Grande è la confusione, sotto il cielo di Wall Street

FONTE Facebook Alessandro Volpi 23-4-25

Per provare a fare chiarezza rispetto ad un luogo comune troppo semplicistico. Il segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Scott Bessent, ha sostenuto l’opportunità di attenuare le tensioni commerciali con la Cina. Mi sembra inevitabile che l’amministrazione Trump riveda le ipotesi di una “guerra dei dazi” con l’ex impero celeste. C’è un dato che più di ogni altro sconsiglia, infatti, Trump di perseguire tale strada. Il debito federale degli Stati Uniti è cresciuto dal 2020 al 2024 di 2300 miliardi di dollari ogni anno: una volume di titoli enorme che ha bisogno di compratori per non svalutarsi e per non pagare interessi stellari, il cui ammontare è già pari a circa 1000 miliardi di dollari e con il recentissimo rialzo dei rendimenti conoscerà un ulteriore aumento non distante dai 500 miliardi di dollari. Dunque, per non fallire gli Stati Uniti hanno bisogno della fiducia dei risparmiatori mondiali che viene veicolata dai grandi fondi e dalle grandi banche, di cui i fondi sono azionisti di riferimento. Tale fiducia non può reggere ad uno scontro frontale tra Stati Uniti e Cina perché la tenuta del dollaro, la moneta in cui è denominato il debito Usa, dipende dal suo utilizzo da parte della stessa Cina nei propri scambi mondiali. In questo senso, la perdita di valore del debito americano e la sua maggiore onerosità per il Tesoro degli Stati Uniti non dipendono certo dalla vendita di tale debito da parte della Cina, che ormai ha meno di 750 miliardi di dollari di debito Usa su un totale di quasi 37 mila miliardi, ma dalla forza che la Cina ha assunto negli scambi internazionali. La potenza economica cinese a livello globale è così rilevante che un suo eventuale conflitto commerciale con gli Stati Uniti spaventa a tal punto la grande finanza da indurla a vendere il debito americano per la paura di un suo crollo generato proprio da un simile scontro. Se poi si riducessero anche le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti per effetto dei dazi, la dollarizzazione sarebbe ulteriormente messa a repentaglio e il debito Usa accelererebbe il proprio declino. A ciò bisogna aggiungere che le più generali tensioni finanziarie indotte da una guerra dei dazi fra Cina e Usa stanno determinando il crollo di numerosi titoli considerati sicuri come quelli delle big tech e stanno obbligando i possessori di tali titoli a vendere titoli di Stato Usa per coprire le perdite. In estrema sintesi, la svalutazione del debito Usa non dipende dalla sua vendita da parte dei cinesi ma da una ben più generale dipendenza dell’intera economia degli Stati Uniti dalla Cina

La nuova bolla finanziaria del riarmo

SINTESI
La nuova bolla finanziaria del riarmo
di Alessandro Volpi
Pubblicato su Sinistrainrete

Occhiello

Volpi analizza come il riarmo europeo, sotto l’egida della Commissione von der Leyen, stia creando una gigantesca bolla speculativa nel settore delle armi, con gravi implicazioni per il welfare e il tessuto sociale, promuovendo una economia di guerra che mina la convivenza collettiva.
Leggi l’articolo su Sinistrainrete

Sintesi schematica

  1. Mercato delle armi
    • Aumento dei titoli azionari delle aziende produttrici di armi, con performance record di varie imprese europee.
    • Investimenti massicci da grandi fondi (BlackRock, Vanguard, etc.) e banche, generando una bolla speculativa nell’industria bellica.
  2. Ruolo della BCE e politiche monetarie
    • La Banca Centrale Europea sostiene il riarmo, riducendo i tassi di interesse e incentivando l’acquisto di titoli di aziende belliche.
    • Queste misure si traducono in un’assenza di mobilitazione simile per altre esigenze sociali come la sanità e l’istruzione.
  3. Mobilizzazione dei risparmi
    • La Commissione Europea propone di “mobilitare” i risparmi dei cittadini europei per finanziare armamenti, creando strumenti di investimento accessibili.
    • Rischio di una “monocultura” armata, riducendo i fondi disponibili per altri settori e servizi pubblici.
  4. Strumenti finanziari e speculazione
    • Crescita degli ETF (Exchange-Traded Funds) legati all’industria delle armi, che permettono ai fondi di garantire una facile entrata di capitali dalle masse.
    • La complessità del settore finanziario rende difficile tracciare il destino dei risparmi, creando rischi per investitori comuni.
  5. Tensioni politiche e debito
    • Dilemmi sul finanziamento del riarmo tra approcci di debito comune europeo rispetto a debiti nazionali, evidenziando divergenze tra vari leader politici.
    • Il ruolo degli Stati Uniti come principali fornitori di armamenti per l’Europa, portando a un rilancio delle tensioni geopolitiche.
  6. Conclusione
    • Il riarmo europeo, sebbene giustificato come risposta alle minacce esterne, rappresenta un’opportunità di speculazione finanziaria che rischia di erodere il tessuto sociale e il welfare europeo.
    • Apprensione riguardo alla direzione presa dall’Europa, con una chiara preferenza per gli investimenti militari a scapito di altre necessità sociali.

Follow the money

FONTE Facebook Alessandro Volpi 10-4-25
TITOLO REDAZIONALE

Trump ha sospeso i dazi, per 90 giorni, nei confronti di tutti i paesi, ad eccezione della Cina, alla quale li ha aumentati al 125%. Questa scelta suggerisce tre considerazioni. La prima, molto banale; Trump è destinato a creare un costante clima di incertezza nell’economia globale rendendo impossibile qualsiasi vera programmazione e dunque contribuendo a trasformare il capitalismo in un costante gioco d’azzardo. La seconda: il crollo dei listini mondiali, e in particolare di quelli americani, ha terrorizzato i milioni di cittadini e cittadine statunitensi che hanno nei fondi, imbottiti di titoli finanziari, tutta la loro assistenza sociale, sanitaria e pensionistica. In questo senso, le Big Three hanno vinto almeno in parte la partita con il nuovo presidente, sfruttando proprio la pervasività del modello finanziario che hanno costruito in seguito alla demolizione di ogni dimensione pubblica. Nelle Borse americane ci sono anche i risparmi degli europei che si sono affidati a Black Rock e soci per avere rendimenti significativi. Se tali rendimenti fossero spariti, quei risparmi sarebbero stati portati in Europa dalle stesse Big Three, smontando pezzi interi della finanza americana; e questo Trump non può permetterselo. La terza considerazione è la più impegnativa: Trump ha deciso di nascondere la sua clamorosa marcia indietro, concentrando tutta la guerra doganale sulla Cina che diventa l’impero del male; una strategia posticciamente ideologica che farà male agli Stati Uniti per gli effetti sull’inflazione, per la dollarizzazione, ma, soprattutto, perché posta in questi termini obbliga la Cina a reagire anche sul piano egemonico e induce un’inevitabile spaccatura fra l’ordine capitalistico e l’appartenenza al multipolarismo cinese, destinato ad avere molti seguaci in giro per il mondo.

Alessandro Volpi 10-4-25

Verso la terra di nessuno

FONTE Facebook Alessandro Volpi 3-4-25

I dazi di Trump stanno facendo scoppiare la bolla finanziaria che ha tenuto insieme negli ultimi anni l’economia americana, e il capitalismo finanziario. Non a caso i titoli maggiormente travolti sono stati quelli delle Big tech, da Apple ad Amazon e Invidia. Non si tratta di una caduta spinta solo dal fatto che una parte delle produzioni di tali società passano per zone colpite dai dazi, ma della più generale, e profonda, sfiducia che gli Stati Uniti, dominati dai monopoli finanziari, siano in grado di tenere in vita il capitalismo. Il paradosso è che la fine del dollaro è vaticinata da Larry Fink, il signore dei grandi fondi, impegnati ora nel non rimanere schiacciati dallo scoppio della bolla, cercando rifugio nell’Europa del riarmo e negli immaterialissimi Bitcoin, e determinata dal presidente Trump che vorrebbe reindustrializzare l’America per ridurre proprio l’eccessiva dipendenza dall’estero, e dalla sola finanza. Big Three e Trump stanno costruendo, in modo diametralmente diverso, la fine della centralità americana, aprendo una fase storica per molti versi ignota perché privata, assai probabilmente, della forma economica che ha dominato per qualche secolo l’Occidente. E’ davvero singolare, in questo tornante cruciale, che la risposta del governo italiano sia quella di minimizzare l’effetto dei dazi come se si riferissero solo al rapporto bilaterale della nostra economia con il mercato Usa senza capire quanto l’eventuale guerra commerciale globale modificherà gli assetti dell’intero scenario internazionale, non certo declinabile con la ricettina di buon senso e con il mantenimento di un asservimento americano non più auspicato neppure da Trump. Così come è singolare che la premier Meloni dopo avere accettato il nuovo Patto di Stabilità, dopo aver assecondato il piano Von der Leyen, scopra ora la necessità di rivedere proprio i parametri europei, cercando un capro espiatorio rispetto alla totale mancanza di coraggio nel riposizionamento del nostro paese verso equilibri multipolari. La crisi radicale del capitalismo imporrebbe politiche profondamente diverse che partano proprio dalla capacità di sfruttare la crisi del dollaro per costruire nuove strategie di indebitamento europeo, in chiave sociale, nuove forme di definanziarizzazione e, appunto, nuovi equilibri multipolari che, però, non possono certo appartenere al linguaggio di questa destra. E neppure al liberal progressismo di Gentiloni, Letta, Draghi e al coraggiosissimo gruppo di europarlamentari del Pd.

Alessandro Volpi 3-4-25

DAZI E TRUMPALLAZI

La guerra dei dazi di Donald Trump mette gli Usa nella posizione di “uno contro tutti”. Lo storia ci insegna che a chi ci ha provato non è andata troppo bene.
Da Facebook alcune sintetiche osservazioni

Alessandro Volpi 3-4-25

La giornata della liberazione rischia di essere l’inizio della fine del trumpismo. Pensare di fare una guerra doganale vera alla Cina è follia. Pensare di fare cassa per 6 mila miliardi di dollari con i dazi, pensando che il resto del mondo continui a vendere negli Stati Uniti e’ follia. Pensare che le Big tech investano montagne di miliardi in un paese così a rischio e’ follia. Pensare che i dazi producano la re industrializzazione USA e’ follia. Trump e’ davvero la maschera tragica di un capitalismo finito. E l’Europa è ancora più folle se pensa di rispondere con il riarmo.

Alessio Giuntini 3-4-25

Duro come le pine verdi.

Il cotonato ha una idea tutta sua su cosa sia un dazio, sulla differenza fra una imposta e un dazio.
I cartelli mostrati al pubblico sui dazi imposti alle importazioni negli USA sono affiancati a cifre immaginifiche di “ dazi” che il resto del mondo ( secondo lui ) applica alle merci americane.
Secondo Trump la UE fa pagare “ dazi” del 39% sulle merci americane e lui generosamente si accontenta del 20% sui prodotti che la UE importa negli USA.
Ma come è possibile che si sia così cattivi, noi europei, punendo in modo così feroce gli States ?
Il problema, nella migliore delle ipotesi, è che nessuno ha spiegato a questo duro di menta che l’IVA non è un dazio, ma una imposta sul consumo.
Questa imposta viene applicata su ogni prodotto INDIPENDENTEMENTE da dove viene prodotto.
Per essere più chiari : il consumatore finale paga la stessa IVA sia su una auto prodotta in America, sia prodotta in Europa.
Quindi, caro Donald, non c’è nessuna specifica limitazione alle merci americane che arrivano in Europa, l’ IVA non è un dazio ma una imposta.
Il paradosso è che questo signore grullo assai vorrebbe di fatto che gli europei non facessero pagare l’ IVA sui prodotti americani, inventando un particolare protezionismo, quello che farebbe diventare meno costoso un prodotto USA rispetto a un prodotto europeo.
Praticamente dovremmo sussidiare le merci americane a scapito di quelle europee…
Insomma, abbiamo a che fare con un furfante, nell’epoca buia nella quale non contano più i fatti ma solo le narrazioni immaginifiche e false.
Ps: sto leggendo i giornaloni italiani : ce ne fosse uno che aiuta i propri ( pochi) lettori a capire queste cose.

Alessio Giuntini 3-4-25

Boom !

Il cotonato colpisce.
Ma che gli avrà mai fatto la Cambogia agli americani, colpita da dazi del 49% !
Comunque ora sono dazzi nostri.
L’amor patrio ora ci impone di mangiare più parmigiano e bere più Franciacorta, dalle Alpi a Lampedusa.
Intanto il dollaro si deprezza sull’euro e calano i titoli del debito 🇺🇸 .
Da ora in avanti non un solo uovo depositato da una italica gallina varchi l’oceano, che facciano colazione con le uova di tacchino !
La situazione è grave ma non è seria.
Ora la UE, mio modesto parere, appena smesso di tremare, potrebbe anche rispondere in modo perfido ;si potrebbero mirare i controdazi in modo tutto politico : dazi solo negli Stati governati dai repubblicani e in quelli dove si svolgeranno le elezioni di medio termine .
Se tecnicamente possibile ci sarebbe da ridere.

CAPITALI CORAGGIOSI

FONTE Facebook Alessandro Volpi 2-4-25
TITOLO REDAZIONALE

I miliardari governano l’America e si arricchiscono grazie alle bolle finanziarie legate al loro stesso potere politico. Trump, in pochi mesi, ha più che raddoppiato il proprio patrimonio. Eppure, continua a raccogliere consensi tra le fasce più deboli. Forse perché l’alternativa non può essere un Partito Democratico troppo vicino ai grandi capitali.


Sono sempre più convinto che la forza di Trump sia dipesa dalla reale mancanza di alternative credibili; se ci fossero sarebbe davvero difficile rendere credibile la sua narrazione “popolare” tanto cara anche alla destra italiana. Forbes ha pubblicato la tradizionale classifica dei miliardari mondiale da cui emerge un primo dato chiaro: i super ricchi hanno vinto la lotta di classe, direi per abbandono. I miliardari sono infatti 3208 e hanno un patrimonio complessivo di 16 mila miliardi di dollari, con i primi cinque, guidati da Musk, che ne totalizzano oltre 1000. Naturalmente dei primi 25 miliardari 18 sono americani. Il dato politico interessante però è ancora un altro. Tra i miliardari figura il presidente Trump che dal marzo del 2024 ad oggi ha raddoppiato il proprio patrimonio personale passando da 2,3 a 5 miliardi di dollari, in larga misura per la corsa delle sue società e per le sue operazioni in criptovalute. E, sempre nel club dei miliardari, figurano oltre al già ricordato Musk anche due ministri dell’amministrazione Trump, Howard Lutnick e Linda Mac Mahon. In pratica, i miliardari governano l’America e diventano sempre più ricchi grazie alle bolle finanziarie create attorno ai titoli delle loro società, certamente trainate dal ruolo politico rivestito. E’ davvero difficile immaginare che questa classe dirigente possa essere votata dalle fasce con redditi bassi. Eppure è andata così. Forse, verrebbe da aggiungere, perché l’alternativa a Trump non possono essere i democratici “di Larry Fink” o quelli molto vicini alla costante celebrazione del capitalismo liberale. Non solo negli Stati Uniti.

Alessandro Volpi 2-4-25

CHI COMANDA CHI

FONTE Facebook Alessandro Volpi 31-3-25
TITOLO REDAZIONALE

Larry Fink e la sfida al dollaro
Il CEO di BlackRock, Larry Fink, ha lanciato un allarme senza precedenti sul futuro del dollaro come valuta di riserva globale, citando il crescente debito federale USA. Ma la vera sorpresa è la sua ipotesi di un futuro dominato non da altre valute statali, bensì dai Bitcoin. Un’affermazione esplosiva che scuote i mercati e cela motivazioni profonde: un segnale di sfida a Trump e alla sua finanza “alternativa”, un’opportunità di guadagno per i grandi fondi attraverso il riarmo europeo, e una mossa strategica per monopolizzare il settore delle criptovalute con gli ETF. Dietro le sue parole, si intravede il potere delle Big Three e il loro ruolo nel ridefinire gli equilibri finanziari globali.

Chi comanda. Larry Fink, il ceo di BlackRock, il più grande gestore di risparmio al mondo con quasi 12 mila miliardi di dollari di attivi, ha inviato la sua “lettera” agli investitori in cui ha espresso un’ipotesi pesantissima per gli Stati Uniti. Fink ha dichiarato infatti che le attuali condizioni americane, a partire dall’enorme debito federale, mettono a repentaglio la tenuta del dollaro come valuta di riserva internazionale. In altre parole, il più grande fondo mondiale, con sede negli Stati Uniti, che possiede circa il 10% dell’intero listino S&P, ed è dunque legatissimo alla tenuta del dollaro, sostiene che il dollaro potrebbe perdere quella condizione in grado di garantire non solo la sopravvivenza del gigantesco debito federale Usa, ma direi dell’intera economia a stelle e strisce. Fink, tuttavia, non si ferma qui perché aggiunge che il ruolo del dollaro potrebbe essere svolto, nel prossimo futuro, non da un’altra valuta, come l’euro o lo yuan, quanto dai Bitcoin, da una “moneta” privata. Si tratta di una dichiarazione davvero esplosiva sia perché per la prima volta un soggetto così decisivo del mercato finanziario mette in discussione il dollaro e quindi il primato Usa, sia perché ventila la prospettiva di una valuta digitale come strumento di riserva globale, fornendo un’indicazione ben precisa agli investitori mondiali destinata a trascinare i prezzi degli stessi Bitcoin. Al di là del rilievo assoluto di una simile dichiarazione, mi sembra indispensabile provare a capire cosa possa averla motivata. Penso che ci siano almeno tre ragioni che possano avere indotto Fink ad assumere questa posizione. La prima. Il ceo di BlackRock ha inteso mandare un segnale molto diretto a Trump, di cui i grandi fondi non condividono le posizioni economiche e soprattutto i legami con una finanza “alternativa” rispetto al monopolio delle Big Three e rappresentata da figure come Musk e Thiel. La nomina di Atkins alla Sec, di Bessent al tesoro, di Lutnick al commercio e la decisione di affidare ai dazi la prerogativa di reggere la tenuta del dollaro senza ricorrere alla politica dei tassi alti della Fed di Powell non piacciono certo a Fink e soci per cui i tassi alti sono la duplice garanzia di evitare la concorrenza di altri soggetti finanziari e del rendimento dei titoli del Tesoro americano. Minacciare una dedeollarizzazione è dunque un siluro ad alta carica diretto al nuovo presidente. La seconda ragione ha a che fare con l’Europa. Il Piano di riarmo, attraverso ReArm Europe e Readiness 2030, il bazooka tedesco del governo Merz, l’azione della Banca Europea degli investimenti orientata ancora verso il settore del riarmo, la prospettiva di un mercato unico dei capitali hanno convinto BlackRock e gli altri grandi fondi americani che in Europa sia possibile una vera e propria bolla finanziaria, decisamente remunerativa, generata appunto dalla spesa pubblica in direzione del settore degli armamenti. In questo senso, le Big Three hanno trovato nell’applicazione dell’Agenda Draghi – non a caso elogiato da Fink – una destinazione dei propri attivi in grado di sostituire la bolla tecnologica ormai davvero troppo gonfiata. In estrema sintesi, la politica del riarmo europeo ha fornito ai grandi fondi americani la strada per minacciare Trump, provando a spaventarlo, e, al contempo, per evitare gli effetti di una crisi finanziaria, determinata dall’ipertrofia dello S&P, di cui proprio i grandi fondi pagherebbero le conseguenze. La terza ragione si lega ai Bitcoin e, ancora una volta, è espressione dello scontro interno al capitalismo americano. Larry Fink indicando nei Bitcoin la possibile valuta di riserva internazionale vuole renderli estremamente appetibili e dunque creare su questa appetibilità una miriade di strumenti finanziari, in primis gli Etf, in grado di garantire ottimi risultati alle Big Three che con i Bitcoin intendono spazzare via tutto l’universo delle criptovalute legate all’élite finanziaria trumpiana. “Impossessandosi” dei Bitcoin attraverso la produzione di Etf BlackRock vuole cancellare un pezzo importante del sostegno finanziario a Trump. Una cosa mi pare evidente: è chiaro chi comanda e quanto le posizioni della Commissione europea favoriscano tale potere.

Alessandro Volpi 31-3-25

I padroni del mondo

FONTE Facebook Alessandro Volpi 22-3-25

Informazioni dettagliate sul libro : LINK

Tre considerazioni e una notizia. Le tre considerazioni sono molto legate tra loro. La notizia no. La prima considerazione riguarda il fatto che l’enorme mole di debito pubblico emesso dal governo federale tedesco rischia di perdere il rating di tripla A e quindi ha bisogno del favore delle principali Agenzie che assegnano tale rating. Ma di chi sono tali Agenzie? E’ naturale, dei grandi fondi finanziari che diventano così decisivi per la Germania in quanto saranno compratori del debito e gli assegneranno un voto in grado di rendere i loro acquisti particolarmente vantaggiosi e, al contempo, di rendere stabile lo stesso bazooka tedesco, in barba ai debiti degli altri paesi europei aggravati da tassi più alti e voti decisamente più bassi. La seconda considerazione è riconducibile al vero e proprio smantellamento di Agenzie, organi di controllo ed enti statistici operato da Trump e destinato a privare l’economia Usa di reali valutazioni. Ma da chi saranno sostituti questi enti cancellati? Anche qui è facile prevedere che un ruolo centrale nell’attribuzione del valore reale dell’economia Usa passerà attraverso la Agenzie di rating, rafforzando ulteriormente la centralità dei grandi fondi finanziari. La terza considerazione emerge dalla triste intervista di Romano Prodi al Corriere della sera in cui l’ex premier esalta il riarmo europeo, giudicandolo persino troppo debole e accusando la Sinistra di ideologismo e Dottrina. In pratica Prodi contrappone la saggezza del riarmo alla Dottrina dei pacifisti. Sarebbe da chiedere al prof. Prodi quanto sia stato saggio costruire un ipercapitalismo dove i grandi fondi danno i voti agli Stati e ne dettano le politiche economiche, a partire dalla alimentazione di una colossale bolla finanziaria legata proprio agli armamenti che a Prodi parrà certo molto saggia.
La notizia, me ne scuso, è personale. La casa editrice Laterza mi ha comunicato che il mio testo I padroni del mondo, dopo aver riscosso un notevole successo italiano, è stato acquistato da uno dei principali editori dell’America Latina – il Fundo de cultura economica – e sarà tradotto in spagnolo.

Alessandro Volpi 22-3-25

Come si costruisce la bolla

FONTE Facebook Alessandro Volpi 12-3-25

Come si costruisce la bolla. Per finanziare il piano ReArm Europe Enrico Letta ha proposto di creare – naturalmente ad opera dei grandi fondi – un “prodotto finanziario accessibile al risparmio retail e “fiscalmente incentivato”. Una ipotesi non troppo dissimile è stata espressa dal ministro Giorgetti, incontrando il favore di vari governi europei: in altre parole i titoli delle società che producono armi, in particolare quelle europee, dovrebbero essere le destinatarie dei risparmiatori, anche di quelli piccoli, che beneficeranno di sgravi fiscali e di rendimenti sicuri. Naturalmente gli sgravi fiscali peseranno sui conti pubblici e magari penalizzeranno quelli stessi risparmiatori sul versante della copertura sanitaria e pensionistica, per le quali dunque dovranno nuovamente ricorrere a polizze private, magari di nuovo premiate fiscalmente, in una continua erosione del gettito tributario. Per rendere questi titoli armati più attrattivi, l’Unione Europa ha deciso di rispondere ai pesanti dazi Usa sull’alluminio e sull’acciaio, già attivi con un’aliquota del 25%, non subito, come hanno fatto i cinesi, ma da aprile, mostrando così la debolezza della propria replica destinata a scoraggiare impieghi del risparmio diversi dagli armamenti. In altre parole, la debolezza della difesa degli altri settori produttivi facilita la “monocultura” delle armi, che si struttura prima di tutto in termini finanziari. Si scrive riarmo, ma si legge privatizzazione finanziarizzata.

Alessandro Volpi, 12-3-25

NOTA

Alessandro Volpi docente a Scienze Politiche della Università di Pisa e autore di numerosi saggi sulla politica economica tra cui:

–Storia del debito pubblico in Italia. Dall’Unità a oggi, con Leonida Tedoldi, Laterza Editore, 2021. Pisa, Pisa University Press, 2022.
–Crisi energetica: le ragioni di un’emergenza, Viareggio, La Vela, 2022.
–Prezzi alle stelle. Non è inflazione, è speculazione Gius. Laterza & Figli spa, Tempi nuovi, 2023
–Padroni del mondo. Come i fondi finanziari stanno distruggendo il mercato e la democrazia, Roma-Bari, Laterza, 2024
–L’America secondo Trump. Prospettive economiche e scenari globali La Vela (Viareggio), 2024
–Note di storia sindacale. Una traccia di lettura Pisa University Press, 2025

VEDI Alessandro Volpi – Wikipedia