La prima civiltà

da Facebook grazie ad Antonio Pettena
“Non è un caso che siano le parole di una donna … che da sempre è la vera custode della nostra civiltà”


Anni fa, uno studente chiese all’antropologa Margaret Mead quale riteneva che fosse il primo segno di civiltà in una Cultura. Lo studente si aspettava che Mead parlasse di ami, pentole di terracotta o macine di pietra. Ma non fu così.
Mead disse che “il primo segno di civiltà in una cultura antica era un femore rotto e poi guarito”. Spiegò che nel regno animale, se ti rompi una gamba, muori. Non puoi scappare dal pericolo, andare al fiume a bere qualcosa o cercare cibo. Sei carne per bestie predatrici che si aggirano intorno a te. Nessun animale sopravvive a una gamba rotta abbastanza a lungo perché l’osso guarisca.
Un femore rotto che è guarito è la prova che qualcuno si è preso il tempo di stare con colui che è caduto, ne ha bendato la ferita, lo ha portato in un luogo sicuro e lo ha aiutato a riprendersi. Mead disse che “aiutare qualcun altro nelle difficoltà è il punto preciso in cui la civiltà inizia”. Essere civili è questo.

Ira Byock

mentre vigilo sul riso che cuoce

«A quest’ora,
nel silenzio della mia cucina
mentre vigilo sul riso che cuoce
e sento gocciolare un rubinetto difettoso,
penso alle donne lontane
che si appendono un fucile in spalla
per entrare nella foresta.
O a quelle che si caricano il figlio
e camminano per ore in cerca di acqua.
O a quelle che si spogliano
in una stanza triste e si vendono.
Le figlie di Eva cacciate
da un mondo imperfetto che gocciola.»

(Begoña Abad Part, da “Cuaderno de poesía crítica nº. 135”)

Dialettica: immanenza vs trascendenza

Riportiamo da Facebook questo interessante dialogo e l’ottima pittura rupestre

Franco Ciappi

Telmo Pievani sostiene giustamente che, come in natura e nella società tendiamo ad aggregarci in “tribù”, anche sui social tendiamo a costruire delle nicchie di “amici” che hanno gli stessi interessi, le stesse passioni, le stesse opinioni politiche, ecc. Così non facciamo che cercare e concedere approvazione, sostenendoci vicendevolmente in un “ambiente” tutto sommato protetto, nel quale il dibattito viene meno.
Ecco perché, spesso, tendo a provocare gli “amici” credenti cercando di smontare le loro illusioni con argomenti sia scientifici che di esegesi biblica, sapendo quanto sia difficile scalfire credenze che hanno una base evoluzionistica. Siamo geneticamente fatti per credere. In quanto prede nella stragrande parte della nostra esistenza sulla terra, siamo portati a dare intenzionalità ad accadimenti per niente intenzionali: se nel bosco sentivamo un rumore o vedevamo un ramo spezzato, non era il caso di mettersi a riflettere su cosa potesse esserne la causa, al 90% non sarà stato niente di pericoloso, ma era molto più vantaggioso mettersi subito in salvo, pensando a un predatore, per non rischiare di essere mangiati; e coloro che non sono stati mangiati sulla base di questa credenza, sono gli antenati che si sono riprodotti. Da qui all’animismo, alle superstizioni e alle religioni il passo è stato breve. Ma non è affatto un destino: una precoce educazione scientifica e di sviluppo del pensiero critico può invertire la tendenza che ci indirizza “naturalmente” verso l’irrazionale e il soprannaturale.
Pitture rupestri stupefacenti nella Grotta Chauvet (Francia) risalenti a oltre 30.000 anni fa

Stefano Leporatti

Permettimi un’ obiezione: se siamo geneticamente fatti per credere, confutare le credenze religiose con l’ esegesi della Bibbia o con argomentazioni scientifiche, mi pare che sia fatica sprecata. Penso che non esista credente che sia diventato tale avendo letto i sacri testi. Non si diventa credenti, perché si è letta la Bibbia. Casomai, il contrario. Ed ora le dolenti note: se l’animismo, la superstizione, le varie religioni sono il frutto dell’evoluzione, cioè del lento, a volte brusco, processo di trasformazione delle cellule celebrali, noi poveri non credenti, agnostici, atei, di quale albero siamo il frutto?

Il curioso caso “Cheddar Man”

da Facebook Stefania Andreini propone un caso destinato a sconvolgere gli assetti politici italiani

Il caso Cheddar Man

Il caso di “Cheddar Man”: un uomo britannico è diretto discendente di un uomo vissuto circa 9.000 anni fa, durante il periodo Mesolitico.
“L’uomo di Cheddar” è un fossile umano maschile trovato nel 1903 nella grotta di Gough nella gola di Cheddar, Somerset, Inghilterra. I resti risalgono al Mesolitico (circa 10.000 anni prima del presente) ed è il più antico scheletro completo di Homo sapiens trovato in Gran Bretagna.
Per anni questo fossile non ha ricevuto molta attenzione dalla comunità scientifica, fino a quando nel 1997 si è scoperto che un insegnante di storia inglese non è solo il suo diretto discendente, ma vive nella stessa regione.
Discendente diretto di un individuo preistorico:
Il DNA di Adrian Targett, professore di storia, corrisponde a quello dell’uomo di Cheddar. L’impronta genetica è stata trasmessa da madre in figlio. In poche parole, entrambe le persone hanno un antenato materno in comune.

La reazione di Salvini

Appena gli hanno raccontato la notizia sembra che Matteo Salvini abbia chiesto che gli predisponessero una proposta di legge tesa a salvaguardare l’identità padana. Saranno certificati tali solo coloro che potranno addurre un reperto fossile di provenienza compresa tra le Alpi e l’Appennino non inferiore a 1000 anni di età il cui DNA comprovi la diretta discendenza del richiedente.
Tutti gli altri che intendano rimanere dovranno esibire in parte del corpo ben visibile un marchio a fuoco o anche ad incisione laser recante la scritta “Terùn” o, nei casi più gravi, “Negher”.

La reazione degli autoproclamati Governatori delle regioni padane sono state positive, anche se con qualche distinguo: in particolare Zaia propone un emendamento teso a distinguere il territorio che comprende il Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige.

e quella della Santanchè

La Santanchè ha subito creato un’azienda per gli scavi ed una per le certificazioni che si aggiungeranno a quelle per le evasioni (anche fiscali), per gli elitaxi, per la gestione di stabilimenti balneari ecc ecc

A sinistra il Matteo Salvini, Capolega, Ministro e Vicepresidente
Sulla destra il giullare di Federico I Barbarossa, imperatore del Sacro Romano Impero e conte palatino della Lombardia

Il Grande Fratello è buono

Facendo un’eccezione alla regola riportiamo un pezzo pubblicato da sinistrainrete e prima ancora nel blog Facebook di Andrea Zhok. Ne vale la pena.

di Andrea Zhok

Oggi, sfogliando un po’ di siti di informazione online sono incappato in due notizie, nessuna delle due del tutto nuova.

La prima è la notizia della cessione del governo italiano delle infrastrutture di telecomunicazione nazionali, prima TIM, al KKR Global Institute, fondo americano presieduto dall’ex generale David H. Petraeus, ex direttore della CIA.

Niente di anomalo, niente che non rientri nella fisiologia di questo paese.

Il governo “sovranista”, quello che si imporpora d’orgoglio nazionale quando deve fare gli spottoni pre-elettorali, cede serenamente e sistematicamente ogni residuo di autonomia al capobastone americano.

Per l’occasione, allarmi antifascisti non pervenuti.

I nostri sovranisti à la carte del “fascismo” hanno recepito più o meno solo il principio di cieca obbedienza gerarchica e un po’ di darwinismo sociale.

La cieca obbedienza al capobranco oggi si esercita in direzione di un padrone con passaporto americano e il darwinismo sociale si traduce in mercatismo (il mercato ha sempre ragione, il mercato è efficiente, il mercato è buono, in particolare se a comprare è un padrone a stelle e strisce.)

E incidentalmente, queste due ombreggiature “fasciste” – cieca obbedienza ai caporali di Washington e mercatismo – sono principi abbracciati entusiasticamente anche dal centrosinistra.

Ricordiamo, di passaggio, che la dismissione delle telecomunicazioni venne inaugurata illo tempore dal centrosinistra, con Prodi: c’è qualcosa di esteticamente mirabile nel vedere che la parabola che si è aperta con Prodi viene oggi chiusa dalla Meloni.

La seconda notizia in cui sono incappato è un’articolessa su Repubblica, in cui si perorava la causa della didattica a distanza, spiegando nel titolo come “l’84% degli studenti si sente più sicuro e preparato grazie al mondo digitale”.

Assumendo di rivolgermi a persone intelligenti non mi metterò neppure a refutare questa corbelleria.

Vi troviamo l’usuale sparata percentuale (l’84% eh, mica cai) che mima la retorica scientifica, attraverso la quale questa carta da pesce gabella la propria propaganda come “autorevole”.

Vi troviamo una balla sesquipedale, evidente a chiunque abbia constatato la mostruosa impennata dei problemi psichiatrici adolescenziali dopo la clausura (e la didattica a distanza) del covid.

Ma ci troviamo, soprattutto – e questo è ciò che fa venire i brividi – una quadratura mirabile – ancorché contingente – con la prima notizia.

Ricordiamo infatti cos’è esattamente la rete venduta agli americani. Riporto, a titolo di resoconto, un passaggio da fonte non sospettabile di antiamericanismo, una pagina del Corriere della Sera di qualche tempo fa:

“La rete di telecomunicazioni di Tim è la più estesa d’Italia: è composta da oltre 21 milioni di chilometri di cavi in fibra ottica e copre l’89% delle abitazioni. È la principale infrastruttura per la trasmissione dei dati di cittadini, imprese e pubblica amministrazione. É considerata strategica per la sicurezza nazionale ed è lo snodo principale per la digitalizzazione del Paese, che passa per l’introduzione delle applicazioni digitali fondamentali per il futuro delle imprese italiane e per l’ammodernamento dei servizi al cittadino da parte della pubblica amministrazione previsto dal Piano di ripresa e resilienza.”

Dunque, in sostanza.

Il Piano di ripresa e resilienza, insieme a tutti i vari progetti europei di digitalizzazione forzata, preme per estendersi anche alla formazione scolastica (donde l’articolessa pubblicitaria di Repubblica).

Il quadro della società che emerge come un desideratum è dunque quello di un mondo di interazioni massimamente digitalizzate, i cui veicoli sono sorvegliati o sorvegliabili, manipolati o manipolabili, a piacimento da un comando estero con agenda militare.

Aggiungo una notazione laterale.

Conosco fin troppo bene le reazioni del liberale italiano medio (cioè dell’elettorato mainstream) per non anticiparne la reazione automatica di fronte a simili osservazioni.

La loro reazione naturale è di vedere in tutte queste osservazioni i germi di un complottismo che vede piani malvagi e intenzioni di nocumento ovunque.

Invece bisogna fidarsi.

Perché il soggetto politico qui è il Blocco-del-Bene (progressismo, liberalismo, dirittumanismo, globalismo, americanismo).

Ciò che in qualche misura diverte in questa forma di cecità selettiva è l’inavvertita inconsequenzialità.

Infatti, è parte della concezione antropologica di fondo del liberale l’assunto che tutti gli agenti siano mossi sistematicamente da agende di interesse autoaffermativo, da egoismo, ambizione autoreferenziale, pulsione ad appagare la propria curva privata di utilità.

Tra i tanti difetti di una visione così deprimente dell’umano, almeno un aspetto potrebbe tornare utile in tempi oscuri come i presenti: sotto tali premesse dovrebbe almeno essere diffusa un’allerta costante, una cultura del sospetto rispetto a intenzioni e dichiarazioni “idealiste”, una sfiducia nella “voce del padrone”.

E invece – potenza del bispensiero – niente di tutto ciò accade. Rispetto al padrone reale in carica vige solo infinita fiducia nella sua superiore nobiltà e lungimiranza.

Perché il Grande Fratello è buono.

E chi ne dubita è un complottista.

*Post Facebook del 2 luglio 2024

LINK https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/28435-andrea-zhok-il-grande-fratello-e-buono.html