Marx l’epicureo

Da Facebook questa nota di Angelo Mariani. Il titolo principale è redazionale.

Il giovane Karl Marx ed Epicuro

Il giovanissimo Karl Marx dedicò la propria tesi di laurea alla
Differenza tra le filosofie della natura di Democrito e di Epicuro“,
descrivendo quest’ultimo come “il più grande illuminista greco“, ovvero colui che espresse fino in fondo una critica radicale alla religione del tempo a favore dell’autocoscienza umana.
In questa visione Marx dissentiva, tuttavia, con il giudizio negativo formulato dal proprio Maestro, Hegel, circa il pensiero materialistico di Epicuro.
D’altro canto, il materialismo moderno, ed anche quello marxista, attinse molta ispirazione proprio alle fonti dei due grandi materialisti greci, Democrito ed Epicuro, in particolare Karl Marx più da quest’ultimo.
Al punto che sono ravvisabili varie tracce di epicureismo in tutta l’opera marxiana, ivi incluso “Il Capitale”.
Nello specifico, come si evince già dalla lettura della tesi di laurea, il giovane Marx apprezzava del pensiero di Epicuro la teoria del “clinamen”, ovvero della deviazione casuale nel percorso rettilineo degli atomi.
Si trattava di una concezione alquanto innovativa, nella misura in cui annullava il rigido determinismo insito nella filosofia atomistica di Democrito, rimuovendo dal materialismo ogni carattere squisitamente meccanicistico, per introdurre elementi nuovi, di natura dialettica (intesi nell’accezione hegeliana, di movimento), elementi di libertà e casualità nella visione del materialismo di stampo ateistico.
Tali elementi profondamente dialettici connoteranno il “materialismo storico” di Karl Marx e dell’amico fraterno Friedrich Engels. In buona sostanza, senza la filosofia di Epicuro, “il più grande illuminista greco”, probabilmente Karl Marx non avrebbe elaborato la concezione del materialismo storico, alla base del comunismo scientifico…

Caterina e i BaBau

da Facebook. Un libro illustrato da Caterina Betti per l’Albero delle Matite

Albero delle Matite

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PREPARATI A RIDERE CON LE VACANZE DEI BABAU!
La famiglia Babau sta per partire per una località di mare, ma non è tutto sole e relax. Con Mamma e Papà Babau entusiasti della spiaggia e un piccolo Babau che odia il caldo, le vacanze promettono di essere piene di dispetti e avventure!

Tra scherzi dei bambini e un caldo infernale, i Babau riusciranno a raggiungere la loro meta? Scoprilo in questa esilarante avventura scritta da Claudia Souza e illustrata da Caterina Betti!

Un viaggio estivo che ti farà ridere e divertirti!

Italo Calvino e i classici

𝗟𝗲 𝗿𝗲𝗴𝗼𝗹𝗲 𝗱𝗶 𝗜𝘁𝗮𝗹𝗼 𝗖𝗮𝗹𝘃𝗶𝗻𝗼 𝗽𝗲𝗿 𝗹𝗲𝗴𝗴𝗲𝗿𝗲 𝗶 𝗰𝗹𝗮𝘀𝘀𝗶𝗰𝗶

“La scuola e l’università dovrebbero servire a far capire che nessun libro che parla d’un libro dice di più del libro in questione; invece fanno di tutto per far credere il contrario.”
1. I classici sono quei libri di cui si sente dire di solito: “Sto rileggendo…” e mai “Sto leggendo…”.
Leggere per la prima volta un grande libro in età matura è un piacere straordinario: diverso (ma non si può dire maggiore o minore) rispetto a quello di averlo letto in gioventù. La gioventù comunica alla lettura come ad ogni altra esperienza un particolare sapore e una particolare importanza; mentre in maturità si apprezzano (si dovrebbero apprezzare) molti dettagli e livelli e significati in più. Possiamo tentare allora quest’altra formula di definizione:
2. Si dicono classici quei libri che costituiscono una ricchezza per chi li ha letti e amati; ma costituiscono una ricchezza non minore per chi si riserba la fortuna di leggerli per la prima volta nelle condizioni migliori per gustarli.
Infatti, le letture di gioventù possono essere poco proficue per impazienza, distrazione, inesperienza delle istruzioni per l’uso, inesperienza della vita. […] Rileggendo il libro in età matura, accade di ritrovare queste costanti che ormai fanno parte dei nostri meccanismi interiori e di cui avevamo dimenticato l’origine. C’è una particolare forza dell’opera che riesce a farsi dimenticare in quanto tale, ma che lascia il suo seme. La definizione che possiamo darne allora sarà:
3. I classici sono libri che esercitano un’influenza particolare sia quando si impongono come indimenticabili, sia quando si nascondono nelle pieghe della memoria mimetizzandosi da inconscio collettivo o individuale.
Dunque, che si usi il verbo “leggere” o il verbo “rileggere” non ha molta importanza. Potremmo infatti dire:
4. D’un classico ogni rilettura è una lettura di scoperta come la prima.
5. D’un classico ogni prima lettura è in realtà una rilettura.
6. Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire.
7. I classici sono quei libri che ci arrivano portando su di sé la traccia delle letture che hanno preceduto la nostra e dietro di sé la traccia che hanno lasciato nella cultura o nelle culture che hanno attraversato (o più semplicemente nel linguaggio o nel costume)
La lettura d’un classico deve darci qualche sorpresa in rapporto all’immagine che ne avevamo. Per questo non si raccomanderà mai abbastanza la lettura diretta dei testi originali scansando il più possibile bibliografia critica, commenti, interpretazioni. La scuola e l’università dovrebbero servire a far capire che nessun libro che parla d’un libro dice di più del libro in questione; invece fanno di tutto per far credere il contrario. C’è un capovolgimento di valori molto diffuso per cui l’introduzione, l’apparato critico, la bibliografia vengono usati come una cortina fumogena per nascondere quel che il testo ha da dire e che può dire solo se lo si lascia parlare senza intermediari che pretendano di saperne di più di lui.
8. Un classico è un’opera che provoca incessantemente un pulviscolo di discorsi critici su di sé, ma continuamente se li scrolla di dosso.
Non necessariamente il classico ci insegna qualcosa che non sapevamo; alle volte vi scopriamo qualcosa che avevamo sempre saputo.
9. I classici sono libri che quanto più si crede di conoscerli per sentito dire, tanto più quando si leggono davvero si trovano nuovi, inaspettati, inediti.
[…] La scuola deve farti conoscere bene o male un certo numero di classici, tra i quali tu potrai riconoscere in seguito i “tuoi” classici. La scuola è tenuta a darti degli strumenti per esercitare una scelta, ma le scelte che contano sono quelle che avvengono fuori e dopo ogni scuola.
10. Chiamasi classico un libro che si configura come equivalente dell’universo, al pari degli antichi talismani.
11. Il “tuo” classico è quello che non può esserti indifferente e che ti serve per definire te stesso in rapporto e magari in contrasto con lui.
12. Un classico è un libro che viene prima degli altri classici, ma chi ha letto prima gli altri e poi legge quello, riconosce subito il suo posto nella genealogia.
L’attualità può essere banale o mortificante, ma è pur sempre un punto in cui situarci per guardare in avanti o indietro. Per poter leggere i classici si deve pur stabilire “da dove” li stai leggendo, altrimenti sia il libro che il lettore si perdono in una nuvola senza tempo. Ecco, dunque, che il massimo rendimento della lettura dei classici si ha da parte di chi ad essa sa alternare con sapiente dosaggio la lettura d’attualità.
13. È classico ciò che tende a relegare l’attualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno.
14. È classico ciò che periste come rumore di fondo anche là dove l’attualità più incompatibile fa da padrona.
[…] Poi dovrei riscriverlo ancora una volta perché non si creda che i classici vanno letti perché “servono” a qualcosa. La sola ragione che si può addurre è che leggere i classici è meglio che non leggere i classici. E se qualcuno obietta che non val la pena di far tanta fatica, citerò Cioran: “Mentre veniva preparata la cicuta, Socrate stava imparando un’aria sul flauto. ‘A cosa ti servirà?’ gli fu chiesto. ‘A sapere quest’aria prima di morire’”.

Italo Calvino, “Perché leggere i classici”, Mondadori, 1981

Candidati alla Casa Bianca

Dopo gli attori, i Paperon dei Paperoni. gli zii Tom oggi sembra giunto il momento degli atleti. Tra le tante specialità in voga in America sembra che prevalga il Wrestling, lo sport che meglio incarna lo spirito del Vero Americano.

Candidati repubblicani

La risposta dei democratici

In alto : il grande John Cena: Uno dei volti più riconoscibili del wrestling moderno: noto per il suo slogan “Never Give Up” interpreta il volto del bravo giovane di campagna, ricorda Lil Abner di Al Cap.
Da sinistra
The Rock Dwayne Douglas Johnson, è anche attore e produttore cinematografico. Benché di origini canadesi e samoane. è nato in California e può quindi diventare Presidente degli Usa.
Ric Flair, pseudonimo di Richard Morgan Fliehr noto anche con il soprannome “Nature Boy” potrebbe essere un ottimo candidato alla vicepresidenza, in linea con la cultura woke
Macho Man. Randall Mario Poffo, meglio conosciuto come “Macho Man” Randy Savage, in realtà è attualmente morto ma potrebbe benissimo occupare il posto senza che nessuno se ne accorga

Ciao ciao Bibi, ciao ciao

La lettera di Michael Moore al Presidente Netanyahu in visita d’affari al Congresso Americano

Caro primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu:

Tra pochi minuti entrerete nel nostro Congresso degli Stati Uniti per tenere un raro discorso di un leader straniero a una sessione congiunta di senatori e membri della nostra Camera dei Rappresentanti.

Mentre ti avvicini al podio, potresti notare che il Presidente del Senato non sarà seduto lì sopra di te a presiedere, come da tradizione, l’aula. Questo perché il presidente del Senato è il vicepresidente Kamala Harris. Ha deciso di non partecipare. È estremamente raro che il Presidente del Senato salti un grande evento come questo. Non sarà lì ad applaudirvi o a stare con voi. Ha deciso invece di passare la giornata a, ehm, Indianapolis. A una riunione della confraternita.

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La prima civiltà

da Facebook grazie ad Antonio Pettena
“Non è un caso che siano le parole di una donna … che da sempre è la vera custode della nostra civiltà”


Anni fa, uno studente chiese all’antropologa Margaret Mead quale riteneva che fosse il primo segno di civiltà in una Cultura. Lo studente si aspettava che Mead parlasse di ami, pentole di terracotta o macine di pietra. Ma non fu così.
Mead disse che “il primo segno di civiltà in una cultura antica era un femore rotto e poi guarito”. Spiegò che nel regno animale, se ti rompi una gamba, muori. Non puoi scappare dal pericolo, andare al fiume a bere qualcosa o cercare cibo. Sei carne per bestie predatrici che si aggirano intorno a te. Nessun animale sopravvive a una gamba rotta abbastanza a lungo perché l’osso guarisca.
Un femore rotto che è guarito è la prova che qualcuno si è preso il tempo di stare con colui che è caduto, ne ha bendato la ferita, lo ha portato in un luogo sicuro e lo ha aiutato a riprendersi. Mead disse che “aiutare qualcun altro nelle difficoltà è il punto preciso in cui la civiltà inizia”. Essere civili è questo.

Ira Byock