Io e mia moglie abbiamo visto, su Netflix, ‘Il treno dei bambini’. Ho cercato di vederlo mettendo da parte quanto già sapevo del romanzo da cui è tratto, autrice Ardone, anno 2019, e soprattutto delle ricerche di chi per primo aveva riscoperto una ‘grande storia italiana’- il mio amico Giovanni Rinaldi. Il film, come è noto, descrive solo un episodio della storia iniziata a Milano, da Teresa Noce, Pci, e che si può così riassumere: facciamo qualcosa, noi Udi, noi Pci, per salvare quanti più bambini possibile dalla miseria, dalla malattie, dalla fame, a partire proprio da Milano, e facciamolo chiedendo ai nostri compagni, alle loro famiglie, di ospitare quest bambini per qualche tempo in casa loro. I protagonisti del film, come del libro della Ardone, sono due mamme, una permanente, l’altra temporanea, e un bambino. Come ha chiarito Rinaldi sono effettivamente esistiti solo due di questi tre: la madre temporanea, Derna, che però viveva ad Ancona e non a Modena, come nel film e nel libro, ed il bambino, che si chiamava Americo, non Amerigo, e veniva da San Severo, non da Napoli, come nel libro e nel film. Ciò premesso, il film si vede con interesse. Ben girato, con attori davvero in gamba, sopra tutti Serena Rossi, Barbara Ronchi e il piccolo Christian Cervone. La genesi etico-politica della storia, il ruolo del Pci, c’è ma non è trattata molto: la regista, immagino sulla scorta del romanzo, si concentra sui bambini, tutto comincia a Napoli, sul trauma del trasferimento in famiglie sconosciute, i sentimenti contrastanti della madre naturale e di quella affidataria, i diversi contesti, i dialetti, insomma il grande dramma umano, tra paura e speranza. Impressionante, per l’Italia odierna, quello che furono capaci di fare quelle persone allora, 1946 e anni successivi, fino al 52-’53: organizzare un gigantesco salvataggio, ospitare in case modeste, spesso piene di altri bambini, i bambini e le bambine provenienti dalla miseria più dura. Una lezione morale che spicca di fronte alla miseria morale odierna- di una parte, non di tutti- che si manifesta in particolar modo di fronte alla ‘questione degli immigrati’. Il film è da vedere ma vi conisglio anche di leggere, se non lo avete ancora fatto, ‘ Treni della felicità’ 2009 e ‘ C’ero anch’io su quel treno’ 2021, entrambi di Giovanni Rinaldi, che ricostruiscono l’intera storia del ‘treni dei bambini’ attraverso le testimonianze di alcuni dei sopravvissuti. Un ottimo lavoro da antropologo e da studioso di storia orale, come è stato ed è Rinaldi.
Mauro Imbimbo
IL LIBRO
C’ero anch’io su quel treno. La vera storia dei bambini che unirono l’Italia di Giovanni Rinaldi (Autore) Solferino, 2021 EAN 9788828206569
Descrizione editore
Libro vincitore del Premio Benedetto Croce 2022 – Letteratura giornalistica
«I bambini affamati erano tanti. Cominciava il tempo umido e freddo e non c’era carbone. I casi pietosi erano molti, moltissimi. Bambini che dormivano in casse di segatura per avere meno freddo, senza lenzuola e senza coperte. Bambini rimasti soli o con parenti anziani che non avevano la forza e i mezzi per curarsi di loro.» Così scrisse Teresa Noce, dirigente dell’Udi, Unione donne italiane, che fu l’anima del grande sforzo collettivo avviato all’indomani della Seconda guerra mondiale per salvare i piccoli del Sud condannati dalla povertà. Li accolsero famiglie del Centro-Nord, spesso a loro volta povere ma disposte a ospitarli per qualche mese e dividere quel che c’era. Un’incredibile espressione di solidarietà che richiese un intenso lavoro logistico, con il coinvolgimento di medici e insegnanti. E che non fu priva di ostacoli, tra cui la diffidenza della Chiesa timorosa dell’indottrinamento filosovietico, con qualche parroco che avvertiva: «Se andate in Romagna i bimbi li ammazzano, se li mangiano al forno». Giovanni Rinaldi raccoglie queste storie da oltre vent’anni: partendo dalla sua terra, il Tavoliere delle Puglie, ha viaggiato in ogni regione d’Italia parlando con tanti ex bambini dei «treni della felicità». Franco che non aveva mai dormito in un letto pulito. Severino che non era mai andato in vacanza al mare. Dante che non sapeva cosa fosse una brioche. Rosanna che non voleva più togliere l’abito verde ricevuto in regalo, il primo con cui si sentiva bella. Con le loro voci e un’accurata ricostruzione storica disegna un mosaico di testimonianze di prima mano, divertenti e commoventi: il ritratto di un’Italia popolare eppure profondamente nobile.