Il primo marzo si veste di fiocco arancione

Il Primo Marzo, anche quest’ anno ha indossato il fiocco arancione come simbolo della Giornata Internazionale di consapevolezza sull’autolesionismo(SIAD); tematica che è sempre più frequente nel mondo adolescenziale, ma che non è aliena al mondo adulto. Se andiamo sul dizionario e cerchiamo il significato di “autolesionismo” vediamo che viene definito nel seguente modo:Atteggiamento, comune ad alcune patologie psichiatriche, che mira a provocare danni al proprio corpo”. Si potrebbe discutere a lungo su tale scelta definitoria, il mondo psichiatrico e psicologico odierno riconduce l’ autolesionismo a patologie variegate, tuttavia, considerata l’ enorme centralità che ha assunto nell’ ultimo periodo, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5) è arrivato a riconoscergli uno status ontologico proprio.

Chiaramente è necessario leggere le molteplici declinazioni attraverso le quali il disturbo si può presentare in un’ottica complessiva della persona e del suo rapporto con la società, nonché dei momenti storici che, in modo più o meno diretto, esercitano la loro influenza. Non è infatti un caso che 1 adolescente su 5 nel nuovo mondo post-pandemia da Sars Cov 2 dichiari di sentirsi spesso depresso, o che durante il primo lockdown di 3 anni fa sia aumentato considerevolmente il tasso di suicidi tra i giovani. Basti guardare a certi numeri per rendersi conto di quanto il Covid abbia impattato sul peggioramento delle condizioni di salute mentale e fisiche, del resto è appurato dalla neuropsicologia odierna quanto sia forte il legame tra corpo e mente, o, se si preferisce: “anima”. Oggi possiamo riscontrare un aumento del 26% di depressione e del 28% di disturbo d’ansia nella popolazione. Capiamo, guardando solo a queste stime, che quei 46000 adolescenti che ogni anno, secondo quanto riportato dall’UNICEF, si tolgono la vita, non nascono dal nulla. La pandemia non è certamente l’unico fattore degno di nota nel determinare l’aumento complessivo dei valori visti, eppure la sua rilevanza è indiscutibile. La marea di dati che continuamente vengono riportati ha, nel tempo, deviato l’attenzione da un punto focale, il Covid in sé, considerando la dimensione mentale, non ha causato, almeno non completamente, il “malessere” generalmente inteso. Sarebbe più corretto ricordare che lo shock pandemico ha messo ognuno di noi ha contatto con se stesso, facendo emergere materiale inconscio, che nella frenesia e dinamicità di quel quotidiano vivere tipico del mondo pre-pandemia, continuava ad essere sepolto in profondità. Ad più attenta analisi si nota come siano emersi contenuti comuni, soprattutto ai giovani, di un nuovo “inconscio collettivo” , nato nell’epoca dell’ “Homo faber”. Contenuti di questo nuovo spazio della psiche umana sono: l’angoscia per il futuro, il timore di non rispettare le aspettative, la paura di non essere efficiente, l’ansia di essere esclusi da un contesto in continua progressione. Si intravede un inconscio che ha paura di sé stesso e che, quindi, muove le sue forze senza un ordine, faticando ad incanalarle in direzioni sane. Pertanto quello che si vede all’esterno altro non è se non il risultato di una caoticità interiore, che fatica ad essere compresa.

In ogni caso la psicologia, come area d’indagine scientifica, è più che consapevole di quante variabili entrino in gioco quando si tratta di temi quali, ad esempio, l’autolesionismo: tenta, con l’elaborazione di modelli come quello delle “quattro funzioni”, di ricercare elementi capaci di spiegare l’origine di condotte malsane. Nel caso dell’autolesionismo il modello citato evidenzia che le motivazioni di base sono: il comunicare uno stato di malessere e disagio, quest’ultimo che interseca un forte legame con la sfera sociale (come abbiamo in parte di sopra accennato), il cercare di ricoprire il proprio Sé della falsa credenza che vede nel male fisico quella chiave di volta per potersi sentire meglio, il tentare di operare un passaggio da dolore psicologico a corporeo, che sembra ferire meno; ed infine, collegato a quest’ultimo punto, l’illudersi del fatto che la sofferenza fisica, differentemente da quella psicologica, possa essere controllata.

Spesso, come già evidenziato, si tende a far coincidere il tema dell’ autolesionismo con quello del suicidio Effettivamente quando comportamenti quali: il procurarsi dei tagli volontariamente sulla pelle, il mordersi, bruciarsi, procurarsi graffi, interferire con la guarigione dalle ferite, incidersi sulla pelle delle cicatrici permanenti, vengono esasperati gesti disperati non faticano ad arrivare. Tuttavia, spesso, il ricettore sociale mostra segni d’attivazione proprio quando è troppo tardi, o quando certe situazioni sono vicine alla criticità e ci si dimentica, così, che l’autolesionismo ha varie forme tra cui quella non suicidaria: “Non-suicidal self-injury”(NSSI), ma non per questo degna di minor attenzione. Eppure nel nostro Paese, nonostante misure prese dalla politica, come il bonus psicologico, e l’apparente crescita d’attenzione sociale alla tematica del benessere psico-fisico, solo il 25% degli adolescenti con problemi di salute mentale riceve un trattamento adeguato, dato che evidenzia quanto ancora i servizi di prevenzione e cura rimangano inadeguati e necessitino di essere rinnovati.

Tobia Nereo Torelli

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