La stampa: libertà di genuflessione

(Parafrasando i classici che avevano capito tutto)

Tanto gentile e tanto onesto pare
il Mario nostro quando altrui saluta
ch’ogni stampa diviene prostituta
a comincia così a idolatrare.
Egli si va sentendosi laudare
benignamente d’umiltà vestuto
e par che sia un gran capo venuto
da cielo in terra per noi a governare.
Mostrasi sì potente a chi lo mira
e dà coi gesti sicurezza al core
da far sperar così in un’era nuova.
E pare che in padella cocia l’ova
e faccia la frittata con amore
per dire poi all’Italia: “su rigira!”

Da La vita nuova di Dante)

Ahi serva stampa dei corrotti ostello,
donna senza pudore e disonesta
venduta al grande GEDI del bordello!

(Dal VI Canto del Purgatorio della Divina Commedia)

Ahi vile stampa perché non peristi?

(Dal 33esimo Canto dell’Inferno – Il Conte Ugolino)

“C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico”: Draghi!

(Da L’aquilone di G. Pascoli)

La stampa: rea di servo encomio e di codardo oltraggio.

(Da Il 5 Maggio di A. Manzoni)

Così percossa e attonita
l’Italia al Draghi sta
muta mirando il genio
dell’uomo più special!

(Dal 05 maggio di A. Manzoni)

Anna Maria Guideri, 23/9/2021

Il Conte sbiadito

In merito all’articolo di Selvaggia Lucarelli apparso sul Fatto Quotidiano avente per oggetto la presunta tendenza al suicidio politico di Giuseppe Conte perché troppo sbiadito, poco incisivo ed elusivo con i giornalisti che lo incalzano (vedi Formigli a Piazza Pulita), desidero esprimere il mio dissenso. Penso che forse, l’unico modo per farsi notare fra tanto becerume e conformismo comunicativo, sia quello di rendersi più “sbiadito” possibile. Vale ancora la celebre battuta di Nanni Moretti : Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?” Nel caso di Conte, visto che tutti – o quasi – vengono per farsi notare nel peggiore dei modi, il modo migliore per rendersi positivamente visibile è quello di rendersi invisibile. Certo, per vincere da sbiadito ci vuole classe, ma, fino ad ora Conte, a giudicare dal consenso ottenuto e che mantiene, malgrado la campagna di delegittimazione di tutti i giornaloni riuniti, ha mostrato di averla. Il suo è un grande fair play in grado di resistere al forcipe di quei giornalisti che mostrano di mirare più agli effetti speciali che ai contenuti.

Resta da chiarire l’allineamento di Travaglio sulle posizioni della Lucarelli, che sembrano contraddire inspiegabilmente quanto ha sempre sostenuto (vedi CONTICIDIO) . Credo che Giuseppe Conte tutto si sarebbe aspettato fuorché ricevere fendenti micidiali proprio dal giornale che lo ha sempre – meritatamente – difeso. Come si spiega questo cambiamento di tono e di linea da parte del Fatto? E’ forse cambiato Conte? Non mi pare. Non era uno scalmanato prima, non lo è ora. Ha sempre difeso fermamente le ragioni della vaccinazione e ora difende, con perfetta coerenza e correttezza e altrettanto fermamente, le ragioni del Green pass. Mentre questo non si può dire altrettanto di marco Travaglio che legittimamente, ma non proprio coerentemente, è andato ad ingrossare – si fa per dire – la fila degli intellettuali dissidenti non per giusta causa.

Forse Travaglio si aspettava che Conte, per far dispetto al suo usurpatore Draghi, vendesse per un piatto di lenticchie la sua primogenitura, vale a dire, la sua coscienza e la sua coerenza? Così non è stato e non poteva essere se Conte è quella persona seria e responsabile che Travaglio ha così ben capito e descritto.

Anna Maria Guideri, 22-09-2021


La plastica verbale

il restiling linguistico

Il troppo stroppia, si sa, cioè, l’eccesso di attenzione ad usare un linguaggio politicamente corretto sfoggiando tutta una serie di eufemismi e di francesismi sconfina sempre di più nel grottesco e nel ridicolo ottenendo l’effetto contrario a quello voluto: quello di rispettare le persone e le categorie più disparate considerate, scorrettamente, diverse. Quest’uso, a volte maniacale, dell’elegante e dell’asettico si estende ad alcuni settori dei servizi pubblici che, se non siamo bene edotti sul significato letterale dei termini, può suonare ridicolmente poetico. Un esempio calzante è costituito dall’espressione sanificazione delle isole ecologiche per indicare la pulizia dei punti di raccolta dei rifiuti urbani. L’espressione, dal punto di vista dell’uso dei termini, è perfetta, eppure ci fa ridere perché ci appare il prodotto di un eccesso di zelo, come a dire: tanto nobile lignaggio, pardon, linguaggio, per una cosa tanto plebea! Di prim’acchito l’espressione evoca paradisi turistici, isole di sogno tra palmizi, spiagge dorate e imbarcazioni al largo di un mare splendente. Invece, banalmente, si tratta di pulire gli spazi isolati riservati ai contenitori della monnezza. Potenza del linguaggio!

E’ proprio vero che la lingua, più che definire e descrivere la realtà, la crea! A seconda dell’uso che ne viene fatto può influenzare a tal punto le nostra facoltà percettive da modificare profondamente – nel bene e nel male – il nostro rapporto con la realtà. La civiltà, cioè, l’affrancamento dell’uomo dallo stato di natura, è figlia del linguaggio e, nella misura in cui ci allontaniamo dal nostro stato naturale, possiamo, sì, realizzare grandi cose, ma anche essere esposti a tutte le manipolazioni possibili. La storia lo dimostra. Oggi in particolare, il fenomeno della narrazione distorta della realtà dovuta all’uso potentissimo e spregiudicato dei media, è particolarmente grave e difficile da controllare. Mi vengono in mente alcuni esempi significativi in uso ed altri possibili di come la lingua, sottoposta ad un abile trattamento estetico possa passare da una forma originale acqua e sapone ad una irriconoscibile, più elegante e sofisticata, certamente meno autentica, in grado di modificarne radicalmente il significato.

VERSIONE ORIGINALEVERSIONE “RESTAURATA”
Compromessi al ribassoPrezzo dovuto alla governabilità
Gogna mediaticaDiritto alla libertà di espressione
Il silenzio di Draghi sul caso DurigonAtteggiamento responsabilmente distaccato.
Conticidio orchestrato dai media per ordine dei potentati economici.Missione compiuta per salvare l’Italia.
Un poliziotto americano uccide un nero inerme.Azione estrema compiuta nell’interesse dell’America.
RampantismoLegittima ambizione.
Un Assessore leghista uccide un disabile.Legittima difesa.
Governo della grande ammucchiata.Governo di responsabilità nazionale.
Licenziamenti e delocalizzazioni.Misure inevitabili per la salvezza dell’impresa.
Evadere le norme di tutela dei lavoratori.Risparmiare sul costo del lavoro per poter incentivare l’occupazione.
Assumere le donne nei posti di lavoro con trattamento economico discriminante.L’assunzione è comunque un ulteriore passo verso la parità di genere.
Sfruttare gli extracomunitari.Aiutarli ad integrarsi.
Bombardare l’Afghanistan.Esportare la democrazia.
TrasformismoCambiamento responsabile.
Renzi intrattiene scambi socio-economici con il regime autoritario dell’Arabia Saudita.Renzi intrattiene scambi socio-economici con uno Stato neorinascimentale.
Non soccorrere i naufraghi nel Mediterraneo.Difendere la patria dagli invasori.
Evasione fiscale.Strategie di sopravvivenza.
La corruzioneLa realpolitik.
Irriducibilmente fascista (vedi Meloni)Persona coerente e coraggiosa.
StupratorePersona vittima dei propri incontrollabili istinti provocati dalle donna.
Bugiardo, imbroglione.Persona dotata di grande fantasia.
Offendere.Esprimersi coraggiosamente contro l’ipocrisia del “politicamente corretto.”
Stupro di gruppo.Ragazzi che si divertono.

L’elenco naturalmente può continuare all’infinito e se qualcuno volesse dare una mano ne sarei ben lieta perché purtroppo le cazzate, come gli esami, non finiscono mai!

Anna Maria Guideri, 20-09-2021

La Casa del Popolo

Da: Anni cruciali. 1957-1968 / Gino Benvenuti. Il Punto rosso, 2021. http://www.puntorosso.it/edizioni.html

Uno degli effetti più importanti del mio trasferimento fu che cominciai, fin dai primi giorni, a frequentare assiduamente la casa del popolo Fratelli Taddei a San Quirico di Legnaia distante poco meno di mezzo chilometro da casa, un ambiente ricreativo che mi facilitò l’inserimento nella nuova realtà. Per me un ambiente così fu una novità assoluta ed un’acquisizione importante perché lì cominciai a manifestare gradatamente, interesse per le vicende politiche e cominciai a fare amicizia con diverse persone. Un Sabato pomeriggio vi andai, per la prima volta, a prendervi un caffè quando mi sentii chiamare: era Andrea un ex collega di quando avevo lavorato in fabbrica come apprendista litografo e che al momento vi lavorava ancora. Ci salutammo cordialmente e mi ricordò, presentandomi ai suoi cognati, i disastri che avevo combinato alla rotativa ed a seguire mi ragguagliò su tutti i pettegolezzi di ex colleghi, riportando qualche episodio a luci rosse, fidanzamenti ed altre amenità accadute nella sua fabbrica. Mi invitò a visitare i locali facendosi accompagnare da uno dei soci fondatori che, mentre camminavamo, ci narrò anche delle vicende che riguardavano la storia di quell’edificio che fu a suo tempo requisito dai fascisti e restituito nell’immediato dopoguerra alla sua funzione originaria.

Era un uomo molto anziano basso e dal volto rotondo con pochi capelli tutti bianchi, leggermente claudicante. In gioventù dopo una fase di militanza anarchica aveva partecipato alla fondazione del partito comunista a Livorno nel 1921. Quando passammo davanti al bancone per andare nella sala molto grande con i biliardi, mi presentò il barista, a cui strinsi la mano, informandomi che era il presidente del circolo ed aggiungendo, prima di andare nella stanza dei biliardi, che “il servizio qui lo fanno i soci e gratuitamente”. Una volta dentro la stanza accese delle luci e mettendo a posto nella rastrelliera due stecche che erano appoggiate sul panno verde, ci tenne a dire che “qui hanno fatto anche gare di un certo livello” Oltre una piccola vetrata notai uno spazio con un juke-box e feci una capatina prima di dirigermi, insieme a lui, verso un’ampia sala per il gioco delle carte.

Dopo avervi dato un’occhiata dentro ci fermammo nell’ingresso e l’uomo mi indicò il primo piano dicendo “alla fine delle scale c’è la sala del cinema nella quale tutti i giorni nel dopocena, tranne il Lunedì si proiettano i film e durante l’estate invece viene utilizzato il nostro giardino adiacente. Il cinema è anche il luogo dove a volte si svolgono i dibattiti politici ed altre iniziative su molte questioni. Ci sono tanti giovani come te che vi partecipano”.

Rimanendo a piano terra fece presente che nel sottosuolo “ci sono altri locali per la sezione del partito comunista, quella del partito socialista, un circolo della Fgci ed altri ambienti dove si svolgevano attività culturali ed una biblioteca con tanto di prestito per i soci”. Si sentiva nella sua esposizione un senso di orgoglio per quel complesso che mi parve enorme. Il mio amico, presentandomi ad altre due persone, mi invitò a fare una partita a tressette con loro. Nel tornare a casa, riflettendo su quanto avevo visto, rimasi veramente impressionato da tutta questa attività e partecipazione sociale e nei giorni seguenti andando alla casa del popolo mi resi conto della massa di persone che la frequentavano. Venivo da una realtà prevalentemente residenziale che aveva anch’essa punti di aggregazione politica che facevano riferimento al partito socialista ed al partito comunista, ma le dimensioni al confronto di questa casa del popolo erano ridotte e sicuramente come rapporto e legame con il territorio non erano nemmeno lontanamente paragonabili. Dopo alcuni mesi, una Domenica mattina mentre stavo parlando con degli amici, vidi un giovane di media altezza, magro, dalla capigliatura scura parcheggiare una Guzzi proprio accanto al mio scooterino ed incuriosito lo seguii con apprensione, immaginandomi una caduta della sua moto sopra la mia.

Quando passò accanto a noi salutò subito ricambiato. Appena entrò dentro la casa del popolo, Ivan, un ragazzo con cui parlavo spesso, mi disse “è il segretario della sezione della Fgci” e nel prosieguo del discorso venni a sapere che era stato “il promotore del cineforum Ejzenŝtein e del circolo culturale Nazim Hikmet. Si chiama Gianluigi ma lo chiamiamo tutti Mao. Ora se ripassa te lo presento”. Caso volle che egli uscisse dopo un paio di minuti e quindi ci presentammo dopo che era stato fermato da Ivan. Questo spunto occasionale fornì il pretesto per essere ragguagliato sulle attività culturali della casa del popolo. Gian Luigi citò una serie di nomi che assolutamente non conoscevo ed illustrò il tipo di attività che vi si svolgevano. Alla fine del suo discorso volle precisare come “queste attività fossero tutte autofinanziate” ed anche come “questo circolo è inserito in una realtà dove l’utenza è largamente operaia e proletaria che stimola e ci sprona”. Qui finì questo primo approccio e lo ringraziai per la sua spiegazione. Prima di rimontare in moto tornò indietro e mi fece presente che esisteva una biblioteca per i soci, che potevano prendere in prestito qualche libro.

Su questo possibilità gli amici mi segnalarono che lo avevano già utilizzato suscitando la mia curiosità. Nel continuare a frequentare la casa del popolo constatai come fosse massiccia la partecipazione giovanile, in maggioranza lavoratori. Notai un’alacre attività politica mai vista rispetto al precedente luogo in cui avevo fatto riferimento nel mio tempo libero, praticato da un’utenza che aveva motivazioni diverse e dove gli argomenti prevalenti non avevano una connotazione politica. Ovviamente essa affiorava nei discorsi, che era però cosa ben diversa dal praticarla, ed alla lunga nelle discussioni appariva un orpello fastidioso; questa diversità non fu una cosa da poco. Il fatto che vi fosse nel circolo il giornale a disposizione degli avventori, rispetto al bar dove ero andato sempre prima del trasloco, può sembrare una banalità ma non lo era perché la fruibilità pubblica faceva la differenza anche se per consuetudine in casa mia il giornale non era mai mancato.

Un Sabato pomeriggio vidi alcuni giovani e delle ragazze che stavano danzando davanti al juke-box e mi aggregai a loro trovandomi invischiato in una sorta di contesa “territoriale”. Uno a ballare davanti al juke-box precludeva di fatto l’accesso ad altri mentre qualcuno di noi con le monete in mano era pronto ad inserirli appena la testina del grammofono si staccava dal disco. Tutto per dare seguito al “possesso” del juke-box. Se qualche persona presente aveva pazienza ed era disposta ad attendere la pausa inevitabile bene, altrimenti, come successe una Domenica pomeriggio, uno sbottò ricoprendoci di improperi perché “eravamo degli invasati”. C’era nella fruizione del juke-box un elemento importante perché avere il giradischi rimandava ad una dimensione privata nell’ascoltare la musica e per chi non lo aveva per scelta, come il sottoscritto, c’era la possibilità di socializzare con altri coetanei con appuntamenti “davanti allo scatolone che canta” come borbottò un anziano infastidito dall’eccessivo volume. “Ognuna per sé, juke-box per tutti”; questo valeva anche per le adolescenti quando ballavano tra loro. Quello strumento, che oggi fa sorridere, all’epoca fece sognare tante persone e fu occasione di incontro tra giovani che si cimentavano in piroette e figure ballando distaccati dove ognuno poteva inserirsi senza timore ed anche dove, come successe a me, si combinavano gli incontri con qualche ragazza; una che sarebbe diventata la mia fidanzata, la conobbi con questo approccio.

Alcune ragazze, molto giovani, non frequentavano le sale da ballo mentre lì, in una parte di un locale, era possibile incontrarsi quando stanchi ed esausti ci davamo appuntamento per vederci ancora. Qualche volta veniva anche qualche genitore a controllare, ma in quella bolgia ne usciva più disorientato che mai. Più vicina, a poco più di cento metri da casa mia, c’era la casa del popolo di Soffiano, un edificio ampio a due piani munito di due ambienti per il ballo, uno invernale ed un altro estivo, molto ampio e gradevole, con quattro enormi tigli che emanavano un profumo intenso, e fu per questo che la frequentai a volte nel dopocena. Una sera casualmente vi incontrai due persone che erano state con me nella stessa ditta, uno capo-tipografo e l’altro litografo ed in quell’occasione gli indicai dove abitavo. –Non sarai mica venuto qui a fare danni?– mi chiese uno dei due scherzosamente. –Spero proprio di no– risposi sorridendo. La frequentazione del casa del popolo a San Quirico di Legnaia, mescolando ricreazione ed interessi diversi, prese consistenza e mi trovai coinvolto in discussioni e, parlando poco ma ascoltando tanto, cercai di orientarmi in quella che, inizialmente per me, fu una Babele di pareri discordanti.

Sentivo parlare di argomenti che mi interessavano e soprattutto il contraddittorio a volte mi intrigava. Inoltre a volte mentre assistevo a delle chiacchierate mi veniva chiesta la mia opinione, forse per curiosità, segno comunque che non c’era preclusione verso chi era arrivato da poco in quell’ambiente. Ricordo benissimo la prima volta in cui mi trovai immerso in una diatriba politica, per l’apprensione che provocò in tante persone la crisi di Cuba per la quale sentii parlare di “rischio di una guerra mondiale”. Quando Ivan e suo fratello, con i quali parlavo spesso, dissero che “bisognerebbe fare una veglia per la pace” sentii commentare alle mie spalle “le veglie con le candele in mano si fanno dai preti”, facendo sganasciare dalle risate i presenti. La battuta fece sorridere però non passò inascoltata perché il pensiero di Ivan venne ripreso da un attivista socialista, un uomo di mezza età che come tratto distintivo portava spesso con sé il giornale Avanti. –Hai ragione non ti lasciare influenzare da discorsi a bischero– . –Ecco lui che vuol dire la sua. Vai a dirla nel tuo partito visto che state con i democristiani amici degli americani– . –Lo sai o no che siamo in un periodo di guerra fredda e che il mondo è diviso in blocchi dopo la conferenza di Yalta?– . –Ecco il sapientone che ci vuol spiegare come va il mondo. Dove sta scritto che gli italiani debbano approvare tutto ciò che fanno gli americani perché siamo alleati con loro?– . –Lascia perdere per favore- . La cosa si sgonfiò come accadeva spesso con code di giudizi che non avevano niente a che a fare con la politica. Venivano riesumati episodi pregressi dando la stura, a volte, a giudizi velenosi sulla persona e questa cosa, anche in seguito, mi ha sempre dato fastidio.

Seguirono in breve tempo eventi importanti, che trovarono riscontro anche nel dibattito spicciolo, come la morte di Giovanni XXIII che si impegnò per un rinnovamento della Chiesa proclamando un evento epocale come il Concilio Vaticano II. L’attenzione che ricevette anche da parte del mondo laico non fu casuale perché si prefigurava, nelle premesse, il segno tangibile di una volontà di affrontare le nuove problematiche che i tempi andavano ponendo. Per questo la morte del Pontefice fu motivo di preoccupazione tra coloro che si approcciavano alla politica in maniera più ragionata andando oltre le battute da bar. Un evento che suscitò molta soddisfazione tra i militanti del Pci fu l’esperienza spaziale di Valentina Tereskova nel 1963, la prima donna che volò nello spazio, a coronamento di precedenti esperienze che avevano consolidato, nell’immaginario collettivo, un primato stabilito dall’Unione Sovietica a partire dal primo lancio dello Sputnik nell’Ottobre del 1957, l’invio del primo essere vivente nello spazio ed infine con Jury Gagarin primo uomo nello spazio nel 1961. Questa corsa spaziale fu un terreno di scontro ideologico e militare ed un potente mezzo di propaganda politica per la supremazia nel mondo, che non poteva avvenire con armi nucleari.

Anche l’assassinio di John Kennedy, sconvolse il mondo con le terribili immagini viste da milioni di telespettatori. L’uccisione in diretta dell’uomo più potente del pianeta non poteva ovviamente passare sotto silenzio e le vicende che emersero sulle indagini successive, si prestarono a dubbi ed illazioni pesantissime che non giovarono alla credibilità degli Usa anche se “in periferia”non mancarono le solite battute. -Che te lo sei messo il lutto?– fu chiesto scherzosamente ad uno che diffondeva l’Unità. –Io certamente no, lui che è saragattiano sicuramente– affermò strizzando l’occhio facendoci voltare tutti dopo avere indicato la persona mentre attraversava la strada. Ignaro egli si aggregò a noi e qualcuno del gruppo pensò bene di attizzare immediatamente una discussione riferendogli quanto detto alle sue spalle e così si formò un capannello di persone che anche scherzando od aggiungendo del battute ironiche montarono ad arte la contesa. Chi era in minoranza ad un certo punto rivolgendosi a quelli che facevano da contorno sbottò: –A me non mi ci mettete nel mezzo cari “rizzabischeri”. Arrivederci– . –O che vai via proprio ora? Ci si stava divertendo un mondo– ribatté uno dei presenti. –Lo conosco bene il giochino. Vado a bere; ciao a tutti- .

Fa sempre così– commentò scuotendo la testa un suo antagonista politico. Si toccava con mano nel minuto e fitto scambio di opinioni, seppur emergessero divergenze, di come si mantenesse uno stimolo nel voler commentare quanto vi era di importante in ciò che ci circondava e ci condizionava.

Gino Benvenuti, 2021

La Gita al Mare

Da: Anni cruciali. 1957-1968 / Gino Benvenuti. Il Punto rosso, 2021. http://www.puntorosso.it/edizioni.html

Un Sabato pomeriggio tra una partita di canasta e l’altra, alla casa del popolo, decidemmo di andare il giorno seguente al mare perché un amico, che aveva comprato da poco una Nsu Prinz, si rese disponibile. Finito di giocare pensammo a come organizzarci e decidemmo di darci appuntamento alle sei del mattino, davanti alla casa del popolo stessa, portando ognuno qualcosa che trascrivemmo singolarmente sul foglio usato per annotare il punteggio del gioco. Chi come me portò due sedie pieghevoli trasportandole con lo scooterino, chi una sdraio, chi un ombrellone ed un tavolino piccolo da campeggio. Il padrone dell’auto constatato che il bagagliaio era in parte occupato da attrezzi di lavoro cercò di sistemarlo fino alla saturazione e rimasero fuori il tavolino ripiegabile e la sdraio che legammo, con delle cinghie elastiche munite di un uncino, al portabagagli. La mattina, appena aperta la casa del popolo, facemmo una colazione abbondante acquistammo due bottiglie di acqua minerale, che inserimmo in una borsa di plastica insieme a del ghiaccio tritato, fornito dal barista, da tenere dentro l’auto, pronte all’occorrenza .

Con “la mobilia” sul tetto della macchina, salutammo alcuni clienti mattinieri e partimmo in direzione della “Volterrana” dove prima di arrivarci facemmo il pieno di benzina vicino al Galluzzo dividendo ovviamente la spesa; la giornata si preannunciava splendida. Eravamo in cinque stretti come sardine. Due fumavano, ma con i finestrini aperti ed a me, che allora non fumavo, non davano fastidio. Per guadagnare spazio ad un certo punto chi sedeva accanto al guidatore, dopo una fermata aveva tirato leggermente avanti il sedile per permettere a quello dietro di potere allungare le gambe. Era una posizione scomoda ma non ci sembrava che ne soffrisse perché ad un certo punto mise il braccio fuori dal finestrino ed il guidatore per fargli uno scherzo rasentò un muretto prima di fermarci a Volterra per prendere un caffè. Sentimmo un urlo perché impaurito fece appena in tempo a toglierlo. Fra barzellette, pettegolezzi, qualche ammissione privata ed anche pareri su questa o quella ragazza che frequentava il circolo, gli argomenti non ci mancarono ed il tempo volò. Parlammo anche sulle radioline portatili, che uno di noi voleva acquistare, ed i miei amici sciorinarono una serie di marche e di valutazioni di cui tenni conto quando mi decisi a comprarne una qualche mese dopo. Per distenderci aspettammo che scendesse il guidatore ed in un bar dopo aver bevuto approfittammo della toilette.

Una volta giunti a San Piero a Palazzi girammo verso destra direzione Livorno. Il traffico era intenso e noi andando piano venimmo sorpassati sistematicamente con colpi di clacson insistenti e ripetuti, da alcune auto che sembravano aver fatto un trasloco; su una c’era un materasso arrotolato e su un’altra un gommone che sporgeva davanti e dietro flettendo ad ogni buca. L’Italia vacanziera pur di godersi un giorno di mare era disposta, come noi del resto, ad arrangiarsi in qualsiasi modo. Non avevamo una meta precisa ed intorno alle dieci dopo aver fatto su e giù lo stesso tratto dell’Aurelia una domanda sorse spontanea.
Dove ci si ferma?– chiesi vedendo che andavamo verso Livorno e forse saremmo passati da Antignano.
Ci sono venuto con il mio babbo un mese fa– precisò il conducente -e so che c’è un posto molto comodo proprio vicinissimo alla spiaggia.

Dopo un quarto d’ora ci fermammo invece tra Vada e Rosignano Solvay di fronte ad un tratto di spiaggia che avrebbe dovuto esser libera, ma che in realtà era già affollata. Lo si capì dagli scooter e dalle auto che ci resero difficile trovare un posto dove parcheggiare all’ombra. Alla fine ci riuscimmo e con il nostro carico di mercanzia, attraversata l’Aurelia riuscimmo a piazzarci vicinissimo al mare dopo aver chiesto a due famiglie se potevamo collocare il nostro piccolo ombrellone. Dopo averlo picchettato cominciammo a spogliarci. Ognuno aveva il proprio slip già indossato a casa ovvero le mutande “Cagi”. Creme solari e sapone niente: figuriamoci lo shampoo che non era stato nemmeno preso in considerazione. Prima di andare al mare facemmo crocchio per decidere, sottovoce, di fare i turni all’ombrellone per poi andare subito di corsa dentro l’acqua.
Sono tutte persone oneste ma è meglio vigilare– mormorò Piero, che aveva un bellissimo orologio, mettendosi una mano davanti alla bocca.
Penso anch’io– sibilai a denti stretti perché una signora mi stava osservando. Probabilmente lei intuì quello che avevamo detto perché, prima di sfilare la corse verso l’acqua, ci rassicurò che potevamo stare tranquilli perché “noi siamo del posto e non è mai sparito niente”.

Rispondemmo in coro con un “grazie” ed io che dovevo fare il primo turno di guardia, mi aggregai a loro. Allora non sapevo nuotare e non mi allontanai dalla riva. Sguazzavamo divertiti schizzandoci l’acqua addosso e guardandoci attorno. Uscimmo dall’acqua dopo una mezz’oretta e dal nostro ombrellone notammo che alcuni ragazzi avevano spianato, con un listello di legno, un po’ di spiaggia per giocare a calcio e quando ci mettemmo un attimo a vederli palleggiare fummo invitati a giocare; temporeggiammo un poco. –Allora si gioca? Livornesi contro fiorentini– insisterono i ragazzi. In realtà l’unico tra noi che aveva un po’ di dimestichezza con il pallone ero io che avevo terminato il campionato degli juniores da non molto.

Gli altri quattro erano scarsi ma ormai la sfida era approntata anche perché il sole picchiava fervente ed un ombrellone come il nostro era troppo piccolo; tanto valeva ancora fradici asciugarci giocando. Spesso qualcuno mi sgridava con “passa la palla” perché cercavo da solo di colmare un divario che era soverchiante. Il più grasso lo mettemmo in porta; fu un disastro come la partita. Involontariamente cercò di calciare al volo il pallone che rimbalzò all’ultimo istante per cui lo “ciccò” completamente colpendo invece lo stinco di un avversario. Nacquero dei battibecchi ed alla ripresa del gioco, essendo vicino a lui, nel rinviare mi colpì in pieno volto determinando un’autorete. La gente sghignazzava mentre mi toccavo la testa, ma la partita continuò in un campo impraticabile per le buche che resero difficile calciare con precisione; tutti dietro alla palla tra contrasti, cadute ed imprecazioni.

Venimmo sommersi sotto una valanga di gol sotto gli occhi dei divertiti presenti anche se alla lunga cominciammo a disturbare gente con il proprio transistor, persone che stavano prendendo la tintarella, perché il pallone spesso rimbalzava tra gli ombrelloni. Dopo un richiamo risentito di uno che si era visto sfondare il proprio giornale dal pallone, la seconda volta che gli batté su un piede lo afferrò e, con rabbia, lo calciò con tutta la forza buttandolo in mare; chiudemmo lì il nostro divertimento e stanchi e sudati ci buttammo di nuovo nell’acqua restandoci a lungo. Quando uscimmo nel dirigerci verso l’ombrellone notammo che altre persone erano arrivate in quel posto. Accanto a noi un gruppo familiare, sotto un tendone da mercato rionale, aveva organizzato una cucina da campo sotto la direzione di una donna che indossava una veste e che probabilmente non avrebbe fatto nemmeno un bagno.

Lei con un fornellino a gas con sopra un marmittone, aveva preparato una spaghettata. Da due borsoni tirò fuori di tutto. Frutta, oliera, sale, pepe, ciocche di basilico, una busta con il parmigiano grattato, posate a sfare, forchettone di legno, un thermos con il caffè. Un bambino scavò una buca fino a che non trovò la sabbia umida e ci interrò dentro un cocomero ed un popone per metterli al fresco. Mi tornò a mente il film La Famiglia Passaguai con il figlio di Aldo Fabrizi che metteva al fresco un cocomero regolarmente ghermito da altri villeggianti. Una bambina contava le posate ed un’altra ragazza apparecchiava. Il nostro tavolino era poco più grande di uno di quelli dove si giocava a dama e quell’ombrellone era insufficiente perché il sole batteva a picco. Andai a prendere il borsone con panini e bevande dal portabagagli dell’auto che, parcheggiata al riparo di un albero, era già in pieno sole e lo portai vicino all’ombrellone. –Chi pensa di fare il bagno?- domandò Prinz.

Nessuno rispose. –Allora finiamo tutto quello che abbiamo perché dopo un sonnellino ci rimetteremo in marcia e se avremo voglia di prendere qualcosa ci fermeremo ad un bar– .
Giusto– . –Magari muoviamoci verso Livorno– . Nemmeno fossimo stati a cottimo demmo fine a tutto quello che avevamo portato. Sotto un ombrellone vicino al nostro, mentre stavamo distendendo gli asciugamani, un uomo sempre con la radiolina attaccata agli orecchi ci chiese:
Lo volete un po’ di caffè?– .

Non ce la facemmo ripetere due volte e ringraziando andammo verso di lui. Bevuto il caffè, l’uomo che era stato sdraiato da quando eravamo arrivati, mi offrì una sigaretta che rifiutai dicendogli che non fumavo ma Piero sfrontato non la rifiutò e così ci sedemmo a far due chiacchiere sotto il loro ombrellone. Ci disse che era uno spazzino e che a Firenze conosceva delle persone con le quali si teneva in contatto. Infine ci tenne a farci sapere che “puntualmente da diversi anni vengono in questo posto a fare le vacanze”. Fu tutto un parlare fino a che la signora tagliando a fette il cocomero volle offrircene una a testa. La conversazione continuò raccontando di noi, del lavoro che facevamo ed alla fine ringraziando ci appartammo per riposarci. Seduti sugli asciugamani ci accorgemmo allora che nessuno aveva portato la crema solare. Per ripararsi indossammo le magliette e ci mettemmo i pantaloni appoggiati sulle cosce. Dopo poco uno di noi cominciò a dormire ed io, che non mi sentivo di stare sdraiato, mi misi a veder giocare a scopa ed a briscola le persone dell’ombrellone più vicino, dopo che avevano sgomberato il loro tavolo. Mi raggiunse Piero che approfittò per scroccare un’altra sigaretta e rimanemmo in attesa che si svegliasse “Prinz”. Non volevamo restare lì a lungo ed alla fine decidemmo di svegliarlo strattonandolo.

Così, dopo aver salutato i vicini di ombrellone, sistemammo di nuovo tutta la mercanzia sul portabagagli e via di nuovo in movimento. In auto cominciò una diatriba tra chi voleva fermarsi a Castiglioncello e chi a Quercianella. La questione non riguardava il luogo ma esisteva per il fatto che due di noi avevano fatto conoscenza con delle ragazze nelle rispettive zone. -Il problema non esiste. Quercianella e Castiglioncello sono attaccate. Si può parcheggiare e poi ognuno va per conto proprio per ritornare ad una certa ora- . –Sentite io non ho voglia di venire a reggere il moccolo. Se vuoi andare a trovare quella ragazza ti si lascia lì e si ripassa a prenderti brontolai.
Giusto– rincalzò il proprietario dell’auto il cui parere ovviamente valeva più di ogni singolo. –Il film Il Sorpasso l’hanno già girato e non c’è bisogno di comparse! – rincalzò Piero. Nel parlare concitato non ci accorgemmo che eravamo già oltre i luoghi richiesti ed io desiderai di rivedere anche di sfuggita la sagoma della colonia Firenze che mi aveva ospitato.

Chiesi di rallentare e fui accontentato, ma sull’Aurelia il traffico era intenso e fummo oggetto di una serie di colpi di clacson e qualche imprecazione. Notai la scritta “Casa Firenze” su un edificio ed indicandola dissi: –Guardate sono stato qui in colonia– . Dalla parte opposta vidi schiere di bambini sulla spiaggia e dedussi che fosse ancora in funzione. Chi guidava notò che c’era un pezzo di spiaggia vuoto sulla sua sinistra però era rischioso fare manovra di inversione e così proseguimmo fino a che approfittando di una dirittura che garantiva una visibilità migliore facemmo un’inversione ad u. Riuscimmo a ritagliarci un piccolo spazio con i nostri asciugamani ed a turno ci buttammo di nuovo in acqua. Una volta riuniti notammo che non c’erano locali vicino ed al primo stimolo di sete, preferimmo alzarci e tornare verso casa.
Prima asciughiamoci bene– puntualizzò Prinz –altrimenti mi bagnate i sedili– . Era un uggioso che durante tutto il viaggio si era raccomandato di non gettare le cicche all’interno dell’auto e nello scendere dall’auto si era irritato gridando “mi avete riempito di sabbia le pedanine”.

Avevamo gli asciugamani ma non il cambio e per non perdere tempo ci infilammo i pantaloni. –Ma che fate?– domandò Alessio. –In un quarto d’ora si asciugherà tutto– risposi. –Sì ma quando si riparte metti l’asciugamano sul sedile– precisò Prinz. –Tranquillo te la porteremo a lavare e pagheremo noi. Vero ragazzi?– propose Piero. –Giusto facciamo così– . –Vi prendo in parola– commentò il proprietario. –Vicino all’officina dove lavoro c’è un lavaggio. Ottimo lavoro e buon prezzo. Domani gli chiederò quando la potrai portare– . Chiuso questo battibecco, ci infilammo nel primo bar a nostra portata in tempo per vedere due ragazze che ballavano da sole al juke-box. Bevemmo una birra a testa stando al fresco e dopo inserendo tre gettoni nel juke-box le invitammo tra di noi ed accettarono. Finita la musica, ripartimmo dopo averle salutate.
Ci siete anche Domenica?– domandò Piero.
Certamente– confermarono sorridenti- .
Allora si torna– . –Vi aspettiamo– ci dissero sventolando la mano mentre entrammo in auto.

Arrivammo a casa semplicemente arrostiti stanchi ma contenti di aver passato una giornata diversa. Io andai subito in bagno e guardandomi allo specchio ero rosso come un peperone. La sera restai in casa chiedendo a mia madre che mi fosse spalmata una pomata contro le scottature, perché avevamo in casa una piccola farmacia e provai immediatamente un senso di sollievo, ma appena mi appoggiai alla poltrona sentii la pelle tirare. Fu una vacanza improvvisata come tante e bastava vedere il traffico nel fine settimana come attestato di un desiderio seppur effimero. Erano gli anni in cui il popolo italiano scoprì le vacanze estive e si riversò nelle località marine con qualsiasi mezzo, come dimostrarono varie sequenze del film Il Sorpasso ed in una di queste si vede una moto con sidecar, dentro al quale sta una donna con un bimbo in braccio che Gassman sbeffeggia “E il nonno non è voluto veni’?” salvo poi aggiungere “belle famiglie italiane”. La spiaggia diventò il luogo privilegiato di incontro come le piazze in città nelle stagioni non estive e le immagini furono il termometro della voglia di divertirsi e della spensieratezza del popolo italiano, tra incontri, approcci, avventure, conversazioni, gusto di ostentare, sorrisi, tintarelle e soprattutto danze scandite dal quel totem che fu per noi il juke box, che diffondeva le canzonette in voga.

Importante era esserci, non importava per quanto e come, dando sfogo alla voglia di vivere oppure anche per ritemprarsi dopo un anno di lavoro. In quella massa di villeggianti ognuno si ritagliava le proprie vacanze grazie anche ad un altro simbolo di quel periodo: la cambiale. Erano gli anni in cui molti però cominciarono ad organizzarsi anche per soluzioni più onerose e stabili. Infatti nei primi giorni di Settembre, quando ormai si era esaurito il ciclo delle vacanze, cominciavano a vedersi nella casa del popolo volti abbronzati che nei primi giorni facevano le loro considerazioni sulle loro ferie, dove erano stati, il trattamento ricevuto, l’importo della spesa ribadendo anche in alcuni casi il desiderio di ripetere la loro esperienza. La cosa si protraeva per diversi giorni suscitando anche reazioni sarcastiche. Una sera assistei ad una scenetta divertente quando una persona, da più di un quarto d’ora, magnificava le proprie vacanze e per un po’ ci fu chi lo stette ad ascoltare però ad un certo punto venne interrotto: –Scusa compagno proletario come la metti adesso?– domandò, facendomi l’occhiolino, uno che si diceva vivesse una situazione economica agiata. –Perché pensi di poterle fare solo te le ferie? Ora ce lo possiamo permettere anche noi, caro quattrinaio– fu la replica piccata di colui chiamato in causa. –Allora non sei più proletario. Gliel’hai detto al partito?- . –Io non sarò più proletario ma te lo sai cosa sei?– . –Cosa? Sentiamo– . –Sei semplicemente un bischero ! – . Il battibecco non si chiuse qui anche perché, come succedeva spesso, individuata una persona reattiva, cominciavano quelle punzecchiature sarcastiche, dove era difficile distinguerne lo spirito subito corroborate da altre interferenze. –Hai fatto bene a rispondergli. Viene qui a fare lo spiritoso dopo che ha la casa al mare, eh! Sei stato anche troppo morbido– rinforzò sorridendo un’altra persona suo collega di lavoro, gettando benzina sul fuoco; lo conosceva bene e sapeva che per un nonnulla si infiammava. –Insisti, Giuseppe– incitò ridacchiando.

Fomentata la contesa, scattava la trappola per il soggetto “sensibile”; replicare o lasciar perdere? In quel frangente la cosa sembrò essersi smorzata, ma qualcuno insisté. –Se ce l’ha la casa al mare, buon per lui che in fondo ha sempre detto di non essere iscritto a nessun partito e di essere un borghese convinto. Lui è coerente, mica come tanti che parlano di sfruttamento… – . Non ebbe finito di finire il discorso, che la reazione giunse immediata da chi sentì in queste parole un’allusione nei propri confronti: –Senti, tu metti bocca quando ti si dà il permesso. Per tua norma io non sfrutto nessuno con paghe da fame a differenza di lui, capito?– controbatté la “vittima prescelta” alzando il tono della voce e puntandogli il dito contro il petto. In un crescendo continuo si arrivò anche a delle offese fino a che uno dei presenti chiese che ore fossero. Ad una risposta precisa, commentò: –S’è trovato l’ora di andare a cena; arrivederci– . Come a comando il gruppetto si sciolse e la discussione finì.

Gino Benvenuti, 2021

La grande fuga

ovvero “Quando il troppo stroppia”

Tutti scappan da Salvini
più egli ostenta il suo sorriso
e più resta a tutti inviso
saran tutti dei cretini?

Nell’Italia più moderna
è la Lega la più anziana
tanti i figli di puttana!!
ma non pole esser alterna,

è la legge del Gran Centro
sol l’apprezza chi c’è dentro.

Se agli estremi tu t’involi
ti consolin solo i cannoli
gran leccornia siciliana
apprezzata anche in Padania.

È la tabe dell’inizio:
se il terron hai disprezzato
e oggi poi hai continuato
col terron della terronia
fin che arrivi in Patagonia
non ci resta che aspettare,

che sia finito il navigare,
siamo tutti su una sfera
ed a forza di girare
alle spalle dèi arrivare.

Attenzione dunque che
tu t’inculi da per per te.

Il Baffo Aretino, 16/9/2021

Gli Anni cruciali di Gino Benvenuti

È uscito il nuovo libro di Gino Benvenuti. Su sua concessione e quella dell’editore abbiamo pubblicato due racconti: Carosello e la Cambiale. Ne proponiamo oggi la prefazione

Prefazione di Roberto Mapelli

I racconti di Gino hanno sempre un aggancio autobiografico. Ma dentro una trama fantastica e allegorica. Questi no.
Ci portano dentro episodi veri della vita di Gino, e in un preciso lasso di tempo, dal 1957 al 1968, dal primo lavoro (non a caso) fino alla soglia di un profondo cambiamento, che ancora non c’è, ma che è segnato da una progressiva estraneità con tutto il precedente, con chi lo liquida dicendogli, arrabbiato e deluso, “parli sempre di politica; cambia disco!”.

E’ la vita di Gino dai quattordici ai ventisei anni: gli anni più belli e più importanti. Si entra davvero nella vita con il lavoro (la coscienza dello sfruttamento e insieme la propria indipendenza) e si costruisce davvero se stessi con la trasformazione morale e politica, abbandonando inevitabilmente la sicurezza dei percorsi conosciuti e dovuti della tradizione abituale, rompendo con la famiglia e la società che ci ha cresciuti, nella protezione ma anche nella prigione.

Fin qui nulla di nuovo, né di eccezionale. Ma Gino ci mette l’arte del legame narrativo ed emotivo. Non si tratta solo del nesso tra la storia personale e quella con la maiuscola, ma dell’empatia tra la propria intimità e quello che erroneamente viene chiamato “costume”. E allora Gino salta, o meglio, saltella, tra gli eventi, accompagnato in primo luogo da una colonna sonora e visiva, dallo sconvolgente arrivo del rock and roll (e del ballo “proibito”) fino alle immagini incredibilmente efficaci e emozionanti del cinema, vero e proprio luogo fisico e spirituale di presa di coscienza e di sintesi tra personale e politico. E prende e “assaggia” tutto, senza quella distinzione profondamente reazionaria tra alta e bassa cultura, tra musica colta e canzonette, tra cinema d’autore e commedia.

Ed esce l’Italia, o meglio l’ascesa alla dignità di una parte delle classi popolari dell’Italia, di cui Gino, non solo fa parte, ma di cui rappresenta davvero e anche simbolicamente il quotidiano lavoro di vivere che, attraverso la lotta (che è anche vitalità di libertà), si sedimenta in coscienza, via via sempre più irreversibile e sempre più radicata nella volontà e capacità di padroneggiare la propria vita, appunto resa dignitosa anche dal conflitto con la prigione della contingenza della propria condizione subalterna.

E il lettore come sempre si diverte, ma non può fare a meno di emozionarsi e pensare, in una sorta di immedesimazione, ovviamente più forte in chi può anche “storicamente” ritrovarsi, ma che funziona in tutti, perché la narrazione di Gino ha la forza di intrecciare il minuto quotidiano (compreso in questo il personale più intimo e l’evento storico unico) e “l’universale plurale” che sbircia in ogni particolare.

Avventuratevi nella lettura (questa volta vi consiglio però di andare di seguito) di questa serie di racconti, che compongono per certi versi un’unica storia, che è insieme l’epopea di una formazione che sfocia nella coscienza politica matura e la descrizione critica della Grande Narrazione del Novecento, che della politica, appunto , ha fatto contemporaneamente la tragedia e la commedia.

Roberto Mapelli Milano, 9 settembre 2021

Anni cruciali 1957-1968 – Racconti / Gino Benvenuti. Edizioni Punto Rosso 2021
http://www.puntorosso.it/