Una sera, all’interno di un dibattito nel circolo ricreativo che frequentava, Tullio ebbe modo di dire, facendo anche sorridere, che “l’umanità si divide tra alberi e foreste perché c’è chi guarda l’albero e non la foresta. Bisogna invece guardare la foresta nel suo insieme perché l’albero da solo non conta niente. Bisogna avere sempre una visione complessiva sulle questioni di cui discutiamo” .
Questo gli valse il soprannome di “l’Foresta” quando qualcuno lo salutava ed i soprannomi come si sa sono indelebili, una sorta di tatuaggio che è difficile da cancellare. Se al momento ciò gli fece piacere, adesso gli stava stretto in quanto con il diradare dei suoi rapporti personali viveva sempre sospeso, nelle sue elucubrazioni quotidiane, tra uno spossante rimpianto e le sensazioni di un cupo futuro che questo soprannome riproponeva.
La presenza nel circolo ricreativo diventò nel tempo più rarefatta ed un pomeriggio, all’interno del suo bar preferito, dopo aver letto il suo giornale, improvvisamente Tullio, che si era spostato davanti ad un grande specchio, incardinato dentro un telaio di legno massiccio munito di rotelle, disse ad alta voce:
-Ma perché dovrei tornare a rievocare il tempo passato? Tutte le volte che faccio un paragone con il passato mi deprimo- .
-Cerca di guardare le cose da un altro punto di vista- sembrò suggerirgli un avventore bizzarro alle sue spalle.
-Che significherebbe? – domandò voltandosi di scatto e guardandosi attorno non vide traccia di altre persone nel locale all’infuori del barista.
Dopo aver fatto un’altra esternazione sentì la solita voce sbarazzina ed istintivamente si mosse verso lo specchio, non per guardarsi ma per appurarsi che dietro di esso non vi fosse un’altra persona.
Tornò verso il suo tavolo incrociando, ancora una volta, lo sguardo del barista intento a pulire i bicchieri mettendoli, dopo averli osservati in controluce, capovolti dentro una rastrelliera. Egli lanciò a Tullio un’occhiataccia, però non se la sentì di interrompere quella grottesca situazione visto che lui era un cliente abituale e pertanto lo lasciò alle sue esternazioni, davanti allo specchio, venendo puntualmente rintuzzato ironicamente da quella voce di cui non riusciva a localizzarne la provenienza.
Per questo alternò frasi e gesti davanti allo specchio con comiche movenze e giri su sé stesso che diventarono frenetici fino a quando arrivarono nel locale altri clienti.
Tullio riuscì a contenersi ma quando ne rimasero solo due si riportò davanti allo specchio e sentì questa volta una voce molto flebile che lo provocava con domande pungenti.
Istintivamente convinto che qualcuno di loro fosse il protagonista di quelle sarcastiche affermazioni, cominciò a scrutarli alla ricerca del colpevole spostandosi a turno davanti ad essi con uno sguardo allucinato.
Il barista a questo punto, piuttosto stizzito, lasciando il bancone, lo rimproverò accigliato:
-Ora basta con questa farsa. Lascia in pace la gente perché altrimenti ti caccio fuori- .
Dopo questa reprimenda egli tornò a sedere meditando con la testa tra i palmi delle mani però, appena usciti i clienti, egli riprese a borbottare:
-È come andare ad un ricevimento ed all’improvviso ti tolgono il piatto dove mangi. Prima pregusti un bel pranzo e dopo invece devi mangiare un panino. Da vivere a sopravvivere il passo è doloroso- .
-Almeno hai qualcosa da raccontare- incalzò la solita voce.
-Fatti vivo, stronzo- gridò motivato ad allontanare quella presenza indefinita che lo infastidiva ad intermittenza.
In preda ad un’ incontrollabile agitazione, ricominciò a pronunciare delle frasi smanacciando davanti allo specchio a cui facevano seguito sempre delle risposte:
-I casi sono due: o è il barista che si rimpiatta dietro al bancone oppure questo simpaticone che mi parla è più rapido di me nel nascondersi- rimuginò deducendo che fosse acquattato in qualche parte dell’ampio locale.
Insoddisfatto e deciso a scoprire la sorgente di quella voce, entrò, senza chiedere permesso, nel ripostiglio suscitando l’ira del barista che stava sistemando delle cassette di birra ma lui replicò seccato:
-Diglielo a quello stronzo che parla e forse si nasconde qui dentro- . Il barista scosse la testa e, senza farsi vedere, si avvicinò al telefono presagendo qualche gesto inconsulto.
Tullio puntualmente sentì un’altra domanda:
-Senti cosa ne pensi del tracollo della Lehman Brothers?- insistè la solita voce invasiva e schietta.
-Non me ne interessa niente anche perché io non ce li ho i soldi in quella banca, quindi di cosa devo preoccuparmi? Di chi vi ha perso dei soldi ? Io voglio pensare a come scampare a tutto quello che mi sembra sia una sequenza di eventi disastrosi. Ti rendi conto anche te che siamo assediati e che ci hanno sequestrato il futuro? Meno male che tra un mese andrò in pensione. Devo pensare a me stesso e basta! – .
-Allora non sei più l’Foresta perché tu sei diventato un albero? – rimbeccò la voce ineffabile -e chi l’avrebbe detto? – .
-Una volta in pensione, con il figlio sistemato e la moglie che si è risposata, non ho più voglia di impegnarmi in qualcosa e così farò molte belle dormite e porterò a spasso il mio bastardino per il quartiere- argomentò Tullio.
-Proprio quello che volevano e vogliono quelli che hai combattuto fino ad adesso ah ah- fu la replica questa volta sghignazzante.
A questo punto egli, stanco di essere rimbeccato, prese una statuetta posta su un tavolo e la scagliò a voce alta contro lo specchio. Seguì un rovinoso frastuono mentre il vetro andò in frantumi diffondendosi nella sala sotto lo sguardo allibito del gestore.
-Ma che sei diventato matto? Ora chiamo la polizia- minacciò mentre Tullio seduto si passò a lungo le mani tra i capelli mostrando un genuino rimorso per il gesto sciagurato.
Dì lì a poco arrivarono i poliziotti che chiesero al proprietario cosa fosse successo e l’uomo, dopo un “che ne so!” spiegò l’accaduto: -È tutta la sera che parla da solo come un folle davanti allo specchio gesticolando avanti ed indietro ed ad un certo punto ha preso questa statuetta e gliel’ha scagliata contro- concluse indicandolo.
-Ci poteva chiamare prima- .
-Voi siete dei militari o degli psichiatri? – .
-A volte siamo entrambi- risposero all’unisono guardando l’uomo contrito per il suo gesto.
-Eh, addirittura! Mai visti degli psichiatri con la rivoltella- insistè con tono beffardo la solita voce.
-L’avete sentita la voce? – domandò Tullio.
I due poliziotti parlarono un attimo tra loro e dopo si avvicinarono a lui, chiuso in un pervicace mutismo a cui chiesero invano delle spiegazioni. Il suo silenzio non sparì nemmeno quando un’ambulanza, a sirena spiegata, si fermò davanti al bar e due infermieri facendosi largo tra la folla entrarono nel locale.
Gino Benvenuti da Nero Beffardo
Nero Bizzarro : Racconti / Gino Benvenuti. Il punto rosso, 2022