Da: Anni cruciali. 1957-1968 / Gino Benvenuti. Il Punto rosso, 2021. http://www.puntorosso.it/edizioni.html
Nel nostro lavoro quotidiano oltre allo sport, la musica e spettacoli vari, cominciò a comparire tra noi colleghi, saltuariamente, il riferimento alla politica. Erano scampoli modesti e confusi, ma indicativi di qualcosa degno di osservazione. Oltre tutto, essendo in pochi, il datore di lavoro, che era spesso insieme a noi, per l’età e l’esperienza che aveva, non disdegnava di inserirsi e stimolare i nostri discorsi in merito alla politica. -La vedo brutta- borbottò lui una mattina con il giornale in mano in attesa che partissero le macchine. -Perché? – chiese il collega coetaneo che era entrato a lavorare insieme a me. -Ci sono da giorni mobilitazioni contro il congresso del Msi a Genova– . –È una provocazione– commentò il capo-officina. –Vogliono riportare i fascisti al governo– asserì mio cugino –vedremo quello che succederà– borbottò dopo essersi messo il giornale in tasca. Quel suo commento ebbe l’effetto per me di tenere le antenne dritte e prima di uscire da casa, la mattina seguente, ascoltai il giornale radio per essere informato dato che quello cartaceo lo comprava sempre la mamma a metà mattinata.
A seguito di questo accenno alla politica, i pareri nel prosieguo della giornata furono infarciti non da preoccupazione, ma da goffe affermazioni. Anch’io devo aver detto allora qualche stupidaggine perché un paio di volte vidi i colleghi sganasciarsi dalle risate. La situazione politica precipitò ed a Roma si ebbero manifestazioni mentre in Parlamento si registrarono durissime prese di posizione. La mattina seguente uno dei miei colleghi, essendo siciliano, si mostrò particolarmente preoccupato e disse che aveva cercato di mettersi in contatto, senza riuscirci, con qualche amico di Agrigento, perché le comunicazioni telefoniche a quei tempi erano sporadiche e difficoltose. –La Sicilia è in fermento già da un pezzo perché a Palermo ci sono state manifestazione durissime– ebbe a dire mostrando la pagina nazionale del giornale, al quale demmo tutti un’occhiata prima di iniziare a lavorare. Mi ricordo che il collega siciliano aveva le lacrime agli occhi quando riprese il lavoro nel pomeriggio e per tutto il tempo rimanente, nel laboratorio non si sentì volare una mosca. Quello che mio cugino aveva paventato non si dimostrò infondato nei giorni a venire perché a Licata, durante uno sciopero che fu proclamato da tutti i sindacati, venne ucciso un giovane dimostrante e ci furono molti feriti.
Durante la mattinata arrivò il principale e, dopo aver chiesto ragguagli sulla produzione, ebbe a commentare l’accaduto terminando con un “ditemi voi se si può morire per una manifestazione”. Noi al momento tacemmo e lui scuotendo la testa entrò in ufficio, ma nel corso della giornata continuammo a parlare di ciò. Con Genova capofila nello stato di agitazione, che si ampliò in tutta l’Italia, la situazione non accennò a placarsi e l’episodio gravissimo di Reggio Emilia fu il culmine; 5 morti causati dalla celere che sparò ad altezza di uomo. Inoltre il giorno seguente, tra Palermo e Catania, vennero uccisi 5 dimostranti e tutto ciò determinò una mobilitazione generale in tutta Italia. Le notizie mi giungevano dal giornale e dai notiziari della radio, ma le riflessioni in merito venivano da quello di cui parlavamo durante il lavoro. Alcuni giorni dopo finito il lavoro, andai in centro perché volevo comprare una camicia senza pensare che vi potesse essere una situazione di tensione e non mi sfiorò nemmeno l’idea che potesse accadere qualcosa. Ignaro di quello che potesse succedere, mi infilai da piazza Beccaria in via dell’Agnolo e sbucai in Via Verdi. Giunto all’altezza dell’arco di San Pierino volevo proseguire in Borgo degli Albizi per andare dritto in Piazza della Repubblica. Vidi subito che qualcosa non era normale e mi arrestai. Notai persone che correvano da tutte le parti, un carosello di camionette, sirene e qualcuno che parlava di tafferugli tra gente e polizia. -Sono passato vicino a piazza del Duomo e c’era un idrante- . –Stasera mi sa che ci saranno scontri– . –Teniamoci pronti– allertò uno mentre una jeep entrò nella piazzetta davanti all’arco, a velocità sostenuta, mentre un’altra nella strada parallela sfrecciò dirigendosi verso piazza del Duomo. Rimasi con la bicicletta in mano spostandomi sotto l’arco ed un uomo anziano mi gridò: –Scappa nini, tra poco la polizia arriverà anche qui– . –Non so dove– risposi confuso. –Dove abiti?– . –Alle Cure– . –Allora vai in senso contrario da questa strada ed arriva a Piazza Donatello– .
Seguii il suo consiglio, però viaggiare in senso contrario fu tutto un frenare, scendere e portare a mano la bici. Per non rischiare allora svoltai in via Alfani per proseguire, attraversata piazza SS. Annunziata, verso Via G. Capponi. Nel proseguire mi ritrovai in Piazza della Libertà, lontano dai luoghi della manifestazione però lì mi fu fatale una verga del tranvai; la mia ruota anteriore vi infilò dentro e feci un capitombolo. Mi rizzai quasi subito per recuperarla, e notai allora, dopo averla appena appoggiata ad una colonna, che un pedale si era piegato. Dolorante mi misi a sedere sui gradini davanti al porticato di un grande edificio e, alzando un gambale dei miei pantaloni, vidi una grossa escoriazione appena insanguinata perché nella caduta ero scivolato verso il marciapiede. Quando tentai di risalire in bici però sentii una fitta sulla gamba destra e scesi tra gli alberi del viale Don Minzoni. Provai a camminare portandola a mano, ma il dolore si faceva sempre più intenso; oltretutto il pedale piegato mi rendeva difficoltoso utilizzarlo. Riuscii comunque ad arrivare a casa, ma non vi salii subito fissando il mezzo, con il pedale integro, al marciapiede.
Seduto sullo scalino del portone dello stabile, mi massaggiai la coscia mentre un paio di condomini riportavano quello che stava succedendo nel pomeriggio in centro a Firenze perché informati dall’unica persona dello stabile che, disponendo del telefono, aveva chiamato una sua parente abitante vicino a piazza Signoria, e ragguagliava tutti nello stabile andando su e giù per le scale; una sorta di “tutta la manifestazione minuto per minuto”. Un mio amico, nell’osservare la mia bicicletta, mi fece notare che un pedale era storto e subito mi scappò detto che ero caduto vicino a casa. –Ora lo dico al babbo e te lo faccio riparare– . Di lì a poco l’amico tornò in sua compagnia indicandogli il pedale storto. –Se trovo un martello te lo raddrizzo– promise l’uomo allontanandosi un attimo. Quando comparve di nuovo, con un mazzuolo ed un pezzo di legno, riuscì a sistemarlo bene e lo ringraziai mentre mi massaggiavo in continuazione. –Che vuoi che sia; è roba che passa– . Presi la bicicletta e ringraziando me la misi in spalla portandola in casa, come facevo abitualmente, visto che ne avevano rubate un paio nei mesi precedenti ad altri condomini, oltre a quella di mia sorella che lavorando proprio vicino al Ponte Vecchio non era ancora rientrata a casa. A mia madre in apprensione chiesi di dare un occhiata alla gamba, senza fare riferimento alcuno su dove fossi stato finito il lavoro.
All’ora di cena mia sorella non era presente, ma non avendo il telefono non poteva comunicare con noi fino a che, con mezzora di ritardo, arrivò visibilmente turbata. –Paola ti potevi fare accompagnare dal principale con la macchina– affermò mia madre mentre le versava la minestra nel piatto- . –E domani come facevo ad andare al lavoro? E poi farsi portare in macchina la sera fino a casa, sai quanti pettegolezzi sarebbero nati?– . –Per una volta potevi prendere l’autobus comunque meglio che non ti sia successo niente. Oggi è giornatuccia; anche lui è caduto vicino al Ponte del Pino– . –Io sto bene non vi preoccupate– risposi a bomba mentre il giornale radio riportava quello che sembrava un bollettino di guerra. Il giorno seguente, sul lavoro, la manifestazione del giorno precedente venne commentata:
Tutti a posto, voi?– chiese il principale.
Certo– rispose il collega siciliano io sono subito andato a casa- proseguì sorridendo.
Sarebbe stato proprio da coglioni andare in centro con il rischio di qualche legnata– precisò il capo-officina.
Vero! – mi limitai a confermare.
Gino Benvenuti, 2021