ERO UNA VOLTA UNA MAESTRA a.m.guideri

Capita a volte di rivivere il passato non solo con nostalgia e rimpianto o con dolore, ma anche con un ripensamento che è figlio del tempo e del nostro personale percorso di vita. Un passato che, se lo guardiamo con gli occhi di oggi, alla luce di un presente complesso e a volte indecifrabile, ci parla ancora fornendoci una chiave di lettura tuttora valida. Le occasioni che hanno risvegliato alcuni vecchi ricordi della mia lunga esperienza di maestra della scuola elementare, sono state sostanzialmente due. La prima è stata offerta dall’attuale Ministro dell’ Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara riguardante il merito scolastico, l’altra, dal grave problema del bullismo che sembra in preoccupante crescita. In questa sede mi limiterò a leggere, per motivi di tempo, il racconto della prima esperienza, quella riguardante il merito, che risale all’inizio degli anni ’90 e che ha come protagonista un bambino di prima elementare di nome Alessandro.

Alessandro

Alessandro è un bambino vivace. Troppo. Irrequieto, turbolento, aggressivo, demotivato, immaturo, non scolarizzato.
Questo il profilo di Alessandro disegnato dalle insegnanti e dall’assistente sociale della scuola materna che il bambino aveva frequentato per tre anni, in occasione dell’incontro previsto ogni anno tra gli insegnanti delle classi in uscita e di quelle in entrata di due ordini di scuola. In questo caso l’incontro avveniva fra gli insegnanti dei bambini che avevano frequentato l’ultimo anno della scuola materna e quelli che si apprestavano ad accoglierli nella futura prima classe elementare. Questi incontri previsti dalla normativa vigente avevano – hanno ancora – lo scopo di facilitare ai bambini l’ingresso nella scuola di ordine superiore attutendo l’impatto con il cambiamento. Era quindi importante che noi, insegnanti della scuola elementare, fossimo preparate all’incontro con i nostri futuri scolari ricevendoli in consegna dalle insegnanti che li conoscevano già. Nel caso di Alessandro il giudizio fu molto netto, direi, categorico. Il bambino, secondo loro, non sarebbe stato in grado di tagliare il traguardo della seconda classe, visto che non aveva raggiunto in modo soddisfacente nemmeno gli obiettivi minimi fissati dalla scuola materna. Tutto previsto e deciso prima che il nuovo anno scolastico iniziasse. A loro parere Alessandro avrebbe dovuto ripetere la prima elementare per poter trovare il tempo di crescere, quindi, per il suo bene. Quando si dice lo scrupolo e la lungimiranza! Di fronte a tanta zelante sicurezza, io e la mia collega restammo interdette, non avendo elementi per poter mettere in dubbio la loro valutazione che si basava su un’esperienza triennale di lavoro che noi non avevamo, ma ci interessammo alle condizioni socio famigliari di Alessandro e alla metodologia adottata per aiutarlo a superare le sue difficoltà. Apprendemmo così che la famiglia di Alessandro – penultimo di quattro figli – era di origine siciliana e viveva in dignitosa povertà in attesa dell’assegnazione della casa popolare. La madre casalinga, era affettivamente molto presente, ma non in grado di seguire i figli nel percorso scolastico. Dal fascicolo personale di Alessandro che fu sottoposto alla nostra attenzione a conferma del loro giudizio, emergeva un percorso un po’ involuto con un groviglio di scarabocchi colorati nei quali si faticava a distinguere forme definite, tranne quelle di alcuni animaletti che sbucavano qua e là dal garbuglio di linee che riempivano il foglio. Capimmo che ad Alessandro piacevano molto gli animali e li disegnava. Poteva essere, questo, un elemento da non sottovalutare, un punto di partenza.

In prima elementare
All’inizio dell’anno scolastico la situazione era la presente: la classe che ci era stata affidata era composta da 24 alunni, complessivamente senza grossi problemi. Avevano tutti frequentato la scuola materna e sapevano cosa significa andare a scuola, impegnarsi nelle attività, rispettare certe regole. Erano curiosi e interessati alla grande novità della scuola elementare e si sentivano importanti. Non mostravano di essere turbati dal cambiamento ed erano abbastanza fiduciosi e affettuosi nei nostri confronti. Alessandro si comportava in modo più infantile rispetto agli altri. Faceva fatica ad ascoltare, preferiva essere ascoltato. Aveva un sacco di cose da dire e da chiedere e non teneva troppo conto dei turni di intervento, non alzava la mano, parlava continuamente e sembrava non rendersi conto che disturbava. Anche quando giocava prevaleva il bisogno di fare a modo suo senza tenere molto conto degli altri. Se le cose non si mettevano come voleva lui, bisticciava e a volte tirava anche qualche pugno suscitando reazioni non proprio benevole da parte dei compagni. Durante le attività, se non gli interessavano granché, girava fra i banchi e distraeva i bambini che si lamentavano di lui. Insomma, è vero, era immaturo e non scolarizzato, ma non era per niente apatico, anzi! La scuola non lo annoiava, la viveva come una grande opportunità dove potersi esprimere a ruota libera. Pretendeva grande attenzione da parte nostra, voleva essere ascoltato e ci parlava molto del suo gatto, dei suoi fratelli, di ciò che aveva fatto, di ciò che voleva fare. Per le sue esigenze la scuola non era abbastanza grande, l’avrebbe voluta tutta per sé, fatta a modo suo, fatta su misura. Dove poter giocare, correre, disegnare, mangiare, raccontare, domandare, chiedere cosa e come voleva lui. Era un bambino che non aveva superato ancora il delirio di onnipotenza e non era disposto ad adattarsi, a venire a patti con il mondo di cui si sentiva l’ombelico: era il mondo che doveva adattarsi a lui, non viceversa. Ma era anche molto buffo e simpatico con delle uscite divertenti che ci facevano ridere e che noi maestre coglievamo al volo per aiutarlo ad inserirsi nella classe. Il suo linguaggio approssimativo – un misto di dialetto incomprensibile e di pronuncia incerta – gli creava difficoltà nel farsi capire e nell’apprendimento della lettura e della scrittura, ma lo rendevano spassoso e simpatico. Così presto diventò un divertimento per tutti: i compagni se lo contendevano come fosse un giocattolo. Questo lo aiutò molto a superare la sua aggressività e ad inserirsi meglio nella classe. Un primo passo importante era stato compiuto, ma mancava ancora il colpo d’ala, l’idea o l’occasione che avrebbero permesso al nostro alunno di sentirsi coinvolto nelle attività della classe. Diversamente dai primi giorni di scuola, ora era bene accolto dai compagni, ma non su un piano di parità. Lo vivevano come una specie di fratello minore con cui giocare, da proteggere, non come un loro pari. Le attività di gruppo, i giochi di squadra, l’uso del materiale didattico più o meno strutturato … riuscivano, sì, a risvegliare in lui un certo interesse, ma non a farglielo mantenere per il tempo ritenuto necessario. Si distraeva facilmente e si isolava mostrando di preferire di gran lunga i suoi giochi e i suoi disegni alle nostre irresistibili proposte.

La chiocciola

Finalmente il caso (o la fortuna) ci permise di aprire gli occhi e di spostare l’ottica con la quale ci eravamo poste fino ad allora con lui. Per condurlo verso di noi occorreva che noi ribaltassimo il nostro rapporto con il bambino a 360° – un vero e proprio triplo salto carpiato – andando noi verso di lui, non parzialmente, non per finta, ma davvero, accogliendo empaticamente il suo mondo, trasferendoci in esso, non con trucchi od espedienti, ma con una vera, autentica partecipazione e condivisione. Una mattina Alessandro arrivò a scuola tutto eccitato tenendo in mano una scatolina di cartone con il coperchio bucherellato.xx Tutta la classe lo circondò incuriosita chiedendogli a gran voce di aprire la scatola per vedere cosa c’era dentro. E … meraviglia delle meraviglie, apparve una chiocciola adagiata sopra un soffice tappetino di foglie. Se ne stava lì ferma, buona buona; non sembrava spaventata dal clamore che aveva suscitato e pareva quasi contenta di poter esibire il suo bel guscio screziato e le sue antenne occhiute e trasparenti. Non che i bambini non avessero mai visto una chiocciola prima di allora, ma l’effetto sorpresa, causato dall’insolito contesto di tempo e di luogo, fu tuttavia grande e produsse effetti collaterali decisamente positivi nella situazione che stavamo affrontando con Alessandro.
L’arrivo di quell’ospite inatteso vivacizzò assai l’atmosfera della classe offrendo l’occasione per un’esperienza di apprendimento e di scambio davvero significativa tale da segnare una svolta decisiva sia per la classe che per lui. Era palese la sua gioia mentre rispondeva alle nostre domande su dove, come e quando aveva trovato la chiocciola e quali decisioni avesse preso a suo riguardo. Era importante notare che non se l’era tenuta per sé, ma l’aveva portata a scuola per farla vedere a tutti e per decidere insieme ai compagni e alle maestre il suo destino. Alessandro, a differenza della chiocciolina, stava uscendo dal suo guscio aprendosi e donandosi a tutti noi raccontandoci la sua avventura e ponendo al centro della nostra attenzione un essere vivente che tutti insieme potevamo osservare, disegnare, conoscere, proteggere, amare. Disegni, parole, pensieri, foto hanno riempito quaderni, cartelloni e hanno abbellito l’aula conferendole quell’ unica, inimitabile grazia che solo i lavori dei bambini sanno esprimere. La chiocciola disegnata da Alessandro, ritratta con il suo guscio zigrinato mentre mangia una fogliolina, occupava trionfalmente un largo spazio sul cartellone appeso alla parete. Finalmente i disegni di Alessandro non erano più un’espressione meramente individuale che solo sporadicamente si collegavano alle attività della classe, ma il risultato di un’esperienza collettiva che, senza penalizzare la sua creatività, la esaltava e ne costituiva un evento cardine per la crescita di tutti. Ricordo ancora con tenerezza i suoi quadernoni le cui pagine, per quanto grandi, sembrava non potessero contenere del tutto la folla brulicante delle creature alate , terrestri e acquatiche che le popolavano. Non c’era animale o bestiolina che lo lasciasse indifferente e che non meritasse di svolazzare, saltellare e correre dentro i suoi quaderni: non gabbie di zoo, ma liberi prati, libere acque, liberi cieli … I suoi disegni, per quanto infantili nel tratto, erano vivi, espressivi e divertenti: parlavano e si muovevano più di altri precisi e curati nei particolari. Alessandro riusciva a trasmettere la sua vita alle creature che disegnava.
Disegnare era la sua passione, la sua vita, la sua libertà, il suo punto di forza. Era il suo mondo e noi dovevamo entrarci con discrezione, in punta di piedi per farlo, a sua volta, entrare nel nostro e per poterlo guidare nel processo di astrazione che gli avrebbe permesso di impadronirsi di quella grande sovrastruttura del pensiero che è la scrittura. La chiocciola fece da apripista a tutta una serie di disegni – soprattutto di animali – che i bambini venivano chiamati a raffigurare alla lavagna con il contributo straordinario di Alessandro eletto a supervisore e consulente soprattutto di noi maestre, di me in particolare che non dovevo fingere molto per dimostrare di avere bisogno del suo aiuto! E così anche la lavagna pullulava allegramente dei disegni dei bambini che illustravano tutto ciò che poteva servire ad apprendere il segreto della scrittura e della lettura.

Maestra leggo!

La traduzione dell’immagine in scrittura ha richiesto ad Alessandro, un po’ più tempo che agli altri bambini. Per lui il salto dalla figura così viva e parlante ai segni alfabetici strani e anonimi, non è stato facile: il passaggio dal concreto all’astratto , ad un segno che si leggeva cane, ma non gli somigliava per niente – non aveva né coda, né orecchie, né zampe – all’inizio era incomprensibile. Il cane era quello che conosceva lui, non quel segno strano che era scritto alla lavagna! Poi, finalmente, l’inceppo si è sbloccato e i disegni e le parole si sono incontrati anche per lui e sono diventati una cosa sola. “Maestra leggo!” esclamò trionfante Alessandro una mattina dopo essere riuscito ad unire in un suono evocativo le lettere della parola topo. Eccolo lì il topo, con i suoi baffi e la sua coda sottile. Bastava leggere la parola e il topo appariva nella mente e si poteva disegnare o cercare fra tanti altri animali che abitavano dentro le pagine dei libri. Ormai l’ostacolo più grosso era stato superato; lui aveva capito il trucco ; la scrittura non era più né un imbroglio né un mistero, ma una magia! Con quei segni non più strani si poteva scrivere tutto , fare apparire tutto. Non solo gli animali, ma gli oggetti, i genitori, la casa, i fratelli, i compagni, gli alberi, il sole, la luna: tutto, tutto, proprio tutto! Si potevano leggere e scrivere storie bellissime che entravano nella mente con quei segni buffi che avevano un potere straordinario: farci ridere o piangere, meravigliare, impaurire, conoscere … Il più era fatto. Il processo astrattivo-simbolico che consentiva di leggere e di scrivere era ormai compiuto ed anche se lui ci avrebbe impiegato un po’ più di tempo degli altri ad acquisire sicurezza, la strada, da quel momento sarebbe stata – come infatti lo fu – tutta in discesa. La conquista di un mezzo – e traguardo – così importante facilitò il suo inserimento nella classe consentendogli di partecipare a tutte le attività anche se con un’attenzione particolare da parte nostra. Alessandro non era più il compagno piccolo e buffo da proteggere e da trattare con affettuosa condiscendenza, ma uno come tutti, in grado di svolgere le stesse attività e di farsi apprezzare per quello che sapeva fare, donare, ricevere: per i suoi meriti. La chiocciola era stata una grande opportunità che aveva inaugurato la fase della reciprocità paritaria. Un merito secondario, come la capacità di disegnare che non incide molto sulla valutazione dei traguardi raggiunti nella scuola elementare, è diventato primario per l’importanza decisiva che ha avuto nell’aiutare Alessandro a crescere .

L’incontro con l’assistente sociale

A dicembre, momento clou delle aspettative generali riguardanti i livelli di competenze raggiunti dalla classe in una fase intermedia dell’anno scolastico, Alessandro, x pur avendo in parte superato la prima fase di un percorso per lui abbastanza difficile, era ancora indietro rispetto agli altri e non era in grado di scrivere sotto dettatura autonomamente insieme ai suoi compagni. Aveva bisogno di un insegnamento in parte individualizzato che era svolto soprattutto durante le ore di compresenza, ma i suoi progressi facevano ben sperare che a giugno avrebbe raggiunto gli obiettivi – oggi si parla di meriti richiesti dai programmi scolastici. Ad aprile ci incontrammo di nuovo con l’assistente sociale che a settembre aveva formulato una previsione negativa assai netta circa la possibilità che Alessandro potesse farcela. Per fortuna da dicembre ad aprile, come noi avevamo sperato e previsto, Alessandro aveva davvero spiccato il volo ed era migliorato in modo significativo sia nel comportamento che nell’apprendimento, acquisendo un’autonomia che non poteva dirsi scontata, ma nemmeno impossibile. Era diventato più responsabile sia nei confronti dei compagni che dell’impegno scolastico. Io e la mia collega ci recammo all’incontro munite dei suoi quaderni, le prove concrete dei suoi progressi. Essi attestavano il suo percorso di maturazione mostrando i primi passi incerti e faticosi, ma anche i graduali miglioramenti sempre più spediti fino ad arrivare ai risultati evidenti che rientravano assolutamente nella norma, anche se non nella eccellenza. La dottoressa, in un encomiabile eccesso di zelo, forse volendoci facilitare il compito ingrato di decidere la bocciatura scontatissima di Alessandro, si presentò con la relazione già pronta nella quale venivano esposti i motivi che consigliavano, per il bene del bambino, di fargli ripetere la prima classe per dargli la possibilità di apprendere secondo i suoi tempi di maturazione. Tale relazione, calata dall’alto sulla nostra testa, scritta senza averci consultate, non solo era una insopportabile prevaricazione nei nostri confronti, ma anche una palese dimostrazione di scarsa professionalità e di rispetto soprattutto verso Alessandro, il che, dato il suo ruolo, ci apparve particolarmente grave. L’incontro con la dottoressa si svolse in un clima quasi surreale. Da un lato c’era un documento confezionato a nostra insaputa che si pronunciava sulla maturità di un bambino che lei non vedeva da diversi mesi, dall’altro i quaderni – le prove concrete – che smentivano clamorosamente il documento quasi a volersi prendere gioco di chi, avvalendosi del proprio ruolo, pretende di giudicare senza conoscere. Sembrava che, dalle pagine dei quaderni, sbucasse il visetto malizioso di Alessandro che, come il bambino della fiaba Il vestito dell’imperatore , gridava: “Il re è nudo!” L’incredulità della dottoressa era palese. Non si capacitava dei risultati raggiunti dal bambino e ci chiese quali mirabolanti strategie metodologiche avessimo adottato. Niente di nuovo, niente di eccezionale, niente di più e di diverso da quanto era già stato ampiamente elaborato e sperimentato da noti insegnanti, pedagogisti e psicologi. Non avevamo inventato proprio niente. Malgrado gli effetti prolungati della riforma scolastica Gentile, la scuola elementare soprattutto, è stata attraversata da un profondo rinnovamento anche per merito, dagli anni sessanta in poi, dell’egemonia culturale della sinistra, avvalendosi dell’esperienza insostituibile e pioneristica di maestri come don Lorenzo Milani, Mario Lodi, Albino Bernardini, Bruno Ciari e tanti insegnanti coraggiosi e non allineati che hanno gettato il cuore oltre l’ostacolo per realizzare una scuola dove il merito facesse rima con inclusione, anzi, ne dipendesse strutturalmente. Alessandro naturalmente fu promosso, con il pieno riconoscimento dei suoi meriti e con buona pace di chi, per il suo bene, non glieli riconosceva. Si seppe poi che il suo percorso scolastico proseguì negli anni successivi senza intoppi nel Comune dove la famiglia si trasferì in seguito all’assegnazione della casa popolare. x

Il merito e il valore

Con l’insediamento del governo di destra e la nuova denominazione del Ministero dell’ Istruzione e del Merito, si è acceso un vivace dibattito sulla meritocrazia e su cosa si debba intendere per merito. Il merito è il risultato ottenuto rispetto ai traguardi indicati o contano di più i percorsi e i progressi compiuti tenendo conto delle situazioni iniziali e delle attitudini di ciascuno? E’ da considerarsi un risultato prevalentemente tecnico-apprenditivo in cui prevale la prestazione a prescindere da come ci si è arrivati, o un valore che investe tutta la persona nel suo processo complessivo di maturazione? La sottolineatura del tutto gratuita del merito fa pensare, più che ad una scuola di valore, ad una scuola fatta su misura per una società competitiva, individualista e poco solidale com’è purtroppo quella in cui viviamo: una scuola competitiva fatta su misura per una società competitiva che tende ad emarginare oggi gli alunni, domani, i cittadini più svantaggiati. La scuola di valore invece, esprime l’idea di una società inclusiva, aperta, cooperante. Oggi più che mai, dovendo operare in un contesto scolastico molto variegato, frequentato anche e sempre di più, da alunni provenienti da altri paesi, è inevitabile che la scuola ripensi, in modo inequivocabile, al merito come valore. Da un lato le sfide lanciate dal fenomeno migratorio, dall’altro quelle imposte dagli effetti della dipendenza dalla tecnologia digitale, pongono la scuola di fronte ad una sfida alta di una complessità senza precedenti. Per questa scuola il termine merito appare davvero riduttivo, mentre solo il valore può abbracciare in tutta la sua estensione il senso che oggi dobbiamo dare al compito di formare le nuove generazioni. Ripensare al merito? Certo, ma andando nella direzione opposta a quella indicata dal governo attuale. Indicare il merito come tratto distintivo dell’istruzione, senza specificare in cosa consista, ma lasciando implicitamente intendere che bisogna fare largo ai primi della classe come se i meno dotati fossero – come i migranti – un carico residuale, suona , oltre che obsoleto anche anticostituzionale e disumano. Come se il merito, nel senso più alto, non fosse già stato indicato e perseguito da don Lorenzo Milani nella scuola di Barbiana nella quale non si bocciava nessuno, non perché non si desse importanza al merito, ma perché tutti avevano la possibilità di acquisirlo esprimendo le proprie capacità sia sul piano delle competenze strumentali, sia su quello della crescita umana, culturale e civile. Infatti questo grande maestro che oggi viene ricordato solo sporadicamente, sosteneva che la scuola dell’obbligo non può bocciare perché se boccia, boccia se stessa. E ancora: Bisognerebbe imparare che il problema degli altri è uguale al nostro. Sortirne insieme è la politica, sortirne da soli è avarizia. L’aspetto relazionale e della responsabilità condivisa è il merito generale che comprende tutti gli altri meriti: è il merito dei meriti, quello che rende meritevoli tutti gli altri traguardi. Affinché la scuola oggi possa realmente contribuire a ridurre gli svantaggi di partenza – poiché non è né può essere un’isola felice, necessita dell’interazione con la comunità locale nell’espressione delle sue varie associazioni. Nel nostro Comune ciò avviene da alcuni anni e con buoni risultati per iniziativa dello SPI CGIL in collaborazione con le scuole e con l’Amministrazione Comunale. Siamo appena all’inizio di un processo evolutivo che ci auguriamo si diffonda il più possibile. Il bene è energia positiva che si sprigiona e si espande quando le forze positive della società si uniscono per realizzare un obiettivo comune. Bisogna che il bene diventi un protagonista mediatico più di quanto lo siano gli hacker e le fake news che imperversano sui social. Dovrebbe diventare un influencer in grado di orientare le nuove generazioni verso obiettivi di crescita umana e civile. Utopia? Forse, ma è la sola che ci possa dare la spinta necessaria – propulsiva – ad incidere chirurgicamente sui mali endemici della nostra società. L’utopia forse non esiste, ma serve a fare esistere ciò che, senza di essa, non esisterebbe mai.

Anna Maria Guideri

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