di Gian Luigi Betti
Su FB mi trovo spesso a polemizzare con ex compagni del fu pci ed adesso non compagni tout court ma in evidente crisi col loro passato. Una categoria a me particolarmente fastidiosa è quella degli apostati militanti. Erano iscritti al pci e qualcuno perfino comunista ed ora odiano il comunismo e tutto ciò che puzza di sinistra, accampano la superiorità della società aperta e demonizzano chiunque non la pensi come loro, richiamano la democrazia e richiedono il decisionismo e sono intolleranti nei confronti delle opposizioni, si dicono riformisti e accettano e fanno propri tutti i dictat del liberismo degli oligopoli. Ma soprattutto strillano come oche spennate, mai un cenno d’intelligenza (da intelligere) che argomenti le loro posizioni. Che si tratti di esseri alieni naufragati sul nostro pianeta? Poveri piccoli esseri che come ET sono alla ricerca di una casa. In questo assomigliano a tutti noi altri ex: solo che noi non vogliamo andare a pigione.
Tra questi, a mo’ d’esempio esplicativo, alcune riflessioni a margine di un recente duetto
Gian Luigi Betti
Caro RF Mi sembrava che tu esaltassi il modello di partito con uno che decide senza tutte le chiacchere che inibiscono l’azione. E’ una stessa considerazione che ho trovato nel se dicente vecchio signore ma per me prof. FA quando lamentava, su FB, che a sinistra chiacchere chiacchere. Anche io condivido la riprovazione nei cfr dell’eterna discussione e relativa divisione e conseguente inazione e irrilevanza politica che sembra affliggere la sinistra fin dal suo nascere. Forse è un tributo alla vocazione razionale e antidealistica che ha contraddistinto tutta la sua storia (almeno a livello dei teorici pensatori). Il Veltronismo che tu richiami, a quanto ricordo, nella sintesi, era riassumibile nella formula: si corre da soli, si vince e poi si fa quello che vogliamo senza compromessi. Grande idea ma modesto programma politico, stante i risultati. Oggi la storia si ripete, a mio avviso, nell’ostracismo anti 5 stelle (che, ti assicuro, sono ben lontani da qualunque mio modello teorico ed ideale). E aggiungo, nell’antilandinismo … nell’anti -tutto, soprattutto se puzza di sinistra, tutti contro, meno me (anche se il me sembra abbastanza confuso a quanto leggo). Quindi al di là della comprensione del tuo pensiero (su questo strumento di mmmmerrddda di fb non riseco mai ad essere sicuro con chi parlo di cosa parlo e se posso parlare con chi voglio -ringrazia il modello liberorwelliano dell’oppressore americano) ribadisco che esiste una sola via percorribile per tentare di recuperare qualche istanza di democrazia in questa fase di dissoluzione non solo dei valori ma delle stesse istituzioni fondanti la democrazia costituzionale italiana. Partiti veri (con regole di controllo autoritativo, tenuti almeno al rispetto delle norme che regolano un condominio, e politico (come selezione e fucina delle élite di governo del paese). Ovviamente un modello virtuoso come quello che auspico comporta la presenza di partiti e non di bande, una certa autonomia dei partiti dai finanziatori, una discussione sempre pressante vivace e anche accesa, un’accettazione dei risultati da parte di tutti sulla base della maggioranza espressa. Ovviamente in un sistema che tiene conto dei livelli gerarchici e territoriali. Un gruppo dirigente competente, con senso dello Stato e del bene comune ma sempre sottoposto al giudizio del partito e della socità. Ho riflettuto molto su questo tema: mi viene in mente un solo esempio: il centralismo democratico. Che ne dici? e soprattutto che c’entra con Renzi o il Pd o il terzo polo?
Gino Benvenuti
Ho letto quanto ha scritto Gian Luigi e nel suo intervento pone alcune questioni ma io mi limiterò a quanto concerne al rapporto tra dibattito politico e sua concretezza operativa. Quando stigmatizza i limiti “ dell’eterna discussione e relativa divisione” che comporta una “ conseguente inazione e irrilevanza politica” mi trova completamente d’accordo.
Bisogna chiedersi però: perché si assiste a questa infinita discussione nell’organismo politico erede maggioritario di quello che fu il PCI? Perché anche in formazioni alla sinistra del PD si trova difficoltà ad elaborare una riflessione che riesca a condensarsi in un obbiettivo politico di fase? .
Quando si discute molto e non si conclude alcunché penso che ciò avvenga per lo smarrimento di categorie fondanti l’identità di una sinistra degna ti tale nome e non perché si discute troppo in quanto proprio l’essere di sinistra non comporta la pigrizia o l’avversione verso la dialettica che ci può aiutare a crescere. Sarò provocatorio perché considero essa è un dato costitutivo, un tratto ineliminabile di cui andare fieri, quindi la sinistra non è stata sconfitta perché ha “chiacchierato troppo e fatto poco” bensì perché non ha discusso a fondo sul cambiamento epocale degli scenari politici. La carenza o deficit di confronto sono valsi anche per Rifondazione comunista, che magicamente riapparivano però solo alla vigilia delle elezioni amministrative o politiche fossero. Questo progetto politico, a cui ho aderito pur provenendo dalla nuova sinistra, è fallito dato che per molti aderenti è stato vissuto con debilitante nostalgia del “come era verde la mia valle” e recondito desiderio di ricongiunzione con il partito da cui erano fuorusciti, il tutto nutrito con categorie, giudizi e comportamenti politici datati, in un’ottica vetero-politicista ritenuta intoccabile ed intaccabile, avversa ed ostile a qualsiasi istanza proveniente dai movimenti, senza sperimentare quindi una nuova forma partito.
Si deve sempre tener presente come e chi si vuole socialmente rappresentare ed allora sorge spontanea una domanda: valeva la pena di gettare a mare un patrimonio fatto di valori, analisi approfondite su categorie fondamentali, con riferimenti ideologici pregnanti anche se suscettibili di un aggiornamento per approdare gradualmente ed in maniera irreversibile al filone liberal-democratico? Che c’entra Dahrendorf con Marx? Come dire volgarmente cosa “c’entra il culo con le quarant’ore ?”.
Il risultato è stato disarmare, nel nostro “quotidiano agire”, una realtà per cercare di costruirne un’ altra sulla base del “pensiero debole” e del “partito leggero” aderendo di fatto all’attacco concentrico contro le grandi narrazioni del XX secolo, custodi di memoria storica, solidarietà generazionale e diritti sociali. L’irruzione e l’invadenza nel panorama sociale dei social e dei media ha amplificato con successo un’opera di disarticolazione sociale mirata e chirurgica. Chi non ricorda il ritornello dispregiativo “ ma questa è ideologia” per indicare astratta qualsiasi critica al sistema vigente o alle scelte politiche immediate senza entrare nel merito? .
In realtà qualsiasi critica veniva respinta perché proveniva da un sistema di valori non gradito e con questo escamotage di fatto l’unica ideologia rimasta è stata quella del capitale. Se negli anni 70/80 si parlava di tardo-capitalismo, capitalismo maturo nel decennio successivo si è cominciato a parlare di post-capitalismo senza se bastasse una ridefinizione nominale ad eliminare i rapporti di uno sfruttamento che a raggiunto livelli ossessivi.
Tutto ciò ha comportato in maniera strisciante o palese una resa incondizionata, vissuta in certe situazioni o come una “liberazione” o come una forma di rigetto rispetto ad un’eredità culturale e politica impegnativa.
Un vecchio proverbio dice “chi dà retta al cervello altrui si può friggere il suo” che si attaglia perfettamente alla sindrome di Zelig secondo cui quella che è stata la parte preponderante della sinistra storica ha modificato passo dopo passo la propria identità, in questo caso politica, adeguandola alle logiche del pensiero unico mentre la sinistra alternativa si è semplicemente frantumata. Siamo al paradosso: nel momento in cui aumentano nel paese nuove povertà, in una crisi che è di dimensioni mondiali, con la riduzione di spazi democratici e diritti civili ed una situazione ecologica allarmante, si assiste al livello più basso di riflessione ed iniziativa politica; questa scarsa incisività politica su temi di rilevante importanza ha avuto come risultato quello di consegnare alle destre la protesta ed il disagio sociale. Inutile lamentarsi del populismo quando si è rinunciato al radicamento sociale e all’ascolto dei problemi dei settori sociali subalterni. Con questa metamorfosi che ha seminato disorientamento e sfiducia anche discutere diventa un’ impresa e i dibattiti sono inevitabilmente inconcludenti. Non sarebbe quindi l’ora di lavorare ad una nuova Bad Godesberg all’incontrario? Ma per fare questo bisogna sapere subito e senza tentennamenti chi vogliamo rappresentare; da questo non si può prescindere. Con questo intento si semplifica il compito e si dissolvono i dubbi