di Gianpasquale Santomassino
Note a margine del Caso Claps.
Ho guardato la fiction Rai sul Caso Claps e anche il documentario di Sky. Li ho guardati lentamente, perché ero turbato dalla vicenda allucinante e anche dall’ambientazione che suscitava troppi ricordi. Sembrerà strano, ma la cosa che mi ha fatto più impressione sono le scalinate, che in parte avevo dimenticato o rimosso. Per come sono ridotto oggi mi pare impossibile avere salito e sceso migliaia di volte tante scale (all’epoca non esistevano le scale mobili, evocate nella fiction, che fra l’altro non mostra le scale più lunghe e ripide, come quelle che facevamo ogni giorno per andare a scuola).
Ma vorrei dire qualcosa su quella chiesa, che non è quella mostrata nel telefilm (ma ben visibile nel documentario).
La chiesa della SS.Trinità era diventata la parrocchia della classe dirigente locale. L’orario della messa domenicale, alle 11, era molto comodo e consentiva di farsi vedere da tutti, salutare gli amici, omaggiare i potenti. Era anche l’unica chiesa che si affacciasse sul corso principale. Il viscido arciprete della Trinità, nel suo delirio di onnipotenza, vagheggiava che gli abbattessero l’isolato che si interponeva tra la chiesa e la piazza principale, ma per fortuna su questo non potevano dargli soddisfazione.
Ma quella chiesa aveva avuto una storia più nobile e interessante, legata alla figura di Don Vincenzo D’Elia, che nel 1919 aveva ricevuto da Don Luigi Sturzo il mandato di costruire il Partito Popolare in Lucania, e che va considerato il creatore effettivo della presenza politica dei cattolici nella regione. Il giovane Emilio Colombo era stato suo allievo, e con lui gran parte della prima classe dirigente che avrebbe conquistato una forte egemonia regionale, scalzando l’influenza delle consorterie legate a Francesco Saverio Nitti. Tenne in vita una presenza, durante il regime, che se non si può definire antifascista fu sicuramente “afascista”, declinata in termini concorrenziali più che oppositivi.
Ripensando a posteriori a quella vicenda mi sono fatto l’idea che l’arciprete della Trinità avesse sofferto di un vero e proprio complesso di inferiorità rispetto alla memoria di Don D’Elia, cercando in tutti i modi di riprodurne l’attivismo culturale e politico, fondando associazioni, ospitando giovani, ma senza avere la cultura e la stoffa del suo predecessore. E con risultati mediocri o disastrosi.
Un’ultima cosa da segnalare è che la chiesa lucana aveva avuto fino ad allora una tradizione relativamente “progressista”, che viene spegnendosi in quegli anni e che oggi pare un ricordo sbiadito del passato, come testimoniano le parole e gli atti, di incredibile arroganza, del vescovo attuale sulla vicenda di Elisa Claps, con la decisione di riaprire la chiesa con una lapide in ricordo dell’arciprete ma non di Elisa, uccisa e lasciata per tanti anni sotto il tetto di quella chiesa. Ma per due secoli la tradizione era stata molto diversa.
Io sono nato in una stradina vicina al Duomo, che si chiama “Via dei sacerdoti liberali”. Un nome che mi era sempre suonato molto strano, quasi paradossale, fino a quando in età matura non avevo studiato il periodo napoleonico in Italia. Per scoprire che la Chiesa di Potenza aveva aderito alla Repubblica Napoletana. E che quando le bande sanfediste del cardinale Ruffo espugnarono Potenza il vescovo venne decapitato sul sagrato del Duomo, e la sua testa, conficcata in una picca, venne portata in processione nelle strade cittadine.