Eiffel

Dalla serie le Missive impossibili di Sandra Vegni

Lettera della Tour Eiffel (torre di ferro)
all’Ing. Gustave Eiffel (progettista)

A Monsieur Gustave Eiffel, où qu’il soit

Paris (France), 25 fevrier 2020

Mon cher Monsieur
Che mai posso dirLe? A lei che tanto si spese per la mia realizzazione? Contro tutti coloro che si scagliarono contro il suo (mio) progetto, definendolo inutile e dannoso?
Eppur ben lo sapevamo – io e Lei – quanto effimera sarebbe dovuta essere la mia esistenza, ridotta a quella di un giovanotto ancora privo di esperienze (20 anni): gli anni appena necessari ad ammortizzare le spese per la mia costruzione, ben cinque milioni di franchi!
Come mal li ho vissuti, quei vent’anni! Ella si godeva gli elogi e i premi, ridendo sotto i baffi delle diatribe degli intellettuali che si affannavano, tapini, fra il definirmi ‘Opera mostruosa’ piuttosto che (come vede anche io mi sono piegato a queste moderne allocuzioni) ‘Capolavoro originale’.

E io? Qualcuno pensava forse a me che vedevo, giorno dopo giorno, avvicinare il momento della mia distruzione? Elogi per l’uomo, neanche un pensiero per l’anima di ferro che gemeva vedendo un inguaribile scribacchino – tristo e sdegnoso – che, pur di non essere sfiorato dalla mia ombra, si riduceva a pranzare all’interno dei miei recessi. Quel Maupassant, effimero descrittore di giovani gaudenti e donne di malaffare, si permetteva, egli, di degradarmi a tal punto!

E i giorni passavano, il momento si avvicinava, mentre temevo la ruggine dell’incuria e il vento battente. Perché io, Esimio Ingegnere, ora lo posso dire: mal mi fidavo della sua destrezza e dei suoi calcoli. Del resto, chi mai si preoccuperebbe della resistenza di un’opera effimera? Vent’anni son pochi per un uomo, figurarsi per una torre di ferro.

Orbene, mi devo complimentare, Mon Cher Gustave, e scusarmi per i miei cattivi pensieri.
Da quasi cento anni Ella non mi osserva più, venti anni prima di Lei se ne andò quel lordo scriba e mi dispiace – davvero mi dispiace – che esso non potesse assistere alla mia resilienza.

Nemmeno più mi devo preoccupare delle intemperie e della ruggine, nemico sempre pronto a colpire, giacché gli uomini or mi curano come un fanciullo, come se avessi, sempre e ogni giorno, i miei 20 anni. Eroe di guerra, prestato alle trasmissioni dell’etere, simbolo lucente della Ville Lumiere, immagine conosciuta per ogni dove, esaltazione della grandeur del nostro paese.

Merci, oggi Le devo dire. Merci alla Sua lungimiranza, alla perseveranza, alla Sua inventiva.
A talun ancor non piaccio? E chi se ne frega, mi perdoni anche questa moderna allocuzione.
Dal 1930 non sono più la più alta costruzione al mondo, e allora? Primati effimeri, battuti ogni momento. Non si abbattono i simboli, però, e io lo sono.

Insomma, Monsieur, io resisto.
Rien, glielo volevo dire.

Per sempre Sua

Tour Eiffel

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