Dalla serie le Missive impossibili di Sandra Vegni
Lettera di Napoleone Bonaparte (Imperatore)
a Josephine (ex Imperatrice e moglie)
A Marie Josephe Rose Tascher de la Pagerie, Chateau Malmaison, nei pressi di Parigi
Pressi della Beresina (Russia), 24 Novembre 1812
Compagna di giorni felici che mai torneranno
Tu sai, ma chére, e comprendi come sempre hai compreso, le ragion di stato che mi spinsero a chiudere il nostro matrimonio. Il figlio che tu non mi hai saputo dare per sempre ci ha diviso.
Ma l’amore che ci ha unito, i nostri giorni regali e felici ci tengono uniti in un ricordo reciproco che nessuno potrà cancellare. Men che mai l’austriaca, il suo rigido incedere e l’asprezza del suo linguaggio potranno mai sciogliere il gelo che avvolge il mio cuore.
Non solo il mio cuore è avvolto dal gelo, in queste lande desolate coperte di neve dove – ogni giorno più orrendo – assisto al lento sgretolarsi del mio esercito una volta invincibile e lascio alle spalle i più nobili dei miei soldati. Statue di marmo, com’esso bianche, punteggiano il cammino. Nel vuoto degli sguardi, nelle mani rattrappite, nell’immobilità dei corpi io vedo, seppur non ancor deciso, il destino mio e dell’Impero.
A chi, se non a te, amata compagna mia, posso rivolgere queste mie parole. Ultime, forse, non voglio credere, che pronti son tanti prodi a difendere l’Imperatore: soldati fedeli, fedeli combattenti di tante gloriose battaglie. Di quei giorni, di quei ricordi pare oggi fatta la mia vita. Domani penserò alla battaglia, alla difesa di quanti mi restano fedeli e vivi. Domani, alla difesa. Che attacco, ormai, non è pensabile con questi resti di sparute truppe.
Tu lo dicesti, o cara, che questa terra inospitale e inutile mal si ponea alle mie mire di grandezza. A te sola, oggi, lo dico: perché ignorai le tue donnesche parole, perché? Imperator dovevo rimanere nei miei già ampi confini. Queste steppe non conoscevo e la durezza feral del Generale Inverno che va sgominando, uno a uno, i miei soldati.
E ti penso, intenta a coltivar le rose, a quelle opere invernali che più rigogliose le renderanno a primavera. A Malmaison, le bianche mani rifugiate nel manicotto, i riccioli che sfuggon dal copricapo invernale, la mente a me rivolta. Giacché io lo so, Josephine mon amour, dove vanno volando i tuoi pensieri. E li vedo arrivare, nel corpo freddo di un uccello smarrito che, stento, si posa su un ramo secco imperlato di brina e ti penso, mia cara e temo – l’Imperator non ha paura – di non vederti più.
Nessuno vedrà questa mia, e io so che tu, che ancora ai miei ideali e al nostro passato resti fedele, immantinente la distruggerai.
Adieu, ma chère, addio ai nostri incontri silenziosi, alle tue mani allegre strette alle mie. Al tuo sorriso, al ricordo dei tuoi occhi che mai mi abbandonano, i tuoi occhi creoli che mi presero il cuore.
Mai più ci rivedremo, lo so. Sarà che io non torni o torni sconfitto e tradito. Ma giammai io tornerò umiliato. Tu già lo sai. E se la vita mai Iddio mi risparmiasse, io non sarò vinto. Che nel cuore intanto si avanza un coacervo di pensieri. Di riscatto e vendetta. Vedrai.
E mentre la neve si posa in mulinelli vorticosi su questa tenda smarrita nella steppa, io per una volta ancora ti abbraccio e teneramente ti bacio, o mia diletta ed indimenticata sposa.
Napoleon