La Gita al Mare

Da: Anni cruciali. 1957-1968 / Gino Benvenuti. Il Punto rosso, 2021. http://www.puntorosso.it/edizioni.html

Un Sabato pomeriggio tra una partita di canasta e l’altra, alla casa del popolo, decidemmo di andare il giorno seguente al mare perché un amico, che aveva comprato da poco una Nsu Prinz, si rese disponibile. Finito di giocare pensammo a come organizzarci e decidemmo di darci appuntamento alle sei del mattino, davanti alla casa del popolo stessa, portando ognuno qualcosa che trascrivemmo singolarmente sul foglio usato per annotare il punteggio del gioco. Chi come me portò due sedie pieghevoli trasportandole con lo scooterino, chi una sdraio, chi un ombrellone ed un tavolino piccolo da campeggio. Il padrone dell’auto constatato che il bagagliaio era in parte occupato da attrezzi di lavoro cercò di sistemarlo fino alla saturazione e rimasero fuori il tavolino ripiegabile e la sdraio che legammo, con delle cinghie elastiche munite di un uncino, al portabagagli. La mattina, appena aperta la casa del popolo, facemmo una colazione abbondante acquistammo due bottiglie di acqua minerale, che inserimmo in una borsa di plastica insieme a del ghiaccio tritato, fornito dal barista, da tenere dentro l’auto, pronte all’occorrenza .

Con “la mobilia” sul tetto della macchina, salutammo alcuni clienti mattinieri e partimmo in direzione della “Volterrana” dove prima di arrivarci facemmo il pieno di benzina vicino al Galluzzo dividendo ovviamente la spesa; la giornata si preannunciava splendida. Eravamo in cinque stretti come sardine. Due fumavano, ma con i finestrini aperti ed a me, che allora non fumavo, non davano fastidio. Per guadagnare spazio ad un certo punto chi sedeva accanto al guidatore, dopo una fermata aveva tirato leggermente avanti il sedile per permettere a quello dietro di potere allungare le gambe. Era una posizione scomoda ma non ci sembrava che ne soffrisse perché ad un certo punto mise il braccio fuori dal finestrino ed il guidatore per fargli uno scherzo rasentò un muretto prima di fermarci a Volterra per prendere un caffè. Sentimmo un urlo perché impaurito fece appena in tempo a toglierlo. Fra barzellette, pettegolezzi, qualche ammissione privata ed anche pareri su questa o quella ragazza che frequentava il circolo, gli argomenti non ci mancarono ed il tempo volò. Parlammo anche sulle radioline portatili, che uno di noi voleva acquistare, ed i miei amici sciorinarono una serie di marche e di valutazioni di cui tenni conto quando mi decisi a comprarne una qualche mese dopo. Per distenderci aspettammo che scendesse il guidatore ed in un bar dopo aver bevuto approfittammo della toilette.

Una volta giunti a San Piero a Palazzi girammo verso destra direzione Livorno. Il traffico era intenso e noi andando piano venimmo sorpassati sistematicamente con colpi di clacson insistenti e ripetuti, da alcune auto che sembravano aver fatto un trasloco; su una c’era un materasso arrotolato e su un’altra un gommone che sporgeva davanti e dietro flettendo ad ogni buca. L’Italia vacanziera pur di godersi un giorno di mare era disposta, come noi del resto, ad arrangiarsi in qualsiasi modo. Non avevamo una meta precisa ed intorno alle dieci dopo aver fatto su e giù lo stesso tratto dell’Aurelia una domanda sorse spontanea.
Dove ci si ferma?– chiesi vedendo che andavamo verso Livorno e forse saremmo passati da Antignano.
Ci sono venuto con il mio babbo un mese fa– precisò il conducente -e so che c’è un posto molto comodo proprio vicinissimo alla spiaggia.

Dopo un quarto d’ora ci fermammo invece tra Vada e Rosignano Solvay di fronte ad un tratto di spiaggia che avrebbe dovuto esser libera, ma che in realtà era già affollata. Lo si capì dagli scooter e dalle auto che ci resero difficile trovare un posto dove parcheggiare all’ombra. Alla fine ci riuscimmo e con il nostro carico di mercanzia, attraversata l’Aurelia riuscimmo a piazzarci vicinissimo al mare dopo aver chiesto a due famiglie se potevamo collocare il nostro piccolo ombrellone. Dopo averlo picchettato cominciammo a spogliarci. Ognuno aveva il proprio slip già indossato a casa ovvero le mutande “Cagi”. Creme solari e sapone niente: figuriamoci lo shampoo che non era stato nemmeno preso in considerazione. Prima di andare al mare facemmo crocchio per decidere, sottovoce, di fare i turni all’ombrellone per poi andare subito di corsa dentro l’acqua.
Sono tutte persone oneste ma è meglio vigilare– mormorò Piero, che aveva un bellissimo orologio, mettendosi una mano davanti alla bocca.
Penso anch’io– sibilai a denti stretti perché una signora mi stava osservando. Probabilmente lei intuì quello che avevamo detto perché, prima di sfilare la corse verso l’acqua, ci rassicurò che potevamo stare tranquilli perché “noi siamo del posto e non è mai sparito niente”.

Rispondemmo in coro con un “grazie” ed io che dovevo fare il primo turno di guardia, mi aggregai a loro. Allora non sapevo nuotare e non mi allontanai dalla riva. Sguazzavamo divertiti schizzandoci l’acqua addosso e guardandoci attorno. Uscimmo dall’acqua dopo una mezz’oretta e dal nostro ombrellone notammo che alcuni ragazzi avevano spianato, con un listello di legno, un po’ di spiaggia per giocare a calcio e quando ci mettemmo un attimo a vederli palleggiare fummo invitati a giocare; temporeggiammo un poco. –Allora si gioca? Livornesi contro fiorentini– insisterono i ragazzi. In realtà l’unico tra noi che aveva un po’ di dimestichezza con il pallone ero io che avevo terminato il campionato degli juniores da non molto.

Gli altri quattro erano scarsi ma ormai la sfida era approntata anche perché il sole picchiava fervente ed un ombrellone come il nostro era troppo piccolo; tanto valeva ancora fradici asciugarci giocando. Spesso qualcuno mi sgridava con “passa la palla” perché cercavo da solo di colmare un divario che era soverchiante. Il più grasso lo mettemmo in porta; fu un disastro come la partita. Involontariamente cercò di calciare al volo il pallone che rimbalzò all’ultimo istante per cui lo “ciccò” completamente colpendo invece lo stinco di un avversario. Nacquero dei battibecchi ed alla ripresa del gioco, essendo vicino a lui, nel rinviare mi colpì in pieno volto determinando un’autorete. La gente sghignazzava mentre mi toccavo la testa, ma la partita continuò in un campo impraticabile per le buche che resero difficile calciare con precisione; tutti dietro alla palla tra contrasti, cadute ed imprecazioni.

Venimmo sommersi sotto una valanga di gol sotto gli occhi dei divertiti presenti anche se alla lunga cominciammo a disturbare gente con il proprio transistor, persone che stavano prendendo la tintarella, perché il pallone spesso rimbalzava tra gli ombrelloni. Dopo un richiamo risentito di uno che si era visto sfondare il proprio giornale dal pallone, la seconda volta che gli batté su un piede lo afferrò e, con rabbia, lo calciò con tutta la forza buttandolo in mare; chiudemmo lì il nostro divertimento e stanchi e sudati ci buttammo di nuovo nell’acqua restandoci a lungo. Quando uscimmo nel dirigerci verso l’ombrellone notammo che altre persone erano arrivate in quel posto. Accanto a noi un gruppo familiare, sotto un tendone da mercato rionale, aveva organizzato una cucina da campo sotto la direzione di una donna che indossava una veste e che probabilmente non avrebbe fatto nemmeno un bagno.

Lei con un fornellino a gas con sopra un marmittone, aveva preparato una spaghettata. Da due borsoni tirò fuori di tutto. Frutta, oliera, sale, pepe, ciocche di basilico, una busta con il parmigiano grattato, posate a sfare, forchettone di legno, un thermos con il caffè. Un bambino scavò una buca fino a che non trovò la sabbia umida e ci interrò dentro un cocomero ed un popone per metterli al fresco. Mi tornò a mente il film La Famiglia Passaguai con il figlio di Aldo Fabrizi che metteva al fresco un cocomero regolarmente ghermito da altri villeggianti. Una bambina contava le posate ed un’altra ragazza apparecchiava. Il nostro tavolino era poco più grande di uno di quelli dove si giocava a dama e quell’ombrellone era insufficiente perché il sole batteva a picco. Andai a prendere il borsone con panini e bevande dal portabagagli dell’auto che, parcheggiata al riparo di un albero, era già in pieno sole e lo portai vicino all’ombrellone. –Chi pensa di fare il bagno?- domandò Prinz.

Nessuno rispose. –Allora finiamo tutto quello che abbiamo perché dopo un sonnellino ci rimetteremo in marcia e se avremo voglia di prendere qualcosa ci fermeremo ad un bar– .
Giusto– . –Magari muoviamoci verso Livorno– . Nemmeno fossimo stati a cottimo demmo fine a tutto quello che avevamo portato. Sotto un ombrellone vicino al nostro, mentre stavamo distendendo gli asciugamani, un uomo sempre con la radiolina attaccata agli orecchi ci chiese:
Lo volete un po’ di caffè?– .

Non ce la facemmo ripetere due volte e ringraziando andammo verso di lui. Bevuto il caffè, l’uomo che era stato sdraiato da quando eravamo arrivati, mi offrì una sigaretta che rifiutai dicendogli che non fumavo ma Piero sfrontato non la rifiutò e così ci sedemmo a far due chiacchiere sotto il loro ombrellone. Ci disse che era uno spazzino e che a Firenze conosceva delle persone con le quali si teneva in contatto. Infine ci tenne a farci sapere che “puntualmente da diversi anni vengono in questo posto a fare le vacanze”. Fu tutto un parlare fino a che la signora tagliando a fette il cocomero volle offrircene una a testa. La conversazione continuò raccontando di noi, del lavoro che facevamo ed alla fine ringraziando ci appartammo per riposarci. Seduti sugli asciugamani ci accorgemmo allora che nessuno aveva portato la crema solare. Per ripararsi indossammo le magliette e ci mettemmo i pantaloni appoggiati sulle cosce. Dopo poco uno di noi cominciò a dormire ed io, che non mi sentivo di stare sdraiato, mi misi a veder giocare a scopa ed a briscola le persone dell’ombrellone più vicino, dopo che avevano sgomberato il loro tavolo. Mi raggiunse Piero che approfittò per scroccare un’altra sigaretta e rimanemmo in attesa che si svegliasse “Prinz”. Non volevamo restare lì a lungo ed alla fine decidemmo di svegliarlo strattonandolo.

Così, dopo aver salutato i vicini di ombrellone, sistemammo di nuovo tutta la mercanzia sul portabagagli e via di nuovo in movimento. In auto cominciò una diatriba tra chi voleva fermarsi a Castiglioncello e chi a Quercianella. La questione non riguardava il luogo ma esisteva per il fatto che due di noi avevano fatto conoscenza con delle ragazze nelle rispettive zone. -Il problema non esiste. Quercianella e Castiglioncello sono attaccate. Si può parcheggiare e poi ognuno va per conto proprio per ritornare ad una certa ora- . –Sentite io non ho voglia di venire a reggere il moccolo. Se vuoi andare a trovare quella ragazza ti si lascia lì e si ripassa a prenderti brontolai.
Giusto– rincalzò il proprietario dell’auto il cui parere ovviamente valeva più di ogni singolo. –Il film Il Sorpasso l’hanno già girato e non c’è bisogno di comparse! – rincalzò Piero. Nel parlare concitato non ci accorgemmo che eravamo già oltre i luoghi richiesti ed io desiderai di rivedere anche di sfuggita la sagoma della colonia Firenze che mi aveva ospitato.

Chiesi di rallentare e fui accontentato, ma sull’Aurelia il traffico era intenso e fummo oggetto di una serie di colpi di clacson e qualche imprecazione. Notai la scritta “Casa Firenze” su un edificio ed indicandola dissi: –Guardate sono stato qui in colonia– . Dalla parte opposta vidi schiere di bambini sulla spiaggia e dedussi che fosse ancora in funzione. Chi guidava notò che c’era un pezzo di spiaggia vuoto sulla sua sinistra però era rischioso fare manovra di inversione e così proseguimmo fino a che approfittando di una dirittura che garantiva una visibilità migliore facemmo un’inversione ad u. Riuscimmo a ritagliarci un piccolo spazio con i nostri asciugamani ed a turno ci buttammo di nuovo in acqua. Una volta riuniti notammo che non c’erano locali vicino ed al primo stimolo di sete, preferimmo alzarci e tornare verso casa.
Prima asciughiamoci bene– puntualizzò Prinz –altrimenti mi bagnate i sedili– . Era un uggioso che durante tutto il viaggio si era raccomandato di non gettare le cicche all’interno dell’auto e nello scendere dall’auto si era irritato gridando “mi avete riempito di sabbia le pedanine”.

Avevamo gli asciugamani ma non il cambio e per non perdere tempo ci infilammo i pantaloni. –Ma che fate?– domandò Alessio. –In un quarto d’ora si asciugherà tutto– risposi. –Sì ma quando si riparte metti l’asciugamano sul sedile– precisò Prinz. –Tranquillo te la porteremo a lavare e pagheremo noi. Vero ragazzi?– propose Piero. –Giusto facciamo così– . –Vi prendo in parola– commentò il proprietario. –Vicino all’officina dove lavoro c’è un lavaggio. Ottimo lavoro e buon prezzo. Domani gli chiederò quando la potrai portare– . Chiuso questo battibecco, ci infilammo nel primo bar a nostra portata in tempo per vedere due ragazze che ballavano da sole al juke-box. Bevemmo una birra a testa stando al fresco e dopo inserendo tre gettoni nel juke-box le invitammo tra di noi ed accettarono. Finita la musica, ripartimmo dopo averle salutate.
Ci siete anche Domenica?– domandò Piero.
Certamente– confermarono sorridenti- .
Allora si torna– . –Vi aspettiamo– ci dissero sventolando la mano mentre entrammo in auto.

Arrivammo a casa semplicemente arrostiti stanchi ma contenti di aver passato una giornata diversa. Io andai subito in bagno e guardandomi allo specchio ero rosso come un peperone. La sera restai in casa chiedendo a mia madre che mi fosse spalmata una pomata contro le scottature, perché avevamo in casa una piccola farmacia e provai immediatamente un senso di sollievo, ma appena mi appoggiai alla poltrona sentii la pelle tirare. Fu una vacanza improvvisata come tante e bastava vedere il traffico nel fine settimana come attestato di un desiderio seppur effimero. Erano gli anni in cui il popolo italiano scoprì le vacanze estive e si riversò nelle località marine con qualsiasi mezzo, come dimostrarono varie sequenze del film Il Sorpasso ed in una di queste si vede una moto con sidecar, dentro al quale sta una donna con un bimbo in braccio che Gassman sbeffeggia “E il nonno non è voluto veni’?” salvo poi aggiungere “belle famiglie italiane”. La spiaggia diventò il luogo privilegiato di incontro come le piazze in città nelle stagioni non estive e le immagini furono il termometro della voglia di divertirsi e della spensieratezza del popolo italiano, tra incontri, approcci, avventure, conversazioni, gusto di ostentare, sorrisi, tintarelle e soprattutto danze scandite dal quel totem che fu per noi il juke box, che diffondeva le canzonette in voga.

Importante era esserci, non importava per quanto e come, dando sfogo alla voglia di vivere oppure anche per ritemprarsi dopo un anno di lavoro. In quella massa di villeggianti ognuno si ritagliava le proprie vacanze grazie anche ad un altro simbolo di quel periodo: la cambiale. Erano gli anni in cui molti però cominciarono ad organizzarsi anche per soluzioni più onerose e stabili. Infatti nei primi giorni di Settembre, quando ormai si era esaurito il ciclo delle vacanze, cominciavano a vedersi nella casa del popolo volti abbronzati che nei primi giorni facevano le loro considerazioni sulle loro ferie, dove erano stati, il trattamento ricevuto, l’importo della spesa ribadendo anche in alcuni casi il desiderio di ripetere la loro esperienza. La cosa si protraeva per diversi giorni suscitando anche reazioni sarcastiche. Una sera assistei ad una scenetta divertente quando una persona, da più di un quarto d’ora, magnificava le proprie vacanze e per un po’ ci fu chi lo stette ad ascoltare però ad un certo punto venne interrotto: –Scusa compagno proletario come la metti adesso?– domandò, facendomi l’occhiolino, uno che si diceva vivesse una situazione economica agiata. –Perché pensi di poterle fare solo te le ferie? Ora ce lo possiamo permettere anche noi, caro quattrinaio– fu la replica piccata di colui chiamato in causa. –Allora non sei più proletario. Gliel’hai detto al partito?- . –Io non sarò più proletario ma te lo sai cosa sei?– . –Cosa? Sentiamo– . –Sei semplicemente un bischero ! – . Il battibecco non si chiuse qui anche perché, come succedeva spesso, individuata una persona reattiva, cominciavano quelle punzecchiature sarcastiche, dove era difficile distinguerne lo spirito subito corroborate da altre interferenze. –Hai fatto bene a rispondergli. Viene qui a fare lo spiritoso dopo che ha la casa al mare, eh! Sei stato anche troppo morbido– rinforzò sorridendo un’altra persona suo collega di lavoro, gettando benzina sul fuoco; lo conosceva bene e sapeva che per un nonnulla si infiammava. –Insisti, Giuseppe– incitò ridacchiando.

Fomentata la contesa, scattava la trappola per il soggetto “sensibile”; replicare o lasciar perdere? In quel frangente la cosa sembrò essersi smorzata, ma qualcuno insisté. –Se ce l’ha la casa al mare, buon per lui che in fondo ha sempre detto di non essere iscritto a nessun partito e di essere un borghese convinto. Lui è coerente, mica come tanti che parlano di sfruttamento… – . Non ebbe finito di finire il discorso, che la reazione giunse immediata da chi sentì in queste parole un’allusione nei propri confronti: –Senti, tu metti bocca quando ti si dà il permesso. Per tua norma io non sfrutto nessuno con paghe da fame a differenza di lui, capito?– controbatté la “vittima prescelta” alzando il tono della voce e puntandogli il dito contro il petto. In un crescendo continuo si arrivò anche a delle offese fino a che uno dei presenti chiese che ore fossero. Ad una risposta precisa, commentò: –S’è trovato l’ora di andare a cena; arrivederci– . Come a comando il gruppetto si sciolse e la discussione finì.

Gino Benvenuti, 2021

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