La memoria collettiva se non coltivata con lo studio e l’approccio critico è spesso fallace esattamente come quella individuale.
La narrativa sul sindacato è fatta di rimpianti per gli anni 70 e 80. Dirigenti sindacali come Lama e Trentin sono elevati a simboli di un sindacato combattivo e contrapposti ai dirigenti attuali.
Invito a rileggere i documenti dell’epoca e a cercare di ricostruire i fatti. Esiste una vasta letteratura in materia sia di natura storica, che politica, che economica, partendo anche da punti di vista diversi e contrapposti.
Sia Lama che Trentin furono oggetto di contestazioni di massa (il primo sul finire degli anni Settanta da parte di ampi settori della gioventù scolarizzata (il movimento del 77) che avvertiva il venire meno delle conquiste della generazione precedente, ma anche fino agli anni Ottanta da settori di base del sindacato stesso per la sua tepidezza verso il primo Governo Craxi, il secondo dai lavoratori stessi per aver subito nel 1992 l’abolizione della scala mobile e avervi posto “rimedio” nel 1993 con un accordo che non godette dell’approvazione di tanta parte dei lavoratori sindacalizzati a partire dai metalmeccanici, nonostante il sostegno dell’intero gruppo dirigente). La linea sindacale di Lama , la cosiddetta politica dei “sacrifici”, comportava moderazione salariale e rivendicativa, la linea di Trentin preconizzava (l’alleanza dei produttori) un patto stabile e codeterminato tra capitale e lavoro.
Lo stesso Cofferati (anche egli oggetto di contestazioni di massa per l’accordo sulla “riforma delle pensioni del governo Dini) si caratterizzò per la linea della concertazione.
La line attuale della CGIL- che è il prodotto della svolta di Cofferati nel 2002 e che sia Epifani che Camusso hanno mantenuto sia pure con qualche incertezza, soprattutto da parte di Epifani – parte dal riconoscimento del fallimento delle politiche liberiste e della globalizzazione ed molto, molto, molto più di sinistra della linea precedente. La base della svolta fu la presa d’atto del carattere ultraliberista dei processi di globalizzazione. Tra il Forum sociale mondiale di Genova con la sua scia di sangue violenza e il Forum sociale europeo di Firenze, si srotola il filo rosso di questo passaggio.
Una svolta tutta politica che poteva fare solo la CGIL come soggetto autonomo sulla scena politica italiana. Come ebbe a dire durante i festeggiamenti del centenario, l’allora presidente della Fondazione Di Vittorio, Carlo Ghezzi (cito a memoria): “noi non abbiamo avuto bisogno né di cambiare nome, né di cambiare bandiere”:
La differenza vera tra ieri e oggi è che la CGIL del passato era forte, contava e aveva alle spalle un grande partito comunista (anch’esso moderato e dedito ad una politica di compromesso con la DC) che contribuiva a dettare pure dall’opposizione l’agenda politica del paese e scrivervi dentro anche le rivendicazioni e il punto di vista del lavoro.
Oggi quel quadro politico non esiste più. La capacità contrattuale del sindacato è stata colpita dalla crisi economica e sociale, da una legislazione sempre più antioperaia e antisindacale a partire dal Governo Berlusconi 1, ma proseguita via via da tutti i governi successivi fino alla mazzata del Jobs act del Governo Renzi, senza nessuna forza politica che riconosca la centralità del lavoro.
Il nostro problema è qui: organizzazione debole, colpita dalla crisi economica e sociale e assenza di una forza politica proletaria di riferimento.
Milito in CGIL dal 1978, prima come delegato, poi come dirigente dal 1992. Anche io rimpiango la CGIL della mia gioventù e della mia maturità, perché ero giovane, pieno di energie e sicuro dell’avvenire radioso del proletariato e dell’umanità e vedevo il socialismo dietro l’angolo (anche se la fine del muro si allontanava sempre impercettibilmente).
L’angolo oggi è ancora più lontano.
Andrea Montagni, 18/10/2021
Commenti e note
Marco Mayer
Interessante, manca la strettissima collaborazione tra CGIL e Dipartimento di Pubblica Sicurezza del Viminale per il social forum di Firenze.
Non fu un eccezione, non solo Guido Rossa contro le BR, ma dagli inizi degli anni 70 CGIL e PS hanno collaborato contro il terrorismo.
Marco Mayer
Roberto Fossi
Non fa una grinza la memoria di Montagni, ma “quella” CGIL non era solo combattiva, anzi era ragionevole e combattiva perché guardava alle cose con l’occhio concreto di chi deve muoversi all’interno di un quadro “possibile” non sulle fantasie. Erano altri tempi, tutto quello che vogliamo, ma quella CGIL non era populista anzi, la rappresentanza era vera ed efficace perché le famose tute blu della FIOM, la maggioranza del sindacato, erano numerosissime e rivendicavano modalità di lavoro più equo, più sicuro e più pagato ma, appunto in un quadro del “lavoro” in Italia che non era sicuro, non era equo, non era pagato!
Oggi chi rappresenta? Nelle fabbriche del NORD tanti, ma tanti lavoratori leghisti che forse non ce l’avranno più duro, ma nelle praterie di Pontida con due corni su un casco ne troveremmo dimolti, venendo un pò più in giù, 5stelle a gogo. Il grillismo falso, becero e incompetente nella CGIL!
Riguardo a Cofferati, lui a mio avviso c’entra poco con la virata sindacale, che ci fu è vero, ma nobile e adeguata perché i tempi che mutano, ma chi ha distrutto la CGIL direi piuttosto la Camusso, il peggio segretario che io possa ricordare e questa banderuola di oggi di Landini, che se anche mette qualche volta la cravatta resta il solito ignorante beneficiato dalla fortuna (visti gli stipendi che girano nelle posizioni apicali dei sindacati).
Ma tanto per capire meglio chi sono oggi, proviamo a rileggere quello che la Francesca RE David segretaria Fiom dal 2017 ha chiesto a Landini: “ma se noi siamo sempre stati NO Green pass, perché ora facciamo tutto questo casino contro di loro!!!!!!!!!!!!!!!
Ma va’ia va’ia..…
con amicizia
Roberto
Gino Benvenuti
L’intervento di A.Montagni che cerca di spiegare l’evoluzione della Cgil dagli anni ‘70 fino ad oggi tramite le varie leadership potrebbe essere un invito alla riflessione su questo “segmento sociale imprescindibile” della società italiana. Detto ciò penso a quanto Montagni scrive all’inizio del suo contributo affermando che “la memoria collettiva se non coltivata con lo studio e l’approccio critico è spesso fallace esattamente come quella individuale”. Parole condivisibili che valgono, nella loro evoluzione, anche per altre entità quali “il quadro politico”, il “mutamento istituzionale” la “forma partito”, l’analisi dei vari movimenti e quella fondamentale dei vari cicli economici.
E’ un compito improbo ma se affrontato collettivamente potrebbe essere risolto a patto però che ciò si affronti senza motivazioni autoassolutorie né tantomeno autoflagellanti. Lo spirito critico non può fare sconti a nessuno nel rintracciare il perché oggi, come dice Montagni in chiusura “l’angolo oggi è ancora più lontano”; altrimenti sarebbe un lavoro inutile.
Gino Benvenuti