Il pacifismo è anticapitalista

Una breve ma essenziale considerazione di Gianpasquale Santomassimo- Da Facebook

Quando si legge degli stratosferici stanziamenti di fantastiliardi di aiuti militari che gli Usa destinano all’Ucraina e a Israele è bene tener presente che l’80% delle somme resta in patria, investiti nella produzione di armamenti. E’ un meccanismo ben noto e collaudato, che fu in passato alla base di tutti i tentativi (riusciti o meno) di uscita dalle crisi attraverso le spese militari. E’ anche secondo molti interpreti la chiave del successo finale nella lunga guerra fredda del 900: la corsa agli armamenti come volano di sviluppo in una economia di mercato, come perdita secca e paralizzante in una economia socialista.

Gianpasquale Santomassimo

in memoria di Bianciardi

Rino Pensato propone un ricordo di Luciano Bianciardi. Da Facebook

Luciano Bianciardi (il primo da destra) nella sua pausa caffè.

Grandi anniversari.

Il 14 dicembre di 101 anni fa nasceva
Luciano Bianciardi (Grosseto, 14 dicembre 1922–Milano, 14 novembre 1971)
Luciano Bianciardi è stato uno scrittore, giornalista, traduttore, bibliotecario, attivista e critico televisivo italiano.
Esordì con due romanzi: Il lavoro culturale (1957; 2a ed. ampl. 1964) e L’integrazione (1960) che, con La vita agra (1962), compongono un trittico, non di rado parodistico e dissacrante, sulla condizione umana nell’Italia contemporanea, dalle illusioni del dopoguerra al grigio benessere degli anni Sessanta. Rievocazioni del passato in chiave di attualità sono: Da Quarto a Torino. Breve storia della spedizione dei Mille (1960, 2a ed. ampl. 1968), Daghela avanti un passo (1969), La battaglia soda (1964) e Aprire il fuoco (1969). Nel 1969 aveva pubblicato Viaggio in Barberia; postumi sono apparsi Giorni nostri (1972, in collaborazione con D. Manzella) e Peripatetico e altre storie (1976). Nel 2018 è stato edito il volume Il cattivo profeta. Romanzi, racconti, saggi e diari, che ne raccoglie gli scritti, mentre è del 2021 il saggio A Milano con Luciano Bianciardi di G. Manzini.
***
Il nostro è un ricordo ad hoc per chi scrive, bibliografo per la vita (circolano ancora miei “lavori bibliografici”) e caffeinomane impenitente.
“Una ricerca esauriente sulla bibliografia cinese,” mi dissero un giorno.
“Una ricerca completa. Vedere quel che si è pubblicato in Europa, soprattutto in lingua inglese, sull’argomento: storia, letteratura, arte, costume e così via.”
“Bene,” facevo io, “ma ora andiamo a prendere un caffè. Lo paga Ardizzone.”
“Ma santo cielo,” faceva Ardizzone con voce lagnosa, “sempre a rompere le scatole con questo caffè. Ma non lo vedete che ho da fare?”
“Dai Ardizzone,” faceva allora Pozzi, “stai calmo e paga questo caffè,” e se ne andava nella sua stanza. Ma di lì a poco rifaceva capolino:“Allora Ardizzone, questo caffè lo paghi o no?”.
“Un momento, un momento, finisco qui e poi lo pago. Lo pago, lo pago, maledetti micragnosi, lo pago.”
Si usciva tutti e quattro, dopo aver avvertito Bauducco: “Vieni anche tu a prendere il caffè? Lo paga Ardizzone, a tutti”.
Luciano Bianciardi, L’integrazione, 1960 (Feltrinelli, 2014)
Luciano Bianciardi, che è riuscito a fare grande narrativa, con amara ironia, sul “lavoro culturale” e la storia locale. Per me, per il mio lavoro, per i miei libri, un faro, oltre che il piacere di leggere “in purezza”, a prescindere dall’“appeal” del plot, dei personaggi.

Romeo Francesco Antonio su FB commenta

Nella “Vita agra” sosteneva di non essere razzista perché aveva ospitato un pisano. Uno di quelli che dicono: “Gaodè er pecoro d tu pà! Nun ce l’avresti un lavorino da faticà poco e guadagnà tanto?

Buon Natale da Pier Paolo Pasolini

Pier Paolo Pasolini, Eretico & Corsaro (Tempo, numero 1 del 3 gennaio 1970)

Tanti Auguri
Siamo arrivati all’insopportabile Natale. Non ho niente da aggiungere a quanto dicevo un anno fa, qui, contro questa festa stupida e irreligiosa.
Tanti auguri ai fabbricanti di regali pagani! Tanti auguri ai carismatici industriali che producono strenne tutte uguali!
Tanti auguri a chi morirà di rabbia negli ingorghi del traffico e magari cristianamente insulterà o accoltellerà chi abbia osato sorpassarlo o abbia osato dare una botta sul didietro della sua santa Seicento!
Tanti auguri a chi crederà sul serio che l’orgasmo che l’agiterà – l’ansia di essere presente, di non mancare al rito, di non essere pari al suo dovere di consumatore – sia segno di festa e di gioia! …
.
(Tempo, numero 1 del 3 gennaio 1970)

Viaggio semiserio immaginifico nel cielo blu dipinto di blu

Un racconto di Mario Basso

Quando ero giovane, si proiettava un film “IRMA LA DOUCE” – Irma la dolce.
Dicevo ai miei compagni: Io ho una cugina che si chiama Irma ma non la conosco perché vive in Sardegna. Per tanti anni non ci siamo mai incontrati.
Un giorno di qualche anno fa, sento dire da Maria:” Irma se né andata, è andata via, non c’è più”. Come non c’è più!!!!, dove è andata?? con chi???!. Non era possibile, aveva il marito. Eppure se n’era andata davvero:
Era andata “Nel cielo blu dipinto di blu”.

Il racconto

Racconto di Natale

Da Facebook un bel contributo di Sandra Vegni

La foto trovata su una pagina di facebook mi ha suggerito un racconto

Sandra Vegni

L’ALBERO DI NATALE

La bambina non si decideva ad andare a letto, pareva che l’eccitazione degli adulti le si fosse trasmessa nonostante fingessero normalità. Gli zii e la cugina giocavano a carte sul tavolo di marmo di cucina, osservati dal nonno che stringeva fra i denti la pipa spenta; il babbo leggeva il giornale sulla bergère del salotto.

Alla fine l’Amalia pose fine agli indugi: la portò in camera, le infilò il pigiama e si sedette accanto al lettino smaltato di rosa, una mano chiusa a pugno fra quelle della piccola che iniziò, come ogni sera, ad accarezzarle le nocche disegnando cerchi con le piccole dita. Una sorta di tortura cinese per la mamma che intonò a bassa voce la ninnananna fiorentina, l’unica che conosceva: “nannao nannao… questa bambina a chi la do…”

Subito carte e giornale sparirono dalla scena; facendo cenno l’uno all’altro di restare in silenzio, tutti si davano da fare. Il babbo e lo zio trascinarono su per le scale il grande abete che sfiorava il soffitto, la zia corse ad aprire la scatola dove riposavano, incartati ad uno ad uno con il giornale dell’anno prima, gli addobbi colorati. Palle di vetro semplici, le più belle interrotte da una girandola, fragili, difficili da maneggiare. Un tocco distratto, un rapido scivolìo e mille pezzi colorati si dividevano in minuscoli frammenti sulle mattonelle esagonali del pavimento.

Il nonno, dalla bergère spostata in un angolo per far posto all’albero, in silenzio osservava i lavori.

Dopo che, finalmente, la bambina si fu addormentata, arrivò la mamma a dar mano. C’erano ancora da agganciare i mandarini profumati e i sacchetti di noci e fichi secchi dell’orto e infine i cioccolatini a forma di Babbo Natale avvolti nella carta stagnola. Già s’immaginavano la gioia della bambina mentre li sgranocchiava.

L’ultimo tocco lo diede il babbo, sotto l’occhio vigile dello zio: era un compito delicato agganciare le candele alle fronde dell’albero, bisognava calcolare che l’altezza delle fiammelle non sfiorasse i rametti sovrastanti. Non sarebbe stato un gran giorno di Natale quello in cui la casa fosse andata a fuoco.

Gli anni precedenti la bambina era troppo piccola per apprezzare l’albero di Natale, quello per lei sarebbe stato il primo; così al mattino erano tutti lì ad aspettare le sue grida di sorpresa, pregustavano i salti, gli occhi scintillanti di gioia, gli abbracci che avrebbe regalato a tutti.

Arrivò per mano alla mamma, i capelli arruffati, il golfino infilato sopra il pigiama rosa e le pantofole scozzesi ai piedi. Era una bambina silenziosa, un po’ imbronciata, sempre a rincorrere le sue fantasie.

Lasciò la mano della mamma, guardò l’albero scintillante di vetri e di stagnole, le fiammelle tremolanti che puntavano il soffitto. Lo guardò con occhi critici, la fronte corrugata, le labbra strette. Poi si rilassò e sorrise.

«L’ho fatto io!» disse, soddisfatta.

La bambina ero io, avevo tre o quattro anni, la storia è vera. Ogni volta che me la raccontavano i ‘grandi’ ridevano come matti.

IL GATTO IN UN APPARTAMENTO VUOTO

Anna Maria Guideri ci propone questa bella poesia di Wislawa Szymborska – premio Nobel per la Letteratura 1996

Morire – questo a un gatto non si fa.
Perché cosa può fare il gatto
in un appartamento vuoto?
Arrampicarsi sulle pareti.
Strofinarsi sui mobili.
Qui niente sembra cambiato,
eppure tutto è mutato.
Niente sembra spostato,
eppure tutto è fuori posto.
E la sera la lampada non brilla più.
Si sentono passi sulle scale,
ma non sono quelli.
Anche la mano che mette il pesce nel piattino
non è quella di prima.
Qualcosa qui non comincia
alla solita ora.
Qualcosa qui non accade
come dovrebbe.
Qui c’era qualcuno, c’era,
poi d’un tratto è scomparso
e si ostina a non esserci.
In ogni armadio si è guardato.
Sui ripiani si è corso.
Sotto il tappeto si è controllato.
Si è perfino infranto il divieto
di sparpagliare le carte.
Che altro si può fare.
Aspettare e dormire.
Che lui provi solo a tornare,
che si faccia vedere.
Imparerà allora
che con un gatto così non si fa.
Gli si andrà incontro
come se proprio non se ne avesse voglia,
pian pianino,
su zampe molto offese.
E all’inizio niente salti né squittii.

Wislawa Szymborska
premio Nobel per la Letteratura 1996

Questo non sarebbe accaduto nella bella Instambul, città ove i gatti di casa circolano beatamente per le strade, coccolati e rispettati dagli abitanti

Il gatto d’Instambul

MUSSOLINI TRANS

Valentino e l’attualità dei classici
di Anna Maria Guideri

Specchio specchio delle mie brame
chi è il più fascio del reame?

O Mussolini vestito di nuovo,
tu sei la Giorgia in gonna e tacchini;
lei ha stanato i fascisti dal covo:
sono al governo i repubblichini!
Porta la fiamma che il duce le fece
ed il baston che risale a quel dì …
Contro i migranti lo agita, invece
ai forti poteri lei dice di sì.
Lei per le donne poco si è spesa;
costano i nidi al salvadanaio …
Sì è una donna, ma ora si è arresa
ai maschilisti del suo pollaio.
“ E’ sempre valido il Codice Rocco,
la magistratura io voglio ai miei piè …
La Costituzione io la ritocco
e ai magistrati rispondo: tiè!”
O Mussolini vestito da donna
che agiti ancora il manganello,
mettiti pure, se vuoi, la gonna,
ma è sempre quello il tuo cervello!

Anna Maria Guideri, 04-12-2023

IL FEMMINISMO ALLO SPECCHIO

(Specchio specchio delle mie brame, chi è la più femminista del reame?)
di Anna Maria Guideri

Da quando Giorgia Meloni è stata nominata capo ( e non capa) del governo ci si chiede con interesse spasmodico degno di miglior causa, se questo evento possa essere considerato una vittoria storica del femminismo. Certo, il fatto che per la prima volta in Italia una donna abbia conquistato la vetta del potere politico è oggettivo e non irrilevante. E’ senz’altro una novità perché Meloni è una donna e lei ci tiene a ribadirlo, come se ci fossero dubbi in proposito e, nonostante rivendichi l’articolo maschile per la sua carica istituzionale – il Presidente – donna e cristiana finiscono per a e quindi sussiste la prova provata della sua appartenenza al genere femminile. Però, se ci si spinge appena un po’ più in là e ci si chiede se questa nomina a Presidente del Consiglio dei ministri giovi alla causa femminista, i dubbi scompaiono e la risposta è: NO. Lo stile meloniano (aggressivo, autoritario), ma più ancora i provvedimenti del suo governo (tampon tax, tagli del 70% ai fondi per la prevenzione della violenza contro le donne, mancata approvazione di una normativa di contrasto alla discriminazione di genere, mancato riconoscimento dei diritti dei figli delle coppie omogenitoriali, le varie strategie di contrasto all’applicazione della legge 194 …) dimostrano che il maschilismo è un fattore culturale trasversale ai generi e che non basta essere donne per dirsi dalla parte delle donne. Per Giorgia Meloni la donna è soprattutto madre, ma distingue tra madri vere e madri finte, fra quelle naturali e quelle contro natura. Di conseguenza anche i figli nati con metodi non naturali non sono figli veri e pertanto non hanno diritto di essere considerati tali. Sembrano veri, ma non lo sono, e come gli ultracorpi, in combutta con i migranti, fanno parte di un complotto internazionale mirante alla sostituzione etnica della nostra popolazione. Insomma, come natura crea, Giorgia conserva. Paradossalmente Meloni, proprio in quanto donna di potere così refrattaria alle istanze femministe, rappresenta un valore aggiunto alla cultura conservatrice maschilista. Se anche le donne di potere danno ragione ai maschilisti, i maschilisti hanno ragione! Così, la cultura maschilista, anziché indebolirsi si rafforza virilizzando le donne e annettendole alla propria causa. Se anche le donne – come recitava Benigni – le son’omini anche loro – dove sta la vittoria delle donne? Le donne vincono solo se possono affermare la propria identità senza riceverla in dote dai maschi o dalle donne di potere loro complici. Il femminismo non è una questione di genere, ma di contenuti e Meloni ha vinto imitando i maschi superandoli in peggio. Per le donne la vittoria della Meloni è una beffa vera e propria. Che ne sia o no consapevole, lei si ritrova ad essere usata come modello dell’emancipazione femminile allo scopo di perpetuare il potere maschile sul piano dei valori culturali e sociali. Meloni è la cavalla di Troia con dentro le truppe fascio-maschiliste addestrate ad invadere il campo delle femministe per convincerle di avere conquistato il potere. Ma, come quel gatto affetto da manie di grandezza, vede nello specchio che lo riflette, non la propria immagine, ma quella di un leone, così molte donne di sinistra si rispecchiano nella Meloni come in colei che le ha affrancate da una plurisecolare minorità. Lo specchio deformante della manipolazione mediatica presenta la Meloni come colei che è riuscita a scardinare il potere maschile nell’Italia post-fascista! Chi l’avrebbe mai detto che un giorno il femminismo avrebbe dovuto ringraziare il fascismo?

Anna Maria Guideri, 01-12-2023

La carne sintetica

Vanna Panerai su Facebook riporta una considerazione della Dott.ssa Alice Rotelli, fatta il 30 marzo 2023: prima della piazzata del Presidente della Coldiretti Prandini davanti alla Camera e relativa aggressione al parlamentare Della Vedova che aveva contestato in aula l’atto del Governo che vietava la ricerca la produzione ed il consumo della cosidetta “carne sintetica”, meglio sarebbe dire “carne coltivata”, “carne pulita”, “carne in vitro” o “carne artificiale”.

Dott.ssa Alice Rotelli

La cosiddetta “carne sintetica”, che tanto fa storcere il naso a molti, altro non è che un prodotto alimentare realizzato utilizzando cellule animali.
Il processo prevede l’estrazione delle cellule staminali e quindi la proliferazione in una soluzione nutritiva all’interno di un bioreattore; le fibre muscolari così ottenute vengono utilizzate per produzione finale della carne.
Definirla “sintetica”, in realtà, è sbagliato: è un termine atto solo a suscitare un’ingiustificata repulsione verso tale prodotto. In realtà, come spiegato sopra, si tratta di carne coltivata derivante da cellule vere e proprie.
La carne prodotta “in vitro” ad oggi è legale negli Stati Uniti e a Singapore.
Il vantaggio è che da una sola cellula si possono ottenere circa 10mila chili di carne in poche settimane.
Vietarne la produzione ed il consumo significa non solo porre dei limiti alla libertà di chi vuole percorrere strade alternative, ma soprattutto non riuscire a vedere oltre il proprio naso.
Siamo infatti ormai 8 miliardi di persone ed il numero è destinato ad aumentare costantemente ed inesorabilmente.
La produzione ed il consumo di alimenti ben presto diventerà insostenibile, se non si trovano soluzioni alternative.
Gli allevamenti intensivi non sono la scelta corretta: non sono ecosostenibili e comportano un rischio tangibile di sviluppo di antibiotico-resistenza che, a sua volta, costituisce un problema sanitario sempre più dilagante e oltremodo preoccupante.
La carne “in vitro”, invece, non lede il benessere animale, permette una sostenibilità ambientale ed una sicurezza alimentare.
In conclusione, la carne in vitro, come anche le fonti proteiche che possono derivare dagli insetti, devono essere viste piuttosto come un’opportunità e non come un problema da vietare a priori.
Rinunciarci o vietarla in nome di un principio o di una ideologia retrograda è da persone ottuse e non lungimiranti.

Manolo Lanaro su Il Fatto Quotidiano 16-11-2023

“Delinquente, buffone“. Il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, ha aggredito questa mattina il deputato di +Europa, Benedetto Della Vedova, fuori dal Parlamento. Mentre era in corso alla Camera la discussione del disegno di legge sulla carne coltivata, all’esterno la Coldiretti ha organizzato un sit-in coi propri iscritti. A un certo punto – come si vede nel video – Prandini ha raggiunto Della Vedova (in compagnia di Riccardo Magi e un piccolo gruppo di persone che stava manifestando contro il divieto alla carne coltivata con alcuni cartelli in mano) e lo ha spintonato, insultandolo. Immediata la reazione dei presenti e delle forze dell’ordine, che hanno allontanato il presidente di Coldiretti.

“Se il presidente di Coldiretti si sente in diritto di aggredire un parlamentare credo che siamo all’eversione. È una persona che non dovrebbe ricoprire un ruolo del genere, ora facciamo una bella denuncia” ha dichiarato Della Vedova, dopo le tensioni davanti a Palazzo Chigi. “Chiediamo che il governo si dissoci”, ha aggiunto il segretario Magi. “Sono andato ad incontrarlo per dirgli quello che pensavo di lui – ha detto Prandini – Da lì c’è stata qualche piccola spinta, ma niente di più, che viene strumentalizzata dallo stesso per avere un po’ di visibilità in termini mediatici”.

Marco Nepi su TPI The Post Internazionale del 16-11-2023

Le proposte del Governo Poponi contro la carne sintetica