Una persona qualunque che parla della guerra (et)

Da ragazzino, quando Trieste fu ricongiunta al resto del paese, andammo a visitare quella città. Non mi ricordo un granché di Trieste. Mi ricordo invece della sosta che facemmo a Redipuglia. Quelle enormi gradinate segnate dalle lapidi con i nomi, quell’ossessiva scritta PRESENTE mi impressionarono molto. Il babbo mi disse che c’erano più di centomila morti, presenti in quel cimitero. Presente voleva dire allora che erano li, dentro quelle gradinate. I miei nonni erano stati costretti a quella guerra, e poi il mio babbo di nuovo in guerra. Fu mandato in Albania, dove rimase per circa due anni. A casa portò una scheggia di bomba che, raccontava, si era conficcata, poco sopra la sua testa, con lui ed i suoi compagni sdraiati a terra, conficcata in un albero. La conservo ancora. Io pensavo che, al massimo tra dieci, quindici anni, sarei dovuto partire anch’io per l’inevitabile conflitto che sarebbe scoppiato. Invece non è stato così. E m’è andata bene, perché il babbo aveva avuto, qualche anno prima di quel viaggio a Trieste, una buonissima offerta di lavoro in America, e magari un viaggio in Vietnam mi sarebbe toccato, ed avrei visto da vicino vicino, quella guerra contro cui ho potuto solo urlare. Piano piano le tensioni tra i due vincitori si placavano, si stava sempre meglio, si diceva mai più, si visitavano i luoghi degli orrori, si diceva anche che solo un pazzo come Hitler poteva aver scatenato una guerra così. A tener ben presente che cosa fosse davvero la guerra, i cimiteri a noi vicini: quelli americani, nella via per Pontassieve ed ai Falciani, e quello tedesco, sulla strada per la Futa. Ma anche le immagini, ancora chiare, dei ponti distrutti, il suono dei passi su quello di legno costruito dove è ritornato il bel ponte a Santa Trinita; Por Santa Maria e Borgo San Jacopo piena di macerie. E poi Livorno, dove stavano gli zii e dove passavo gran parte dell’estate, e dove le case a terra erano di più di quelle in piedi.

E ora ritorna questa storia che solo un pazzo, etc. Sarebbe bene rendersi conto che questa consolante menzogna serve solo a giustificare i conflitti. Noi non avremmo voluto, ma, purtroppo, quel pazzo ci ha costretto. O lui o noi. Ci siamo solo difesi. E si riparla di eroi. Tutti quegli eroi che, a prezzo (o a disprezzo) della vita, sono morti per la nostra libertà. Le guerre sono straordinarie fabbriche di eroi; tutti morti, nessuno che possa dire che preferirebbe esser vivo che un eroe, quasi sempre involontario. Parlano di eroi quelli che la guerra l’hanno cercata e trovata, quei pazzi li, che poi sono quelli che guidano i paesi. Per dirla in breve, quelli che comandano. E sono sia quelli che al comando ci sono andati senza il permesso del popolo che guidano, sia quelli che ci sono andati con il beneplacito dei cittadini. Disquisire sulle colpe e le ragioni dell’uno o dell’altro, è assolutamente inutile. Discutiamo su come metter fine a questa guerra che diventa ogni giorno più feroce. Dicono: qual è l’alternativa a mandare armi all’Ucraina? I corni reali del problema sono: vuoi che la guerra continui e arrivi una guerra totale nucleare o fai di tutto perché finisca?

Sono una persona qualunque, scrivo queste parole perché mi sembrano di buon senso, ma a cosa possono, potrebbero, servire? Probabilmente a nulla. Però mi accorgo che parlando in giro con la gente comune sono sempre meno quelli che caldeggiano la guerra, quelli che sfoderano grandi ideali, parlano di dignità dell’uomo, di difesa dei diritti inviolabili della libertà e di fatto fanno gli eroi con la pelle degli altri. “Difenderemo la libertà fino all’ultimo ucraino.” Dice Stoltenberg, che ucraino non è.

E allora penso che ogni voce in più, anche la più piccina, sia una voce di protesta, e un voto di meno per i duri e puri. E invito tutti a far sentire, in ogni ambiente, la propria voce di dissenso. Chissà…

Enrico Tendi, 8 maggio 2022

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