Usa go home

Da Facebook proponiamo la segnalazione di Andrea Montagni

Nel pomeriggio del 10 dicembre 1981, unità del Battaglione Atlacatl dell’esercito salvadoregno , creato nel 1980 presso la US Army’s School of the Americas , arrivarono nel remoto villaggio di El Mozote dopo uno scontro con i guerriglieri nelle vicinanze. L’Atlacatl era un “battaglione di fanteria a schieramento rapido” appositamente addestrato per la guerra di contro-insurrezione . È stata la prima unità del suo genere nelle forze armate salvadoregne ed è stata addestrata da consiglieri militari degli Stati Uniti La sua missione, Operación Rescate (“Operazione Rescue”), era quello di eliminare la presenza ribelle in una piccola regione del Morazán settentrionale dove l’FMLN aveva due campi e un centro di addestramento.El Mozote consisteva di circa 20 case su un terreno aperto intorno a una piazza. Sulla piazza si affacciava una chiesa e, alle sue spalle, un piccolo edificio detto “il convento”, il sacerdote se ne serviva per rivestire i suoi paramenti quando veniva in paese per celebrare la messa. Vicino al paese c’era un piccolo scuola.Al loro arrivo nel villaggio, i soldati scoprirono che, oltre ad essere pieno di abitanti, il villaggio era anche pieno di contadini che erano fuggiti dal territorio circostante e vi si erano rifugiati. I soldati ordinarono a tutti di uscire di casa e di entrare in piazza. Hanno fatto sdraiare le persone a faccia in giù, le hanno perquisite e interrogate sui guerriglieri. Hanno quindi ordinato agli abitanti del villaggio di chiudersi a chiave nelle loro case fino al giorno successivo e li hanno avvertiti che chiunque fosse uscito sarebbe stato fucilato. I soldati rimasero nel villaggio durante la notte.La mattina dopo, di buon ora, i soldati hanno riassemblato l’intero villaggio nella piazza. Hanno separato gli uomini dalle donne e dai bambini, li hanno divisi in gruppi separati e li hanno chiusi nella chiesa, nel convento e in varie case.Durante la mattinata, hanno proceduto a interrogare, torturare e giustiziare gli uomini in diversi luoghi. Verso mezzogiorno, hanno cominciato a prendere le donne e le ragazze più grandi in gruppi, separandole dai loro bambini e uccidendole con le mitragliatrici dopo averle violentate. Ragazze di appena 10 anni sono state violentate e, secondo quanto riferito, i soldati si sono vantati di quanto gli piacessero particolarmente le ragazze di 12 anni. Infine uccisero i bambini, prima sgozzandoli, poi appendendoli agli alberi; secondo quanto riferito, un bambino ucciso in questo modo aveva due anni. Dopo aver ucciso l’intera popolazione, i soldati diedero fuoco agli edifici.I soldati quella notte rimasero a El Mozote ma, il giorno dopo, si recarono nel villaggio di Los Toriles e compirono un’ulteriore strage. Uomini, donne e bambini sono stati portati via dalle loro case, messi in fila, derubati e fucilati, e le loro case poi sono state date alle fiamme.Morirono 1000 persone tra uomini, donne e bambini.Il villaggio di El Mozote non era in alcun modo collegabile alla guerriglia del Farabundo Martì. Gli abitanti erano di religione cristiana protestante e distanti anni luce dalla ideologia della teologia della Liberazione… e dalla commistione delle comunità cristiane di base con la guerriglia comunista. Ma erano indios e contadini…

La Confessione

A detta dei più anziani abitanti dei borghi della vallata, con una punta di orgoglio, la loro pieve è sempre visibile, anche quando dalla pianura, specialmente nel periodo autunnale, una leggera nebbiolina si spande avvolgendo tutte le case che come un presepe degradano fino al torrente. Si narra che solo una volta in antichità la chiesa fosse inghiottita completamente dalla nebbia e ciò fu il preludio di una terribile pestilenza che spopolò tutto il comprensorio. Vista dall’alto a volte, sembra che sia sospesa nel vuoto perché la nebbia riesce a lambire la parte superiore del bassorilievo che circonda il perimetro, ingoia la piccola scalinata, e si ferma a pelo del lastricato davanti all’ingresso. Nel bar centrale della più grande frazione c’è in proposito una spettacolare gigantografia in bianco e nero che risale ad un inverno degli anni ’50. Oggi ricorre la festa della fine di quell’epidemia e pertanto tutti i borghi che fanno riferimento alla pieve sono in fermento. Anche Camilla decide di visitare la chiesa non tanto motivata da un sentimento di devozione, quanto dai discorsi degli abitanti del luogo scelto come villeggiatura, ormai da tre anni consecutivi.

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Meglio di Wikileaks – Biden e Putin sull’Ucraina

Cosa si sono detti Biden e Putin nel colloquio riservato sulla crisi Ucraina?

Data la riservatezza dei colloqui per ragioni di sicurezza i due leader hanno comunicato in sanfredianino, antica lingua iniziatica fiorentina oramai desueta. La ns redazione è riuscita ad entrare in possesso della trascrizione

C’è Baiden che gli fa a Putin:
B – Bada tettu che te la devi smette di provocà in Ucraina,
P – Provocare icchè? gli fa Putin a Baiden
B – Tutti quei carrarmati …
P – Ma sono a casa mia. Te piuttosto che vieni affà tutte quelle manovre militari della Nato a immi uscio?
B – Bada che se tettuinvadi l’Ucraina e io ti fo le sanzioni
P – Sai che paura
B – E poi te le fa anche l’Europa
P – E io gli taglio iggasse
B – E ammè che me ne frega? e poi voddì che si mettono immaglione… Quelli un possono di’ nnulla, se unnera pennoi erano ancora a fa’ ippasso dell’oca
P – Bono … se unn’era pennoi vorrai di’ … l’armata rossa inddò ttulla metti?
B – Da’ retta palle, e la Guerra fredda chi l’ha vvinta? E vi s’è fatto un bbe’ cculo…
P – Si ma quando vu ll’avete fatta carda vu l’avete sempre persa, come in Corea, ni Vvietnamme e l’Afganistan poi …
B – Ma insomma … noi siam democratici e te no. E ora ti lascio che devo andà a bere cogli amici
P – Se è ppe bbere … ci posso venì anch’io?
B – No, eun ti garberebbero: e c’è Borsonaro …
P – Chi? Quello della candeggina?
B -C’è poco dappiglià peiccculo … E e poi c’è quellartri … , ma unvoglio ffannomi … tutta gente ammodo, bada bene, mica mugichi come te che c’hanno ancora le zolle tra l’unghie
P – Ma che gente frequenti? Certo vavete fatto sempre così: Videla, Pinochet, … tutta gentina ammodo davvero… e meno male che tettusseite iddemocratico.
B – E unnè questa la questione, untenavvè ammale, quelli mi danno retta, mica come te chettussei un cerpicone e chetuvvoi pretende d’esse lo zarre de la grande madre russia
P – Contento tene
B – E poi gnene dico due anche aillimoncino
P – Ti posso di’ ‘na cosa? Attento che te tu ci batti innaso immuso e anche le corna
B – Intanto alle Olimpiadi un ci si va noi avvedelle …
P – Gli fa ‘na sega a cincincin…
B – Eicclima?
P – In culo, Zaira
B – Basta chiacchere, che si fa? ci si rivede?
P – Fammi un fischio
B – Bona buco
P – Bona

Il Baffo Aretino, 8/12/2021

La Variante B

(ovvero la zecca dello Stato)

Un insetto è penetrato
dentro il corpo dello Stato.
Ci ha affondato la testina,
scava con la sua zampina …
E’ una vera sanguisuga,
non si può metterlo in fuga.

Parassita di valori,
tutti quanti li fa fuori:
l’onestà, la trasparenza,
la giustizia, la decenza …
Il Paese ha dissanguato:
è la zecca dello Stato!

Han provato a farlo fuori
per il lodo Mondadori
e per Ruby Rubacuori …
e pareva quasi morto …
poi chissà perché … è risorto!

Come un virus mutante
della zecca è una variante.
La sua specializzazione?
La variante corruzione
e anche quella della tratta
di minori: lui si adatta …

Berlusconi è un trasformista,
un esperto equilibrista.
Prima era un evasore,
ora fa il moderatore
e si candida – sfacciato –
a garante dello Stato.

Lui è un virus straordinario,
è un supermiliardario
pronto ad ogni cambiamento
e a infettare il Parlamento…
Qui ci vuole un bel vaccino;
il rimedio par vicino,

ma si teme la cilecca
dei seguaci della zecca:
i no vax berlusconiani
pronti a battergli le mani.

Sono furbi o son coglioni
i no vax di Berlusconi?
Lor non vogliono guarire,
preferiscono morire
e tenersi la variante
della zecca ripugnante.

Contro la democrazia
scelto han la pandemia …
e l’Italia resta lì
ferma alla variante B!

Anna Maria Guideri, 06-12-2021

La Sanità che vogliamo

I governi, i costi della ricerca, i benefici di salute prodotti, i guadagni. Il Servizio Sanitario che sogniamo

Gino Strada, un sognatore che ha fatto cose concrete, scrive senza mezzi termini che la salute dei cittadini deve essere affidata esclusivamente allo stato, che rappresenta tutti, e si occupa di tutti senza distinzioni di censo; e non messa nelle mani di compagnie private, che hanno fini economico-commerciali.
I desideri di Gino Strada non rispecchiano la situazione in atto in questi tempi. Nel campo della gestione della sanità l’impresa commerciale ha una presenza importante nel nostro paese, che diventa preponderante in gran parte del pianeta. Presenza commerciale che è invece quasi esclusiva, salvo pochi paesi, nel campo della preparazione dei farmaci e dei dispositivi medici. Ed in questo settore le compagnie competono fra di loro, cercando di occupare quanto più spazio possibile, per massimizzare i guadagni. Si chiama “guerra commerciale”, e le vittime, come in tutte le guerre, restano le persone.

Un racconto su “Urania”, di tantissimi anni fa, di cui non ricordo né il titolo né l’autore, era centrato su una guerra spietata, condotta più con metodi terroristici o di tipo mafioso che secondo la prassi di una guerra tradizionale, ma ancor più letale, in cui si affrontavano non più le Nazioni, ormai organizzazioni ininfluenti sui destini del mondo, ma le grandi, onnipotenti compagnie private, con sedi sparse ovunque. Chiamiamole “Big Industry” o “Big Business”. Non mi ricordo in quali anni futuri il racconto fosse collocato, ma, se invece che alla storia pensiamo alla realtà, direi che il processo è già in atto e già abbastanza sviluppato.
Un po’ come il processo di modifica del clima. Già in atto, ma, spero, ancora a tempo a fermarne gli effetti più deleteri. E, uno dei passaggi obbligati per fermare sia la modifica del clima, che la concentrazione del potere verso Big Business è mantenere la conoscenza non subalterna al profitto.

E’ il tema che Gino Strada esplicita senza mezzi termini, e che l’articolo del Nuovo Manifesto tratta, riferendolo alla Sanità, che possiamo considerare come paradigma e come trait d’union tra scienza, tecnologia ed industria. L’articolo amplia il concetto di sanità pubblica, sottolineando che il sistema salute è interconnesso fra tutte le popolazioni del mondo, e non limitabile ai confini nazionali. Si occupa specificamente del caso del mondo di oggi, la pandemia da Covid. Dice Massimo Florio, l’economista intervistato dal Manifesto: “Abbiamo regalato la ricerca pubblica alle imprese» «Le aziende farmaceutiche hanno fatto solo l’ultimo miglio della ricerca, subappaltandolo spesso ad altre società che lavorano su contratto”.

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Se son donne non si vogliono

(Pole la donna diventare Presidente della Repubblica? Non pole)

A questo quesito invece si dovrebbe rispondere di sì perché le donne le son omini anche loro … ma qui finisce il ludico e comincia i’ curturale perché siamo seri, le donne le un son punto adatte … Questo almeno è il pensiero che si può cogliere sottotraccia nei vari dibattiti – politicamente corretti – sul tema. La tesi apparentemente più ovvia sostenuta da più parti , è quella di guardare soprattutto al merito che però, a giudicare dai fatti, sembrerebbe avere una particolare predilezione per gli uomini, visto che nessuna donna ha mai avuto l’onore di salire al Colle. Agli uomini non si chiede di essere bravi, si dà per scontato. Alle donne invece, si chiede perché lo devono dimostrare di essere brave: se lo devono meritare, il Quirinale! Infatti a tutt’oggi nessuna se l’è meritato. Con tutto il rispetto per molti – non proprio tutti – presidenti succedutisi al Quirinale che hanno onorato questa alta carica, non sappiamo come avrebbero assolto il loro compito le donne se fossero state elette – almeno una volta – Presidenti della Repubblica. Ma il punto a mio parere più dirimente emerso dal dibattito è quello della scarsa rilevanza del quesito. Insomma, perché perdere tempo a discutere di un problema secondario rispetto ad altri più importanti, addirittura prioritari? Il benaltrismo, si sa, è una comoda via di fuga quando si devono affrontare problematiche politicamente scomode. Paradossalmente, il fatto che l’elezione di una donna al Quirinale sia considerata una questione secondaria, la rende prioritaria. E’ la discriminazione che la rende tale. Non sarebbe prioritaria se non fosse impedita, o fortemente ostacolata. Per questo, parlare di merito senza aver prima fatto i conti con la parità di genere, è fuorviante. Come si può parlare di meritocrazia se una delle due parti non ha la stessa possibilità che ha l’altra di vedere riconosciute le proprie capacità? Altra cosa sarebbe se si fosse già raggiunto un trattamento paritario a tutti gli effetti. In tal caso si potrebbe parlare di merito perché saremmo all’interno di un contesto nel quale tutti i soggetti – uomini e donne indistintamente – potrebbero dimostrare il proprio valore. In mancanza di tale condizione non ha senso parlare di meritocrazia che, guarda caso, penalizza sempre le donne. E’ invece il caso di parlare di priorità del riconoscimento dei diritti delle donne per permettere loro di accedere, come gli uomini, alla massima carica dello Stato, facendo valere, in condizioni di perfetta parità, i propri meriti.

Anna Maria Guideri, 04-12-2021

Il Manicomio

Alba di un giorno di primavera. Prima di aspettare che la nebbia si diradi, percorro una solitaria strada comunale sterrata e mi dirigo verso una costruzione pentagonale dalle mura spesse e rinforzate agli angoli con poderosi bastioni, che richiama alla mente un vecchio edificio militare. Mi ero promesso di farlo anche perché intorno a quell’edificio circolavano in paese storie strane di urla notturne ed addirittura di fantasmi e come si sa la fantasia popolare o le cosiddette dicerie, non nascono a caso. Quando qualche volta avevo provato ad entrare sull’argomento, il fastidio con cui la gente del posto rispondeva, era palese. O si giravano da un’altra parte evitando di rispondere oppure qualcuno mormorava un generico “sono tutte chiacchiere”. Per la strada, prima che il sole inizi il suo braccio di ferro con la nebbia, le piante umidicce mostrano una patina che opacizza il colore delle foglie. Appena fuori paese entro in un viottolo di campagna e poco dopo, con un piccolo salto, supero un fossetto per potermi inoltrare nell’ampio parco a forma di anfiteatro circostante l’edificio. La rete di recinzione, avvolta e stravolta dal caotico fogliame, mostra dei buchi ed attraverso uno di essi cerco di proseguire. Un tempo il complesso, ben curato come dimostrano alcune vecchie fotografie, con vialetti secondari delimitati da piante di alloro potate alla stessa altezza, aiuole circoscritte da listelli di legno e panchine in pietra davanti ad una fontana, mostrava una certa solennità e piacevolezza.

Adesso tutto è ridotto ad un inestricabile ammasso di rovi e di rami che si sono avvinghiati e compenetrati rendendo il parco simile ad una giungla ed in alcuni punti non è possibile vedere il cielo. Dei vialetti interni non resta traccia e soltanto la ghiaia, che scricchiola sotto le scarpe saltuariamente, ce lo ricorda. Proseguo con difficoltà e mi graffio in più punti le braccia. -La natura è più forte anche della sporcizia- penso mentre alcuni gatti fuggono davanti a me tra bottiglie e cartacce. Vicino al castello, il fogliame caotico si attenua e procedo con l’erba che mi sfiora le ginocchia. Proprio al limitare del parco, prima di salire su un gradino in pietra che porta al ponticello, noto una pelle di serpente.

Percorro due gradini e volgendo lo sguardo in basso vedo una traccia d’acqua, residuo dei temporali trascorsi, e deduco l’esistenza remota di un fossato dove una serpe scivola via velocemente. Arrivo nel mezzo del ponte ed appoggiando i gomiti sulla spalletta guardo in alto. Scorgo delle trasandate persiane ed un corvo si leva in volo mentre un altro plana nelle vicinanze. Il portone enorme di castagno massello visibilmente tarlato, rinforzato con borchie di ferro arrugginito, non cede alla mia pressione anche se la chiusura si allenta, ma dopo un paio di tentativi inutili per forzarlo, con la suola delle scarpe percuoto violentemente un’anta che scricchiola liberando in terra del pulviscolo legnoso; infine riesco ad entrare. Davanti a me si presentano un corridoio dai soffitti altissimi e delle finestre irraggiungibili caratterizzate da scivoli che dalla base inferiore calano inclinati verso il basso, evidenziando lo spessore dei muri. Tre cancelli distanziati, incardinati all’interno di un’armatura metallica che dal soffitto arriva fino a terra, sbarrano l’accesso a chiunque. Dai vetri infranti, una corrente d’aria trasporta delle foglie che restano sospese alcuni attimi come i piccioni che planano a loro piacimento nel corridoio.

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