Andar per boschi senza obbiettivi prefissi non per funghi o castagne benché sia la stagiòn dell’abbondanza non per la caccia o la pesca ad insidiar la trota nelle acque chiare come nei miei verdi anni solevo.
Andar per boschi solo ad ascoltare il concerto dei miei pensieri sgangherati, modesti, anche tristi, ma miei, solo miei. Sullo sfondo il coro gentile delle fronde i gialli ed i rossi autunnali che fanno da sfondo a cinguettii e fruscii discreti…
Con elegante passo il cervo s’allontana a memento della mia senile goffaggine. L’autunno sta per terminare l’inverno è vicino.
Andar per boschi fino a che regge il fiato e le gambe e dopo la calaverna, in attesa del bianco manto che tutto sopisce.
Nel 2011, con l’iniziativa “Territori solidali” promossa da alcune realtà associative e di movimento fiorentine con il sostegno della Regione Toscana, incontrammo Domenico Lucano, Sindaco di Riace, e Ilario Ammendola, Sindaco di Caulonia, perché ci raccontassero le loro esperienze di accoglienza e d’inclusione dei/delle migranti (con l’intento di riproporle e portarle avanti sul nostro territorio).Intervennero, fra gli altri, il Presidente dell’Associazione toscana delle Comunità Montane Oreste Giurlani, Nicola Solimano della Fondazione Michelucci, Rosaria Bortolone del Coordinamento Antimafia di Firenze, Mercedes Frias dell’Associazione “Punto di Partenza”, Fabio Salbitano dell’Università di Firenze, l’Assessore regionale Salvatore Allocca.
Riproponiamo l’introduzione di quella iniziativa, che ne spiegava il senso, convinti che le motivazioni rimangano valide e che per dare un sostegno a Lucano, oltre ad esprimergli piena solidarietà e dargli un contributo economico, occorra anche rilanciare il progetto da lui attuato a Riace – e poi smantellato e messo sotto accusa -, cercando di realizzarlo qui da noi. E’ evidente che vi erano problemi, e che poi non si proseguì sul percorso prospettato in quell’occasione, ma sarebbe utile prendere in considerazione le riflessioni di allora e ripartire oggi dal punto a cui eravamo giunti. Saluti antirazzisti. Moreno Biagioni, 22/10/2021
Territori solidali, 2011 se non ora quando?
C’è qualcosa di nuovo oggi nell’aria … diceva una poesia (di Giovanni Pascoli, se ben ricordo) che nel secolo scorso imparavamo a memoria a scuola. E’ un verso che si può fare nostro dopo gli straordinari risultati del referendum [sull’acqua bene comune]. sembrerebbe questa una divagazione, eppure penso che c’entri molto con il tema di cui parleremo qui. A Teano, l’anno scorso, l’Italia delle tantissime esperienze di base – solidali, a tutela dei diritti, dell’ambiente, dei beni comuni – si è incontrata per avviare la ricostruzione di un’unità del Paese che avesse il collante proprio in quelle esperienze, così profondamente in sintonia con i principi della nostra Costituzione antifascista.
Il punto 2 della Carta stilata a conclusione dell’incontro di Teanom afferma: “L’Italia che che sogniamo e che vogliamo .. è l’Italia che accoglie il profugo, lo straniero perseguitato, disperato, costretto all’emigrazione da guerre e disastri ambientali, da un’economia globale escludente e punitiva con i più deboli. Un paese aperto al mondo, accogliente, multiculturale”. Ed era stato proprio quanto era accaduto a Riace ed a Caulonia – ce ne parleranno fra poco i sindaci di quei comuni – a dare concretezza – la concretezza delle cose che è giusto, opportuno, possibile fare – a tale affermazione (nonché all’articolo 10 della Costituzione): questo vale anche per gli altri temi resi concretamente “visibili” a Teano da varie altre esperienze concrete . L’Italia riunita nel luogo dello storico incontro fra Garibaldi e Vittorio Emanuele II era un’Italia sotto traccia, oscurata dai media, considerata irrilevante rispetto ai poteri forti ed alla politica istituzionale, un’Italia fatta da persone apprezzabili, di buona volontà, ma che non contavano e non avrebbero mai contato nulla.
Questo pensavano politici “professionali” e media che avevano ignorato l’incontro. Ebbene, i risultati del referendum dimostrano che non è poi così vero che quell’Italia, fatta da una società civile attiva, impegnata, solidale, risulti minoritaria e faccia solo atti esemplari e di testimonianza. Vi è una gran voglia, da parte di una fetta sempre più ampia di popolazione (giovani, donne, anziane/i, lavoratori e lavoratrici, precari/e, disoccupati/e etc.) di partecipare, di risolvere insieme i problemi, di ridare senso così alla politica, rinchiusa per troppo tempo all’interno dei palazzi e riservata agli addetti ai lavori, al seguito molto spesso di ciò che impongono il mercato, le grandi multinazionali, i poteri finanziari. Soffia un vento nuovo, alla paura ed al rinchiudersi in se stessi (l’egoismo contrapposto alla politica, quella vera, secondo la felice definizione di don Milani e dei ragazzi della scuola di Barbiana) si va sostituendo la coscienza che insieme è possibile lottare, incidere, cambiare lo stato delle cose esistente.
Ciò risulta particolarmente vero riguardo ai temi dell’accoglienza, dell’inserimento sociale, dell’inclusione. In questo campo la paura e le ansie securitarie hanno prevalso in larga parte del Paese, alimentando per molto tempo le politiche nei confronti di migranti, richiedenti asilo, profughi/e. E non solo nei provvedimenti del Governo, ispirati dal razzismo della Lega (punta avanzata di un sentire più diffuso), ma anche nelle misure adottate a livello locale (le famose ordinanze dei Sindaci, in cui Firenze ha un triste primato, che la corte Costituzionale ha messo in gran parte in mora) e nel diffondersi di atteggiamenti ostili verso gli stranieri fra la popolazione. Certo, vi sono atti in controtendenza (fra gli altri, la legge regionale sull’immigrazione della Regione Toscana, approvata nel 2009), ma la sicurezza è rimasta a lungo la preoccupazione dominante, che ha influenzato e condizionato anche chi, a livello istituzionale, si proponeva politiche di accoglienza.
Oggi il circolo vizioso “paura, richiesta di maggiore sicurezza, aumento della paura e delle misure securitarie” si è cominciato a rompere – i risultati delle recenti elezioni amministrative lo dimostrano, in quanto l’allarmismo contro i Rom e gli immigrati (contro le “zingaropoli” e le moschee) non ha pagato -. E’ estremamente urgente che se ne rendano finalmente conto quegli amministratori toscani che si attardano ancora ad inseguire le paure, in genere presunte, dei loro amministrati. Per andare in un’altra direzione, partendo da altri presupposti – essenzialmente dai diritti delle persone, dalla loro realtà di esseri umani, dalle iniziative che favoriscono l’inclusione e la convivenza -, non bastano le enunciazioni, ma occorre un impegno notevole – nello sforzo di impostare e realizzare progetti concreti, nel dare voce a chi non è rappresentato, nel far divenire realtà, nei vari territori, la legge approvata nel 2009 e rimasta, in qualche modo, nel cassetto -.
Indubbiamente, di fronte a tutto questo, ricorrerà l’accusa di “buonismo“, ma, premesso che comunque il “buonismo” è sempre meglio del “cattivismo” di chi vorrebbe sparare sui barconi dei/delle migranti (nello stesso modo per cui la tolleranza, benché largamente insufficiente, è pur meglio dell’intolleranza), va sottolineato “buonismo” è fatto di enunciazioni e di parole generiche di principio, che non si misurano con i fatti da cui non seguono provvedimenti concreti, mentre ciò che prospettiamo è un insieme di atti, di progetti, di misure, di interventi politico/culturali volti ad affermare diritti, a promuovere pari opportunità, a sostenere rapporti di convivenza. E’ su questa lunghezza di onde che si pongono iniziative come quella di oggi (e quella di domani l’altro, a Pisa, e cioè gli Stati Generali sull’Immigrazione). Dalle esperienze di Riace e Caulonia, di paesi cioè che la presenza dei/delle migranti – essenzialmente profughi/e del Nord Africa – ha rivitalizzato, possono venire indicazioni valide anche per la nostra Regione.
Dalle esperienze in questione è nata una legge regionale calabrese volta a promuovere e far sviluppare l’inclusione di profughi/e e richiedenti asilo. Particolarmente importante è il fatto che in quanto è stato pazientemente costruito in quelle realtà si sono intrecciati aspetti diversi: la tutela dell’ambiente, la cura di zone agricole e boschive, il restauro e la ristrutturazione di agglomerati in via di abbandono, il recupero di mestieri tradizionali, lo sviluppo di percorsi che, attraverso il confronto, hanno coinvolto insieme nativi/e e migranti. Non si tratta, quindi, di interventi soltanto di accoglienza, spesso puramente assistenziali e destinati a concludersi in periodi più o meno brevi, ma di progetti complessivi che impegnano l’ente locale e l’intera comunità (e che proseguono nel tempo).
Qualche piccolo esempio di un simile modo di procedere lo abbiamo anche qui in Toscana. E’ necessario però andare oltre, e cioè far sì che, di fronte all’arrivo ricorrente di profughi/e e richiedenti asilo, o comunque alla presenza di persone emarginate, non vi sia un’indifferenza istituzionale, quando non addirittura un’ostilità (spesso si è proceduto allo sgombero da un territorio all’altro di quelli/e che vengono considerati “esuberi” rispetto alle capacità di accoglienza della propria realtà comunale). A Firenze, ad esempio, a dare un tetto a profughi/e e richiedenti asilo, in prevalenza somali ed eritrei, è stata da lungo tempo l’iniziativa “privata” (fra virgolette) del Movimento di Lotta Popolare per la Casa.
Anche provvedimenti corretti e sensati come quello adottato dalla Giunta regionale toscana di fronte ai profughi/alle profughe dal Nord Africa (che prevede l’accoglienza in strutture di piccole dimensioni diffuse sul territorio) hanno bisogno di ulteriori sviluppi. L’obiettivo che ci dobbiamo porre, istituzioni e società civile attiva insieme, è quello di giungere ad un sistema regionale in grado di fornire una prima accoglienza a coloro che ne hanno bisogno, siano essi richiedenti asilo, profughi/e, Rom scacciati da un territorio ad un altro, persone rimaste comunque prive di abitazione in seguito a calamità naturali o altro. Per passare poi, subito dopo, a processi di inclusione sulla base di progetti integrati, che prendano spunto anche dalle esperienze di cui discutiamo oggi (e che potranno avere un clima più favorevole, nelle istituzioni e nella società, grazie a quel vento nuovo che spira oggi nel nostro Paese).
Con questo incontro intendiamo avviare un percorso che metta insieme, nell’elaborazione di progetti,, enti locali, associazionismo e società civile attiva, “saperi” prodotti dalle realtà sociali e di movimento, dai luoghi di studio e di ricerca, da singole competenze, in settori diversi, che devono interagire fra loro (dell’accoglienza e dell’inclusione, del recupero abitativo, dell’assetto urbanistico, del ripristino e del mantenimento delle aree boschive ed agricole, del recupero dei vecchi mestieri artigianali, dello sviluppo di un turismo “spalmato” sull’intera regione, della tutela dell’ambiente e del territorio, della formazione e dell’interculturalità). Perchè, come hanno detto le donne con le grandi manifestazioni del 13 febbraio scorso, “se non ora quando?”.
Tornare a casa è atroce che i cani ti spalmino la lingua sulla faccia oppure no che tu abbia una moglie oppure no che tu abbia una solitudine a forma di moglie che ti aspetta oppure no.
Tornare a casa è atroce e si è soli così, con tenerezza, pensi alla pressione barometrica percepita nel posto da cui provieni, perché una volta fatto ritorno a casa tutto è atroce, ogni cosa.
Pensi ai vermi attaccati alle foglie d’erba, ore interminabili passate a guidare, lungo la strada officine e gelatai e peculiari forme di nuvole e silenzi e desiderio di non voler tornare.
Perché tornare a casa è semplicemente atroce. E le nuvole e i silenzi fatti in casa non servono a molto se non a ingrandire l’inquietudine.
Le nuvole, così come sono, sono sospette, e fatte di una diversa sostanza di quelle lasciate lì, da dove vieni.
Qualcuno ha rivestito anche te di un diverso tessuto di nuvola, hai fatto ritorno, hai resettato la mente, infettato dalla luce della luna, non sei felice di essere a casa non hai voglia, sei fuori posto negli stracci logori che hai addosso.
Fai ritorno a casa vieni dalla luna, da un paese straniero; la forza gravitazionale terrestre ha raddoppiato la sua intensità, allenta i lacci delle scarpe le tue spalle cadono le rughe dell’ansia sono ben incise sulla fronte,
Fai ritorno a casa sprofondato prosciugato, connesso al domani da una stanca ciocca di… Va così…
Sei sotto le bombe, respiri nei giorni tutti uguali. Può darsi che almeno un giorno, tra i tanti… Bene… Va così…
Fai ritorno a casa. Il sole fa su e giù come una puttana stanca, il meteo rimane fermo come un ramo spezzato e tu ti ostini a invecchiare, poco altro.
Niente si muove se non le correnti e le maree del tuo corpo. Non riesci più a vedere. Ti porti dietro la tempesta, una grande balena blu, oscurità da ingrassare.
Fai ritorno a casa, ringrazia i raggi x. I tuoi occhi sono una carestia. Fai ritorno a casa
fornito dei tuoi doni di mutante da regalare a una casa di ossa.
Perdere a Varese Quando si fa sera Quando al ballottaggio La sinistra ti scolora Rischi di impazzire Può scoppiarti il cuore Perdere a Varese E avere voglia di morire…
Molti stanno commentando i risultati elettorali mettendo in evidenza l’alto livello di astensionismo…Addirittura, molti ne traggono presagi infausti sulle sorti della democrazia. Non sono d’accordo, anzi VOGLIO ANDARE CONTROCORRENTE. Questo basso livello di partecipazione può essere ricondotto a due fenomeni che chi studia i comportamenti elettorali ha individuato da tempo.
Primo: il cosiddetto “astensionismo intermittente”, Secondo: l’astensionismo “asimmetrico”. Cosa si intende? Si intende che molti elettori decidono oramai se e quando votare di volta in volta; e che,, specie alle elezioni amministrative, contano una serie di fattori che possono spingere al non voto. Se ne possono elencare molti: la scelta di candidati sbagliati, e soprattutto la “smobilitazione” di alcuni segmenti dell’elettorato, e non di altri. E poi il “clima” generale”: chi “sente” che la propria parte è in difficoltà, che non si sta in realtà impegnando molto, è divisa, ecc. – costoro se ne stanno a casa….Al secondo turno, poi, va anche “peggio”: molta gente che aveva votato una lista e magari un amico come consigliere, non hanno più spinta a votare al ballottaggio: storicamente ai ballottaggi c’è sempre stato un 10-15% in meno di votanti, a cominciare da quelli che non hanno più il loro candidato. Quindi l’astensione è un fatto politico, non solo e non sempre segno di distacco e di sfiducia generalizzata.
Nel nostro caso, in particolare, molti elettori del centrodestra se ne sono rimasti a casa, perché hanno visto e sentito un messaggio di divisione e di scontro interno al CD, perché non hanno apprezzato il modo di rapportarsi del CD alla gestione della pandemia, perché avevano candidati deboli, e si potrebbe continuare. Poi c’è stato una quota di astensionismo di ex-elettori del M5S: vedremo meglio nei prossimi giorni l’entità di questo non-voto e attraverso l’analisi del flussi vedremo in particolare in che quota gli ex elettori della Raggi e della Appendino hanno votato per Gualtieri e Lo Russo. Dalle prime analisi dell’Istituto Cattaneo su Torino, (vedi il Corriere della sera di oggi, martedì 19, pag. 10) emerge come il 10% di voti che era stato raccolto al primo turno dalla candidata del M5S si è diviso pressappoco a metà tra il candidato del centrosinistra Lo Russo e l’astensione: quasi nessuno a destra…
E allora: il fatto che il Centrosinistra vinca in queste condizioni certamente deve indurre alla cautela, in vista delle politiche del 2023: nessun facile euforia. Ma il fatto che molti elettori del CD si siano “scoraggiati” e abbiano “smobilitato” è esso stesso un fatto politico: non è detto che – tra Salvini e Meloni – anche alle politiche saranno poi così entusiasti….E così pure per il M5S: è notorio che il M5S vada male alle elezioni locali (nel 2016 le vittorie a Roma e Torino furono il frutto del suicidio politico del PD renziano….): fatto sta che ieri pomeriggio stesso, il sondaggio SWG presentato da Mentana (così come hanno fatto altri sondaggi nelle settimane scorse) continua a dare il M5S intorno al 16%: vi pare poco, per un movimento “moribondo”, come si ostinano a dire i commentatori più malevoli e ostili? Anche qui, ci andrei cauto….
Sabato 16 Ottobre mi sono sintonizzata sulla 7 per vedere IN ONDA con la speranza di assistere alla cronaca fedele ed esaustiva dell’evento del giorno: la manifestazione sindacale a Roma in risposta al gravissimo assalto fascista del 9 ottobre alla sede nazionale della Cgil. Purtroppo le mie aspettative sono state deluse. In barba ai criteri deontologici che impegnano gli organi di informazione a dare conto degli eventi più importanti e recenti, la manifestazione sindacale è stata del tutto ignorata e si è preferito ripescare il vergognoso attacco alla sede sindacale della settimana precedente, già ampiamente trasmesso e commentato da tutti i media. Evidentemente una grande manifestazione ordinata, compatta e antifascista non era abbastanza adrenalinica ai fini dell’audience. Insomma, l’evento clou non era la massiccia risposta antifascista del 16 ottobre, ma l’aggressione fascista del 9.
A fronte di questa macroscopica scivolata di IN ONDA risulta poco convincente l’attribuzione delle responsabilità del diffuso clima fascistoide, all’uso muscolare del linguaggio di un certo giornalismo agli estrogeni, fatta dalla giornalista Marianna Aprile ospite in studio. Espressioni come Draghi tira dritto, Draghi non molla, linea dura di Draghi … sarebbero responsabili, a suo dire, dell’assuefazione graduale e inavvertita allo stile ducesco. Senza nulla togliere alla brillante intuizione della giornalista, dico che ci vuole ben altro per spiegare il fenomeno dei rigurgiti fascistoidi.
Lei vede il bruscolo e non la trave ben piantata nell’occhio del popolo italiano non da ora e non da alcuni giornalisti in cerca di effetti speciali a scopo di vendita. L’uso strumentale di un linguaggio connivente e tranchant non è che l’effetto di un imbarbarimento culturale e di un cedimento democratico che, da Bossi in poi, passando per Berlusconi fino ad arrivare a Grillo, ha tollerato comportamenti inaccettabili fomentando odio, disprezzo per le istituzioni democratiche, sostenendo la violazione dei diritti umani e civili … La decadenza della democrazia e l’uso sempre più ampio e spesso sconsiderato della tecnologia informatica hanno favorito la nascita della civiltà dell’immagine, obiettivo sul quale si dirige la libido narcisistica dell’individuo moderno sempre più prevaricatore, intollerante, prepotente … in una parola …fascista. Il linguaggio muscolare non è, come sostiene Marianna Aprile, un fatto fuori dalla storia, anzi è dentro la storia con le mani e con i piedi. Una storia fascista che si ripete all’infinito e che assume via via forme comunicative in grado di intercettare i profondi disagi della nostra società.
La Aprile era in palese contraddizione con se stessa. Mentre denunciava il linguaggio complice di un certo giornalismo, partecipava ad una trasmissione così poco obiettiva da far passare per dovere d’informazione la parzialità di un servizio a senso unico dove, il risalto dato all’azione di una pur facinorosa minoranza, poteva indurre a credere che si trattasse della maggioranza del popolo italiano.
La memoria collettiva se non coltivata con lo studio e l’approccio critico è spesso fallace esattamente come quella individuale. La narrativa sul sindacato è fatta di rimpianti per gli anni 70 e 80. Dirigenti sindacali come Lama e Trentin sono elevati a simboli di un sindacato combattivo e contrapposti ai dirigenti attuali. Invito a rileggere i documenti dell’epoca e a cercare di ricostruire i fatti. Esiste una vasta letteratura in materia sia di natura storica, che politica, che economica, partendo anche da punti di vista diversi e contrapposti.
Sia Lama che Trentin furono oggetto di contestazioni di massa (il primo sul finire degli anni Settanta da parte di ampi settori della gioventù scolarizzata (il movimento del 77) che avvertiva il venire meno delle conquiste della generazione precedente, ma anche fino agli anni Ottanta da settori di base del sindacato stesso per la sua tepidezza verso il primo Governo Craxi, il secondo dai lavoratori stessi per aver subito nel 1992 l’abolizione della scala mobile e avervi posto “rimedio” nel 1993 con un accordo che non godette dell’approvazione di tanta parte dei lavoratori sindacalizzati a partire dai metalmeccanici, nonostante il sostegno dell’intero gruppo dirigente). La linea sindacale di Lama , la cosiddetta politica dei “sacrifici”, comportava moderazione salariale e rivendicativa, la linea di Trentin preconizzava (l’alleanza dei produttori) un patto stabile e codeterminato tra capitale e lavoro.
Lo stesso Cofferati (anche egli oggetto di contestazioni di massa per l’accordo sulla “riforma delle pensioni del governo Dini) si caratterizzò per la linea della concertazione. La line attuale della CGIL- che è il prodotto della svolta di Cofferati nel 2002 e che sia Epifani che Camusso hanno mantenuto sia pure con qualche incertezza, soprattutto da parte di Epifani – parte dal riconoscimento del fallimento delle politiche liberiste e della globalizzazione ed molto, molto, molto più di sinistra della linea precedente. La base della svolta fu la presa d’atto del carattere ultraliberista dei processi di globalizzazione. Tra il Forum sociale mondiale di Genova con la sua scia di sangue violenza e il Forum sociale europeo di Firenze, si srotola il filo rosso di questo passaggio.
Una svolta tutta politica che poteva fare solo la CGIL come soggetto autonomo sulla scena politica italiana. Come ebbe a dire durante i festeggiamenti del centenario, l’allora presidente della Fondazione Di Vittorio, Carlo Ghezzi (cito a memoria): “noi non abbiamo avuto bisogno né di cambiare nome, né di cambiare bandiere”:
La differenza vera tra ieri e oggi è che la CGIL del passato era forte, contava e aveva alle spalle un grande partito comunista (anch’esso moderato e dedito ad una politica di compromesso con la DC) che contribuiva a dettare pure dall’opposizione l’agenda politica del paese e scrivervi dentro anche le rivendicazioni e il punto di vista del lavoro.
Oggi quel quadro politico non esiste più. La capacità contrattuale del sindacato è stata colpita dalla crisi economica e sociale, da una legislazione sempre più antioperaia e antisindacale a partire dal Governo Berlusconi 1, ma proseguita via via da tutti i governi successivi fino alla mazzata del Jobs act del Governo Renzi, senza nessuna forza politica che riconosca la centralità del lavoro. Il nostro problema è qui: organizzazione debole, colpita dalla crisi economica e sociale e assenza di una forza politica proletaria di riferimento.
Milito in CGIL dal 1978, prima come delegato, poi come dirigente dal 1992. Anche io rimpiango la CGIL della mia gioventù e della mia maturità, perché ero giovane, pieno di energie e sicuro dell’avvenire radioso del proletariato e dell’umanità e vedevo il socialismo dietro l’angolo (anche se la fine del muro si allontanava sempre impercettibilmente). L’angolo oggi è ancora più lontano.
Andrea Montagni, 18/10/2021
Commenti e note
Marco Mayer
Interessante, manca la strettissima collaborazione tra CGIL e Dipartimento di Pubblica Sicurezza del Viminale per il social forum di Firenze. Non fu un eccezione, non solo Guido Rossa contro le BR, ma dagli inizi degli anni 70 CGIL e PS hanno collaborato contro il terrorismo. Marco Mayer
Roberto Fossi
Non fa una grinza la memoria di Montagni, ma “quella” CGIL non era solo combattiva, anzi era ragionevole e combattiva perché guardava alle cose con l’occhio concreto di chi deve muoversi all’interno di un quadro “possibile” non sulle fantasie. Erano altri tempi, tutto quello che vogliamo, ma quella CGIL non era populista anzi, la rappresentanza era vera ed efficace perché le famose tute blu della FIOM, la maggioranza del sindacato, erano numerosissime e rivendicavano modalità di lavoro più equo, più sicuro e più pagato ma, appunto in un quadro del “lavoro” in Italia che non era sicuro, non era equo, non era pagato!
Oggi chi rappresenta? Nelle fabbriche del NORD tanti, ma tanti lavoratori leghisti che forse non ce l’avranno più duro, ma nelle praterie di Pontida con due corni su un casco ne troveremmo dimolti, venendo un pò più in giù, 5stelle a gogo. Il grillismo falso, becero e incompetente nella CGIL!
Riguardo a Cofferati, lui a mio avviso c’entra poco con la virata sindacale, che ci fu è vero, ma nobile e adeguata perché i tempi che mutano, ma chi ha distrutto la CGIL direi piuttosto la Camusso, il peggio segretario che io possa ricordare e questa banderuola di oggi di Landini, che se anche mette qualche volta la cravatta resta il solito ignorante beneficiato dalla fortuna (visti gli stipendi che girano nelle posizioni apicali dei sindacati).
Ma tanto per capire meglio chi sono oggi, proviamo a rileggere quello che la Francesca RE David segretaria Fiom dal 2017 ha chiesto a Landini: “ma se noi siamo sempre stati NO Green pass, perché ora facciamo tutto questo casino contro di loro!!!!!!!!!!!!!!!
Ma va’ia va’ia..… con amicizia Roberto
Gino Benvenuti
L’intervento di A.Montagni che cerca di spiegare l’evoluzione della Cgil dagli anni ‘70 fino ad oggi tramite le varie leadership potrebbe essere un invito alla riflessione su questo “segmento sociale imprescindibile” della società italiana. Detto ciò penso a quanto Montagni scrive all’inizio del suo contributo affermando che “la memoria collettiva se non coltivata con lo studio e l’approccio critico è spesso fallace esattamente come quella individuale”. Parole condivisibili che valgono, nella loro evoluzione, anche per altre entità quali “il quadro politico”, il “mutamento istituzionale” la “forma partito”, l’analisi dei vari movimenti e quella fondamentale dei vari cicli economici.
E’ un compito improbo ma se affrontato collettivamente potrebbe essere risolto a patto però che ciò si affronti senza motivazioni autoassolutorie né tantomeno autoflagellanti. Lo spirito critico non può fare sconti a nessuno nel rintracciare il perché oggi, come dice Montagni in chiusura “l’angolo oggi è ancora più lontano”; altrimenti sarebbe un lavoro inutile.
Più si avvicina la notte più si diradano gli autobus su cui salire. Ormai e’ quasi buio e probabilmente non ne passeranno piu’. Vuol dire che me ne starò a casa, forse con qualche rimpianto ma nel complesso sereno. In fondo quando il sole era alto e il cielo senza troppe nubi qualche viaggio l’ho fatto!