Ironia

In una città tristemente famosa perché in realtà aveva abolito il sarcasmo e nessuno sorrideva più, almeno in pubblico, un gruppo di giovani di varia estrazione sociale decise di intraprendere una battaglia per introdurvi “il diritto all’ironia”.
Già il loro esordio fu trasgressivo perché scesero da una rudimentale auto con la propulsione a pedali, agghindata con uno slogan, a caratteri blu su uno sfondo giallo, abbastanza eloquente Ironie in der Stadt macht Frei (L’ironia in città rende liberi). Era stata assemblata con pezzi di fortuna ed i giovani, come se fosse Carnevale, arrivarono nella piazza centrale meta di confluenza non solo di vari aggregati etnici, ma anche di persone abbienti che non intendevano rinunciare all’aperitivo domenicale.

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I DELUSI, I GRAZIATI E I … TROMBATI

(Donna Giorgia e l’Italia tricefala)

La sinistra deve stare molto attenta a non inciampare nei tranelli che il camaleontismo di Donna Giorgia dissemina lungo la via. Senza dover rinunciare al nobile esercizio investigativo volto a cogliere i molti indizi fascistoidi riscontrabili nelle sue idee e nel suo linguaggio, è bene che tenga presente i rischi a cui può andare incontro se preme troppo su questo pedale. Se da un lato certe dichiarazioni ante victoriam elettorale di Meloni non lasciavano dubbi sulle sue intenzioni, è altrettanto vero che le sue azioni post victoriam non le confermano del tutto. La premier dimostra di sapere barcamenarsi molto abilmente fra gli interessi di bottega – alias F.lli d’Italia – che tutela gettando ogni tanto dalla finestra di Palazzo Chigi qualche osso ai sovranisti e agli xenofobi (regionalismo differenziato, odissea dei migranti spinti verso i più lontani approdi … ) e la necessità di presentarsi con l’abito della domenica preso in prestito dal guardaroba di Draghi, davanti al consesso internazionale. Insomma, se la sinistra insiste troppo sulle sue dichiarazioni pre-elettorali alle quali non fanno coerentemente seguito i fatti, rischia di farle un favore aumentandone la credibilità e danneggiando ulteriormente la propria. E’ bene quindi che non si lasci fuorviare anch’essa dalle armi di distrazione di massa e che si attenga ai provvedimenti adottati dal governo che, anche senza la reiterazione delle leggi razziali, non sono così irrilevanti come da più parti si vuol far credere. Come il mobbing che l’Italia sta subendo ad opera della Francia e della Germania e la messa in scena dell’innalzamento delle barriere a difesa delle frontiere esterne contro i migranti delle quali l’Italia, vista la sua posizione geografica, potrà avvalersi ben poco. Inoltre il nulla di fatto riguardo alla redistribuzione dei migranti fra gli stati europei vista l’opposizione dei sovranisti che, proprio in quanto ideologicamente affini al governo italiano, sono politicamente contrari a questa soluzione. Ironia della sorte: più ci si somiglia, meno ci si piglia! Nel contempo, è altrettanto rischioso per la sinistra, attaccare la Meloni per aver disatteso ai suoi propositi fascistoidi accusandola di incoerenza come se fosse delusa dal fatto che la premier non è fascista come ci si aspettava che fosse! La coerenza nel suo caso non è una virtù e meno ce n’è meglio è. La coerenza premierebbe la Meloni come carattere, ma la condannerebbe in quanto fascista, mentre l’incoerenza ne sminuisce un po’ il carattere, ma la premia come politica che sa fare di necessità virtù. E’ la famosa politica double face: populisti tromboni per conquistare il potere e governisti assennati per conservarlo. Insomma, la sinistra è nell’angolo. Sia che accusi la Meloni di essere fascista, sia che l’accusi di non esserlo abbastanza per mancanza di coerenza, si sta avvitando su se stessa e non vede, per ora, una via d’uscita. Il camaleontismo della premier, unito all’innegabile grinta, ha dato vita a sentimenti contrastanti – tra i cittadini italiani – volti a comporre un’entità tricefala formata da tre correnti di pensiero: i delusi, i graziati e i trombati. I delusi sono quelli che speravano nella marcia su Roma che per ora non c’è stata. I graziati sono quelli che un po’ la temevano – ma non troppo – e che hanno tirato un sospiro di sollievo fantozziano – Meloni, com’è umana lei! – e si rallegrano del fatto che non ha –ancora – affondato le navi dei migranti, accontentandosi del periplo sul Mediterraneo – . I trombati – e come poteva essere altrimenti? – sono gli elettori della sinistra che sono in un cul de sac e che, come si muovono, ne buscano. In cosa possono sperare? Il Mr Hyde che da quando Giorgia è premier sonnecchia dentro di lei sorvegliato a vista, ogni tanto si risveglia e lancia inquietanti segnali sulfurei subito rintuzzati e minimizzati dai compiacenti media schierati al suo servizio.

Anna Maria Guideri, 14-02-2023

Eiffel

Dalla serie le Missive impossibili di Sandra Vegni

Lettera della Tour Eiffel (torre di ferro)
all’Ing. Gustave Eiffel (progettista)

A Monsieur Gustave Eiffel, où qu’il soit

Paris (France), 25 fevrier 2020

Mon cher Monsieur
Che mai posso dirLe? A lei che tanto si spese per la mia realizzazione? Contro tutti coloro che si scagliarono contro il suo (mio) progetto, definendolo inutile e dannoso?
Eppur ben lo sapevamo – io e Lei – quanto effimera sarebbe dovuta essere la mia esistenza, ridotta a quella di un giovanotto ancora privo di esperienze (20 anni): gli anni appena necessari ad ammortizzare le spese per la mia costruzione, ben cinque milioni di franchi!
Come mal li ho vissuti, quei vent’anni! Ella si godeva gli elogi e i premi, ridendo sotto i baffi delle diatribe degli intellettuali che si affannavano, tapini, fra il definirmi ‘Opera mostruosa’ piuttosto che (come vede anche io mi sono piegato a queste moderne allocuzioni) ‘Capolavoro originale’.

E io? Qualcuno pensava forse a me che vedevo, giorno dopo giorno, avvicinare il momento della mia distruzione? Elogi per l’uomo, neanche un pensiero per l’anima di ferro che gemeva vedendo un inguaribile scribacchino – tristo e sdegnoso – che, pur di non essere sfiorato dalla mia ombra, si riduceva a pranzare all’interno dei miei recessi. Quel Maupassant, effimero descrittore di giovani gaudenti e donne di malaffare, si permetteva, egli, di degradarmi a tal punto!

E i giorni passavano, il momento si avvicinava, mentre temevo la ruggine dell’incuria e il vento battente. Perché io, Esimio Ingegnere, ora lo posso dire: mal mi fidavo della sua destrezza e dei suoi calcoli. Del resto, chi mai si preoccuperebbe della resistenza di un’opera effimera? Vent’anni son pochi per un uomo, figurarsi per una torre di ferro.

Orbene, mi devo complimentare, Mon Cher Gustave, e scusarmi per i miei cattivi pensieri.
Da quasi cento anni Ella non mi osserva più, venti anni prima di Lei se ne andò quel lordo scriba e mi dispiace – davvero mi dispiace – che esso non potesse assistere alla mia resilienza.

Nemmeno più mi devo preoccupare delle intemperie e della ruggine, nemico sempre pronto a colpire, giacché gli uomini or mi curano come un fanciullo, come se avessi, sempre e ogni giorno, i miei 20 anni. Eroe di guerra, prestato alle trasmissioni dell’etere, simbolo lucente della Ville Lumiere, immagine conosciuta per ogni dove, esaltazione della grandeur del nostro paese.

Merci, oggi Le devo dire. Merci alla Sua lungimiranza, alla perseveranza, alla Sua inventiva.
A talun ancor non piaccio? E chi se ne frega, mi perdoni anche questa moderna allocuzione.
Dal 1930 non sono più la più alta costruzione al mondo, e allora? Primati effimeri, battuti ogni momento. Non si abbattono i simboli, però, e io lo sono.

Insomma, Monsieur, io resisto.
Rien, glielo volevo dire.

Per sempre Sua

Tour Eiffel

KVETA

Nonostante fosse universalmente conosciuta e apprezzata per il suo impegno nella pittura ‘adulta’, Kveta Pacovska, nata a Praga nel 1928 e morta ieri, 6 febbraio 2023, ha dedicato fino all’ultimo, a oltre novant’anni di età, un’attenzione particolare al libro per l’infanzia, tanto da aver meritato, nel 1992, l’Hans Christian Andersen Medal, uno dei riconoscimenti più alti e prestigiosi nel mondo dell’illustrazione.
“Un libro illustrato – affermava lei – è la prima galleria d’arte che il bambino visita.”
E, nel caso della Pacovska, questa galleria è stata veramente un grande museo, a misura di bambino, dove inseguire i sogni propri e quelli dell’artista, perdersi tra i segni e le figure, nascondersi dietro i testi e le illustrazioni, tra i pezzetti di carta colorata, sprofondare nei tagli e nelle fustellature delle pagine.
Kveta Pacovska non aveva certo fatto sconti, non era scesa a compromessi con nessun mercato: chi guarda e sfoglia un suo libro deve stare al gioco, inseguire ricordi aerei da Klee o Kandinsky, fantasie dal futurismo di Balla, pupazzi bahausiani che rimandano a Depero e Schlemmer. Leggendo una delle sue storie o una delle favole da lei illustrate si ha quasi un’impressione di stordimento.
I testi sono sempre pre-testi per dipanare un incredibile universo di creatività, ma, all’interno di questa creatività, la storia prende corpo e vita nei suoi tratti essenziali, nelle cose, grandi e piccole, che più si fissano nella memoria (la scarpetta di Cenerentola, ad esempio).
Proprio quella scarpetta ci sembra esemplare del rapporto di Kveta Pacovska con il libro illustrato, capace com’è di parlare il linguaggio creativo dell’artista e al tempo stesso salire a livello di archetipo universale. Una specie di ‘idea’ della scarpetta, con riflessi di specchio e macchie di colore, cartina di tornasole, madeleine proustiana per ricordare, ed elaborare il ricordo.
(da Andrea Rauch, “Il racconto dell’illustrazione”, La casa Usher. 2019)

Caterina Betti
Oggi rimango un po’ senza respiro, sapendo di Kveta Pacovska, come quando ho conosciuto la sua opera, come quando si ha davanti qualcosa di tanto, tanto grande

Il festival dei matti

Benigni inneggia alla Costituzione ed al Festival come opere d’arte
Il Presidente presenzia, come critico d’arte?
Sgarbi tace. Afasia? Segni di inquietudine tra le capre.
Fedez strappa la foto del viceministro Bignami in divisa nazi
è espressione artistica o pro-costituzionale?
Il Governo insorge
Il Presidente: ma ‘sto governo è costituzionale?

Gian Luigi Betti, 12/02/2023

Un Sogno Fecondo

Edmondo era un giovane dal bell’aspetto sempre molto curato che viveva tranquillamente la sua situazione adolescenziale. Non aveva particolari problemi nei rapporti con i suoi coetanei ed inoltre aveva un rendimento scolastico elevato. Un pomeriggio una ragazza del gruppo che frequentava introdusse il sogno come argomento di cui parlare e lei confessò che “sogno molto di rado ma quando lo faccio li ricordo perfettamente anche per molti giorni”.
-Io invece sogno spesso ma purtroppo me li scordo- affermò Edmondo rivolgendosi al gruppo.
L’ argomento al momento non ebbe alcun seguito, ma quando egli una volta fece un sogno gli tornarono a mente le parole della sua amica e pertanto lo trascrisse in maniera puntuale, con una scrittura minuta e spigolosa senza mettere i punti sulle i e la stanghetta alle t, conservandolo poi in un album insieme a delle fotografie che custodiva in un angolo del solaio. Quel luogo sarebbe dovuto diventare la sua mansarda, ma questo progetto, nonostante le promesse del padre, rimase un suo desiderio.

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La finocchiona

Andrea Rauch da Facebook

Che il perbenismo puritano degli americani potesse spingersi fino a intaccare il senso del ridicolo lo avevamo sempre sospettato, e che si potesse , su questa stessa pagina Facebook dove sto scrivendo in questo momento, censurare i nudi di Michelangelo, lo potevamo mettere in conto. Ridicolo, si dirà, ma siamo avvezzi a tutto, e di certo nulla ci si stupisce più di tanto.
Leggiamo però adesso che nelle maglie della censura si è impigliata anche la “finocchiona”, famoso e prelibato salume toscano, insaporito da semi di finocchio. Che, ci risulta, sia del tutto innocente, anche se può riuscire un po’ pesante. La “finocchiona”. Siamo certi, peraltro, non siano socialmente pericolose le “penne all’assassina” oppure, possiamo giurare che, ahinoi, gli “spaghetti alla puttanesca”, non alludano a nessun orientamento sessuale definito. Mia zia, che gestiva una trattoria, li chiamava “spaghetti alla maialona”, ma crediamo che anche questo nome si sarebbe impigliato nelle maglie di Facebook.

Commenti su facebook
J.G. : E le famose “palle del Miniati”?
A.M. : Intelligenza artificiale e stupidità della stessa
I.M. : Che voglia di un paio di fette di finocchiona lasciamo a loro l’orrendo burro di arachidi
P.P. : E i cojoni de mulo di Norcia, allora? Pavento crociate.
F.G. : … solo per gli appassionati di prodotti tipici “Fava lunga delle Cascine” baccello lungo 30 cm 😉

Dr. Jekyll

Dalla serie le Missive impossibili di Sandra Vegni

Londra., Fine ‘800, stesso domicilio

Stimatissimo Dr Henry Jekyll
Che poi ‘stimatissimo’ si fa per dire, lo metto per pura forma – dato che lei, caro il mio dottore, sembra tenere tanto alla forma – ma, se proprio devo essere sincero, io non la stimo per niente.
Ma come diavolo le è venuto in mente di preparare quella orrenda pozione e di berla, fra tremendi conati e dolori lancinanti, per far uscire il peggio di se stesso?
Non sarebbe stato meglio continuare la sua onesta e noiosa vita di studioso stimato ed apprezzato? Invece eccomi qui, brutto nell’anima e, come se non bastasse, orrendo nel corpo.

Ma io, my dear doctor, io non ci sto! Non sono io l’essere repellente e disgustoso, è lei. E’ sua la violenza incontrollata, la smodatezza dei costumi, la crudeltà.
E invece di nasconderla, come ha fatto per anni, l’ha voluta mostrare. Senza svelarsi, però, come tutti i vigliacchi. Facendo in modo che tutto ricadesse su questa mia povera, deforme testa di creatura delle tenebre. Lei è un bel codardo, caro dottore. E un ipocrita. Si tiene il bello e il buono e rovescia su di me i suoi vizi tremendi.

Perché le scrivo? Vede forse altro sistema per comunicare fra di noi? Se c’è lei, io non ci sono e quando io prendo vita, si sospende la sua.
Le lascio questa lettera nel laboratorio, bene in vista perché la legga al suo risveglio: si vergogni e invochi il demonio sulla sua testa e non sulla mia.
Io sono il suo lato peggiore e lei abbia il coraggio di guardarsi dentro: quanta orrenda bruttura si alberga nella sua mente mentre continua, di giorno, la sua menzognera esistenza e io mi dibatto, nelle tenebre, avvinto dal male e dal demonio. E non posso che soccombere perché di ‘male’ son costruito.

Ma il brutto e cattivo non sono io, Henry, sei tu.
Abbi il coraggio di metter fine alla tua, e alla mia, esistenza. Io non perdo che il buio della notte londinese, tu perderai il tuo mondo ipocrita ma metterai fine, finalmente, alla scia di dolore che circonda le tue malefatte, alla tua parte oscura.

Dammi questo sollievo, ti prego, trova il coraggio in mezzo alla tua diurna viltà, fai che il mio corpo deforme mai più si debba celare negli angoli sporchi e maleodoranti di questa città, dammi requie, toglimi la vita che mi hai dato.

E pentiti dei miei peccati. Sono i tuoi, lo sai.

Addio
Edward Hyde

Sandra Vegni

Il donzelletto vien …

Il donzelletto vien nell’ Aula Magna
in sul levar del sole
col suo fascio di rabbia e reca in petto
un cesto pieno di male parole.

Onde siccome suole
ad armarsi si appresta
calcando sull’arruffato crine
l’elmetto, al fine
d’impallinar in mezzo a tal consesso
il PD e tutto il suo Congresso.

E così riede fra gli scranni e pensa
– urlando, il mentitore –
al desiato dì del suo riscatto
quando, nella finale soluzione
farà fuori PD ed opposizione.

Il manganello odi senza tregua
picchiare non a destra, solo a manca
per accusare la sinistra stanca
d’esser mafiosa e così la frega!

Donzelletto furioso,
la tua trista sortita
ha reso il giorno d’ingiustizia pieno,
giorno cupo ed osceno
che precorre al declino di tua vita
e della tua carriera immeritata
da Donna Giorgia voluta e pilotata.

Paga, Donzelli mio, colpa tua grave,
stagion lieta è cotesta;
altro dirti non vo’,
ma la tua testa,
s’anco tardi cadrà …
SARA’ UNA FESTA!

Anna Maria Guideri, 06-02-2023