Dr. Jekyll

Dalla serie le Missive impossibili di Sandra Vegni

Londra., Fine ‘800, stesso domicilio

Stimatissimo Dr Henry Jekyll
Che poi ‘stimatissimo’ si fa per dire, lo metto per pura forma – dato che lei, caro il mio dottore, sembra tenere tanto alla forma – ma, se proprio devo essere sincero, io non la stimo per niente.
Ma come diavolo le è venuto in mente di preparare quella orrenda pozione e di berla, fra tremendi conati e dolori lancinanti, per far uscire il peggio di se stesso?
Non sarebbe stato meglio continuare la sua onesta e noiosa vita di studioso stimato ed apprezzato? Invece eccomi qui, brutto nell’anima e, come se non bastasse, orrendo nel corpo.

Ma io, my dear doctor, io non ci sto! Non sono io l’essere repellente e disgustoso, è lei. E’ sua la violenza incontrollata, la smodatezza dei costumi, la crudeltà.
E invece di nasconderla, come ha fatto per anni, l’ha voluta mostrare. Senza svelarsi, però, come tutti i vigliacchi. Facendo in modo che tutto ricadesse su questa mia povera, deforme testa di creatura delle tenebre. Lei è un bel codardo, caro dottore. E un ipocrita. Si tiene il bello e il buono e rovescia su di me i suoi vizi tremendi.

Perché le scrivo? Vede forse altro sistema per comunicare fra di noi? Se c’è lei, io non ci sono e quando io prendo vita, si sospende la sua.
Le lascio questa lettera nel laboratorio, bene in vista perché la legga al suo risveglio: si vergogni e invochi il demonio sulla sua testa e non sulla mia.
Io sono il suo lato peggiore e lei abbia il coraggio di guardarsi dentro: quanta orrenda bruttura si alberga nella sua mente mentre continua, di giorno, la sua menzognera esistenza e io mi dibatto, nelle tenebre, avvinto dal male e dal demonio. E non posso che soccombere perché di ‘male’ son costruito.

Ma il brutto e cattivo non sono io, Henry, sei tu.
Abbi il coraggio di metter fine alla tua, e alla mia, esistenza. Io non perdo che il buio della notte londinese, tu perderai il tuo mondo ipocrita ma metterai fine, finalmente, alla scia di dolore che circonda le tue malefatte, alla tua parte oscura.

Dammi questo sollievo, ti prego, trova il coraggio in mezzo alla tua diurna viltà, fai che il mio corpo deforme mai più si debba celare negli angoli sporchi e maleodoranti di questa città, dammi requie, toglimi la vita che mi hai dato.

E pentiti dei miei peccati. Sono i tuoi, lo sai.

Addio
Edward Hyde

Sandra Vegni

el Che: dalla soluzione al problema

Dalla Serie: Missive impossibili di Sandra Vegni

Da Ernesto (Che) Guevara, rivoluzionario e medico
a Alberto Diaz Gutierrez (in arte Korda), fotografo

Da un posto imprecisato nell’al di là
A un altro posto imprecisato, sempre nell’al di là

Oggi, 24 marzo 2020

Senor Korda,
O como diable se llama, lei che passò dalla moda alla revolucion, jo le chiedo: ma perché non sei rimasto a fare il fotografo di moda? Ma perché quel lontano 5 marzo 1960 sei venuto a fotografar la nostra commemoration socialista? Le sfilate in passerella non te bastavano? Porqueé me fotografasti? Yo lo sabe que la foto original non era bella – yo tambien fui un buen fotografo e sempre me portavo la camara ne le campagne – ma, no! Nada, tanto la volevi che la tagliasti e la riducesti al mio viso ma … llamarla ‘Guerillero Heroico’! Assistevo a una sfilata, mica a una battaglia campale!
Sì, sì, lo so, che non hai guadagnato manco un peso, che quel gringo italiano si prese la tua foto e la usò, che un traliccio lo fulmini! Anzi, yo credo che proprio l’abbia fulminato! Ma non per il debito, penso.
Insomma, Alberto Korda, fotografo: Guerillero Heroico, tu chiamasti quella foto! Madre de Dios … Guerillero de le magliette, de le spillette, dei quaderni de escola, dei manifesti en le stanze de la comida … guerillero dei bicipiti e delle chiappe! Quei tatuaggi, fotografo, proprio non li sopporto.
Que fossero solo su muscoli tonici … ma invecchiano, diablo, invecchiano e ciondolano e ingrassano e tremulano e con loro il mio povero viso invecchiato, ingrassato e tremulo, deformato!
Dicono che con quello scatto tu mi consegnasti all’eternità. Eternità dei camerini da bagno, dei gadget consumistici, delle tovagliette all’americanos Gringos, hijos de la gran puta!
Son migo quel che ti consegnò alla storia, non te. Maldido.
Muerto fosti in miseria? Bien ti sta, fotografo de mis zapatos. Adios

Hasta siempre
Ernesto (Comandante Che) Guevara

Biancaneve

da Facebook Serie: Missive impossibili di Sandra Vegni

Biancaneve (creatura delle favole) ai sette Nani (stessa favola)

Ai Sette Nani
E per essi al Nano Dotto
Bosco della Fantasia

Reame delle Favole, un giorno qualsiasi

Miei cari NaniCome state? Vi immagino, seduti sulle vostre seggioline, intorno al tavolo di tronchi di pino, mentre un fuocherello di minuscoli ceppi scoppietta nel camino e Dotto, occhiali sul naso, si appresta a leggervi questa mia.
Come vi conosco bene! Anche troppo, direi. So quello che vi aspettate. È la prima volta che scrivo da quando il Principe mi ha portato via sul suo cavallo bianco; son passati diversi mesi e certo qualcuno – vero, Brontolo? – si aspettava da parte mia ringraziamenti più celeri.

Ringraziamenti! E per cosa, di grazia? Per avermi trattato come una servetta qualsiasi, ogni giorno a lavare, stirare, spazzare, lucidare, cucinare e rigovernare? E per sette persone, mica bruscolini! Piccini, certo. Ma qualcuno si rende conto di quanto lavoro ci vuole per stirare quei pantaloncini, giacchini, camicini, calzini e mutandine? Non certo voi, che mi avete accolto in una casa gravida di ragnatele e sporcizia; il lavandino –ino- ingombro di casseruole incrostate da avanzi di cibo. Io, una principessa. Ridotta a servetta svelta, sorridente, accorta e paziente. Ma vi rendete conto di quale lurido inveterato maschilismo vi siete coperti?

Non fate quelle facce. Vi brucia la verità, non è vero?
Avessi potuto scappare! Ma di certo mi sarei persa di nuovo in quel maledetto bosco della fantasia… non potevo che aspettare una buona occasione. E finalmente l’ho avuta. La strega cattiva? Come siete sciocchi! Le streghe non esistono. Veniva talvolta una vecchietta a portare cestini di fragole e mirtilli. Scacciata, ahilei, dalla città per fama di guaritrice. Fosse stata un uomo avrebbe avuto file di clienti davanti alla porta e abiti sontuosi e forzieri pieni di monete. Invece… insomma, mi son confidata. Per me ha dovuto raggiungere fattorie lontane e rubare una mela, che la pozione per il lungo sonno dentro un mirtillo non ci stava. Questo le avevo chiesto: una pozione per un lungo sonno in modo da riposarmi e farvi capire, brutti stronzetti, quanto pesante fosse il mio lavoro.

Il principe non era previsto, è stato un bel colpo di fortuna, lo ammetto: è anche un bel giovane, capelli d’oro e abiti eleganti che mettono in mostra le sue forme gentili. È stato un gran bel risveglio. Anche vedere le vostre facce stupite non è stato male. Peccato non poterle vedere anche oggi.
Perché ho aspettato tanto a scrivere? Mi sono sposata, lo sapete. Mi aspettavo un vostro cenno, un regalino. In fondo lavorate in una miniera di diamanti, mica in una di carbone. Un regalo non vi sarebbe costato granché. Non dico una collana e neanche due pendenti con un solitario, ma almeno un anellino, un ciondolo, un pavé di schegge … insomma!

Che avarizia, che grettezza, dopo avermi sfruttato per lunghi mesi e ridotto le mie mani – le mani di una principessa! – a ruvide cortecce con le unghie rotte!
Fortuna che il principe ha visto le mie labbra rosate e non ha fatto caso alle mie mani!
E ora, senza la serva, come ve la passate? Guardatevi intorno, brutti nanacci maleodoranti e sporchi.
A mai più rivedervi

Sandra Vegni

Lettera di Penelope al marito Ulisse

da Facebook Serie: Missive impossibili di Sandra Vegni

Lettera di Penelope al marito Ulisse, appena tornato a casa
Itaca, alba del giorno seguente il ritorno di Ulisse

Ulisse, sposo mio
In questa aurora che appena disegna i contorni della stanza ti guardo dormire, stanco. Il corpo provato da anni di battaglie e di tempeste, di dolori e di addii.
Guardo le piccole e grandi ferite, segni di troppe battaglie; le ho accarezzate ad una ad una, stanotte, con tocco lieve della mano mentre tu, fiaccato dall’ultima pugna e, forse, anche dal mio corpo assetato d’amore, dormivi il giusto riposo.
Dormivi e russavi, Ulisse mio, la bocca aperta, un lieve filo di bava lucida all’angolo della bocca che scivolava lento sul cuscino.
E’ questo l’uomo che ho atteso per vent’anni? Girandomi nel letto, non osando immaginare neanche la carezza d’un altro e, addirittura, nemmeno muovendo la mia mano per un piacere solitario, affinché rimanesse intatto il ricordo delle tue mani e del tuo vigore e della forza dei bicipiti robusti e dei muscoli scattanti sotto la pelle lucida di sudore.
Io ti guardo e vedo un vecchio, Ulisse, vent’anni son tanti. Ho visto partire un guerriero, è tornato un viandante. Un viandante ancor pronto alla rissa, non lo nego: nel silenzio odo le ancelle che stanno lavando la mensa lordata dal sangue dei Proci.
Un ritorno col botto, questo è certo. E ho visto negli occhi di Telemaco una luce mai vista prima, povero figlio mio, cresciuto senza un padre.
Ma tu … che delusione, marito mio … valeva la pena aspettare tanti anni? Per ritrovarmi un vecchio stanco, fugace anche nell’amore?
Certo, neanche io son più un fiore, tu mi potresti dire, e certo non valgo le braccia di Calipso e della giovane Nausicaa. E allora, ci potevi restare, fra quelle braccia fresche e nobili! Ci hai messo dieci anni solo per tornare, mentre i tuoi compagni d’arme arrivarono ai loro regni in quattro e quattr’otto. Magari facendo anche loro un bel casino, ma tornarono! Zeus mi è testimone.
Tu invece sei rimasto ben sette anni, sette!, con la bella dea! E allora ci potevi restare … o forse è lei che ti ha lasciato andare, inservibile ormai come una scarpa vecchia?
Io ti ho aspettato, Ulisse, ma ora che sei tornato son io che ti lascio. Una vela mi aspetta giù al porto, pronta a salpare. I Proci non mi piacevano: tracotanti, smodati … ma il giovane pescatore della tonnara … muscoli guizzanti sui bicipiti lucidi di sudore, i suoi, ancora. E pronti ad accogliere la regina, che tale ai suoi occhi io sono, sebbene per poco ancora.
Addio, Ulisse, goditi il meritato riposo. Vent’anni son tanti.
Penelope, la tua ex moglie

Sandra Vegni, 31/01/2023

Risposta di Ulisse a Penelope

Dolce Penelope

Ho letto la tua tenera lettera. Devo confessare che stanotte non dormivo, ed ho fatto fatica a fingere di russare, per questo mi scivolava dalla bocca quel filo di bava. Ho imparato a dissimulare, non per nulla mi chiamano l’astuto Ulisse. Sai, io lo facevo per te, per tenermi in buona forma, per non poltrire, e così, pensando a te, stavo nelle braccia di Calipso, e poi Circe, (te n’eri dimenticata?) e Nausicaa.  Dicevo: non voglio dimenticarmi di come si fa, la mia Penelope mi attende. Poi sono arrivato. Ti ho vista. Una vecchina tutta gobba a forza di stare sullo sgabello, china a fare e disfare quella benedetta tela. Anche i capelli…. hai voglia di metterci l’enné. Quando poi ti sei levata la camicia….Però mi sono fatto forza, ho pensato : mi ha aspettato tanto, ma chi gliel’ha fatto fare?. Si sente che non c’è passato nessuno per vent’anni. E’ andata così, non potevo fare di più. Stai attenta col pescatore della tonnara. Non glielo dire che son tornato, che non sei più la regina e non hai più una mezza dracma. Non vorrei che ti facesse male con i suoi muscoli guizzanti. Buona fortuna

Il tuo affezionato Ulisse

Enrico Tendi, 3/02/2023