Una sera gruppo di quattro ragazzi marciò allineato, calcando il passo, in un vicolo del centro occupandone tutta la sede stradale. Dotati di mazze e caschetti da baseball prima di arrivare in quel punto nessuno aveva osato sfidarne lo sguardo, durante il loro passaggio, come altre volte durante le loro scorrerie. Si chiamavano con i loro soprannomi, che non avevano l’impronta e l’autorevolezza di una “sentenza popolare” bensì erano stati scelti da loro stessi; tutti facevano riferimento a nomi di animali feroci o personaggi di film famosi con lo scopo di incutere timore; una sorta di etichetta per accreditarsi con nomi di rapaci, serpenti e gangster.
Solo Patrizio, il più anziano del gruppo, un giovane di famiglia alto-borghese dall’aspetto curato, alto e biondo, con un volto affilato e con un corpo palestrato, non se lo era messo perché andava ripetendo con sfrontatezza “io sono patrizio di nome e di fatto. Basta la parola” . Più di una volta la gente del luogo aveva fatto delle rimostranze alle forze dell’ordine che avevano ottenuto solo un passaggio di due auto della polizia sempre alla solita ora, salvo proseguire, senza fermarsi, prima di rientrare in centrale.
Data la prolissità dell’orario era facile prevedere per i mascalzoni il passaggio delle guardie e dopo agivano indisturbati. Quella sera non avevano ancora individuato la vittima di turno che in genere non era già definita prima di mettersi in marcia e che poteva materializzarsi da un momento all’altro; bastava uno sguardo particolare o un dettaglio dell’abbigliamento o un gesto strano per scatenare la loro follia. Il tempo passava e Patrizio per tenere in tensione il gruppo chiamò uno per uno i membri del gruppo: -Scarface, Vipera, Falco; tutto a posto? – . -Sì, capo- risposero loro ad alta voce brandendo le mazze nel mantenere un passo marziale. Videro una povera anziana che stava rincasando ed accelerando il passo la raggiunsero vicino al portone.
Quando lei se li trovò davanti fu chiaro, fin da subito, quale sarebbe stata la situazione e quando, ignara e con tono dimesso, chiese di passare per entrare nel suo stabile venne pesantemente apostrofata. -Stai zitta stronza! – . Un altro senza mettere tempo in mezzo sopravanzando il suo amico la prese per il collo e la spinse contro il muro. -Che volete fare! – disse tremando la donna. -Ti vogliamo picchiare! – e detto ciò uno le sferrò uno schiaffone. La donna si accartocciò su se stessa ed istintivamente mise le mani sopra la testa. -E non usiamo nemmeno le mazze; ringraziaci- soggiunse un altro. -Perché? Che vi ho fatto di male! – supplicò piangendo. Seguì un gragnola di calci e pugni che la fece sanguinare fino a lasciarla tramortita.
Il branco compiaciuto di questo misfatto si trattenne lì senza degnarla di uno sguardo mentre lei gemeva. -Andiamo? – propose Falco, il più giovane di loro, un educato e timido commesso in un negozio di moda, che seppur esitante aveva partecipato all’ultima fase del pestaggio. -Aspetta un attimo- suggerì Patrizio -diamole un paio di legnate; casomai decidiamo dove- proseguì cinicamente. -Sulla schiena- . -Meglio sulle gambe così smetterà di camminare per un po’ di tempo ed è meno pericoloso- propose Vipera -una per uno così saremo uguali e solidali- . Falco tacque ed inavvertitamente Patrizio lo chiamò in causa con il vecchio soprannome: -Tu sei d’accordo Cucciolo? – . -Certo- . Loro si avvicinarono alla vecchia e la colpirono facendola urlare. Non si affacciò nessuno in quella strada angusta del centro storico, sede di uffici, scarsamente illuminata che la rendevano affollata e vivace durante il giorno mentre la sera si presentava come desolata ed angosciante.
La vecchia seppur tramortita in un tenue barlume di lucidità nel vedere un anello al mignolo di foggia particolare, associato al vecchio soprannome, riconobbe il figlio del suo cugino che lei aveva accompagnato per un periodo a scuola, quando era piccolo e lo aveva accudito nel pomeriggio perché i genitori entravano presto al lavoro e facevano i turni in fabbrica. Questa cosa, che le fece più male delle botte, non la riferì nemmeno alla polizia quando la interrogò. “Qui mi sto annoiando. Gruppo Cerbero andiamo a spassarcela da un’altra parte” intimò Patrizio e così tutti montarono sul suo Suv lussuoso dopo avere depositato gli strumenti nel portabagli e si allontanarono per andare a bere tranquillamente una birra in un pub nell’altra parte della città. Durante questo intrattenimento parlarono di vacanze invernali sulle nevi del Cervino o di Cortina d’Ampezzo. -A soldi come state? – chiese Falco. -Non sono un problema. Li chiederò a mia madre; lei sa come farli scucire a quel pidocchio di mio padre. Il Suv me lo sono comprato così- precisò Patrizio. -Io invece ho messo da parte qualche soldo ma dovrò chiedere dei soldi in aggiunta a mio padre- . -Falco, non li chiedere, te li presteremo noi. Siamo un gruppo solidale e guai a chi sgarra- affermò Scarface, unico disoccupato da anni del gruppo, guardandolo dritto negli occhi.
Falco, il più giovane del branco, ebbe un brivido dopo queste parole perché pensò che esse fossero rivolte a lui. Si ricordò quando gli imposero di cambiare il suo soprannome da Cucciolo a Falco in quanto, come gli fu detto, “non adeguato al prestigio del gruppo” Nessuno aveva fatto fino a quel momento riferimento al loro gesto criminale e quando venne richiamato fu per deridere la povera aggredita e vantarsene. -Hai sentito come strillava! – disse Scarface ridendo malvagiamente. -Facciamo un brindisi- propose Patrizio e di lì a poco i calici in alto tintinnarono mentre tutti lo guardavano come affascinati. Falco anche se non ne era convinto si adeguò pensando che dissociarsi in quel momento sarebbe stata la sua scomunica con il rischio di una rappresaglia immediata. -Speriamo però che qualcuno non ci abbia visto- commentò Vipera. -E allora? Noi ci siamo divertiti vero Patrizio- obiettò Scarface chiedendogli conferma come facevano sempre gli altri . -Approvato! Non farsi notare è da vigliacchi; magari ci avessero ripreso così avremo una fama che è quello a cui tutti aspiriamo- rispose il capobranco concludendo la gerarchia.
Quattro persone, quattro livelli di cui solo tre contendibili. -Te lo immagini le interviste televisive, i giornali che parlerebbero di noi, sarebbe una goduria- rincalzò Vipera un giovane tarchiato, capelli scuri, fronte bassa con la bocca sempre aperta che di tanto in tanto guardava fisso nel vuoto. -Voi ve lo immaginate se fossimo invece quattro persone che portano in questo inverno in qualsiasi zona il ristoro ai barboni che dormono per le strade? Nessuno parlerebbe di noi. In questo mondo contano tre cose: apparire, avere successo, quindi soldi, ed avere fama. Il resto sono frattaglie. Noi tutti, io compreso, siamo dal punto di vista sociale ir-ri-ve-lan-ti, Tu disoccupato, tu commesso, tu studente con scarso profitto, io studente mantenuto a vita; siamo dei signori “nessuno”. Noi con la nostra azione dimostriamo di essere vivi e lo ricordiamo al mondo, mettendo in atto una ribellione rispetto alle norme sociali- concluse Patrizio.
I membri del branco rimasero meravigliati perché lui aveva interpretato il loro pensiero e ci fu chi gli fece i complimenti come Scarface che gli disse “sei il numero uno!”. Il gruppo si sciolse e Vipera, che abitava vicino, nel salutare gli altri volle andare verso il suo videogioco preferito: -Ce l’ho fatta a battere il record – disse con soddisfazione dopo essersi fatto dare un pennarello dal gestore del locale per trascrivere la cifra del suo successo; che giornata piena! Ci voleva proprio prima della chiusura settimanale.
Gino Benvenuti