Un gesto indelebile

Gino Benvenuti

un racconto su temi attuali contenuto in Anni cruciali di Gino Benvenuti ed. Punto Rosso, 2021

Un Gesto Indelebile


Circa dieci giorni prima della data di inizio delle Olimpiadi di Città del Messico 1968, che si dimostrarono le più discusse della storia, avvenne un massacro perpetrato dalle forze dell’ordine e militari su comando del governo. Nei mesi precedenti si erano creati momenti di tensioni per le richieste degli studenti che chiedevano impegni precisi nell’ambito delle riforme economico-sociali per la lotta alla povertà, all’analfabetismo ontestando l’uso politico delle olimpiadi stesse. Il 2 Ottobre una decina di migliaia di studenti indissero una manifestazione di protesta, per denunciare il clima repressivo, che aveva portato anche all’occupazione militare dell’Università statale a seguito degli scontri iniziati nella zona di Piazza delle tre Culture.
L’intento dei manifestanti fu pacifico, in quanto uno dei leader del movimento studentesco, nel suo intervento, dichiarò la volontà di non attaccare nessuno e propose uno sciopero della fame fino alla fine delle Olimpiadi.
A questo chiaro intendimento pacifista, la polizia ed i militari, sotto il comando del ministro degli interni, risposero con l’invio di carri armati, mezzi blindati chiudendo di fatto le vie d’accesso alla piazza e successivamente iniziarono a sparare all’impazzata sulla folla con le jeep munite di mitragliatrici, ed anche dagli elicotteri come attestò il ferimento della giornalista Fallaci inviata speciale di un rotocalco italiano, che seguiva l’evolversi della situazione da un terrazzo; fu una carneficina nella quale circa 200/300 studenti vennero uccisi e diverse centinaia rimasero feriti.
L’impatto che ebbe nel mondo, questo evento nefasto, fu enorme e si sovrappose alle polemiche già in atto da diversi mesi visto che il Movimento per i diritti civili, costituito da atleti neri per chiedere uguaglianza anche dentro lo sport, aveva avanzato delle richieste precise. Le polemiche si fecero roventi anche perché qualsiasi tentativo di un incontro, per parlare di una questione importantissima, come i diritti civili, non venne nemmeno preso in considerazione.
Le Olimpiadi potevano rischiare di vedere decimata la presenza di atleti di colore ed il boicottaggio sembrò essere un rischio concreto quando le richieste fatte dal movimento non vennero accolte; anzi il fatto grave, che si aggiunse alla terribile strage, fu il disinteresse del Cio, il Comitato olimpico internazionale, il cui presidente Avery Brundage si limitò ad assicurare che le Olimpiadi sono “una vera oasi in un mondo tormentato, e si svolgeranno regolarmente”.
Cosa chiedevano gli atleti di colore? Di avere in patria gli stessi diritti degli atleti bianchi ed a favore di ciò si era espresso Martin Luther King. Tra le richieste vi fu anche quella di restituire al pugile nero Muhammad Ali il titolo di campione dei pesi massimi annullato dopo il suo rifiuto di combattere in Vietnam e questo suo gesto contribuì a sostenere la causa degli atleti di colore.
Conclusa la finale dei 200 metri, che io vidi in differita, i due atleti di colore, Tommie Smith e John Carlos, si avviarono verso il podio per la premiazione insieme al velocista australiano arrivato secondo verso il podio. A me aveva colpito il fatto che i due atleti statunitensi avessero le scarpe in mano dietro la schiena e camminassero scalzi, ma soprattutto mi sembrò inspiegabile come il volto di Smith non fosse sorridente, nonostante avesse vinto la competizione più prestigiosa al mondo, abilendo il record del mondo, e si avviasse contrito alla premiazione.
Nel momento che iniziò l’inno degli Stati Uniti i due atleti di colore
abbassarono la testa, ed alzarono il pugno fasciato con un guanto nero (simbolo delle Pantere nere for Self Defense) in uno stadio ammutolito dopo le prime note. Colsi immediatamente il senso di questo gesto, però quando rividi successivamente le immagini, tenendo conto dei suggerimenti fatti dai commentatori sportivi, capii anche i riferimenti simbolici di spessore che essi avevano suggerito.

La testa bassa e scalzi richiamavano la povertà degli afroamericani.
Carlos indossò una collanina di pietre, come quelle con cui venivano
linciati i neri in America e si era avviato con la tuta aperta in violazione
del protocollo, che chiedeva espressamente di tenerla chiusa, in onore degli operai americani. Sul petto di tutti e tre gli atleti spiccava una spilla rappresentante gli atleti seriamente impegnati nella lotta contro la discriminazione razziale.

Le immagini di questa protesta fecero il giro del mondo e le conseguenze
di questo gesto eroico, che condensò in pochi attimi una ribellione ad una condizione di discriminazione, trasmesso a centinaia di milioni di persone, sortì l’effetto sperato rimanendo scolpito anche emotivamente nelle loro menti. Tutti e tre gli atleti premiati vennero immediatamente espulsi dal villaggio olimpico insieme ad altri, che condividevano gli ideali di questa lotta.
Tornati in patria, i due velocisti furono addirittura minacciati di morte e le persecuzioni riguardarono anche i loro familiari che vennero licenziati e subirono vessazioni in continuazione rendendo loro difficilissima la vita. Stessa situazione riguardò l’atleta australiano, che condivise le stesse richieste dei colleghi, a cui fu inibito di partecipare a manifestazioni sportive nonostante fosse in patria il migliore atleta della sua specialità; infatti fu escluso alle successive olimpiadi Monaco di Baviera. Tommie Smith come ebbi a leggere su un rotocalco alcuni mesi dopo ebbe a dire “In pista sono Tommie Smith, il più veloce del mondo. Ma una volta fuori torno ad essere solo un altro sporco nero”.
Invece a John Carlos, a cui piaceva cimentarsi nel nuoto, suo padre fu costretto a spiegargli il motivo per cui non poteva mandarlo in piscina dicendogli che “i neri non possono frequentare le piscine in cui si allenano i bianchi” tarpando il desiderio del figlio di diventare un grande nuotatore.
Tramite una competizione sportiva di alto livello, trasmessa per la prima volta in mondo-visione, una folla sterminata di persone ebbe modo di vedere quel gesto epocale e di riflettere dimostrando che, come ebbe a dire Mandela moltissimi anni dopo, “lo sport può creare speranza dove prima c’era solo disperazione. È più potente dei governi per abbattere le barriere del razzismo. Lo sport è capace di cambiare il mondo” .

Gino Benvenuti

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