Era un giorno piovoso e freddo di fine Novembre quando Irene, tornata anticipatamente dal lavoro, entrando nella camera della suocera le comunicò: -Beatrice ora comincio a prepararti e così tra un’ora quando rientrerà Berardo andremo fuori- . Gli occhi della donna anziana, quasi inferma da tre mesi per una grave fattura al femore a seguito di una caduta provocata da uno scippo, si illuminarono e su quel visto triste e rassegnato, spuntò un sorriso radioso. Con cura la nuora cominciò a curarle il volto.
Piccola vita, vita mia, devo a te la scoperta della mia inaspettata tenerezza; il piacere di arrendermi alla tirannia, la mia fiducia in un essere vivente che non doveva fingere di essere buono per farsi amare.
Non esistevano dispetti che la tua grazia non rendesse divertenti, né graffi che non fossero perdonati in cambio dell’irresistibile tremolio. della tua gola.
Piccola creatura d’amore e di mistero … di nascondigli segreti, di fantasmatiche apparizioni, di imperscrutabili sguardi e silenzi … di premeditate rappresaglie, di sommessi rimproveri, di contriti pentimenti …
Per arcane alchimie, ciò che negli umani è riprovevole, in te era solo incanto.
Dove hai nascosto la tua folta coda che ti tradiva sempre sbucando a tua insaputa da recessi impensabili?
Ti evocano ombre fugaci, soffici cuscini, indumenti raggomitolati sparsi qua e là , vibrazioni indefinibili, strani cigolii …
Ti vedo ancora danzare sul tappeto a far festa al mio ritorno offrendo tutto te stesso – dalla testa alla coda – al mio tocco amoroso.
Da ultimo, per pudore, ti rifugiavi in angoli remoti per nascondere il fiore malato della tua bocca e ti allontanavi senza un lamento in punta di polpastrelli, arreso, ormai, al tuo destino.
E mentre piangendo ti salutavo e ti spiegavo che non potevo fare di più, tu mi guardavi con tenerezza infinita e mi ringraziavi per l’ultima volta con tutto l’amore che potevi raccogliere dentro il mormorio impercettibile delle fusa.
Ora ti sei accoccolato sul mio cuore e stai lì e ancora mi fissi con i tuoi verdi occhi indagatori e mi incalzi per capire cosa mi passa per la mente.,
Rivivo ogni istante del tuo ultimo viaggio: la tua riluttanza verso i medici, ma poi la tua fiducia in me, il tuo commovente abbandono alla dolce fermezza delle mie mani, della mia voce.
Ti ho accompagnato fino alla fine raccogliendo il tuo ultimo respiro che conservo per sempre nel mio cuore..
La tua anima felina aleggia già oltre i confini dello spazio e del tempo tenera e corrucciata, permalosa e ruffiana, arrendevole e imperiosa, amorosa come un canto sommesso e segreto bisbigliato al mio orecchio solo per me, per noi.
(teste pensanti, teste vacanti)
di Anna Maria Guideri
Vari articoli apparsi in questi giorni sul quotidiano Domani trattano, da varie angolature, il tema dell’egemonia culturale e della polemica sollevata dalla destra su quale sia lo schieramento politico che ha più titoli per rivendicarla. La destra, con in testa la Meloni, si lamenta dell’indebita appropriazione del primato culturale ad opera della sinistra, sfidandola su questo terreno. Secondo l’attuale Presidente del Consiglio, si tratterebbe – nientedimeno – di un complotto orchestrato dalla sinistra per estromettere la destra postfascista dalla rosa dei cervelli pensanti di questo paese. Oscar Iarussi su Domani, in controtendenza con questa tesi afferma – e con fondate ragioni – l’esatto contrario.
Vivere è competere: secondo natura tutti sono preda e ciascuno è predatore. Ognuno si difende e offende. L’odio e la vendetta sono invece proprio solo del genere umano anche per il furto di una semplice borsetta. Nessuno vedrà la fine di questo universo, nessuno ha visto la fine di quello precedente. Rimuginando su queste cosucce, un vecchio si trascinava lento pede sul pontile mentre il vento risucchiava la forza del mare. Marina, in settembre di venerdì, giorno del mercato.
Una presentazione tratta da Facebook in ritardo ma ancora valida
Elena Tempestini è con Elisabetta Failla.
Quando i torinesi ci definirono “ inaffidabili” per il ruolo di Capitale del Nuovo Regno d’Italia, i fiorentini discendenti del Boccaccio risposero: …”se siam bravi e siam cortesi son felici i piemontesi ma con questi sull’Arno capitati, finiremo alla specola impagliati“. Dopo una attenta riqualificazione riapre il Museo La Specola il 22 febbraio 2024, la ristrutturazione è stata finanziata dal Fesr, il Fondo europeo di sviluppo regionale 2014-2020. La Specola è erede del più antico museo scientifico d’Europa ad essere aperto al pubblico. Si trova in via Romana quasi a ridosso di palazzo Pitti e ai margini del giardino di Boboli: un torrino di quaranta metri d’altezza da cui si domina Firenze e dalle cui finestre, nella sala ottagonale superiore, si ha una visione del cielo a tutto tondo. Restaurato e riallestito, per ripercorrere le scoperte degli scienziati italiani quali Galileo in particolare a partire dal XVI secolo. Il complesso della Specola ha sede in un palazzo settecentesco che fu dei marchesi Torrigiani e che ora appartiene all’Università, facoltà di Biologia. Il Torrino, originariamente destinato ad osservatorio astronomico e meteorologico venne inaugurato nel 1807, in pieno periodo napoleonico, quando il Granducato di Toscana si chiamava Regno d’Etruria. Oggi accoglie antichi strumenti scientifici, minerali, modelli pomologici e reperti etnografici.
Dalla lettura del bel libro di Antonio Padellaro –Solo la verità, lo giuro – ho tratto qualche motivo di riflessione sulla consuetudine, molto diffusa, di guardare con occhio benevolo – quando non nostalgico – al passato, anche a quello meno edificante della nostra storia: fatti, usi, costumi, personaggi … soprattutto personaggi. Nel caso di Padellaro che, al netto della sua avvincente prosa e della sua onestà intellettuale non fa eccezione alla regola, il personaggio ricordato con un filo di nostalgica ammirazione che l’attuale squallore sembrerebbe giustificare, è Bettino Craxi.
Quando ero piccola andare in via del Corso per vedere i bomboloni che cadevano dal cielo e rimbalzavano da destra a sinistra fino a rotolare nello zucchero era una meta obbligata. Quando i’ babbo era libero dal lavoro, quasi sempre di giorno feriale perché guidava i’ tranvai e i riposi arrivavano a scendere, una settimana di giovedì la successiva di mercoledì e via scalando, s’andava quasi sempre in centro, al cinema o al museo (sì, museo, avete capito bene) oppure a passeggiare fra chiese e palazzi che stillavano bellezza e storia. Ma non poteva mancare una sosta golosa: in via Monalda d’inverno per la panna coi cialdoni se c’era anche l’Amalia oppure in via di’ Corso a veder saltellare i bomboloni, se eravamo da soli. All’Amalia i bomboloni non piacevano e trovava un po’ eccessivo – e arrogante – quello spettacolo dolce-fritto-zuccheroso. Ho letto che il bar chiude oppure è già chiuso, non so. Non ci son più occhi di bambini che si stupiscono davanti a un bombolone che vola fino ad atterrare nello zucchero. Traboccano di merendine industriali gli scaffali dei supermercati, i bambini seguono le sonde spaziali e un bombolone che cade dal cielo che vuoi che sia. E noi, i bambini di allora ormai vegliardi con i capelli bianchi e il colesterolo e la glicemia da controllare, da quanti anni non siamo andati in via del Corso, fermi sulla strada, gli occhi fissi alle alette che facevano rimbalzare i bomboloni. Da quanto tempo i denti non affondano più nella salda elasticità della pasta, la crema non strabuzza dalle fessure, i baffi di zucchero semolato non disegnano le nostre labbra? Il bar Cucciolo ha chiuso. I bomboloni non saltano più. I bambini non si stupiscono di queste sciocchezze, i babbi giocano al calcetto e i bambini li portano al cinema nelle multisale con la bigoncia di pop corn. I musei? Che ci pensi la scuola, se ci vuol pensare. Guardare avanti e non indietro. Fine, the end. La mia infanzia se n’è andata da un pezzo, io non ho mai portato mia figlia a guardare i bomboloni cadere; solo la notizia che non cadranno più mi ha suscitato una botta di nostalgia. Per quella mano ruvida e calda che stringeva la mia, per gli occhi chiari del babbo che osservava insieme a me, come un fanciullo, cadere i bomboloni dal cielo.