotografo

Da un posto imprecisato nell’al di là
A un altro posto imprecisato, sempre nell’al di là

Oggi, 24 marzo 2020

Senor Korda,
O como diable se llama, lei che passò dalla moda alla revolucion, jo le chiedo: ma perché non sei rimasto a fare il fotografo di moda? Ma perché quel lontano 5 marzo 1960 sei venuto a fotografar la nostra commemoration socialista? Le sfilate in passerella non te bastavano? Porqueé me fotografasti? Yo lo sabe que la foto original non era bella – yo tambien fui un buen fotografo e sempre me portavo la camara ne le campagne – ma, no! Nada, tanto la volevi che la tagliasti e la riducesti al mio viso ma … llamarla ‘Guerillero Heroico’! Assistevo a una sfilata, mica a una battaglia campale!
Sì, sì, lo so, che non hai guadagnato manco un peso, che quel gringo italiano si prese la tua foto e la usò, che un traliccio lo fulmini! Anzi, yo credo che proprio l’abbia fulminato! Ma non per il debito, penso.
Insomma, Alberto Korda, fotografo: Guerillero Heroico, tu chiamasti quella foto! Madre de Dios … Guerillero de le magliette, de le spillette, dei quaderni de escola, dei manifesti en le stanze de la comida … guerillero dei bicipiti e delle chiappe! Quei tatuaggi, fotografo, proprio non li sopporto.
Que fossero solo su muscoli tonici … ma invecchiano, diablo, invecchiano e ciondolano e ingrassano e tremulano e con loro il mio povero viso invecchiato, ingrassato e tremulo, deformato!
Dicono che con quello scatto tu mi consegnasti all’eternità. Eternità dei camerini da bagno, dei gadget consumistici, delle tovagliette all’americanos Gringos, hijos de la gran puta!
Son migo quel che ti consegnò alla storia, non te. Maldido.
Muerto fosti in miseria? Bien ti sta, fotografo de mis zapatos. Adios

Hasta siempre
Ernesto (Comandante Che) Guevara

Biancaneve

da Facebook Serie: Missive impossibili di Sandra Vegni

Biancaneve (creatura delle favole) ai sette Nani (stessa favola)

Ai Sette Nani
E per essi al Nano Dotto
Bosco della Fantasia

Reame delle Favole, un giorno qualsiasi

Miei cari NaniCome state? Vi immagino, seduti sulle vostre seggioline, intorno al tavolo di tronchi di pino, mentre un fuocherello di minuscoli ceppi scoppietta nel camino e Dotto, occhiali sul naso, si appresta a leggervi questa mia.
Come vi conosco bene! Anche troppo, direi. So quello che vi aspettate. È la prima volta che scrivo da quando il Principe mi ha portato via sul suo cavallo bianco; son passati diversi mesi e certo qualcuno – vero, Brontolo? – si aspettava da parte mia ringraziamenti più celeri.

Ringraziamenti! E per cosa, di grazia? Per avermi trattato come una servetta qualsiasi, ogni giorno a lavare, stirare, spazzare, lucidare, cucinare e rigovernare? E per sette persone, mica bruscolini! Piccini, certo. Ma qualcuno si rende conto di quanto lavoro ci vuole per stirare quei pantaloncini, giacchini, camicini, calzini e mutandine? Non certo voi, che mi avete accolto in una casa gravida di ragnatele e sporcizia; il lavandino –ino- ingombro di casseruole incrostate da avanzi di cibo. Io, una principessa. Ridotta a servetta svelta, sorridente, accorta e paziente. Ma vi rendete conto di quale lurido inveterato maschilismo vi siete coperti?

Non fate quelle facce. Vi brucia la verità, non è vero?
Avessi potuto scappare! Ma di certo mi sarei persa di nuovo in quel maledetto bosco della fantasia… non potevo che aspettare una buona occasione. E finalmente l’ho avuta. La strega cattiva? Come siete sciocchi! Le streghe non esistono. Veniva talvolta una vecchietta a portare cestini di fragole e mirtilli. Scacciata, ahilei, dalla città per fama di guaritrice. Fosse stata un uomo avrebbe avuto file di clienti davanti alla porta e abiti sontuosi e forzieri pieni di monete. Invece… insomma, mi son confidata. Per me ha dovuto raggiungere fattorie lontane e rubare una mela, che la pozione per il lungo sonno dentro un mirtillo non ci stava. Questo le avevo chiesto: una pozione per un lungo sonno in modo da riposarmi e farvi capire, brutti stronzetti, quanto pesante fosse il mio lavoro.

Il principe non era previsto, è stato un bel colpo di fortuna, lo ammetto: è anche un bel giovane, capelli d’oro e abiti eleganti che mettono in mostra le sue forme gentili. È stato un gran bel risveglio. Anche vedere le vostre facce stupite non è stato male. Peccato non poterle vedere anche oggi.
Perché ho aspettato tanto a scrivere? Mi sono sposata, lo sapete. Mi aspettavo un vostro cenno, un regalino. In fondo lavorate in una miniera di diamanti, mica in una di carbone. Un regalo non vi sarebbe costato granché. Non dico una collana e neanche due pendenti con un solitario, ma almeno un anellino, un ciondolo, un pavé di schegge … insomma!

Che avarizia, che grettezza, dopo avermi sfruttato per lunghi mesi e ridotto le mie mani – le mani di una principessa! – a ruvide cortecce con le unghie rotte!
Fortuna che il principe ha visto le mie labbra rosate e non ha fatto caso alle mie mani!
E ora, senza la serva, come ve la passate? Guardatevi intorno, brutti nanacci maleodoranti e sporchi.
A mai più rivedervi

Sandra Vegni

Lettera di Penelope al marito Ulisse

da Facebook Serie: Missive impossibili di Sandra Vegni

Lettera di Penelope al marito Ulisse, appena tornato a casa
Itaca, alba del giorno seguente il ritorno di Ulisse

Ulisse, sposo mio
In questa aurora che appena disegna i contorni della stanza ti guardo dormire, stanco. Il corpo provato da anni di battaglie e di tempeste, di dolori e di addii.
Guardo le piccole e grandi ferite, segni di troppe battaglie; le ho accarezzate ad una ad una, stanotte, con tocco lieve della mano mentre tu, fiaccato dall’ultima pugna e, forse, anche dal mio corpo assetato d’amore, dormivi il giusto riposo.
Dormivi e russavi, Ulisse mio, la bocca aperta, un lieve filo di bava lucida all’angolo della bocca che scivolava lento sul cuscino.
E’ questo l’uomo che ho atteso per vent’anni? Girandomi nel letto, non osando immaginare neanche la carezza d’un altro e, addirittura, nemmeno muovendo la mia mano per un piacere solitario, affinché rimanesse intatto il ricordo delle tue mani e del tuo vigore e della forza dei bicipiti robusti e dei muscoli scattanti sotto la pelle lucida di sudore.
Io ti guardo e vedo un vecchio, Ulisse, vent’anni son tanti. Ho visto partire un guerriero, è tornato un viandante. Un viandante ancor pronto alla rissa, non lo nego: nel silenzio odo le ancelle che stanno lavando la mensa lordata dal sangue dei Proci.
Un ritorno col botto, questo è certo. E ho visto negli occhi di Telemaco una luce mai vista prima, povero figlio mio, cresciuto senza un padre.
Ma tu … che delusione, marito mio … valeva la pena aspettare tanti anni? Per ritrovarmi un vecchio stanco, fugace anche nell’amore?
Certo, neanche io son più un fiore, tu mi potresti dire, e certo non valgo le braccia di Calipso e della giovane Nausicaa. E allora, ci potevi restare, fra quelle braccia fresche e nobili! Ci hai messo dieci anni solo per tornare, mentre i tuoi compagni d’arme arrivarono ai loro regni in quattro e quattr’otto. Magari facendo anche loro un bel casino, ma tornarono! Zeus mi è testimone.
Tu invece sei rimasto ben sette anni, sette!, con la bella dea! E allora ci potevi restare … o forse è lei che ti ha lasciato andare, inservibile ormai come una scarpa vecchia?
Io ti ho aspettato, Ulisse, ma ora che sei tornato son io che ti lascio. Una vela mi aspetta giù al porto, pronta a salpare. I Proci non mi piacevano: tracotanti, smodati … ma il giovane pescatore della tonnara … muscoli guizzanti sui bicipiti lucidi di sudore, i suoi, ancora. E pronti ad accogliere la regina, che tale ai suoi occhi io sono, sebbene per poco ancora.
Addio, Ulisse, goditi il meritato riposo. Vent’anni son tanti.
Penelope, la tua ex moglie

Sandra Vegni, 31/01/2023

Risposta di Ulisse a Penelope

Dolce Penelope

Ho letto la tua tenera lettera. Devo confessare che stanotte non dormivo, ed ho fatto fatica a fingere di russare, per questo mi scivolava dalla bocca quel filo di bava. Ho imparato a dissimulare, non per nulla mi chiamano l’astuto Ulisse. Sai, io lo facevo per te, per tenermi in buona forma, per non poltrire, e così, pensando a te, stavo nelle braccia di Calipso, e poi Circe, (te n’eri dimenticata?) e Nausicaa.  Dicevo: non voglio dimenticarmi di come si fa, la mia Penelope mi attende. Poi sono arrivato. Ti ho vista. Una vecchina tutta gobba a forza di stare sullo sgabello, china a fare e disfare quella benedetta tela. Anche i capelli…. hai voglia di metterci l’enné. Quando poi ti sei levata la camicia….Però mi sono fatto forza, ho pensato : mi ha aspettato tanto, ma chi gliel’ha fatto fare?. Si sente che non c’è passato nessuno per vent’anni. E’ andata così, non potevo fare di più. Stai attenta col pescatore della tonnara. Non glielo dire che son tornato, che non sei più la regina e non hai più una mezza dracma. Non vorrei che ti facesse male con i suoi muscoli guizzanti. Buona fortuna

Il tuo affezionato Ulisse

Enrico Tendi, 3/02/2023