Era un Mercoledì mattina del mese di Settembre quando Renato, dopo aver salutato il figlio che impegnato sul lavoro uscì velocemente dalla stazione, si mosse verso il binario dove il treno delle 9, 15 a momenti sarebbe partito. Scarpe da tennis, jeans appena sotto il ginocchio, felpa sportiva sopra una maglietta arancione, acquistata alcuni anni prima ad Amsterdam, ed un cappello, con una piccola tesa leggermente calato all’indietro, lasciava intravedere un ciuffo abbondante di capelli brizzolati. Biglietto alla mano verificò il numero della carrozza e vi salì dentro collocando subito il piccolo bagaglio nello scomparto previsto. Guardò l’orologio e mancando ancora tre minuti ritornò sulla pensilina ed accese una sigaretta restando con un piede sopra il predellino. Per oltre due ore sarebbe stato senza fumare ed allora con boccate ampie e prolungate consumò mezza sigaretta prima di gettarla tra i binari giacché il capostazione aveva fatto già diversi cenni dalla testa del treno e tutti i viaggiatori erano saliti sopra. Prese posto proprio nell’ultima poltroncina singola dello scompartimento così, senza scomodare qualcuno, avrebbe potuto alzarsi a piacimento e non essere disturbato nel cercare di risolvere la propria enigmistica. La partenza di un treno nel binario accanto, gli dette la sensazione di essere già in movimento.
Seduto, comunicò al figlio di essere già partito ed estrasse il biglietto poggiandolo sulla ribaltina mentre due viaggiatori si sistemarono davanti a lui, dopo aver collocato i piccoli bagagli a contrasto tra i sedili. Passò circa una mezz’oretta quando mentre stava completando uno schema impegnativo, fece ingresso nella carrozza il controllore che esaminò il biglietto e lo perforò. Renato lo poggiò sul piccolo tavolino e si lasciò andare all’indietro sullo schienale. Un’occhiata fuori dai finestrini e vide sparire tralicci della luce, fossi e campi seminati mentre ebbe la sensazione che fosse fermo; sbadigliò a lungo. Ebbe un lieve giramento di testa ed appoggiò le mani sul piccolo tavolino cominciando a vedere immagini sfuocate intorno a sé e gli parve che la gente parlasse ad alta voce.
Quando sentì una fitta allo sterno, volle appoggiare la testa sul dorso delle mani arcuando i gomiti sulla ribaltina. Una mano cominciò a formicolare ed attribuì ciò alla posizione scomoda e prolungata, ma quando fece per alzarsi una forza misteriosa, premendolo contro lo schienale, glielo impedì. Il cellulare silenziato vibrando si spostò sulla ribaltina finendo per terra e premuroso un viaggiatore lo raccolse depositandoglielo accanto al suo gomito. Avrebbe voluto ringraziare, parlare del suo malessere, ma il respiro affannoso gli bloccò le parole e, quando il treno raggiunse il massimo di velocità, la sua testa dondolò e le orecchie gli si tapparono. Le persone davanti a lui continuarono a leggere. Ancora poco e poi sarebbe arrivato a Bologna. Qui in carrozza non salì alcun passeggero e nemmeno scesero i viaggiatori davanti a lui e quando passò di nuovo il controllore vedendo il suo biglietto perforato, non lo disturbò. A Firenze non scese come dovuto e non sentì i “buon viaggio” augurali dei viaggiatori vicini che, bagagli alla mano, si apprestarono ad uscire. Quando il treno proseguì per Roma, le mani scivolarono dal tavolino e penzolarono inerti. Rimase con la bocca contro il legno biasimato come maleducato da un viaggiatore che si era seduto davanti a lui.
Il cellulare cadde di nuovo e questa volta restò per terra mentre lui cominciò a sudare quando il treno, in orario, lentamente entrò in stazione e di lì a poco, si svuotò. Solo nella carrozza ebbe un sussulto e riuscì a rialzarsi per un attimo. Gridò aiuto, ma in quel treno vuoto nessuno poté ascoltarlo ed allora con le residue forze riuscì a muovere le gambe mentre il dolore allo sterno si fece più intenso e s’irradiò anche al braccio sinistro. Incerto nel suo proseguire per andare alla toelette si sedé in una poltrona poco più avanti e quando ostinato riuscì ad arrivarci provò ad aprirla, ma constatò che il treno fermo aveva i comandi bloccati. Il sudore copioso gli imperlò il volto quando decise di rientrare verso il suo posto sforzandosi di aumentare il suo passo ma ormai il suo organismo viaggiava per conto proprio.
Giunto a poco più di un metro dal suo posto, strascicando i piedi, cadde; si rialzò, barcollò e si afflosciò come un abito che scivola lentamente da una gruccia, urtando il suo biglietto che volò per terra vicino al cellulare. Sentì freddo e cominciò a battere i denti. Cercò di ricomporsi e con estremo sforzo, raccolse biglietto e cellulare appoggiando la testa sul tavolino quando tre uomini del personale addetto alla pulizia, si soffermarono davanti a lui. -Deve essere un viaggiatore che è salito in anticipo- . -Ha anche il biglietto- . -Lasciamolo dormire- disse l’ultimo con una granata in mano. Il treno cominciò a riempirsi. Tra chi sistemava i bagagli, chi con le cuffie ascoltava musica, chi approntava il suo computer, chi si dedicò subito nella lettura di un libro, chi s’immerse nei propri affari ognuno ebbe il proprio daffare perché nei viaggi brevi e velocissimi, i treni diventano più intimi. Nessuno fece caso a Renato.
Nel primo tratto il treno marciò lentamente e quel povero gomitolo inerte oscillò per un attimo, ma quando prese velocità, fu sballottato e rotolò sul pavimento mostrando il suo pallore mortale; il treno era a metà percorso. Tra grida di spavento, curiosità ed indifferenza, venne subito chiamato il capotreno che ne constatò il polso debolissimo. Dopo poco tramite altoparlante venne fatto un appello per rintracciare urgentemente un medico tra i viaggiatori e farlo venire in quella carrozza. -Che fate adesso?- chiese la viaggiatrice che sedeva davanti a Renato. -Chiameremo l’ambulanza, non vi avvicinate…anzi sedetevi da un’altra parte tanto c’è posto per tutti- intimò il controllore allontanandosi. Arrivò il personale di servizio e stese un telo su Renato immobile. -Ma che fate non è morto- . -Lasciategli fuori la testa per respirare- . Imbarazzato il giovane, cercò di scusarsi dicendo che non aveva capito bene nel momento in cui il treno raggiunse il massimo della velocità. -Alla prossima stazione sarà trasportato in ospedale, l’ambulanza è già sulla pensilina… purtroppo non siamo su un treno locale- comunicò il capotreno. -Ha ragione il controllore; a mia madre è successo che si è sentita male sul treno locale per Bologna e dopo un quarto d’ora era già in ospedale- commentò una giovane.
Renato sdraiato vedeva immagini sfuocate, ma non capiva che cosa stesse succedendo ed aprendo per un attimo gli occhi sbarrandoli dette l’impressione di un decesso. -Mamma mia è morto- . -Signori levatevi di qui andate a sedere- gridò spazientito il capotreno mentre una dottoressa sopraggiunta immediatamente con una valigetta si adoperò per somministrargli un’iniezione. Gli mise un cuscino d’emergenza sotto la testa, i pantaloni slacciati e dopo, alzandogli la maglietta, si prodigò per un inutile massaggio cardiaco. -È deceduto- sentenziò rialzandosi. Il capotreno sbiancò come la salma e si aggiustò il cappello. -E adesso? Non ci fermeremo mica per accertamenti?- chiese ansioso un uomo azzimato che lasciava dietro di sé un alone di profumo – più che morto, cosa può fare? Non resuscita mica!- insisté cinicamente. -Giusto anch’io ho un appuntamento importante…ci mancava solo questo- borbottò una viaggiatrice nel ritirare il suo bagaglio dallo scomparto. -Non si preoccupi e vada a sedere- inveì il capotreno mentre frugò nel giubbotto del cadavere alla ricerca dei documenti.
Gino Benvenuti, Giugno 1993