Vendemmia 2023. Riunione del Consiglio dei Ministri
Nonostante la siccità il Governo manifesta ottimismo per la vendemmia di quest’anno
Nonostante la siccità il Governo manifesta ottimismo per la vendemmia di quest’anno
Ringraziando Mauro Sbordoni da Facebook
Con la vittoria della Guerra fredda da parte americana e la dissoluzione dell’Urss era stato annunciata un’era felice per tutta l’umanità: democrazia benessere e pace universale.
Come volevasi dimostrare
da Facebook l’arte di Marco Marchiani
La vita è sogno.
Il sogno è la vita dei ricordi e ai ricordi fa prendere corpo.
Da Quora riportiamo questa puntualizzazione storica sulla Ucraina la Crimea, la Russia. e dintorni
Non siamo in grado di dare una valutazione sulla scientificità del saggio ma ci sono molto piaciute le carte storiche.
L’Ucraina è un paese illegittimo che esiste su una terra che è storicamente e giustamente russa?
Risposta breve : no, ad eccezione della Crimea
Risposta lunga : no, ad eccezione della Crimea ma mi va di fare una lezione di storia
Leggi tutto “Ucraina, un po’ di storia”Della serie: Non fiori ma opere di bene
Riduzione effettuata dall’intelligenza artificiale
L’arte di Mario Strippini
Nadia Urbinati
Domani del 27-9-2023
“Bisogna abbracciare prospetti dinamici che esprimano paradigmi virtuali di impatto permanente e perifrastico! (Elly Schlein)”. Questa e altre simili frasi senza senso attribuite (falsamente) alla segretaria del PD circolano da giorni sui social, lasciando interdetetti coloro che credono si tratti davvero di una citazione e coloro che colgono qui la propaganda lanciata dalla destra e dai suoi consci o inconsci sostentori per indebolire il maggiore partito di opposizione. E’ una strategia retorica populista che invita ad identificare la leader democratica con una minoranza elitaria, lontana dal popolo. “Non parla come il popolo”, “non parla come mangia”, “non parla con empatia”, “sembra una studentessa sotto esame”, “parla come se si rivolgesse ai suoi amici”, ecc. Lo scatenamento di questo metodo di denigrazione rivela il tenore di un’opinione pubblica incivile, che per nullificare i contenuti (proprio quando sono difficili da contestare) usa la strategia della demolizione di chi li propone. In questo modo, invece di parlare del pessimo accordo tra Roma e Tunisi (criticato largamente in Europa), in Italia ci si sofferma sul termine usato da Schlein qualche giorno fa a Otto e Mezzo: il governo italiano usa la politica dell’esternalizzazione.
I lavoratori precari italiani sanno che cosa sia l’esternalizzazione, lavorando per cooperative e aziende che sono appaltate per svolgere parti di un lavoro per un azienda madre, la quale può così lucrare su un lavoro eseguito a costi più bassi di quelli che avrebbe se assumesse i lavoratori. Esternalizzare significa far fare ad altri il lavoro sporco, nascondendo la responsabilità per l’eventuale danno ai lavoratori (o ai migranti). Non è poi così difficile da capire. Parla di deresponsabilizzazione. Ma quella parola ha provocato un puttiferio sui social, facendo divertire (che è sano e legittimo) e scatendando il sarcasmo (anch’esso sano e legittimo). L’esito di quel divertimento più che legittimo non è per nulla ironico. L’esito è pagare dazio alla logica populista che vuole il semplicismo (da non confondersi con la semplicità), che vuole che la parola sia propaganda urlata e scandita emotivamente. Proprio come fa Giorgia Meloni quando veste i panni della pasionaria sovranista – sarebbe interessante sapere come i traduttori del suo discorso all’ONU abbiano reso il termine “scafista” che la Presidente ha usato per indicare un nemico dell’umanità al quale dichiarare guerra e chiedere l’intervento delle Nazione Unite. Ma quella parola per noi italiani è facilissima, anzi semplicissima.
Si vuole dunque una lingua che arrivi alla pancia, salvo poi lamentare una politica che parla alla pancia, quando cioé si dimenticano le critiche al linguaggio difficile e si comincia a castigare il semplicismo. Da un estremo all’altro. L’opinione competente che dovrebbe guidare il giudizio pubblico si fa in questo modo attenta generatrice di audience: quanti click ha avuto quell’articolo? Quanti followers ha scatenato quella bastonatura linguistica? Un metodo che eleva e butta giù persone e leader con velocità; che non lascia articolare un argomento perchè la logica dell’interlocuzione pubblica è quella di Twitter: in due parole che parlino alla pancia si deve esprime il senso delle cose. Non c’è tempo per spiegare. Ha un effetto civico riascoltare le interviste di Enzo Biagi ai politici e alle politiche del suo tempo, conversazioni difficili per le orecchie di oggi, abituate ad ascoltare la pancia.
Funerali del Presidente Napolitano.
Passerella di amici e nemici.
Il pluridecorato Lamberto Dini di Firenze, giovane virgulto di 92 anni, ancora non pago della carriera di statista economista politico di lungo corso,
si butta nella mischia del “sono più a destra della destra” alla ricerca di un qualche ruolo.
Intervistato da “Un giorno da pecora” insegna al Papa come fare il suo mestiere. Forse ha sbagliato trasmissione, credeva di essere ad “Un giorno da asino”
Dopo i crocifissi di San Matteo sempreverde, la Sacra famiglia dei Poponi, entra in scena il dottor Lamberto Dini che vuole insegnare il mestiere anche al Papa
(Adnkronos) – “Papa Francesco? In un certo senso è un Papa di sinistra, che sta trasformando la Chiesa mettendo a repentaglio i suoi Sacri principi”. Così a Un Giorno da Pecora, su Rai Radio1, Lamberto Dini, ex premier, ministro e direttore della Banca d’Italia, raccontando l’incontro avvenuto col Pontefice in occasione della camera ardente che accoglieva la salma Giorgio Napolitano.
Secondo lei l’attuale Santo Padre è da considerarsi ‘pericoloso’ per la Chiesa? “La Chiesa è un’organizzazione politica, nel senso che cerca di modificare i suoi atteggiamenti coi mutamenti della società. Ad esempio: prima il matrimonio era indissolubile, poi si è cominciato a parlare di divorzio, ora si parla di accogliere le coppie dello stesso sesso. Questo è un Papa progressista che sta cambiando, trasformando la Chiesa, non so se per il meglio”.
Dini ha poi raccontato un aneddoto su di un viaggio fatto da Giorgio Napolitano negli Stati Uniti, alla fine degli anni Sessanta: “Ai tempi vivevo negli Usa e in diverse occasioni lo accolsi a casa mia, per presentargli i grandi rappresentanti dell’economia mondiale”. Anche lei, per un breve periodo, sembrava poter diventare inquilino del Colle…”. Nel 2013 ero uno dei candidati al Colle per le forze non di sinistra. Sarebbe stato un grandissimo onore – ha concluso a Rai Radio1 Dini – il più grande che un cittadino possa ricevere”.
da La Repubblica del 24 settembre riportiamo questa riflessione di Michele Serra
Michele Serra
Forse il problema è che non dovremmo più chiamarla “destra”. È un concetto che evoca ordine e conservazione, borghesia e banche, gerarchia e capitalismo. Nonché un congenito, secolare disprezzo per la demagogia comiziante e per l’idea stessa che “il popolo” possa determinare il corso della storia. La destra era (è sempre stata) quella parte della politica convinta che spettasse alle élite governare e al popolo obbedire. Era Giuseppe Prezzolini quando nel “Manifesto dei conservatori” scriveva, con spregio, che «la destra è la cultura dei libri, la sinistra è la radiolina».
Sembrano passati i secoli, da quella destra. Invece è successo tutto in pochi anni. E tutto è radicalmente cambiato. Qui siamo a Trump che benedice l’assalto al Campidoglio per mano di mattoidi nutriti a complottismo, al mito di Meloni “underdog” uscita dai bassifondi a dispetto dell’establishment e dei “poteri forti”, alla destra cospirativa e paranoide di Steve Bannon, al Salvini che brandisce il rosario davanti alla folla. Siamo ai novax, ai notax, al negazionismo come impostazione culturale di base (tutto è falso, tutto è trama dei potenti contro “il popolo”), alle armi da fuoco brandite da amministratori leghisti (già, la Lega: non è tutto cominciato proprio lì?) che postano schioppi e pistole come simbolo di autodeterminazione, a un popolino frustrato che non riconosce Stato né leggi, e in ogni gerarchia consolidata vede solo arbitrio, frode e sopraffazione. Questa è la vetrina della destra politica odierna a livello mondiale. E non è una vetrina “conservatrice”, tanto meno liberale. È un fenomeno nuovo e ancora senza nome (“populismo” è un termine troppo vago, esiste anche un populismo “di sinistra”. Il fascismo è sicuramente popu-lista, ma non tutti i populismi sono fascisti).
Che poi nel retrobottega lavorino, felici di passare quasi inosservati, vecchi notabili e nuovi contabili del conservatorismo classico, i gattopardi del «tutto cambia perché nulla cambi », è un altro discorso. I Giorgetti, gli Zaia, i Tajani, i Lupi, le vecchie volpi post-democristiane che sicuramente disprezzano il populismo fracassone e contano di poterlo cavalcare fino allo stremo. E ci tocca dire: speriamo che non abbiano sbagliato i loro conti, che il loro cinismo prevalga nel nuovo impasto di potere.
Un pezzo di questo nuovo impasto è vecchio, certo, ed è il fascismo. Quel nazionalismo da strapazzo, quel rancore incurabile che si tramutò in olio di ricino per i professori e che portò un fallito sociale (Mussolini, lui sì un vero “underdog”) a sconvolgere l’Europa portandola alla catastrofe e alla mattanza. Ma un pezzo è invece nuovo, mai visto, impensabile senza i social che organizzano l’odio in forme prima inimmaginabili, che vomitano su chiunque sia sospettabile di avercela fatta, e soprattutto: che della realtà hanno deciso di fare a meno perché è d’impiccio.
Trump, in questo senso, di questa nuova “cosa” è il leader indiscusso. La destra ha sempre amato definirsi “realista”. Oggi abbiamo di fronte, nell’intero Occidente, una destra antirealista. Con la quale sarà difficilissimo fare i conti perché abitiamo nello stesso Paese, non nella stessa realtà.