Quando ero giovane, si proiettava un film “IRMA LA DOUCE” – Irma la dolce. Dicevo ai miei compagni: Io ho una cugina che si chiama Irma ma non la conosco perché vive in Sardegna. Per tanti anni non ci siamo mai incontrati. Un giorno di qualche anno fa, sento dire da Maria:” Irma se né andata, è andata via, non c’è più”. Come non c’è più!!!!, dove è andata?? con chi???!. Non era possibile, aveva il marito. Eppure se n’era andata davvero: Era andata “Nel cielo blu dipinto di blu”.
La bambina non si decideva ad andare a letto, pareva che l’eccitazione degli adulti le si fosse trasmessa nonostante fingessero normalità. Gli zii e la cugina giocavano a carte sul tavolo di marmo di cucina, osservati dal nonno che stringeva fra i denti la pipa spenta; il babbo leggeva il giornale sulla bergère del salotto.
Alla fine l’Amalia pose fine agli indugi: la portò in camera, le infilò il pigiama e si sedette accanto al lettino smaltato di rosa, una mano chiusa a pugno fra quelle della piccola che iniziò, come ogni sera, ad accarezzarle le nocche disegnando cerchi con le piccole dita. Una sorta di tortura cinese per la mamma che intonò a bassa voce la ninnananna fiorentina, l’unica che conosceva: “nannao nannao… questa bambina a chi la do…”
Subito carte e giornale sparirono dalla scena; facendo cenno l’uno all’altro di restare in silenzio, tutti si davano da fare. Il babbo e lo zio trascinarono su per le scale il grande abete che sfiorava il soffitto, la zia corse ad aprire la scatola dove riposavano, incartati ad uno ad uno con il giornale dell’anno prima, gli addobbi colorati. Palle di vetro semplici, le più belle interrotte da una girandola, fragili, difficili da maneggiare. Un tocco distratto, un rapido scivolìo e mille pezzi colorati si dividevano in minuscoli frammenti sulle mattonelle esagonali del pavimento.
Il nonno, dalla bergère spostata in un angolo per far posto all’albero, in silenzio osservava i lavori.
Dopo che, finalmente, la bambina si fu addormentata, arrivò la mamma a dar mano. C’erano ancora da agganciare i mandarini profumati e i sacchetti di noci e fichi secchi dell’orto e infine i cioccolatini a forma di Babbo Natale avvolti nella carta stagnola. Già s’immaginavano la gioia della bambina mentre li sgranocchiava.
L’ultimo tocco lo diede il babbo, sotto l’occhio vigile dello zio: era un compito delicato agganciare le candele alle fronde dell’albero, bisognava calcolare che l’altezza delle fiammelle non sfiorasse i rametti sovrastanti. Non sarebbe stato un gran giorno di Natale quello in cui la casa fosse andata a fuoco.
Gli anni precedenti la bambina era troppo piccola per apprezzare l’albero di Natale, quello per lei sarebbe stato il primo; così al mattino erano tutti lì ad aspettare le sue grida di sorpresa, pregustavano i salti, gli occhi scintillanti di gioia, gli abbracci che avrebbe regalato a tutti.
Arrivò per mano alla mamma, i capelli arruffati, il golfino infilato sopra il pigiama rosa e le pantofole scozzesi ai piedi. Era una bambina silenziosa, un po’ imbronciata, sempre a rincorrere le sue fantasie.
Lasciò la mano della mamma, guardò l’albero scintillante di vetri e di stagnole, le fiammelle tremolanti che puntavano il soffitto. Lo guardò con occhi critici, la fronte corrugata, le labbra strette. Poi si rilassò e sorrise.
«L’ho fatto io!» disse, soddisfatta.
La bambina ero io, avevo tre o quattro anni, la storia è vera. Ogni volta che me la raccontavano i ‘grandi’ ridevano come matti.
Avete mai provato a sfogliare Libero, o avete mai visto in TV qualche suo giornalista?
Solo così potrete apprezzare in pieno la vignetta, che in altro contesto troveremmo un po’ pesante
Provare per credere
Valentino e l’attualità dei classici
di Anna Maria Guideri
Specchio specchio delle mie brame chi è il più fascio del reame?
O Mussolini vestito di nuovo, tu sei la Giorgia in gonna e tacchini; lei ha stanato i fascisti dal covo: sono al governo i repubblichini! Porta la fiamma che il duce le fece ed il baston che risale a quel dì … Contro i migranti lo agita, invece ai forti poteri lei dice di sì. Lei per le donne poco si è spesa; costano i nidi al salvadanaio … Sì è una donna, ma ora si è arresa ai maschilisti del suo pollaio. “ E’ sempre valido il Codice Rocco, la magistratura io voglio ai miei piè … La Costituzione io la ritocco e ai magistrati rispondo: tiè!” O Mussolini vestito da donna che agiti ancora il manganello, mettiti pure, se vuoi, la gonna, ma è sempre quello il tuo cervello!
Vanna Panerai su Facebook riporta una considerazione della Dott.ssa Alice Rotelli, fatta il 30 marzo 2023: prima della piazzata del Presidente della Coldiretti Prandini davanti alla Camera e relativa aggressione al parlamentare Della Vedova che aveva contestato in aula l’atto del Governo che vietava la ricerca la produzione ed il consumo della cosidetta “carne sintetica”, meglio sarebbe dire “carne coltivata”, “carne pulita”, “carne in vitro” o “carne artificiale”.
Dott.ssa Alice Rotelli
La cosiddetta “carne sintetica”, che tanto fa storcere il naso a molti, altro non è che un prodotto alimentare realizzato utilizzando cellule animali. Il processo prevede l’estrazione delle cellule staminali e quindi la proliferazione in una soluzione nutritiva all’interno di un bioreattore; le fibre muscolari così ottenute vengono utilizzate per produzione finale della carne. Definirla “sintetica”, in realtà, è sbagliato: è un termine atto solo a suscitare un’ingiustificata repulsione verso tale prodotto. In realtà, come spiegato sopra, si tratta di carne coltivata derivante da cellule vere e proprie. La carne prodotta “in vitro” ad oggi è legale negli Stati Uniti e a Singapore. Il vantaggio è che da una sola cellula si possono ottenere circa 10mila chili di carne in poche settimane. Vietarne la produzione ed il consumo significa non solo porre dei limiti alla libertà di chi vuole percorrere strade alternative, ma soprattutto non riuscire a vedere oltre il proprio naso. Siamo infatti ormai 8 miliardi di persone ed il numero è destinato ad aumentare costantemente ed inesorabilmente. La produzione ed il consumo di alimenti ben presto diventerà insostenibile, se non si trovano soluzioni alternative. Gli allevamenti intensivi non sono la scelta corretta: non sono ecosostenibili e comportano un rischio tangibile di sviluppo di antibiotico-resistenza che, a sua volta, costituisce un problema sanitario sempre più dilagante e oltremodo preoccupante. La carne “in vitro”, invece, non lede il benessere animale, permette una sostenibilità ambientale ed una sicurezza alimentare. In conclusione, la carne in vitro, come anche le fonti proteiche che possono derivare dagli insetti, devono essere viste piuttosto come un’opportunità e non come un problema da vietare a priori. Rinunciarci o vietarla in nome di un principio o di una ideologia retrograda è da persone ottuse e non lungimiranti.
Manolo Lanaro su Il Fatto Quotidiano 16-11-2023
“Delinquente, buffone“. Il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, ha aggredito questa mattina il deputato di +Europa, Benedetto Della Vedova, fuori dal Parlamento. Mentre era in corso alla Camera la discussione del disegno di legge sulla carne coltivata, all’esterno la Coldiretti ha organizzato un sit-in coi propri iscritti. A un certo punto – come si vede nel video – Prandini ha raggiunto Della Vedova (in compagnia di Riccardo Magi e un piccolo gruppo di persone che stava manifestando contro il divieto alla carne coltivata con alcuni cartelli in mano) e lo ha spintonato, insultandolo. Immediata la reazione dei presenti e delle forze dell’ordine, che hanno allontanato il presidente di Coldiretti.
“Se il presidente di Coldiretti si sente in diritto di aggredire un parlamentare credo che siamo all’eversione. È una persona che non dovrebbe ricoprire un ruolo del genere, ora facciamo una bella denuncia” ha dichiarato Della Vedova, dopo le tensioni davanti a Palazzo Chigi. “Chiediamo che il governo si dissoci”, ha aggiunto il segretario Magi. “Sono andato ad incontrarlo per dirgli quello che pensavo di lui – ha detto Prandini – Da lì c’è stata qualche piccola spinta, ma niente di più, che viene strumentalizzata dallo stesso per avere un po’ di visibilità in termini mediatici”.
Marco Nepi su TPI The Post Internazionale del 16-11-2023
Le proposte del Governo Poponi contro la carne sintetica
Ma dove sono finiti tutti i portatori di bandiera ucraini, quelli che volevano cancellare poeti, scrittori e cantanti russi, che inneggiavano ai Leopard e ai missili Himars, che invitavano Zelinsky ad ogni festicciola e a parlare ovunque? Ce ne fosse uno solo tra il mezzo milione di morti ucraini, ma no, sono qui tutti vivi e vegeti ad inneggiare al nuovo eroico esercito israeliano che ha ammazzato in un mese dieci volte tanti bambini di quelli uccisi in Ucraina dalle due parti in 18 mesi. E stasera faranno il tifo contro l’Ucraina, perché sanno bene quali sono le cose importanti.
Da Facebook un contributo di Gianpasquale Santomassimo
di Gianpasquale Santomassino
Note a margine del Caso Claps. Ho guardato la fiction Rai sul Caso Claps e anche il documentario di Sky. Li ho guardati lentamente, perché ero turbato dalla vicenda allucinante e anche dall’ambientazione che suscitava troppi ricordi. Sembrerà strano, ma la cosa che mi ha fatto più impressione sono le scalinate, che in parte avevo dimenticato o rimosso. Per come sono ridotto oggi mi pare impossibile avere salito e sceso migliaia di volte tante scale (all’epoca non esistevano le scale mobili, evocate nella fiction, che fra l’altro non mostra le scale più lunghe e ripide, come quelle che facevamo ogni giorno per andare a scuola). Ma vorrei dire qualcosa su quella chiesa, che non è quella mostrata nel telefilm (ma ben visibile nel documentario). La chiesa della SS.Trinità era diventata la parrocchia della classe dirigente locale. L’orario della messa domenicale, alle 11, era molto comodo e consentiva di farsi vedere da tutti, salutare gli amici, omaggiare i potenti. Era anche l’unica chiesa che si affacciasse sul corso principale. Il viscido arciprete della Trinità, nel suo delirio di onnipotenza, vagheggiava che gli abbattessero l’isolato che si interponeva tra la chiesa e la piazza principale, ma per fortuna su questo non potevano dargli soddisfazione. Ma quella chiesa aveva avuto una storia più nobile e interessante, legata alla figura di Don Vincenzo D’Elia, che nel 1919 aveva ricevuto da Don Luigi Sturzo il mandato di costruire il Partito Popolare in Lucania, e che va considerato il creatore effettivo della presenza politica dei cattolici nella regione. Il giovane Emilio Colombo era stato suo allievo, e con lui gran parte della prima classe dirigente che avrebbe conquistato una forte egemonia regionale, scalzando l’influenza delle consorterie legate a Francesco Saverio Nitti. Tenne in vita una presenza, durante il regime, che se non si può definire antifascista fu sicuramente “afascista”, declinata in termini concorrenziali più che oppositivi. Ripensando a posteriori a quella vicenda mi sono fatto l’idea che l’arciprete della Trinità avesse sofferto di un vero e proprio complesso di inferiorità rispetto alla memoria di Don D’Elia, cercando in tutti i modi di riprodurne l’attivismo culturale e politico, fondando associazioni, ospitando giovani, ma senza avere la cultura e la stoffa del suo predecessore. E con risultati mediocri o disastrosi. Un’ultima cosa da segnalare è che la chiesa lucana aveva avuto fino ad allora una tradizione relativamente “progressista”, che viene spegnendosi in quegli anni e che oggi pare un ricordo sbiadito del passato, come testimoniano le parole e gli atti, di incredibile arroganza, del vescovo attuale sulla vicenda di Elisa Claps, con la decisione di riaprire la chiesa con una lapide in ricordo dell’arciprete ma non di Elisa, uccisa e lasciata per tanti anni sotto il tetto di quella chiesa. Ma per due secoli la tradizione era stata molto diversa. Io sono nato in una stradina vicina al Duomo, che si chiama “Via dei sacerdoti liberali”. Un nome che mi era sempre suonato molto strano, quasi paradossale, fino a quando in età matura non avevo studiato il periodo napoleonico in Italia. Per scoprire che la Chiesa di Potenza aveva aderito alla Repubblica Napoletana. E che quando le bande sanfediste del cardinale Ruffo espugnarono Potenza il vescovo venne decapitato sul sagrato del Duomo, e la sua testa, conficcata in una picca, venne portata in processione nelle strade cittadine.