Anima veneta

da Facebook

Alla facoltà di medicina, il professore si rivolge ad uno studente e gli chiede:
– “Quanti reni abbiamo?”
– “Quattro!”, risponde lo studente.
– “Quattro?”, replicò il professore, arrogante; di quelli che provano piacere nel calpestare gli errori degli altri.
– “Portate un po’ d’erba, perché abbiamo un asino in sala”, ordinò il professore al suo assistente.
– “E per me un caffè!”, replicò lo studente all’assistente del maestro.
Il professore si arrabbiò a tal punto che espulse l’alunno dall’aula.
Lo studente era, l’umorista Aparicio Torelly Aporelly (1895-1971), noto come il ′′ Barone de ltararé “.
All’uscita dall’aula, ancora lo studente ebbe l’audacia di correggere il furioso professore: “Mi ha chiesto quanti reni abbiamo? ‘Abbiamo’ quattro reni: due miei e due suoi.
“Abbiamo” è un’espressione usata per il plurale. Buon appetito e si goda l’erba”.
La vita richiede molta più cultura e capacità di ragionare che conoscenza.
Non serve a nulla una laurea se non sai parlare e ragionare, specialmente se pretendi di insegnare!
Sentimenti Moderni

Un gesto indelebile

Gino Benvenuti

un racconto su temi attuali contenuto in Anni cruciali di Gino Benvenuti ed. Punto Rosso, 2021

Un Gesto Indelebile


Circa dieci giorni prima della data di inizio delle Olimpiadi di Città del Messico 1968, che si dimostrarono le più discusse della storia, avvenne un massacro perpetrato dalle forze dell’ordine e militari su comando del governo. Nei mesi precedenti si erano creati momenti di tensioni per le richieste degli studenti che chiedevano impegni precisi nell’ambito delle riforme economico-sociali per la lotta alla povertà, all’analfabetismo ontestando l’uso politico delle olimpiadi stesse. Il 2 Ottobre una decina di migliaia di studenti indissero una manifestazione di protesta, per denunciare il clima repressivo, che aveva portato anche all’occupazione militare dell’Università statale a seguito degli scontri iniziati nella zona di Piazza delle tre Culture.
L’intento dei manifestanti fu pacifico, in quanto uno dei leader del movimento studentesco, nel suo intervento, dichiarò la volontà di non attaccare nessuno e propose uno sciopero della fame fino alla fine delle Olimpiadi.
A questo chiaro intendimento pacifista, la polizia ed i militari, sotto il comando del ministro degli interni, risposero con l’invio di carri armati, mezzi blindati chiudendo di fatto le vie d’accesso alla piazza e successivamente iniziarono a sparare all’impazzata sulla folla con le jeep munite di mitragliatrici, ed anche dagli elicotteri come attestò il ferimento della giornalista Fallaci inviata speciale di un rotocalco italiano, che seguiva l’evolversi della situazione da un terrazzo; fu una carneficina nella quale circa 200/300 studenti vennero uccisi e diverse centinaia rimasero feriti.
L’impatto che ebbe nel mondo, questo evento nefasto, fu enorme e si sovrappose alle polemiche già in atto da diversi mesi visto che il Movimento per i diritti civili, costituito da atleti neri per chiedere uguaglianza anche dentro lo sport, aveva avanzato delle richieste precise. Le polemiche si fecero roventi anche perché qualsiasi tentativo di un incontro, per parlare di una questione importantissima, come i diritti civili, non venne nemmeno preso in considerazione.
Le Olimpiadi potevano rischiare di vedere decimata la presenza di atleti di colore ed il boicottaggio sembrò essere un rischio concreto quando le richieste fatte dal movimento non vennero accolte; anzi il fatto grave, che si aggiunse alla terribile strage, fu il disinteresse del Cio, il Comitato olimpico internazionale, il cui presidente Avery Brundage si limitò ad assicurare che le Olimpiadi sono “una vera oasi in un mondo tormentato, e si svolgeranno regolarmente”.
Cosa chiedevano gli atleti di colore? Di avere in patria gli stessi diritti degli atleti bianchi ed a favore di ciò si era espresso Martin Luther King. Tra le richieste vi fu anche quella di restituire al pugile nero Muhammad Ali il titolo di campione dei pesi massimi annullato dopo il suo rifiuto di combattere in Vietnam e questo suo gesto contribuì a sostenere la causa degli atleti di colore.
Conclusa la finale dei 200 metri, che io vidi in differita, i due atleti di colore, Tommie Smith e John Carlos, si avviarono verso il podio per la premiazione insieme al velocista australiano arrivato secondo verso il podio. A me aveva colpito il fatto che i due atleti statunitensi avessero le scarpe in mano dietro la schiena e camminassero scalzi, ma soprattutto mi sembrò inspiegabile come il volto di Smith non fosse sorridente, nonostante avesse vinto la competizione più prestigiosa al mondo, abilendo il record del mondo, e si avviasse contrito alla premiazione.
Nel momento che iniziò l’inno degli Stati Uniti i due atleti di colore
abbassarono la testa, ed alzarono il pugno fasciato con un guanto nero (simbolo delle Pantere nere for Self Defense) in uno stadio ammutolito dopo le prime note. Colsi immediatamente il senso di questo gesto, però quando rividi successivamente le immagini, tenendo conto dei suggerimenti fatti dai commentatori sportivi, capii anche i riferimenti simbolici di spessore che essi avevano suggerito.

La testa bassa e scalzi richiamavano la povertà degli afroamericani.
Carlos indossò una collanina di pietre, come quelle con cui venivano
linciati i neri in America e si era avviato con la tuta aperta in violazione
del protocollo, che chiedeva espressamente di tenerla chiusa, in onore degli operai americani. Sul petto di tutti e tre gli atleti spiccava una spilla rappresentante gli atleti seriamente impegnati nella lotta contro la discriminazione razziale.

Le immagini di questa protesta fecero il giro del mondo e le conseguenze
di questo gesto eroico, che condensò in pochi attimi una ribellione ad una condizione di discriminazione, trasmesso a centinaia di milioni di persone, sortì l’effetto sperato rimanendo scolpito anche emotivamente nelle loro menti. Tutti e tre gli atleti premiati vennero immediatamente espulsi dal villaggio olimpico insieme ad altri, che condividevano gli ideali di questa lotta.
Tornati in patria, i due velocisti furono addirittura minacciati di morte e le persecuzioni riguardarono anche i loro familiari che vennero licenziati e subirono vessazioni in continuazione rendendo loro difficilissima la vita. Stessa situazione riguardò l’atleta australiano, che condivise le stesse richieste dei colleghi, a cui fu inibito di partecipare a manifestazioni sportive nonostante fosse in patria il migliore atleta della sua specialità; infatti fu escluso alle successive olimpiadi Monaco di Baviera. Tommie Smith come ebbi a leggere su un rotocalco alcuni mesi dopo ebbe a dire “In pista sono Tommie Smith, il più veloce del mondo. Ma una volta fuori torno ad essere solo un altro sporco nero”.
Invece a John Carlos, a cui piaceva cimentarsi nel nuoto, suo padre fu costretto a spiegargli il motivo per cui non poteva mandarlo in piscina dicendogli che “i neri non possono frequentare le piscine in cui si allenano i bianchi” tarpando il desiderio del figlio di diventare un grande nuotatore.
Tramite una competizione sportiva di alto livello, trasmessa per la prima volta in mondo-visione, una folla sterminata di persone ebbe modo di vedere quel gesto epocale e di riflettere dimostrando che, come ebbe a dire Mandela moltissimi anni dopo, “lo sport può creare speranza dove prima c’era solo disperazione. È più potente dei governi per abbattere le barriere del razzismo. Lo sport è capace di cambiare il mondo” .

Gino Benvenuti

Tra Regione diffusa e ragione ristretta

Da Il Corriere fiorentino del 24/11/2022 saccheggiamo

Il caso Alinari

la toscana confusa del giani

Franco Camarlinghi

«Il sonno della ragione genera mostri» è il titolo di una famosa acquaforte di Francisco Goya e quasi tutti una volta o l’altra l’hanno sentito dire. Nel pensare alla nuova querelle insorta sulle dichiarazioni di Eugenio Giani a proposito dell’archivio Alinari, viene da ricordarne una modifica, assai meno nota, ma quanto mai pertinente, inventata da qualcuno anni fa: «Il sonno della Regione genera mostre». Per essere breve: la Regione saggiamente acquistò l’archivio per difendere e valorizzare un patrimonio assolutamente identitario di Firenze e di conseguenza della Toscana, visto che di quest’ultima la città di Dante fa parte e ne dovrebbe essere la capitale. Come sempre succede: fra la tempestiva decisione dell’acquisto e una sistemazione efficace passa il tempo e qualcuno alla fine se ne ricorda se capita. Il versatile governatore se ne è ricordato cercando una soluzione per il rilancio di Montecatini e ha proposto di fare della fu città termale la città dei Fratelli Alinari. Alcuni, a cominciare dal sindaco Dario Nardella, hanno dichiarato il loro dissenso: gli Alinari fondarono la loro impresa, la prima al mondo per la fotografia a Firenze. Il loro erede Vittorio lasciò una traccia indelebile nella storia culturale fiorentina del ‘900. Tutto ciò è talmente attuale che, anche senza i clamori tipici degli inutili eventi coltivati dal pubblico e dal privato di questi tempi, proseguono gli studi e le ricerche su una vicenda storica così significativa come quella di cui parliamo.

Anche un noto cultore di tradizioni locali, quale è Giani, si deve essere accorto che non è tanto giustificabile portare via da Firenze qualcosa che, come poche altre, ne definisce un’identità moderna, o anche meglio contemporanea e che non ha niente a che vedere col provincialismo che spesso affligge le cosiddette città d’arte. Allora il nostro eroe fa un po’ marcia indietro e si limita a proporre di fare di Montecatini la città della fotografia in Toscana, utilizzando solo una parte dell’Archivio Alinari in maniera permanente e, finale ovvio, organizzando mostre. «Il sonno della Regione che genera mostre» appare quanto mai appropriato: qualcuno non si è accorto che a due passi, a Lucca, si tiene la biennale della fotografia con sempre maggiore successo? O che a Siena ha luogo un altro Festival dedicato alla fotografia di assoluto rilievo! Si capisce che i tempi sono difficili e che l’ipotesi presidenziale di utilizzare gli Alinari per una «Toscana diffusa» possa diventare più facilmente per una «Toscana confusa». Perdere il rapporto con l’origine di una vicenda culturale e anche economica, come è stata quella degli Alinari, non solo mortificherebbe una città sempre più ridotta alla monocultura turistica, ma diminuirebbe la stessa capacità di un patrimonio, inconfondibile, nel rappresentare un valore speciale agli occhi del mondo, di Firenze, della Toscana e dell’Italia. Un valore che in tante occasioni si è dimostrato appartenere alla sensibilità popolare: una per tutte fu la riscoperta dell’Archivio da parte dei fiorentini al Forte di Belvedere nel 1977. Chi c’era, come chi scrive, ricorda con commozione l’entusiasmo dei visitatori che nelle foto trovavano la chiave per capire la città e la loro stessa identità. Nell’Archivio c’è molto di più di quanto sopra e allora si cerchino soluzioni per rendere accessibile allo studio e alla ricerca tale ricchezza che non va dilapidata utilizzandola solo per un’uniformazione turistica o magari mettendola in un pacchetto per i tour operator: che poi sia per Montecatini o per Firenze non cambia molto.

Archivi Alinari un altro contributo

Da La Nazione del 25/11/2022: continuiamo a saccheggiare

Archivio Alinari Le fotografie dello scandalo

Giovanni Morandi

Sono anni che si parla di dare una sistemazione all’archivio Alinari, momentaneamente (da anni) accatastato in un capannone di Calenzano. C’è qualcuno disposto a scommettere che il problema sarà risolto in quindici giorni? Tanto è il tempo rimasto a disposizione da qui al 9 dicembre, che è la scadenza indilazionabile fissata dal tribunale. Il tempo passa e solo un anno fa si dava per certo che l’archivio, ovvero 5 milioni di foto lasciateci dai geniali fratelli, sarebbe stato sistemato a Villa Fabbricotti. Adesso si pensa di mandarlo a Montecatini dove ci sono gli ex stabilimenti termali desolatamente vuoti perché travolti da una crisi senza precedenti. L’idea è del governatore Giani il quale ricorda che è stata la Regione ad acquistarlo per 12 milioni ed è logico che spetti alla Regione sceglierne la destinazione. E in questi termini la questione più che sbagliata è mal posta, perché sa tanto di cummenda milanès che reclama di fare quel che vuole perché i danè sono suoi. La questione invece va posta in questo modo. Ha senso trasferire fuori Firenze un patrimonio che ha un suo particolare legame con la città, sia storico che artistico? In termini pratici la soluzione della Regione andrebbe bene perché risolverebbe la locazione dell’archivio e l’utilizzo dello stabilimento termale di Montecatini. E però è giusto chiedersi se le foto degli Alinari servirebbero davvero a risolvere i problemi di Montecatini e allo stesso tempo se Montecatini sarebbe la giusta soluzione per gli Alinari o soltanto un nuovo, ennesimo e temporaneo trasloco di scatole piene di foto. Davvero avrebbe la capacità di essere un credibile richiamo turistico? Sono domande a cui è difficile bastino due settimane per avere delle risposte. Così ci sono buone probabilità che anche l’archivio resti uno dei problemi che si rinviano da un anno all’altro. Abbiamo un tesoro della storia della fotografia e da anni ne parliamo come fosse un problema, non un’opportunità. L’Archivio Alinari è una sorta di Uffizi della fotografia, il più antico archivio fotografico del mondo e noi lo trattiamo come fosse un’ingombrante eredità, di cui avremmo voluto fare a meno. Siamo miopi e ingrati. In una precedente crisi, agli inizi del secolo scorso, per salvare questo archivio il cui futuro era stato compromesso dalla guerra, si mobilitarono gli aristocratici toscani con in testa il barone Ricasoli, l’erede di Bettino, e riuscirono nell’intento. Ma quelli erano altri tempi e altri uomini.

Per gli archivi Alinari un futuro diffuso ma col cuore a Firenze

Giorgio van Straten (Presidente della Fondazione Alinari per la fotogradia

da La Repubblica del 25/11/2022 continuiamo il saccheggio

Il presidente della Fondazione che gestisce i 5 milioni di immagini: “ Ci sono parti che possono essere trasferite, ma il nucleo centrale sarà a Villa Fabbricotti”

Credo sia giunto il momento di fare chiarezza su cosa sono oggi gli archivi Alinari, e dico oggi perché gli archivi, a differenza di quello che si può pensare, non sono realtà statiche, ma si evolvono, si allargano, si ridefiniscono.
Quella parte storica che è così strettamente collegata all’identità fiorentina (ma che costituisce un riferimento per la storia mondiale della fotografia) e che, come giustamente è stato detto, non può muoversi dalla città che l’ha vista nascere, l’immenso patrimonio di negativi su lastra di vetro, rappresenta con i suoi 250.000 pezzi solo il 5% dell’attuale complesso di archivi e fondi, che numericamente conta 5.000.000 di oggetti fra fotografie, libri, apparecchi fotografici e documenti.
L’ultima proprietà, quella della famiglia De Polo che ha posseduto gli archivi per quarant’anni, ha proceduto a numerose acquisizioni. Molte di queste sono strettamente connesse alla storia della fotografia delle origini e quindi inscindibili dal nucleo iniziale (per esempio la straordinaria collezione di dagherrotipi o quella degli album, il fondo von Gloeden e la bellissima biblioteca), ma altre parti rimandano a storie e identità completamente diverse.
Faccio due esempi. La Regione Toscana possiede (e la Fondazione Alinari per la Fotografia, che io presiedo, gestisce e valorizza) l’archivio Villani, 500.000 pezzi, comprati da un fallimento dello studio fotografico che ha rappresentato per buona parte del Novecento la fotografia a Bologna.
Claudio De Polo, dopo averlo acquisito e lasciato nel capoluogo emiliano per qualche anno, lo spostò a Firenze unicamente per ragioni di contenimento dei costi.
Oggi si è aperta una interlocuzione con la Regione Emilia-Romagna e la cineteca di Bologna per ristabilire un rapporto organico con la sua città di origine, condizione necessaria per poterlo valorizzare attraverso la digitalizzazione e la catalogazione. Dipendendo solo da noi dovrebbe aspettare decenni, perché le priorità del nostro lavoro si appuntano sui nuclei storici emaggiormente identitari degli archivi Alinari (approfitto dell’occasione per dire che, grazie ai fondi del Pnrr, insieme alla Regione Toscana digitalizzeremo e catalogheremo 150.000 lastre storiche degli archivi Alinari e Brogi).
Secondo esempio: l’archivio Team, un grande archivio di fotogiornalismo (circa 1.000.000 di foto fra negativi e positivi), relativo alla seconda metà del Novecento. Il fotogiornalismo è una branca specifica della fotografia, non collegata alla realtà Alinari che, nella sua attività, nonsi è mai posta il problema di fotografare eventi, ma luoghi, persone, beni culturali, in una dimensione artistica e antropologica, mai di cronaca. Il tema è di grande interesse e non mi scandalizza l’idea di collocare questo archivio in una località toscana come Montecatini, dove iniziare un’attività specifica, anche espositiva, sul fotogiornalismo, in dialogo con le esperienze contemporanee. Penso che sia una scelta che può essere fatta senza polemiche e contrapposizioni e senza eccessivi timori, perché, oltretutto, a vigilare c’è una soprintendenza archivistica competente e sollecita.
Riassumendo: la sede principale degli archivi, quella legata al patrimonio storico, e il Museo non possono trovare casa se non a Firenze, ma con altri fondi si può iniziare un lavoro di diffusione culturale che costituisce arricchimento e non perdita.
Piuttosto è necessario procedere speditamente alla predisposizione delle sedi fiorentine, perché, per quanto la digitalizzazione renda più facile l’accesso al patrimonio, l’immaterialità non può sostituire lo studio e la fruizione degli oggetti fisici: abbiamo bisogno di Villa Fabbricotti , che la Regione ha messo a disposizione per gli archivi e gli uffici della fondazione (si stanno facendo in questi mesi gli ultimi rilievi e sondaggi propedeutici alla progettazione esecutiva) e di Santa Maria Novella, dove, insieme al Comune di Firenze, abbiamo individuato gli spazi per la collocazione del Museo Alinari, sperando che, in questo ultimo caso, si possano trovare rapidamente le risorse per il ripristino dell’edificio e per il successivo allestimento museale.
L’autore è presidente della Fondazione Alinari per la fotografia

Sono comunista

Alessandro Barbero

“Secondo me essere comunisti dipende in parte appunto dalla tua memoria, e quindi dalle tue vicende personali, da quello che ti è rimasto impresso di quelle vicende personali.

Io sono diventato comunista semplicemente perché sono cresciuto in una famiglia cattolica, borghese, moderata, non più fascista al tempo dei miei genitori, tutt’altro, ma i nonni lo erano stati, e un certo imprinting si sentiva. Una di quelle famiglie in cui si sentiva “Mah, in fondo i partigiani non hanno fatto granché di importante” e così via. E poi al liceo ho conosciuto un compagno che invece era di famiglia comunista e ho scoperto una casa strapiena di libri, un’abitudine alla discussione, di tutto, tra padre madre figli, a ragionare su tutto, che non era qualcosa a cui io ero abituato, e sono rimasto affascinato da questo. Ho conosciuto quel mondo e c’è stato, come dire, un precipitato chimico per cui a partire da quel momento ho sentito che quel sistema di valori a me piaceva, che mi ci identificavo.

Con cosa mi identificavo? Con un sistema di valori che pensa che la disuguaglianza nella società è una brutta cosa e che bisogna cercare in tutti i modi di ridurla. Mentre invece c’è chi pensa che la disuguaglianza è naturale, inevitabile e che è stupido combatterla, per esempio, no? Con un sistema di valori che pensa che, benché il capitalismo si sia rivelato capace di produrre grande benessere, grande libertà, in certi luoghi e in certi momenti, però scoprire un modo di superarlo e di creare un sistema più giusto sarebbe una cosa bellissima.

Capisci? È questione di come tu a pelle poi reagisci a una serie di situazioni. Quando io studio la storia del comunismo e vedo generazioni di persone che hanno creduto a questa cosa, e che sono stati capaci di correre rischi spaventosi e di sacrificare tutto per questa utopia; e poi quasi dappertutto quando sono andati al potere non l’hanno realizzata, e anzi, hanno fallito e hanno creato sistemi a volte criminali, a volte semplicemente e scioccamente oppressivi, ma comunque fallimentari alla fine. Ecco, io in tutto questo vedo un’immensa tragedia che mi rende molto triste, perché penso con adesione personalmente alle generazioni e generazioni di esseri umani, in genere operai sfruttati e operaie sfruttate, che hanno creduto che fosse possibile inventare qualcosa, un mondo diverso. Un mondo nuovo e un mondo più uguale. C’hanno creduto, molti sono morti per questo, e poi questa cosa si è rivelata invece un fallimento. E a me quelli che ci hanno creduto non appariranno mai né degli schifosi rossi né degli stupidi illusi, ma gente con cui io mi sento di identificarmi, che rispetto profondamente, ecco. In questo senso.

E allora il risultato è naturalmente che anche là dove il comunismo è stato creato, uno non chiude mica gli occhi davanti agli enormi crimini. E però questo non basta per far sì che una stella rossa o una falce e martello per me diventino dei simboli che mi suscitano orrore.

Non potrà mai essere così.”

ALESSANDRO BARBERO, intervistato dal direttore di “Archeologia viva” Piero Pruneti alla Maratona di Lettura 2022 di Feltre.

Io sono comunista

Nazim Hikmet

Io sono comunista
Perché non vedo una economia migliore nel mondo che il comunismo.
Io sono comunista
Perché soffro nel vedere le persone soffrire.
Io sono comunista
Perché credo fermamente nell’utopia d’una società giusta.
Io sono comunista
Perché ognuno deve avere ciò di cui ha bisogno e dare ciò che può.
Io sono comunista
Perché credo fermamente che la felicità dell’uomo sia nella solidarietà.
Io sono comunista
Perché credo che tutte le persone abbiano diritto a una casa, alla salute, all’istruzione, ad un lavoro dignitoso, alla pensione.
Io sono comunista
Perché non credo in nessun dio.
Io sono comunista
Perché nessuno ha ancora trovato un’idea migliore.
Io sono comunista
Perché credo negli esseri umani.
Io sono comunista
Perché spero che un giorno tutta l’umanità sia comunista.
Io sono comunista
Perché molte delle persone migliori del mondo erano e sono comuniste.
Io sono comunista
Perché detesto l’ipocrisia e amo la verità.
Io sono comunista
Perché non c’è nessuna distinzione tra me e gli altri.
Io sono comunista
Perché sono contro il libero mercato.
Io sono comunista
Perché desidero lottare tutta la vita per il bene dell’umanità.
Io sono comunista
Perché il popolo unito non sarà mai vinto.
Io sono comunista
Perché si può sbagliare, ma non fino al punto di essere capitalista.
Io sono comunista
Perché amo la vita e lotto al suo fianco.
Io sono comunista
Perché troppe poche persone sono comuniste.
Io sono comunista
Perché c’è chi dice di essere comunista e non lo è.
Io sono comunista
Perché lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo esiste perché non c’è il comunismo.
Io sono comunista
Perché la mia mente e il mio cuore sono comunisti.
Io sono comunista
Perché mi critico tutti i giorni.
Io sono comunista
Perché la cooperazione tra i popoli è l’unica via di pace tra gli uomini.
Io sono comunista
Perché la responsabilità di tanta miseria nell’umanità è di tutti coloro che non sono comunisti.
Io sono comunista
Perché non voglio potere personale, voglio il potere del popolo.
Io sono comunista
Perché nessuno è mai riuscito a convincermi di non esserlo.
Nazim Hikmet

Caterina 5

Era il tempo in cui andavano scoprendosi, raccontandosi le loro vite, interrogandosi.
– E ti sentivi solo?
– Mi mancavi tu.
– Ma solo rispetto al resto del mondo?
– No. Perché? Avevo sempre qualcosa da fare con altra gente: ho colto frutta, ho potato, ho studiato filosofia con l’Abate, mi sono battuto coi pirati. Non è così per tutti?
– Tu solo sei così, perciò ti amo.
Ispirato a “Il Barone rampante”, I.Calvino.
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MOTTI DA LEGARE 16

1 – Il PD ha perso perché ha governato con le idee degli altri … Sì, con quelle di Renzi!
2 – Il PD è come la democrazia secondo Churchill: è il partito peggiore salvo tutti gli altri.
3 – Agenda Draghi: Come l’araba fenice/che vi sia ciascun lo dice/dove sia nessun lo sa.
4 – Politica italiana: polvere di stallo.
5 – Chi ha votato la Meloni ha seguito la corrente … e ha provocato un corto circuito!
6 – Chi è più puttana chi vende il bene pubblico per fare il proprio interesse privato o chi vende il proprio bene privato senza danneggiare il bene pubblico? A voi il compito di individuare i soggetti.
7 – Offendere, in generale, è politicamente scorretto, ma dire la verità su Meloni, Salvini, La Russa e Fontana … è politicamente PERFETTO!
8 –Meloni ai nomadi: Se sei nomade devi nomadare … E se sei fascista non puoi fare altro che fascistare!
9 – Amare riflessioni. La destra conosce bene se stessa e anche la gente. Non la vuole cambiare perché vuole sfruttarne le debolezze a proprio vantaggio. La sinistra invece, non conosce bene se stessa né la gente, ma pretende di cambiarla e di farsi votare …
10 – Se volete che il male trionfi fatene tanto, ma tanto, così la gente non ci farà più caso.
11 – Prima di rispondere a chi vi chiede cosa ne pensi? Chiedetevi se siete capaci di pensare.
12 – La Meloni ha vinto. Mai le donne hanno vinto così bene e così … male!
13 – Meloni: Ve lo do io il femminismo!
14 – Corsi e ricorsi: le marce. 27 Ottobre i922 , prima marcia su Roma. 25 Settembre 2022, seconda marcia su Roma.
15 – La massificazione del sapere non è altro che la massificazione dell’ignoranza.
16 – Non esiste la sinistra; esistono i sinistri.
17 – Molti criticano il PD non perché gli dispiace che sia stato sconfitto, ma perché hanno fatto di tutto perché ciò avvenisse.
18 – C’è una sinistra governativa che per governare perde se stessa e c’è una sinistra antigovernativa che per non governare lascia che governi la destra.
19 – PD: Andremo a fondare la nuova sinistra! Affondare?
20 – Letta : il caposbanda del PD.
21 . Visto il livello medio-basso dell’elettorato italiano, per vincere bisogna puntare al peggio: puntare al peggio è meglio!
22 – Pur di avere ragione, diversi preferiscono che le cose vadano male piuttosto che dover ammettere di avere sbagliato le previsioni.
23 –Se il centro-sinistra si univa, vinceva … Se c’era!
24 – I mali della sinistra: responsabili con poca identità; irresponsabili con troppa identità.
25 – Destra al potere, prospettive. Passare dal diritto di voto al diritto di veto (del potere)?
26 – Meloni: Noi crediamo nel merito … E La Russa, allora?

Anna Maria Guideri, 30-10-2022

Santo missile benedetto

Ucraina. Mentre il G20 sembra stia dando segnali di assestamento nei rapporti Usa Urss Cina, e che in agenda ci sia un accordo per il cessate il fuoco, scoppia l’incidente dei resti di un missile che cadono su una casa colonica polacca nei pressi del confine ucraino. Immediate dichiarazioni di Zelenski e di quelle del polacco che attribuisce la colpa alla Russia. In pratica si invoca un altro incidente del Golfo del Tonchino (quello che portò alla Guerra americana del Vietnam) per forzare l’intervento militare Nato-Euro-Americano (in ordine inverso) contro la Russia. Il sogno avverato di tanti, non tantissimi, purtroppo troppi, sciagurati in pantofole ed elmetto di casa nostra ed incubo per tutti gli altri.

Cautela americana: Biden mostra insofferenza alle pretese del pupo che si crede puparo, poi teme Trump che minaccia di ripresentarsi alle elezioni del 2024 in veste di colui che non ha fatto nessuna guerra e che mai la farà. Si parla di un complotto ucraino polacco. Al di là del fatto in sé, appare chiara la posizione antirussa dei paesi ex Patto sovietico. Comprensibile, stante il loro status di stati ex vassalli di una Russia dispotica (non comunismo non dittatura del proletariato ma dittatura di un partito burocratico autoreferenziale) che vedono nella nuova Russia un modello autoritario senza alcuna giustificazione ideale da combattere come paese ma da imitare come modello: un autocrate nazionalista russo da contrastare con autocrati nazionalisti e populismi vari locali. Il pericolo di una escalation fino al passo fatale della Bomba, reso più pressante con l’incidente del missile, sembrerebbe suggerire una svolta nella politica americana. Dopotutto la guerra Ucraina ha certamente ottenuto la  realizzazione di importanti obiettivi americani: la disgregazione dell’Europa (evidente contrapposizione tra paesi ex Patto di Varsavia col resto: sconfitta dell’Euro, dipendenza economica agli Usa, bilancia dei pagamenti dei principali paesi esportatori -Germania e Italia- da ottimo positivo fino al 2021 a rosso attuale e rosso cupo per 2023), interruzione di parte della via della seta, messa in angolo della Russia in particolare nei processi di integrazione con l’Europa… Quindi gli americani si possono ben accontentare degli ottimo risultati ottenuti  e passare all’incasso evitando di tirare troppo una corda che potrebbe spezzarsi (anche dopo gli incontri vis -a- vis intercorsi in occasione del G20 -che l’ex comico ed ora attore tragico Zelenski continua a chiamare G19-, tanto per irritare l’orso).

C’è anche la possibilità che questo incidente possa creare le condizioni per un riassestamento europeo in chiave di maggior autonomia rispetto agli Usa. Scholz non sembra disposto a farsi smantellare l’industria e la potenza economica tedesca e tenta accordi in autonomia con Russia e Cina; l’Italia da più di un secolo ha una economia complementare a quella tedesca e nonostante le grida di fedeltà alle stelle ed alle strisce dei grand commis di complemento, Draghi in testa, alla resa dei conti non avrà altra alternativa che bere il calice tedesco o affogare nella palude americana.  Qualunque sia la maschera del governo in carica. 

Che questi missili siano un segno della Provvidenza invocata dal Santo Padre?  Forse sarà il caso di promuovere a martiri le povere vittime del missile, trasformare la colonica in santuario a forma di missile ed attivare un lucroso business turistico-religioso sul modello di quelli di Medjugorje di Lourdes e di Santiago di Compostela. 

In casa nostra questa storia servirà almeno a separare definitivamente il grano dal loglio: tra chi preferisce la pace senza se e senza ma e chi preferisce la guerra sempre e comunque.

Gian Luigi Betti 16 novembre 2022

Ma perché parli di Draghi se c’è la Meloni !

Ricevo su Facebook questa interessante osservazione da Patrizia Mondini

Rispondo

Draghi è stato il primo a sposare senza esitazioni la causa atlantico americana, seguito da Letta ecc. Draghi è personaggio competente e gode della fiducia dei mercati e potentati internazionali. Le sue decisioni sono di quelle che contano e contribuiscono al tessuto delle relazioni politiche ed economiche a livello internazionale. Draghi fa parte della élite manageriale che fa girare il mondo. La Meloni … se va bene fa quello che gli dicono di fare, se non capisce bene, glielo fanno fare, se insiste la cambiano.